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Autore: sistolina    02/05/2011    0 recensioni
Fanfiction ispirata al film The Dreamers - I Sognatori di Bernardo Bertolucci.
Dieci anni sono passati dagli avvenimenti del film: Matthew è diventato uno scrittore famoso pubblicando un libro sulla sua esperienza a Parigi e non sa più nulla di Isa e Theo, ma il caso vuole che sia invitato proprio a Parigi per presentare il suo libro.
Una volta lì capisce che, forse, è venuto il momento di concludere quella storia...
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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The Sleepwalkers



Ci sono abissi che l'amore non può superare, nonostante la forza delle sue ali.
(Honoré de Balzac)



La sala era immersa nella maestosa luce dei candelabri di cristallo, lo Champagne di ottima annata, le chiacchiere educate ma concitate degli invitati, la delicata mescolanza dei profumi delle donne con gli odori naturali dei fiori, dell'amido delle divise dei camerieri, il lucido del pavimento splendente. La sala era un diorama luminescente di luci e colori. I suoni controllati si animavano insieme come un vivace sussurro di vita; ogni tanto, dalla piana consistenza del vociare, saliva il vivace riso di una donna brilla, una tonante risata, un trillo civettuolo. Quella vita, quell'energia, quell'esistere colmo di industriosa vitalità avrebbero scaldato qualunque cuore. Avrebbero...
Matthew sorseggiava svogliatamente un whisky che doveva avere almeno l'età di suo nonno, e osservava la folla con il fastidioso distacco dell'artista, cogliendo le sfumature, gli sguardi, le relazioni fra gli invitati come un invisibile filo rosso.
Non era uno scrittore, “I sognatori” era stato il suo primo romanzo, eppure lo aveva catapultato nell'empireo dei best sellers del New York Times nel giro di un battito di ciglia.
La verità era che era un guardone. Lo era da sempre.
Sempre pensieroso? - David, al contrario, sembrava spassarsela: d'altra parte, l'alta società era il suo ambiente naturale. Capita ai figli dei diplomatici israeliani.
Odio queste cazzo di feste – ribatté lui trangugiando d'un sorso il contenuto del prezioso bicchiere di vetro di chissadove
Oh, siamo in vena di francesismi – David era tipo l'unica persona sulla Terra capace di farlo sentire una merda senza insultarlo lontanamente. Forse era l'espressione scocciata, forse il portamento da “signorina in chiesa”, come amava definirla lui stesso. Forse era solo la sua opinione a contare davvero. Chissà. Il ragazzo si appoggiò accanto a lui, incrociando le braccia senza versare nemmeno una goccia di Champagne – ti decidi a dirmi cosa c'è che non va, o dovrò chiedere un favore personale al Commissario Morel laggiù? - l'uomo in questione era un tipico poliziotto parigino, calvo, i baffi perfettamente ordinati su un viso arcigno e olivastro, la postura di chi pensava di poter fottere il mondo.
Lascia perdere – Matthew si mosso con la poca grazia che lo contraddistingueva da sempre, e David lo afferrò per un braccio, offeso
Dove stai andando? - era decisamente lo sguardo di uno la cui frase sarebbe finita, prima o dopo, con un “se esci da quella porta io...”, ma quella non era decisamente la serata giusta per porlo di fronte ad ultimatum del genere. Non dopo quello che era successo.

