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Autore: marpi    06/05/2011    3 recensioni
..Cosa sarebbe successo se tutto si fosse fermato in quell’ultima dichiarazione? Cosa sarebbe successo tra Damon ed Elena se Elijah fosse stato veramente ucciso, Rose fosse scappata, e la vita avrebbe continuato a scorrere normalmente? E quali sono i veri sentimenti di Elena verso Damon? Ed Elena, aveva realmente dimenticato? Lo scoprirete solo leggendo..
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rimasi spiazzata. Non mi sarei mai aspettata una dichiarazione del genere. Sapevo, da giorno in cui aveva ucciso Jeremy, che Damon provava qualcosa di diverso dall’amicizia per me. Ma mai mi sarei aspettata che mi avrebbe detto ciò che provava. Pensavo che avesse sepolto tutti i sentimenti sotto l’odio, pensavo volesse solo essere odiato, per non soffrire più. Ma mi sbagliavo. In quel momento non riuscivo a parlare. Mi limitai ad ascoltare quelle parole che non avrei mai voluto sentire.
 
Ti amo, Elena.
Ed è proprio perché ti amo che non posso fare l’egoista con te.
Per questo non puoi saperlo.
Io non ti merito.. Ma mio fratello sì.
 
Si avvicinò. I miei muscoli erano congelati. Aspettavo che si avvicinasse alle mie labbra, dischiuse per la sorpresa. Invece le sue labbra sfiorarono la mia fronte. Poi si allontanò, guardandomi negli occhi, cercando di cogliere una qualche scintilla di comprensione, di assenso. Ma li sentivo vuoti.
Non volevo ascoltare, non volevo sentire. Altrimenti, tutto ciò che da mesi a questa parte mi tenevo dentro, sarebbe venuto fuori.
Mi accarezzò una guancia, delicato, come fossi un fiore di cristallo, e i petali talmente delicati da potersi frantumare con un semplice soffio. Era così dolce. Dolce come non lo avevo mai visto. Ma c’era qualcosa che non andava. Aveva gli occhi velati di tristezza, uno sguardo amaro. Lo guardai,confusa e combattuta.
 
Dio, quanto vorrei che non dovessi dimenticarlo.
Ma devi.
 
Una lacrima gli scese lungo la guancia,sfuggendo dai suoi occhi, così azzurri, così chiari. Gli occhi che amavo. Che visione celestiale, pensai. Furono l’ultima cosa che vidi.
Poi scomparve, e fu solo buio.
 
Cara Elena,
Non sarei mai dovuto venire da te questa sera. Ho commesso il più grande sbaglio della mia vita. Dopo tutti questi mesi, passati a guardarti come un miraggio lontano, mentre stavi con mio fratello, pensando che dovevo esserci  io, al suo posto, passati pensando a cosa sarebbe potuto essere, a come avrebbe potuto essere tra di noi, ti ho rivelato ciò che volevo dirti da tanto tempo. È stato difficile prendere questa decisione, avevo paura che tu mi rifiutassi, che, come quella sera in cui ho ucciso Jeremy, mi avresti detto che nulla sarebbe mai potuto esistere tra noi due, perché nella tua vita non poteva esserci nessun altro oltre Stefan, perché tu ami solo lui, lo sappiamo entrambi. Tu non potrai mai amarmi, non dopo tutto quello che ti ho fatto. Per questo ho deciso di farti dimenticare. Mi sento un vigliacco. Per paura del tuo rifiuto, ho deciso di cancellarti quei ricordi. Sono un egoista, ho sempre pensato solo a me stesso, e l’ho fatto anche adesso. Non potevo sopportare che tu mi dicessi ancora quelle parole, che io per te non potevo essere nient’altro che un amico. Mi sentivo male solo al pensiero di una cosa simile. Ho deciso di scriverti questa lettera, anche se so che non la leggerai mai. Rimarrà nel fondo di un cassetto, perché io non avrò mai il coraggio di dartela. Ho già sofferto abbastanza, non voglio soffrire ancora. Non voglio che tu sappia che io ti amo, che ti ho sempre amata, anche quando tu mi dicevi che ero solo un mostro senza cuore, senza sentimenti, perché erano sepolti sotto l’odio. Ma tu hai riportato alla luce ciò che era rimasto di buono in me. E non posso sopportarlo, perché ho passato troppo tempo a nasconderli, e non riesco a sopportare il senso di perdita, il dolore straziante che il mio amore per te mi provoca. L’unica cosa che voglio è che mi dimentichi, e che continui ad odiarmi per ciò che sono. Sarà meglio così. Nessuno di noi due soffrirà, o almeno tu. Entrambi torneremo alle nostre vite di tutti i giorni, dove tu mi odi e io sono solo un assassino per te. Voglio che tu mi ricordi solo come un mostro. Non dimenticherò mai le parole che ti ho detto stanotte. Ma tu non ricorderai mai più la confessione che ti ho fatto. Io non potrò fare finta che non sia successo niente, sappilo. Vivrò per sempre nel dolore, come ho fatto fino ad ora, guardandoti mentre vivevi una vita felice senza di me. Ma non posso allontanarti da me, non posso e non voglio. Perchè, anche dopo tutte le ferite che ho ricevuto, io ti amo,e ti amerò per sempre. Per questo non voglio che tu riceva questa lettera.
Perché io senza di te non esisto.
Damon
 
