CAPITOLO 9
“Esco!” Esclama
Patty all’improvviso, uscendo dalla stanza e
richiudendosi la porta alle spalle, senza darmi il tempo di aprire bocca.
Inarco le
sopracciglia, fissando la camera ormai vuota e scuoto la testa, rassegnata.
Sono trascorse
quasi due settimane da quando Hutton ha deciso di
sparire dalla circolazione di sua iniziativa e senza un motivo valido. Non che
sia cambiato molto… stranezze da parte di Gatsby a parte:
non credo di averla vista in casa per più di due ore consecutive ultimamente, è
un continuo uscire e andare chissà dove. Ovviamente non posso capire quello che
deve star passando, ma pensavo che l’avrebbe presa in modo… un tantino diverso.
Tanto di cappello se non si è rinchiusa nella sua stanza a piangere come una
disperata, però… Sospiro con un’aria decisamente
dubbiosa in volto e riprendo a leggere il libro che ho abbandonato a causa
delle mie riflessioni.
Jack era immobile al centro dello spiazzato con la mano
destra all’altezza della cintura. Le sue dita i muovevano lentamente
nell’attesa che arrivasse il momento giusto per afferrare la pistola. Gli occhi
azzurri scrutavano il suo rivale di sempre che, fermo davanti a lui sogghignava
sommessamente. Aveva il volto rigato da cristalline gocce di sudore
“Accidenti” pesò Jack “Doveva fare proprio così
maledettamente caldo, oggi?”
Intorno nessuno dei cittadini di Indytown
osava fiatare mentre i due si lanciavano sguardi di sfida. L’atmosfera era
raggelante. John, dal canto suo, non smetteva un attimo di fissare il cowboy
che gli si parava davanti e nonostante sul volto
avesse dipinta un’espressione beffarda, dentro di sé sentiva crescere
l’angoscia
“Jack, siamo arrivati al duello decisivo, ne sono sicuro, questa volta non ci saranno due vincitori, né
due sconfitti, risolveremo la questione una volta per tutte!”.
La tensione era alle stelle e i due sfidanti erano
pronti a spararsi a vicenda. Un corvo gracchiò e il suo grido, che si levò per
l’intera città, fu il segnale che fece scattare i due. Le mani si mossero
velocemente e in una frazione di secondo si udirono le pistole sparare p, le
pallottole vibrare nell’aria secca di quel giorno. Un denso fumo si levò
intorno ai due rivali e in un primo momento nessuno riuscì a capire cosa fosse
successo, ma a poco a poco la nuvola grigiastra si dissolse e…
Una serie di rumori
improvvisi e cacofonici mi distoglie forzatamente dal romanzo, interrompendo
bruscamente l’atmosfera di suspance che si era creata
a causa del momento topico e, diciamocela tutta, facendomi leggermente saltare
i nervi.
“Che diavolo sta
succedendo?” Sbuffo rumorosamente, cercando di riprendere la lettura ma questa
volta ad impedirmelo è un urlo.
“Fuori! … Fuori ho detto!”
Sento sbraitare
Patty dal piano terra e rimango a fissare il soffitto della stanza per qualche
secondo prima che un inspiegabile silenzio surreale venga di
nuovo rotto.
“Parti senza
neanche avvertirmi, ritorni dopo due settimane di assoluto silenzio e ti
presenti qui pretendendo che io ti ascolti? Impiccati!”
“Uhm… buon
suggerimento!” Penso tra me, sedendomi a gambe incrociate sul letto e
massaggiandomi il collo indecisa se scoppiare a ridere
o mantenere un contegno doveroso.
“Sembra che Holly
sia ritornato in patria… passerà un quarto d’ora d’inferno, e in fondo non mi
dispiace, se l’è meritato!” Annuisco lievemente mentre la voce del calciatore
arriva decisamente più attutita rispetto a quella
della sua fidanzata che sembra aver tirato fuori un carattere non suo, sputando
fuori tutto quello che si è tenuta gelosamente dentro in due settimane.
“Ma
non ti vergogni? Non una telefonata, non un messaggio, nulla di nulla! Ok, va bene… “
La voce della
giovane va scemando e non riesco a capire più nulla. Solo dei borbottii
arrivano nella stanza e a me non rimane che restarmene in silenzio in attesa di
qualche nuovo sviluppo.