24 ore prima***************************************

Quando è successo? - la tempesta era passata. Così com'era venuto, il pianto disperato di Theo se ne era andato, lasciandoli entrambi sfiancati e silenziosi.
Alla fine, dopo minuti che gli erano sembrati ore, Matthew aveva rotto quel silenzio sacro, ponendo LA domanda, legando insieme parole che potevano, potenzialmente, rompere di nuovo gli argini.
Theo rimase in silenzio, lasciò scorrere tutto senza muoversi, gli occhi chiusi e la testa abbandonata alla nuda pietra, il viso arrossato ormai asciutto, con solo le lunghe ciglia appiccicate l'una all'altra a testimoniare la propria ritrovata umanità.
Si accese una sigaretta senza fretta, osservando la fiamma dell'accendino, come ipnotizzato. Matthew trattenne il fiato. Era quell'accendino. Il loro accendino.
L'altro aspirò una lunga boccata, riprendendo vita quasi magicamente. Poi, con un sospiro che lo fece vibrare dalla testa ai piedi, espirò e rispose
Due anni fa, si è uccisa come Cleopatra, la pazza - sorrise amaramente, così amaramente da sembrare sul punto di piangere ancora. Ma non lo fece, anzi si voltò verso di lui con sguardo malinconico, eppure sottilmente ammirato – non so dove cazzo l'ha trovato un aspide – scosse la testa, sospirando.
Matthew non avrebbe avuto idea di cosa dire nemmeno con un vocabolario fra le mani; conosceva una marea di modi per dire “mi dispiace”, eppure nessuno sembrava minimamente adatto al momento. Tutto sembrava così superfluo, così inutile. E Theo non voleva sentire niente da lui, se non il suo respiro accompagnarlo in quel racconto doloroso. Così tacque, e lo lasciò immergere fino al cuore in quell'affilata lama di passato con la quale così profondamente aveva scelto di ferirsi.
Eppure Theo non aprì bocca, continuando a fumare lentamente, aspirando con un suono sibilante tutto il fumo che riusciva a contenere. Poi spense la sigaretta, ed estrasse dalla tasca dei jeans sbiaditi una busta di tabacco, un paio di cartine stropicciate e un sacchettino di plastica. Si voltò verso di lui e gli porse il tutto
Te lo ricordi ancora come si gira una canna? -
Ho imparato dal migliore – sussurrò piano di risposta, terrorizzato che una sua sola parola rompesse la magia. Afferrò il necessario dalla mano dell'altro e lo sfiorò impercettibilmente. Forse era passato troppo tempo dall'ultima volta che l'aveva toccato, fatto sta che si sentì invadere dal bisogno di sentirlo, come un drogato disintossicato da tempo. Arrossì violentemente, senza volerlo: aveva ancora ventanni davanti a lui, li avrebbe sempre avuti.
Ma Theo gli concesse uno di quei suoi rari sorrisi storti, quelli che aveva imparato a classificare come “autentici”; lo aveva visto sorridere molte volte, ma rare per davvero, senza pensieri, come un comune e spensierato ragazzo della sua età. C'era sempre qualcosa di incompleto, di manipolatore, di doppio nelle sue espressioni. Qualcosa che sfuggiva al suo controllo.
La menzogna era l'ombra oscura nello sguardo di Theo, esattamente come la tristezza lo era in quello di Isa.
Cominciò a preparare lo spinello, sotto lo sguardo quasi intenerito di Theo, in imbarazzo. Tutto cambia, e tutto resta uguale.
E' stata colpa mia – disse alla fine, senza inflessioni, come un dato di fatto. Matthew non si mosse, terrorizzato che quelle parole potessero essere le ultime – l'ho uccisa io – deglutì, sentendo le mani tremare un istante. Poi s'impose di continuare, mentre, finalmente, nuove parole fluivano via da Theo – non me ne frega neanche un cazzo di lei – sbottò in una risata amara – mia moglie, sai, te ne ho parlato? - sembrava nuovamente assente. Matthew scosse la testa, leccando l'estremità appiccicosa della cartina. Dentro era di ghiaccio, proteso verso di lui per paura di perdersi una sillaba – l'ho sposata dopo un mese. Ti rendi conto? Trenta fottutissimi giorni e quella pazza ha accettato di sposarmi – rise di nuovo, con sempre meno allegria. Matthew sentì scivolare via la sua umanità, come se necessitasse di tenere alte le barriere per non crollare. Si pentì di avergli chiesto di lei. Ma doveva farlo. Per entrambi. Batté lo spinello contro il pavimento un paio di volte, perché il tabacco e la marijuana si comprimessero bene all'interno, poi cercò l'accendino nella tasca della camicia, ma Theo lo precedette, porgendogli l'accendino d'acciaio che entrambi conoscevano bene – Usa questo – disse semplicemente, senza guardarlo.