 
Era mattino. Il sole splendeva nel cielo. Era una giornata relativamente bella, per essere agli inizi di Novembre. Sentivo un venticello leggero soffiare fuori dalla finestra. Aprii gli occhi, lentamente, assaporando quegli ultimi istanti di pace, prima di cominciare una nuova giornata. Mi alzai, mi guardai allo specchio. I capelli scuri mi ricadevano in ciocche scomposte sulle spalle, avevo gli occhi cerchiati da occhiaie, come se avessi avuto una nottata difficile. Strano, non ricordavo niente. Ma c’era qualcosa che non andava, un dettaglio fuori posto. Guardai al mio collo. No, era impossibile. La collana che credevo fosse perduta era lì, sul mio collo. Come ci era finita? Non ricordavo nulla. Provai a scavare nella memoria. Avevo una vaga sensazione che mi fosse stato tolto qualcosa, qualcosa di importante, qualcosa a cui tenevo così tanto da non lasciare spazio a nient’altro.. Non terminai il pensiero, perché guardai l’orologio e capii di essere in ritardo. Mi vestii e decisi di lasciare quel pensiero fermo lì, ad attendermi fino a stasera.
 
Mi sentivo distrutto. Avevo passato tutta la notte a guardare quella insignificante lettera tra le mie mani, un misero pezzo di carta dove avevo scritto cose che non pensavo nemmeno di essere capace di provare. Damon Salvatore che si è innamorato. È impossibile. Non può essere così. Alla fine l’avevo riposta nel cassetto del comò, dove nessuno andava mai a frugare. Era pieno di ragnatele. Perfetto per custodire quella lettera. In quella camera aveva vissuto zio Zach, Stefan non sarebbe mai andato a cercare qualcosa lì. Ma per precauzione, chiusi a chiave il cassetto, mettendo la chiave sotto il materasso. Era un gesto insignificante, ma mi sentii più sicuro. Mi accorsi che fuori stava schiarendo. Guardai fuori dalla finestra, seduto sulla poltrona, e vidi il sole sorgere, pensando e ripensando a quelle parole che avevo finalmente avuto il coraggio di confessare. Chiusi gli occhi. Immaginai Elena tra le mie braccia, Elena che mi guardava e sorrideva, mentre ballavamo il giorno di Miss Mystic Falls, mentre avevo finalmente capito che io l’amavo, sentivo Elena che sussurrava il mio nome.. Mi addormentai, sognando cose che non si sarebbero mai potute realizzare. Era troppo, non riuscivo a sopportarlo. A quel punto una decisione maturò nel mio cuore.
 
La giornata era uguale alle altre, era la solita giornata che vivevo da quando avevo incontrato Stefan sulla mia strada, ma oggi no, c’era qualcosa di diverso; avevo sempre quella sensazione di vuoto che mi attanagliava lo stomaco. Non capivo cosa poteva essermi successo. Anche quando stavo con Stefan, a scuola, mentre lui mi sorrideva, mentre lui era felice, avevo sempre quel vuoto incolmabile nel cuore. Mi soffocava, non potevo accettarlo. Questo vuoto si acuì quando Stefan mi diede la notizia. La notizia che mi sconvolse la vita. Che mi cambiò per sempre.
 
