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Autore: GioGiaMon    03/05/2011    6 recensioni
Premessa: è la mia prima fanfiction e non sono una brava scrittrice.
La storia si colloca dopo che Aramis ha compiuto la sua vendetta.
Ella si lascia andare a delle riflessioni riguardanti il suo stile di vita,le sue scelte e ovviamente le riaffiora alla mente il suo François.
E' una one shot ma se piace posso scriverne un seguito.
Altrimenti ci ho provato!
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Si chiuse la porta alle sue spalle. Alzò lo sguardo mirando il desolante disordine della sua casa.
Il fardello che opprimeva Aramis ormai era scomparso ed ella si sentiva vuota, senza forze.
La sua vendetta dopo anni si era consumata e il moschettiere si aspettava di essere finalmente libera ma tutto quello che provava ora era un profondo senso di smarrimento.
“Dovrei essere orgogliosa per aver compiuto un’impresa che chiunque al mondo avrebbe definito utopia” pensò tra sé. Si tolse il cappello e si diresse verso lo specchio.

Già lo specchio; non le era mai piaciuta la sua immagine riflessa. Ora meno che mai.
La persona che fissava nello specchio era una sconosciuta. Chiuse gli occhi e trasse un profondo respiro.

“Al posto dell’orgoglio ho il cuore ricolmo di sofferenza e al posto di ferme e forti mani…”
Si tolse i guanti a fatica; le sue mani tremavano e sudavano freddo.
Le osservò attentamente: quanto sangue avevano versato quelle mani e quante vite spezzate dalla sua lama. Tuttavia Egli non sarebbe tornato da lei, mai più; per quanti sforzi potesse compiere nulla glielo avrebbe restituito.
Si sciolse i capelli, lentamente. Si tolse il foulard e si sbottonò la casacca. Senza neanche accorgersene rimase solo con la sua camicia bianca di due taglie più grande.
Non riuscì a trattenere un sospiro. Nella sua mente si agitavano mille e più pensieri.

“Ma chi sono? Anzi, che cosa sono diventata? Ho combattuto senza sosta, ho disciplinato il mio corpo e la mia mente, mi sono guadagnata ferite di guerra rinnegando me stessa e imitando disperatamente gli atteggiamenti e i pensieri degli uomini, tutto per la vendetta.”

“Ora che l’ho ottenuta non sento né soddisfazione né pace né libertà. Mi sento solo vuota, senza più uno scopo. Tutto quello che ho costruito è come un castello che poggia le sue fondamenta sulla sabbia, una realtà fragile, in bilico che potrebbe incrinarsi in qualsiasi momento. Non ho una vita vera. Indosso una maschera che ormai è sgretolata.”
Lacrime calde le rigavano l’ovale perfetto della donna.

“Tutti pensano che io sia un grande moschettiere, uno dei migliori di Francia. Un uomo attraente che rifiuta la dolce compagnia di una bella. Le dame. Con orrore mi accorgo dei loro sguardi lascivi su di me, che indagano a fondo il mio corpo e ogni volta tremo al suo dei loro pensieri. C’è stato un tempo che avrei desiderato essere come loro, pensare solo ad inezie e ai piaceri che la vita poteva offrire.”

La sua mente volò quasi 7 anni indietro.
Quando era una giovane fanciulla amante delle cavalcate, che passava la giornata sui libri, che s’interessava di politica e filosofia; consuetudine strana per una giovane donna.
Non era per nulla spaventata nell’impugnare la spada o stiletti, anzi lo trovava un modo interessante per temprare lo spirito; ovviamente per tutte queste ragioni non era ben vista dalle sue coetanee e dai giovani aristocratici in cerca di una moglie ubbidiente e che pensasse solo alla prole, alla bellezza e alle danze.