Matthew si sentì morire, ma non gli concesse di vedere quanto anche solo stringere fra le dita quell'accendino lo facesse sentire uno schifo. Forse, se gli avesse mostrato quanto ancora quella parte della sua vita lo tormentasse ancora, Theo non sarebbe stato così duro con lui, non lo avrebbe considerato un vigliacco, non lo avrebbe odiato per averli abbandonati. Eppure qualcosa dentro di lui urlava il contrario. Theo aveva bisogno di odiarlo per odiare meno se stesso. Così sia.
Accese lo spinello con noncuranza, mentre Theo ricominciava a parlare
La prima volta che l'ho portata a casa, Isa non mi ha parlato per tre giorni – era nuovamente gelido come un ghiacciolo, lontano anni luce dal suo corpo – quando le ho detto che sarebbe venuta a dormire da noi è partita per un week end in una SPA del cazzo in Borgogna – un'ombra, impercettibile e definitiva, gli attraversò lo sguardo un infinitesimale istante. Poi passò – quando le ho detto che l'avrei sposata... - il silenzio, denso e opprimente su di loro, parlò per entrambi.
Matthew inspirò una generosa boccata e sentì finalmente gli effetti invadergli la mente: leggero e quasi incosciente si abbandonò a occhi chiusi contro il muro. Poi allungò la mano verso Theo, che accettò lo spinello, tirò a lungo senza espirare, e si lasciò cadere ancor più mollemente accanto a lui. Alla fine si voltò, serio, mortalmente immobile nell'umidità della notte – Uno di noi doveva morire Matthew – sentenziò senza alcun sentimento – e l'altro sarebbe stato libero -
Libertà. Faceva una paura fottuta.
Noi siamo gemelli siamesi. Attaccati qui.
Lo aveva detto in quel bar, toccandosi la tempia quasi distrattamente. Eppure, in quel pomeriggio equivoco e terrorizzante, Matthew aveva capito dolorosamente che il legame fra loro era inconcepibilmente indistruttibile, e altrettanto profondamente deleterio. Si sarebbero logorati a vicenda fino a uccidersi. Lo aveva pensato allora, con la leggerezza e l'ansia di un ragazzo di vent'anni. Lo realizzava in quel momento, con la gelida consapevolezza di un adulto. Niente sarebbe cambiato. Quella parte di lui sarebbe rimasta ancorata a Isabelle per sempre, e l'altra si sarebbe sentita in colpa per non averlo fatto. Bella merda.
Anche io vi ho abbandonati – gli costò una fatica immensa dirlo. Tremenda.
L'altro rise, quasi goffamente per effetto dello spinello.
Lo so – inspirò una boccata e mise le mani a coppa attorno alla bocca. Matthew, colto alla sprovvista, lo imitò, il suo corpo che rispondeva ad un gesto impressionante per quanto era familiare. Theo avvicinò il viso lentamente al suo, lasciando che la marijuana alleggerisse il suo mondo. Infine, senza smettere di fissarlo con quei suoi taglienti occhi scuri, gli soffiò il fumo in bocca, assieme alla definitiva condanna – per questo ti odio – Matthew non era quasi riuscito ad aspirare che la bocca dell'altro era violentemente pressata sulla sua. Se fosse stato chiunque altro, chiunque, si sarebbe tirato indietro. Ma Theo non aveva permesso mai a nessuno di rifiutarlo. A lui meno che mai.
Non fu il bacio che Matthew aveva sognato. Non fu dolce e trascinante, un crescendo di passione e sentimenti rivelati. Fu la rabbiosa e inequivocabile conferma e negazione di tutto. Furono le mani di Theo che gli tiravano indietro la testa, dolorosamente. Fu come soffocare. Fu ingoiare la vita e sputarla via. Fu uno scontro di corpi. Fu qualcosa di trascendentale e pragmatico, tutto e il contrario. Non c'era cuore, solo...carne.
E c'erano loro, l'uno nell'altro, alla ricerca di lei.