Eravamo a casa sua, appena tornati da scuola. Avevo deciso di fermarmi per un po’. Volevo stare con Stefan quel pomeriggio. Io ero seduta sul divano, aspettando che arrivasse, quando lo vidi scendere le scale, con un foglio in mano.
«Elena, c’è una cosa che devo dirti.»
Aveva la faccia cupa. Non capivo cosa poteva essere successo.
«Stefan, ti prego.. Devo preoccuparmi?»
«No, non è una cosa che ti riguarda in particolare, ma penso dovresti saperla.»
Fece una pausa, come per prendere il coraggio di parlare. Quella pausa mi preparò al peggio.
«Damon se n’è andato.»
Mi crollò il mondo addosso. Avevo gli occhi sbarrati, ero incapace di proferire parola. Sentivo il vuoto di quella stessa mattina, ma adesso era più forte, più assoluto. Il pavimento mi si sgretolava sotto i piedi, mentre sentivo le lacrime prossime. Cosa mi succedeva? Stefan riprese a parlare, tenendo gli occhi fissi sul mio viso.
«Mi ha lasciato questa lettera. Penso che dovresti leggerla.»
Mi porse la lettera. Non riuscivo a leggere, le lacrime mi offuscavano la vista, vedevo solo parole vergate nella sua grafia ordinata, poche parole, scritte di fretta, mentre decideva di lasciare Mystic Falls e tornare alla sua vecchia vita, ad essere un mostro assassino. La lettera era indirizzata a Stefan, ma alla fine c’erano alcune parole, parole che mi colpirono ancora di più, riducendomi a pezzi.
 
Mi rincresce andarmene, ma ho dovuto farlo. Credevo di riuscire a superare il dolore, ma alla fine ho ceduto. Sono un debole. Ti prego Stefan, prenditi cura di Elena, falla felice, so che potrà esserlo con te. Non dirle nulla di questa lettera, raccontale che me ne sono andato perché non riuscivo ad andare d’accordo con te. Fallo per me.
 
Sentivo che tra poco sarei esplosa. Non volevo farmi vedere da Stefan in quello stato. Gli ridiedi la lettera, mormorando frettolosamente che dovevo andarmene perché Jenna mi aspettava. Stefan non disse una parola, ma mi accompagnò fino al portone della casa. Mi diede un breve bacio, e ci salutammo. Salii in macchina, tornai a casa mentre le lacrime mi rigavano le guance, non riuscivo nemmeno a guidare. Arrivai sana e salva per miracolo, poi entrai in casa, accorgendomi, tra un singhiozzo e l’altro, che non c’era nessuno. Salii in camera. Mi gettai sul letto, piangendo come non avevo mai fatto, tranne il giorno del funerale dei miei genitori. Questa situazione era molto simile, ma adesso era diventata la mia fine. Non potevo crederci. Damon se n’era andato. Le lacrime continuavano a scendere, e non riuscivo nemmeno a pensare. L’unico pensiero fisso era lui. Damon. Damon che sorrideva. Damon che mi guardava, mentre ballavamo, con una complicità che solo io e lui potevamo avere. Damon in fondo alla scalinata, che mi aspettava, dopo aver ucciso Elijah. Il suo sguardo spento, quando mi ero gettata tra le braccia di Stefan. Lo sentivo. Era colpa mia. Era colpa mia, se tutte le persone a cui tenevo se ne andavano, lasciandomi da sola. Non potevo più sopportarlo. Damon. Damon non c’era più. Affondai la faccia nel cuscino, mentre le lacrime continuavano a rigarmi il viso, urlando al cielo il mio dolore straziante.
 