Dopo una decina di
minuti passati a fissare con scarso interesse il pavimento della camera mi alzo
con un sospiro dal letto, stiracchiando le braccia con un lieve lamento.
“A
meno che non si siano pestati a sangue, cosa che dubito fortemente, non
penso sia un problema se do una sbirciatina!” rifletto tra me scendendo gli
scalini per raggiungere il piano inferiore dove non si avverte nessun rumore:
sembra quasi che la casa sia vuota e la notizia non mi porterebbe al settimo
cielo. Con finta nonschalance raggiungo il soggiorno
alla ricerca di un qualsiasi componente della famiglia
Gatsby trovandomi però con la sola compagnia dell’arredamento.
“Fantastico!”
Esclamo allargando le braccia con fare melodrammatico “Mi hanno lasciata da sola… a guardia della casa! Perfetto… ho
attenuto la loro fiducia ed ora potrò portare a
termine la mia conquista della galassia…” Sussurro con aria ironica “Dunque,
vediamo, di quale stanza dovrei prender possesso, per cominciare?”
“Che ne dici di
radere al suolo la stanza di Oliver?” Chiede una voce proveniente dal nulla che
mi fa saltare come una molla ed emettere una rantolo
inquietante.
“Cavolo,
Patty, mi è quasi preso un colpo! Se vuoi uccidermi
dillo subito!” Sputo fuori d’un fiato, una mano sul petto. Faccio qualche passo
indietro fissando la ragazza seduta sul pavimento, dietro il tavolo da pranzo
che l’ha nascosta fino a quel momento.
La lieve risata di
Gatsby risuona piano nella stanza “Scusa, non volevo spaventarti ma non ho
resistito… in effetti forse quella di fargli saltar in
aria la stanza non sarebbe una cattiva idea… non risolverebbe nulla, ma al
momento mi farebbe sentire almeno un po’ meglio…” Un lungo sospiro e Patricia
si richiude nel silenzio.
Rimango a fissarla,
senza sapere cosa fare prima di decidermi finalmente ad avvicinarmi. Mi siedo a
terra, accanto a lei, e le lancio un’occhiata interrogativa.
Patty tira le
ginocchia al petto e le fissa con insistenza prima di sussurrare “Non volevo
urlare in quel modo…” Come se quella fosse la cosa più importante.
Con una smorfia
contrariata provo a ribatte, ma la giovane non mi dà
neppure il tempo di aprir bocca.
“Ero
combattuta. Davvero, non sapevo cosa fare in quel momento, come
comportarmi quando me lo sono visto davanti alla porta di casa.” Scuote lentamente la testa “Una parte di me avrebbe voluto
corrergli incontro, gettargli le braccia al collo e stringerlo fino a mozzargli
il fiato…” Patty sorride lievemente prima di ricomporsi “Ma l’altra parte
avrebbe solo desiderato chiudergli la porta in faccia e urlargli di non farsi
più vedere… è stato davvero crudele da parte sua…” Un nuovo sospiro e la
giovane allunga le gambe sul pavimento. Rimango a fissarla senza provare ad interromperla.
La vedo alzare lo
sguardo verso un punto imprecisato “Sai, mi son sentita come in un sogno, come
se non fossi realmente io a parlare… e forse neanche l’ho fatto davvero… una
cosa stupida da dire dal momento che sono stata proprio
io, con questa bocca e questa voce a dirgli di aver bisogno di un po’ di tempo…
un po’ di tempo per star da sola e riflettere… ma riflettere su cosa, poi? Non
lo so nemmeno io, ma l’ho fatto e lui… lui ha detto la cosa più stupida e
insensata di questo mondo…” L’ennesimo sospiro e poi di nuovo il
silenzio.
Fisso la giovane
come in attesa di un seguito, una sorte di muto invito a continuare, ma quando
ciò non avviene provo a domandare “Cosa?... Che cosa
ha…”
“Ma
sono sicura di aver capito male!” Esclama in fretta l’altra… troppo in fretta.