Quella sera la madre la costrinse ad andare all’ennesimo ballo con la speranza che qualche giovanotto la considerasse.
Ma a Renée non importava cosa pensasse la madre o qualsiasi altra persona, o perlomeno si sforzava di farlo.
Innamorata della libertà sia di pensiero che di azione non riusciva comunque ad affrancarsi dai pettegolezzi su di lei.
Si preparò per il ballo; si sedette davanti allo specchio per indossare i suoi gioielli. Sua madre si era tanto raccomandata di farlo.
Prese il cofanetto, lo aprì e alzò gli occhi per vedere la sua immagine riflessa.
Lunghi capelli dorati intrecciati in una acconciatura non troppo elaborata che incorniciava un volto ovale. Due occhi del colore del cielo terzo di primavera, un naso forse non proprio perfetto ma non troppo grande e grazioso e delle labbra fresche come rose rosse bagnate dalla rugiada mattutina.
Una carnagione candida le dava quel tocco di aristocrazia che sua madre decantava tanto.
 Ma nonostante la bellezza del suo volto, Renée non era considerata una beltà: troppo alta con i suoi 175 centimetri [*] decisamente al di sopra della media e con fisico magro e slanciato. I canoni di bellezza imponevano alle donne forme generose e abbondanti mentre ella era proprio il contrario suscitando il disappunto della madre e le risate di scherno delle sue coetanee.

La giovane Renée si sforzava di darle meno peso possibile ma alla fine di ogni festa finiva per passare la notte insonne ad inzuppare il cuscino di lacrime e a maledire se stessa.
E questa non avrebbe fatto eccezione, pensò la fanciulla.
Prese gli orecchini lunghi: un diamante tagliato a goccia incastonato su una struttura d’argento esaltava il suo collo.
Indossò una collana girocollo: era disegnata come una rete allungata verso il basso in cui ogni nodo era un luminosissimo e piccolo diamante.
Guardò il suo vestito verde acido; lo odiava, aveva una scollatura profonda e un corsetto talmente stretto che a malapena riusciva a respirare. Aveva ricami con fili preziosi di color oro.
Si sentiva davvero ridicola.
Ma a quel ballo, proprio con quel vestito verde acido che tanto odiava aveva conosciuto l’unica persona che l’aveva fatta sentire bella, anzi la più bella giovane donna di Francia.

Di solito gli uomini non invitavano mai Renée a ballare, ma quella sera un giovane alto distinto e conteso da tutte le dame del ballo, offrì il suo braccio proprio all’ “Amazzone Sgraziata” , soprannome nato dalla passione della giovane per i cavalli e a cavalcarli come un uomo.

Ne rimase stupita ma subito pensò che si trattasse di una burla.
Bene, pensò, adesso mi diverto un po’ e vediamo se gli faccio passare la voglia.

“Perché me signore? Sono sicura che tutte non aspettino altro di appuntare sul proprio carnet di ballo il vostro nome e, di certo sono più avvenenti di me. Non vedete le loro occhiate maliziose e non udite i loro chiacchiericci dietro ai loro ventagli? O forse non sapete cosa dicono di me?” disse ella con tono arrogante.

Il giovane si guardò distrattamente attorno mentre tutte le dame del salone da ballo, anche quelle che avevano già un cavaliere, avevano gli sguardi puntati su di loro; mentre le dame che non volteggiavano in pista sparlavano tra loro agitando freneticamente i loro ventagli piumati.

“Uhm, dunque avete così poca autostima di voi? Vi fate intimidire così? Mi aspetto molto di più da una decantata amazzone come voi. Più avventi dite? Trovate davvero?” rispose con calma e risolutezza il misterioso cavaliere.
Non desiste, pensò la fanciulla.

Renée proseguì stizzita e sorpresa allo stesso tempo.

“Sì, davvero. Volete dunque che vi faccia fuggire da me urlando. Bene. Sappiate che oltre ad essere un’eccellente cavallerizza sono anche una brava schermitrice. Dunque ora che ne dite? Non preferireste un’altra? O forse vorreste fare di me una ’bisbetica domata’ ? Nessuno può domare il mio impeto e spegnere il fuoco che ho dentro. Desistete?” disse tutto d’un fiato. In verità non voleva farlo scappare.