Era passato un mese. Il tempo scorreva lento ed inesorabile, ma sentivo Damon ancora vicino a me. Avevo come un enorme vuoto nel petto, un vuoto che mi ricordava che lui c’era stato, e che io gli avevo voluto bene. Se n’era andato, ed ogni speranza che avevo di cambiarlo, di scoprire i suoi sentimenti, di far uscire la sua parte umana, perché sapevo che c’era ancora, si era dissolta con la sua scomparsa. Non credevo che la sua mancanza si sarebbe fatta sentire così tanto. Un anno fa, avrei gioito per la sua partenza. Adesso no. Adesso volevo sentirlo di nuovo vicino a me, con i suoi sguardi ammiccanti e le sue frecciatine. All’inizio, quando era appena arrivato a Mystic Falls, lo odiavo, poi ho scoperto un nuovo lato della sua personalità che non credevo nemmeno esistesse. Soffriva, più di chiunque altro. Il suo vecchio amore lo aveva lasciato per sempre, rivelandogli che per lei non era mai stato niente. Solo adesso capivo tutto il male che avevo fatto a Damon in questi mesi. Ricordavo ogni singola stoccata che avevo dato al suo cuore. Quando lo avevo ferito, dicendogli che non avrei mai potuto ricambiare il suo bacio. Quando lo avevo ingannato, cercando il Grimorio di Emily con Stefan, dopo avergli fatto una promessa. Quando gli avevo detto che mi aveva persa per sempre. Quando, dalla scalinata, mi ero gettata tra le braccia di Stefan, ricambiandolo solo con un “grazie” sussurrato. Quando gli avevo detto che non lo avrei mai amato, che Stefan sarebbe stato l’unico. Erano state tutte bugie. Tra me e lui c’era qualcosa di forte, di indissolubile. Durante questi mesi di conflitti, litigi, discussioni, si era creato qualcosa tra di noi, qualcosa che valeva di più dell’amicizia. Non sapevo cosa fosse, ma probabilmente era questa la causa del mio dolore. Questo mese era anche servito per riflettere. Cosa mi legava a Damon? Amicizia? Certo che sì. Altrimenti, cos’altro poteva essere?
Le mie riflessioni furono interrotte da Stefan che entrava in camera. Naturalmente, era passato dalla finestra. Entrò silenzioso come un gatto, ma ormai ero talmente abituata che lo sentii ugualmente. Cercai di indossare la mia solita maschera di felicità, e mi girai. Mi salutò con un bacio. Erano questi momenti che apprezzavo, i soli in cui parte del mio dolore si perdeva in quei baci, che mi cullavano dolcemente e non mi permettevano di abbandonarmi al dolore, quando ripensavo alla sua partenza durante la notte. Stefan non voleva permettermi di crogiolarmi nel dolore, che ormai era diventato un compagno con cui trascorrere le giornate. Io non avevo mai fatto parola con lui del tumulto che mi si agitava dentro, ma sapevo che aveva capito, anche se cercavo di tenerlo ben nascosto. Si sdraiò accanto a me, e mi scrutò il viso. Sembrava contrariato, ma non voleva darlo a vedere. Sapevo che per lui perdere un fratello era stato doloroso, e più doloroso per lui sarebbe stato scoprire che la sua ragazza era impazzita per la sua partenza. Mi guardò per qualche secondo, poi sentenziò:
«Così non va.» Mi spiazzò. Non era mai stato così diretto.
«Non va cosa?»
«Non puoi disperarti per la sua partenza in eterno,Elena. So che tu eri molto affezionata a lui.. - un’ombra di angoscia gli attraversò il volto, poi riprese – ..Elena, cerca di capirmi, Damon ha fatto una scelta. Cosa vuoi fare cercando di distruggerti con tutto questo dolore?»
A questa domanda non c’era risposta. Non volevo che anche lui soffrisse con me, quindi cercai di cambiare discorso. Provai a rendere la mia espressione neutra.
«Cosa stai dicendo Stefan? Io non voglio affatto autodistruggermi, è solo che ho perso un amico, l’unico a cui non abbia mai dovuto dire bugie, come invece devo fare con tutti gli altri, quindi non puoi pretendere che faccia i salti di gioia. A proposito di amici, non ho più visto Bonnie.. Tu sai qualcosa?»
Era patetico come tentativo di inganno, e infatti non funzionò.
«Non cercare di cambiare discorso. Io ti conosco fin troppo bene, e non è questa l’Elena che conosco. Tu non sei dispiaciuta come lo saresti se avessi perso un amico, e nient’altro. Non puoi mentirmi, Elena. Ti conosco troppo bene. Tu stai soffrendo, e molto. E per questo stai mentendo anche a te stessa. Tu vuoi molto bene a Damon, più di quanto immaginassi. Voglio aiutarti, non so come.. Elena, non posso più vederti ridotta in questo stato.»
Adesso ero rimasta completamente a bocca aperta. Non credevo che avesse pensato così tanto a quella questione. Rifiutavo di accettare la sua affermazione. Io avevo perso solo un amico. Cercai di dissuaderlo da quella follia. Non volevo seminare altro dolore.
«Stefan, – avvicinai il mio viso al suo – non serve aiutarmi. Basta che tu ci sia. Per me. Per sempre.»
Avvicinai le mie labbra alle sue, e mi gettai con tutta la disperazione che avevo in quel bacio. Volevo che mi facesse dimenticare chi ero, dov’ero. Volevo che fossimo solo noi due, volevo che il resto del mondo scomparisse, senza lasciare alcuna traccia dietro di sé. Tutto il resto non aveva importanza, non più. Volevo non aver mai amato, né lui né chiunque altro. Volevo cancellare tutti i miei sbagli, tutti gli sbagli di una vita. Ma dentro di me sentivo che nemmeno quel gesto folle e disperato poteva cancellare ciò che era stato, ciò che era successo con Damon. Lo sentivo ai margini della coscienza, mentre Stefan mi accarezzava il viso, mentre sussurrava il mio nome, mentre cercavo di dimenticare. Ma sapevo di non poterlo fare. Annegai nella dolcezza di quel momento, e sperai di rimanere lì per sempre.
 