“Sono sicura che in
tutto quel trambusto mi son persa qualche pezzo di
conversazione… dopotutto Holly sussurrava a mala pena…” Ridacchia senza
allegria “Aveva paura che potessi mangiarlo, se avesse alzato un po’ la voce?”
La giovane mi lancia un’occhiata prima di tornare a guardare il muro “Sì, dev’esser andata così… “ Bisbiglia, come a voler convincere
più che altro se stessa.
“Patty… “ provo a
dir qualcosa, qualsiasi cosa, ma le parole mi si bloccano in gola; rimango
ferma, le labbra socchiuse, senza che ne esca un altro suono. Continuo a fissare
la giovane che sospira di tanto in tanto, come in cerca di un buon motivo per
alzarsi dal pavimento freddo.
Un scroscio mi fa
voltare lievemente verso la finestra attraverso la quale posso ben vedere il
cielo plumbeo, opprimente e carico di pioggia.
“Vado
in camera. Ho bisogno di schiarirmi un attimo le
idee… o almeno è questa l’idea!” Sussurra la giovane con un sorriso mesto.
Mi limito ad
annuire con la testa, rimanendo a guardarla mentre lascia in silenzio la stanza
seguita dal rombo di un tuono.
La pioggia continua
a cadere per giorni, rendendo ancora più deprimente la situazione, come se non
lo fosse già abbastanza di suo. La giovane Gatsby costretta dal mal tempo a
rimanere a casa si è praticamente chiusa nel mutismo,
quasi a voler diventare un pezzo dell’arredamento e a me non resta che fissarla
senza poter far nulla e men che meno parlare dal
momento che quando ci ho provato c’è mancato poco che mi tirasse dietro una
scarpa. Ma sembra proprio che la situazione sia solo destinata a peggiorare…
Sono appena passate
le 10 dell’ennesima giornata piovosa. Sembra che le condizioni
climatiche non vogliano permettere a nessuno di uscir di
casa.
“Se penso che a
distanza di una settimana si terrà un’amichevole di calcio, mi viene quasi da
piangere!” Penso con fare tragico, facendo una smorfia “Mi immagino
già sugli spalti, completamente zuppa d’acqua e conge…”
Qualcuno bussa alla
porta, troncando di netto il mio grigio rimuginare, e senza che nessuno riesca
a dir nulla, fa irruzione il signor Gatsby, con l’aria di chi si è appena
azzuffato.
“Da non credere!”
Sbotta lanciano un giornale sotto gli occhi della figlia, seduta alla
scrivania, che non l’ha degnato di uno sguardo.
“Che succede?”
chiedo, incuriosita da quell’entrata improvvisa.
“Niente che non
sapessi già…” Sibila Patricia, prima di stringere con violenza una penna
“Quell’idiota… doveva proprio farlo? Perché non aspettare che quel cervello
bacato ritrovasse un briciolo di ragione… stupido… stupido di un Oliver Hutton…”
Continuo fissare la
giovane prima di spostare uno sguardo interrogativo sul padre che è rimasto in
mezzo alla stanza come una statua di bronzo. L’uomo sembra sul punto di dire
qualcosa, ma poi finisce solo per passarsi una mano sul viso, abbandonando la
stanza.
“Sono tutti impazzi in questa casa…” Penso con
un pizzico di preoccupazione, avvicinandomi a Patty e prendendo con molta
cautela il giornale dalla scrivania “Che ci sarà di tanto sconvolgente?” Mi
chiedo apprestandomi a leggere il titolo in prima pagina “Lascio il calcio!”
Mormoro a bassa voce rimanendo a fissare le lettere nere in caratteri cubitali
prima che il messaggio venga recepito dal mio cervello
in modo chiaro ed inequivocabile “Che … significa?” Mi chiedo voltandomi verso
la ragazza vicino a me “Che diavolo è questa roba?” Domando cercando di
controllare la voce “È uno scherzo di cattivo gusto, vero?” tento di venirne a capo, rendendomi
improvvisamente conto di quello che sta succedendo; in quel momento anche le
parole sussurrate da Patty quando l’avevo trovata seduta a terra hanno un senso
“Non può sul serio farlo!” Sbotto mentre avverto il telefono squillare al piano
inferiore
“Patty?” chiamo la
ragazza anche se con poca convinzione “Per favore, dimmi che è una trovata
pubblicitaria… di orrido gusto per di più!” Sbuffo all’ennesimo mutismo e mi
trascino a sedere sul letto, scuotendo la testa e cominciando a leggere
l’articolo più assurdo della mia vita.