*******************************************************

David era ancora lì che lo fissava irritato e sbalordito
Te ne stai davvero andando? - sussurrò fra i denti, attento che le poche teste che si erano voltate a guardarli non capissero – mi stai davvero mollando qui come l'ultimo degli stronzi per andare chissà dove a fare chissà cosa alle mie spalle? - il fatto che avesse usato una parolaccia era già indicativo del suo stato mentale, il suo tono sibilante e disperato insieme, quasi supplichevole nel suo tentativo di essere rabbioso, chiarirono inequivocabilmente che, se Matthew fosse andato via da lì senza avere come minimo una spiegazione valida, non avrebbe trovato nessuna colazione a letto il mattino seguente, se avesse ancora avuto un letto.
Ma lui non voleva essere lì. Lui voleva essere dove sapeva sarebbe precipitato ancora più a fondo nella propria rovina. Lui voleva sentire ancora il suo corpo dalla punta dei capelli alle unghie dei piedi.
Appoggiò entrambe le mani sulle spalle del ragazzo, mingherlino ed effeminato almeno quanto Theo era attraente e mascolino. Non che fosse una questione di confronto o paragone. Non aveva nemmeno pensato a Theo come ad un essere umano. Era semplicemente lì, nell'empireo dei suoi desideri proibiti.
Ma qualcosa c'era, qualcosa da inseguire e per cui lottare. Lui l'aveva vista. E Theo sarebbe stato costretto ad ammetterlo una volta per tutte. Doveva.
Devo fare una cosa – disse
Matthew. Matthew non farlo ti prego – fu una pena uscire da quella porta. Un dolore di un'atrocità indicibile. Deludere chi amava. Voltare le spalle a quello che era giusto e consono. Essere il bastardo che aveva sempre cercato di soffocare. Essere se stesso.
E così lo lascio indietro. Come niente. Come il resto.
Theo aveva comprato casa in un quartiere semi-residenziale in un quartiere diametralmente opposto a quello dove abitava da ragazzo, e Matthew seppe con certezza che non era stata una scelta casuale.
Rimase immobile ai piedi dell'edificio, osservando la finestra illuminata dell'appartamento.
Si voltò e fece per andare via.
Si fermò in mezzo alla strada e tornò sul marciapiede.
Imprecando si allontanò per poi voltarsi nuovamente.
Con un sospiro seccato maledì se stesso e fece per suonare il campanello, ma il portone era aperto, bloccato da un talloncino di legno di quelli che usano i condomini per portare su la spesa senza aprire e chiudere mille volte.
Salì velocemente le scale, dicendo a se stesso che era forse un segno del destino, che c'era speranza, che non era un perfetto idiota. Che magari...
Si bloccò nuovamente con il cuore a mezz'asta, il respiro corto e la gola secca. Rimase fermo lì davanti per un quarto d'ora, finché non si accorse che anche la porta d'ingresso era aperta. Appoggiata solo allo stipite, sembrava lasciata aperta volontariamente.
Con un sorriso entrò, picchettando il legno giusto per non essere scortese, giusto per non disturbare. Anche se lui lo stava aspettando.
Camminò più in fretta, il cuore che gli sbatacchiava nel petto e la voglia di ridere a crepapelle e lasciarsi alle spalle il dolore. Isa li aveva lasciati per permettere loro di trovarsi davvero. Era così? Era il destino?
Non era mai entrato lì, ma camminò in corridoio davanti a porte chiuse e luci spente.
In fondo, nell'angolo vicino a quello che doveva essere il salotto, una porta era socchiusa ed emanava una tiepida luce arancione.
Con il respiro accelerato e lo stomaco chiuso Matthew si diresse quasi radente il muro verso la stanza.
Come uno stupido si controllò l'alito e il completo che, malgrado il viaggio in taxi, era ancora ben stirato.
Era una cosa stupida, ma quando arriva QUEL giorno, non è che si possa stare lì a lasciare al caso.
Una serie di rumori attutiti lo distolse dall'esame di se stesso, gemiti, ansimi e versi a malapena contenuti accompagnavano la luce calda dell'abat-jour.
Inspirando spinse la porta: una donna dai lunghi capelli scompigliati gemeva senza posa aggrappata ai cuscini del letto matrimoniale, mentre Theo le era sopra e si muoveva ritmicamente, affondando di più ad ogni colpo.
Matthew rimase impietrito. Avrebbe voluto andarsene senza farsi vedere, risparmiandosi l'umiliazione di essere lì. Di essersi nuovamente illuso.
Ma fu allora che Theo sollevò lo sguardo verso di lui. Lo guardò e sogghignò, letteralmente, senza mezzi termini. Affondò un ultimo colpo, poi gettò indietro la testa senza smettere di guardarlo e ridere. Rideva di lui, di quei passi ingenui e speranzosi che l'avevano spinto fino a lì. Rideva delle sue speranze, dei suoi sogni mai veramente sopiti. Rideva del suo amore, come aveva sempre riso di tutto. Mentre raggiungeva l'orgasmo, Theo gli aveva incollato gli occhi addosso infliggendogli l'umiliazione definitiva. Ogni porta aperta, ogni luce accesa di quella notte erano state messe lì per lui. E lui aveva varcato ogni soglia, camminato sotto ogni luce. E lo aveva visto, il diabolico sorriso dell'altro mentre scopava la donna per cui aveva abbandonato Isabelle. Per cui stava mandando a fanculo lui. Il tutto per arrivare a quel punto, per chiarire il punto. Matthew poteva andare a farsi fottere.
In silenzio, lasciò che l'ombra lo avvolgesse, e tornò sui suoi passi.

   
 
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