Poco tempo dopo. Dovevo essermi addormentata. Stavo facendo un sogno strano. Io e Stefan eravamo nella stessa stanza in cui ci trovavamo ora, guardavo il suo viso, e pian piano vidi cambiare i suoi lineamenti; i capelli diventarono neri, gli occhi color nocciola sfumavano nell’azzurro più chiaro e si velavano di tristezza, e il viso diventava così bello da spezzarmi il cuore. Cercai di accarezzargli il viso, ma appena avvicinavo la mano i suoi capelli tornavano castani. Provai a parlargli, ma appena aprivo la bocca, gli occhi tornavano color nocciola. Non potevo toccarlo, né parlargli. Era insopportabile, vederlo così vicino a me e non poterlo nemmeno sfiorare, né dirgli quanto mi mancava. Sussurrò qualcosa, poi, così com’era comparso, sparì. Mi svegliai di soprassalto. Stefan era nella stessa posizione in cui si trovava nel mio sogno, solo che il suo viso non cambiava se mi avvicinavo. Stefan, il vero Stefan, mi accarezzò una guancia. Anche lui aveva uno sguardo triste. Quel sogno mi aveva fatto riflettere. C’era una cosa che dovevo chiedere a Stefan.
«Stefan.. Posso chiederti una cosa?»
«Tutto quello che vuoi, piccolo amore.»
La mia richiesta vacillò un attimo di fronte a quelle parole. Non mi aveva mai chiamato così. Ma dovevo chiedergliela, a qualunque costo. Abbassai gli occhi.
«Volevo chiederti.. Hai ancora la lettera che ti ha lasciato Damon, prima di andarsene?»
Non sembrava turbato, solo un po’ pensieroso e indeciso, quando rialzai lo sguardo. Poi si alzò e tirò fuori un foglio stropicciato da una tasca dei pantaloni. Mi porse la lettera. Sembrava essere stata aperta tante volte. La cosa mi stupiva. Non pensavo nemmeno che se la portasse dietro.
«Grazie Stefan. Ma perché ce l’hai lì?»
Scrollò le spalle. «Era rimasta lì, probabilmente.»
Capii subito che stava mentendo. Non voleva separasi dal fratello, e quello era l’unica traccia di lui che gli era rimasta. In fondo, mancava anche a lui. Riposi la lettera in un cassetto, aspettando di essere sola per leggerla. Mi serviva, quel sogno mi aveva aperto un barlume di speranza. E io ci credevo. Perché, nel sogno, Damon mi aveva detto: “C’è ancora qualcosa per te. Non dimenticarmi.
 