“Lascio il calcio!” è questa l’affermazione schoc che Oliver Hutton, giovane
promessa del calcio giapponese, ha fatto durante la conferenza stampa indetta
dallo stesso per comunicare la notizia. Hutton nega
incomprensioni all’interno della squadra all’origine dell’abbandono.
L’improvvisa notizia è stata accolta con grande clamore dai tanti tifosi che…
“Io vado a farmi un
tè!”
“Cosa?” Chiede
interrompendo la lettura e fissando con aria a dir poco scettica la giovane che
si alza di colpo ed esce dalla stanza. Aspetto qualche minuto nella stanza
vuota prima di decidermi a mollare il giornale sul letto e ad andare a vedere
che sta facendo in realtà la giovane Gatsby.
“Ah! Stai davvero bevendo del tè!” Esclamo fin troppo sorpresa.
Vengo raggelata
dall’occhiata di Patty “Perché, cosa
pensavi che stessi facendo?” Sbuffa e riprende a sorseggiare dalla tazza
fumante, prima di posarla sul tavolo con aria stanca.
“Lo sai, credo che
sia proprio un cretino!” Sussurra con una smorfia “Non credevo che stesse
dicendo sul serio, l’altro giorno. Era una cosa troppo strana anche solo da
immaginare. Quel ragazzo è nato col pallone al piede. E poi…” Inspira
profondamente “Se anche avesse avuto una crisi con il suo… amico fraterno… cosa
di cui, sinceramente, dubito fortemente, non avrebbe dovuto gridarlo ai quattro
venti, accidenti a lui! Ora non oso pensare a cosa potrà accadere!... Come la prenderà la squadra? Dici che
arriveranno alle mani?” Chiede con aria tragi-comica prima di riprendere senza
che io abbia avuto il coraggio per interromperla in qualche modo “Sai, io, in
qualche modo… ecco, sì, mi sento responsabile!”
“Questa è una
grande idiozia, e lo sai benissimo!” sbotto all’improvviso.
“Può
darsi, però… oh, non lo so… è successo tutto troppo velocemente… ” la giovane
sospira “Non so come comportarmi… gli ho detto che volevo del tempo… e lui cosa
fa? Molla la sua unica ragione di vita… stupido!” Patty
abbassa il viso e rimane ferma in quella posizione.
“Stupido…già, lo
penso anch’io...” è l’unica cosa che riesco a
sussurrare prima che nella stanza piombi all’improvviso il buio. Un lampo la
percorre per un attimo, immediatamente seguito dal rombo del tuono.
“Ora anche la casa
è in sintonia con lo stato d’animo delle sue occupanti!” Penso con un sorriso
sarcastico in viso, mentre la giovane Gatsby rimane immobile e taciturna, come
se nulla fosse accaduto.
Sto per arrischiarmi
a chiedere dove sia l’interruttore centrale o per lo
meno una candela quando il suono del citofono blocca la mia domanda sul
nascere.
“Vuoi che vada…”
“No, lascia stare,
saranno i miei!” Sospira Patricia con fare apatico, alzandosi dalla sedia ed uscendo lentamente dalla stanza.
Nei pochi secondi
di silenzio che seguono rimango a fissare come
ipnotizzata la pioggia che scroscia fuori dalla finestra lasciando sinuose scie
sul vetro opaco e finisco per sobbalzare al violento sbattere del portone
d’ingresso.
“Che cavolo…?”
Sussurro contrariata prima di vedere Patty rientrare nella sala da pranzo con
aria innervosita; afferra la tazza dalla quale stava bevendo e nel versa il contenuto nel lavabo. “Vado in camera!” Sbotta
avventurandosi su per le scale, al buio.