Mentre volteggiava tra le sue braccia per la prima volta si sentiva bella e ammirata e il suo cuore batteva all’impazzata facendola sentire quasi come sospesa in aria.
Sarà forse il corsetto troppo stretto, ma respiro affannosamente, pensò Renée.

Lo guardò sorridere e la sua mente si svuotò; si sentiva sempre più leggera mentre un fuoco le avvampava le gote. Scivolò in una specie di trance dolce e strana.

“Voi non volete capire. Le altre dame in questa sala che vi definiscono bisbetica o come meglio credono, in verità sono insulse e monotone. Fuggire da voi? Perché mai? Ogni volta che aprite la vostra bocca non fate altro che attirarmi di più verso di voi; apprezzo la cultura soprattutto se la sfoggia una fanciulla come voi: forte, coraggiosa che sfida le convenzioni e le malelingue per esprimere se stessa. Solo una cosa mi sfugge: perché non vedete in voi ciò che vedo io?” disse guardandola negli occhi e stringendola sempre più forte a sé.

“E … e cosa vedete?” sussurrò faticosamente. Le mancava il respiro.

“Bellezza: perfino Venere arrossirebbe al vostro cospetto; siete radiosa come il sole e io non posso far altro che gravitare attorno a voi, catturato dalla vostra bellezza, ammaliato dalla vostra arguzia e stupito dal vostro coraggio” le sussurrò questa frase all’orecchio.

E in un momento incertezze, paura, senso di inadeguatezza, sguardi indiscreti, il mondo scomparivano.

Vi erano solo lei e lui.

Da quel momento ella fu perdutamente sua.

Ancora oggi dopo quasi 7 anni era ancora perdutamente sua.

Anche se ora non si sentiva neppure più donna. Sulle sue braccia erano disegnati muscoli anche non troppo accentuati. Ventre piatto senza il minimo accenno di grasso lasciava intravedere la forma dei suoi addominali. Il suo seno, anche se lo aveva sempre considerato piccolo in questi anni di vita militare le era sembrato enorme e ingombrante, forse anche perché in questi anni era cresciuto tra le sue ripetute maledizioni.

Che cosa ne rimane della Renée che aveva amato François?

Dopo tutto questo tempo anche se fosse tornato Aramis ne era sicura, anche lui l’avrebbe disprezzata.
Un essere androgino ben lontano dall’essere completo e a bastare a se stesso.
Se i suoi più intimi amici avessero saputo sarebbe stata additata come un’empia strega che batte gli uomini usando la magia.
Ne aveva viste alcune finire sul rogo di quelle poverette.
Dopo essersi presa la sua vendetta non le rimaneva niente. Solo una nuvola di bugie, una profonda insoddisfazione e ancora uno sgradevole senso di inferiorità e di incompletezza sia come Renée che come Aramis.
Si buttò sul letto con il pensiero che forse il Sonno Eterno era un’alternativa allettante.
Anche un pensiero simile non era da lei, ma ormai pensò che ‘ di lei ’ rimaneva ben poco.

“Caro François ormai il mio fuoco si è spento e l’appassionata fanciulla che amavi è solo il fantasma di ciò che era. Che farò domani? E domani ancora? Mi sono agitata infuriata e versato sangue per nulla. Tutto ciò che ho fatto non mi ha restituito nulla. Dunque è questa la vita? Un darsi noia e affanno per un attimo di gioia che ti viene stappata quand’ è più bella e fresca? Non trovo alcun senso nel vagar in questo mondo. Amore mio, non ho più uno scopo e tu non puoi più aiutarmi. Spero che il domani mi porti consigli migliori e il mio solito umore. Deve essere così. Domani sarà migliore di oggi.”

Soffiò sulla candela e si adagiò nel letto sforzandosi di dormire.


[*] Solo dopo il 1799 con Napoleone fu adottato un sitema metrico universale ma ho pensato che fosse comunque più comprensibile usare i centimetri.


 
  
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