La cosa mi fa
sfuggire una smorfia e un sospiro “Ma perché? Perché
mi chiedo? Che fine hanno fatto le storie d’amore
tutte rose e fiori che pullulano negli anime?” Mi chiedo con aria disperata
mentre il suono del campanello ritorna a farsi sentire con sempre più
insistenza. Fisso il pavimento, decisamente
combattuta. “Potrei rimanere qui, nell’ombra, facendo finta di non esistere!”
L’idea al momento mi soddisfa in modo quasi surreale “…però è anche vero che
questo trillo metallico sta diventando alquanto irritante… “ Mi
impongo di non ascoltarlo fin quando finalmente smette “Si sarà arreso!”
Constato con gioia, ma quasi subito avverto un leggero senso di colpa. Con una
smorfia mi alzo, avvicinandomi dalla finestra per sbirciare attraverso le
sottili tendine: sotto la pioggia insistente noto una figura che si allontana a
passi lenti. Con la testa quasi infossata nelle spalle quasi non sembra il
solare e sempre positivo capitano della nazionale under 21 giapponese e riesce
a farmi pena. “Però, dopotutto se l’è cercata… “
Continuo a guardar fuori anche quando il giovane è ormai scomparso dalla mia
visuale e per la prima volta mi ritrovo seriamente a pensare a quello che è
successo in quei giorni. Le parole di Gatsby mi ritornano alla mente come un
flash improvviso “…aver bisogno di un po’
di tempo… un po’ di tempo per star da sola e
riflettere… “ Riflettere… da sola e riflettere… “Ok!” Sbotto, come se il
parlare ad alta voce possa in qualche modo aiutarmi a: capire, far chiarezza,
snebbiarmi la mente, prendere atto del colossale controsenso dell’intera
faccenda… beh una di queste. “Non che la cosa potrebbe aiutare chicchessia,
ovviamente!” Constato con malcelato pessimismo mentre
una lampadina mi si accende nella mente “Forse è colpa mia!” Esclama con un
sorriso decisamente troppo felice dato il significato dell’esclamazione “Ma
certo!” mi batto un pugno sulla fronte e rimango a fissare il vuoto “Dopotutto
la mia presenza qui è un errore! Tutto questo è assurdo, il mio essere qui è
assurdo, e non so quale, fra la decisione di Holly e quella di Patty sia la più
fuori di testa. Quindi…” allargo le braccia come se
stessi per dare la risposta a tutti i problemi del mondo
ma rimango in silenzio, in quella posa a dir poco ridicola, in una stanza priva
di corrente elettrica e con il temporale che continua a imperversare alle mie
spalle. Arrivare alla fonte del problema ma non avere i mezzi per poterlo
eliminare non è per niente soddisfacente, mi rendo conto con grosso rammarico.
“Non credo sarebbe una buona idea scappare, ovviamente…” Mi dico con scarso
entusiasmo e con un sospiro insoddisfatto. “Se ne parlassi con…”
“Esco, dì ai miei
che farò tardi!”
L’improvvisa
esclamazione viene seguita da un trambusto sulle scale
e dal successivo aprirsi e chiudersi del portone, il tutto così velocemente da
non darmi neppure il tempo di realizzare quello che sta succedendo.
“Patty…?” Chiede
all’abitazione vuota “Ma..” Mi acciglio e punto verso
l’uscita della casa.
“Patty!” Esclamo
sulla soglia, mentre la ragazza, con un grosso ombrello multicolore sta
varcando il cancello. Si blocca un secondo al sentire la mia voce, ma, come se
niente fosse riprende a camminare.
“Hey, dove stai andando? Con questo tempo
poi!”
Le mie parole non
sortiscono alcun effetto e con uno sbuffo mi decido ad avventurarmi sotto
l’acqua nel tentativo di raggiungere la giovane.
“Mi dici dove stai andando?” Chiedo cercando di ripararmi la
testa con le mani prima di infilarmi sotto l’ombrello di Gatsby.
“Esco, non vedi?”
Sbotta lei con noncuranza.
Inclino al testa notando gli stivali nera che indossa e sospiro.
“Questo l’avevo già capito ma non mi sembra il caso con questo tempo e poi…” mi
guardo intorno alla disperata ricerca di una motivazione più che valida per
farla tornare sui suoi passi, ma alla fine non sono io quella che deve dirle
cosa fare e cosa non fare. La seguo in silenzio per
qualche altro metro “Quindi sei convinta?” Riprovo un’ultima volta. L’altra
annuisce solamente ed io mi blocco sulla strada e muovo qualche passo indietro,
prima di ritornare a casa Gatsby.
Sdraiata sul letto
fisso il soffitto della stanza; è da poco passala la mezzanotte e di Patricia
nessuna notizia. I coniugi Gasby non sembra aver preso troppo male l’uscita della ragazza anche
se mi sono sembrati decisamente perplessi.
“Perplessi…bah… “
Borbotto girandomi su un lato e raggomitolandomi sotto le coperte, chiudendo
gli occhi.
Un tonfo sordo mi
fa spalancare le palpebre, mettendo in allerta i sensi. Rimango immobile e mi
concedo solo un rapido movimento per sbirciare l’orario “Cavoli, mi sono
addormentata!” Penso notando le lancette che segnano le 2
e 40. Il ticchettio di passi mi fa nuovamente prestare attenzione e quando la
porta si apre lentamente non ho dubbi su chi sia.
Sospiro leggermente sollevata e cerco nuovamente di rilassarmi, mentre Patty si
getta quasi istantaneamente sul letto senza fare nient’altro.
(E mentre Morfeo la
fa da padrone, per chi si fosse appassionato alle vicende di “Jack e John, due pistole per due cowboy”
ecco la conclusione del libro:
… la nuvola grigiastra si dissolse e i cittadini di Indytown, con loro grande stupore, videro i due sfidanti
che continuavano a fissarsi, con le pistole ancora fumanti a mezz’aria, il
fiatone, ancora tutti tesi ma…vivi. Sì, perche una
delle pallottole aveva colpito il corvo di cui prima, che ora giaceva a terra privo di vita e con il becco semiaperto mentre l’altra
non sarebbe mai stata ritrovata. E così i due cowboy con la peggior mira di
tutto il Far West si allontanarono fra il silenzio della gente corsa a vederli
e, salendo ognuno sul proprio cavallo, galopparono via i due diverse direzioni,
giurando vendetta. )
“Patty!!! Allora, si può sapere cosa stai facendo? Così faremo tardi alla partita!”
“Sì, sì, arrivo,
sto prendendo la bandiera!” Risponde con poco entusiasmo la ragazza.
Lo stadio, come
previsto, è gremito nonostante sia solo un’amichevole e non pochi sono i
commenti sulle dichiarazioni di Hutton sulla sua
carriera. Evito di guardare Gatsby mentre raggiungiamo i nostri posti,
concentrandomi sul tabellone di fronte a me mentre la voce dello speaker annuncia a
gran voce le formazioni.
“Cosa?” Urla la
voce di Patricia, al mio fianco, spaventandomi.
Mi volto di scatto
verso di lei, guardandola con aria interrogativa.
“Hai sentito,
vero?” Mi chiede, afferrandomi un braccio e stringendo convulsamente.
“I-io… non… non credo… cos’è successo?”
Chiedo confusa.
“Oliver! Il nome di Oliver
è nei titolari!” Continua ad urlare spalancando gli
occhi in modo innaturale.
La fisso per
qualche secondo prima di riuscire a sputar fuori un “Non è possibile… lui ha
detto che…” L’ovazione del pubblico che accoglie le squadre in campo mi fa
voltare. Socchiudo gli occhi, cercando in qualche modo di capire se fra i
giocatori che stanno uscendo dagli spogliatoi c’è anche
il n° 10, ma qualcosa di decisamente abbagliante mi
ferisce la vista, impedendomi di vedere il rettangolo verde per qualche
secondo.
Mentre sfrego gli
occhi con una mano mi sento urtare violentemente, e
prima di poter capire cosa stia succedendo, senza nemmeno il tempo per trovare
un appiglio, mi ritrovo a terra.
“Ma
poooorc… ahia!” borbotto scuotendo la testa e
riuscendo finalmente a vedere con chiarezza quello che ho davanti. Mi immobilizzo ed apro la bocca riuscendo a squittire solo
un debole “Accidenti!”