Ero rimasta da sola. A casa dormivano tutti, e Stefan se n’era andato da un pezzo. Accesi la lampada sul comodino, e presi la lettera. Per tutto quel tempo mi aveva richiamato, dovevo leggerla, sentivo che c’era qualcosa di nascosto. Aprii quel foglio di carta misero, ma che conteneva tutte le mie speranze.
 
Caro fratellino,
Ero venuto in questa città per distruggerla, non per proteggerla. Volevo mandare all’inferno tutti gli abitanti di questo minuscolo paese che mi ha rovinato la vita. Ero tornato qui solo per far rivivere il passato, volevo far tornare Katherine e fuggire con lei, avere una vita insieme; ma lei non c’era. A quel punto volevo solo andarmene. Volevo lasciarmi alle spalle tutti quegli anni di sofferenza, volevo annegarli nel sangue, come ho sempre fatto. Poi ho scoperto che dovevo rimanere qui. Per te, per Elena. Avevi ragione, lei non è Katherine. E me ne sono accorto la prima volta che l’ho vista. Così piccola e indifesa. Non potevo lasciarvi soli. Lei emanava un disperato grido di aiuto, in questa città dove il male incombe su tutti gli abitanti. Poi ho scoperto che la disperazione porta a superare limiti invalicabili. Non credevo potesse succedere. Non mi era mai capitata una cosa così. È strano, sono sempre stato a prenderti in giro per le tue scelte, per i sentimenti umani che ti ostinavi a provare, ed ora sono caduto nel tuo stesso errore. Per questo ho deciso di andarmene. Dopo averle cancellato tutto, ho deciso di scrivere ciò che ho fatto, che rimarrà per sempre in quel cassetto chiuso a chiave. Non voglio che tu la cerchi, soffriresti più di quanto ho fatto io scrivendola. Non voglio che nemmeno Elena sappia. Perché quella lettera è per lei.
Mi rincresce andarmene, ma ho dovuto farlo. Credevo di riuscire a superare il dolore, ma alla fine ho ceduto. Sono un debole. Ti prego Stefan, prenditi cura di Elena, falla felice, so che potrà esserlo con te. Non dirle nulla di questa lettera, raccontale che me ne sono andato perché non riuscivo ad andare d’accordo con te. Fallo per me.
So che capirai il  motivo della mia fuga. A presto Stefan.
Damon
 
Una lacrima, silenziosa, scivolò lungo la mia guancia. Una sola, perché ormai avevo pianto tutte le mie lacrime. Evidentemente la prima volta non l’avevo affatto letta, quella lettera. Quelle parole trasudavano dolore, dolore che avevo inflitto io. Quella lettera parlava di me. Damon se n’era andato per me. Adesso volevo capire il vero motivo. Quella lettera di cui parlava. Dovevo trovarla. Questa era la prossima cosa da fare. Ma non potevo chiedere a Stefan. Mi toccava arrangiarmi da sola. O forse no. C’era qualcuno a cui potevo chiedere. Solo lei poteva aiutarmi. E la mia era una disperata richiesta di salvezza.
Il mattino seguente, uscita da scuola, decisi di andare dritta al punto. Bonnie mi evitava da parecchio tempo, ma sembrava aver legato parecchio con Jeremy. Andai da lei con la scusa di  dover parlare a Jeremy, e mi decisi a parlarle.
«Ciao Bonnie.»
Lei mi guardò quasi come fossi un’estranea.
«Elena, è strano vederti da queste parti. Che fine ha fatto Stefan?»
«Bonnie senti.. Devo parlarti. So che in questi ultimi tempi ci siamo allontanate, ma tu eri, sei e rimarrai sempre la mia migliore amica. E adesso ho davvero bisogno di te. Voglio tornare al rapporto di una volta. Voglio che tu ritorni ad essere la mia migliore amica, come eravamo una volta.»
Era scettica. Mi guardava in un modo strano.
«Elena.. Mi dispiace esserti stata lontana in questi tempi, ma sai come sono io nei confronti di Stefan e soprattutto Damon, come non sopporti la vicinanza di quel mostr..»
«Damon se n’è andato,Bonnie. Non devi preoccupartene più.»
Avevo pronunciato la frase con acidità, a si sentiva il dolore che provavo. Bonnie se n’era accorta, perché non terminò la frase, ma mi abbracciò e mi disse:
«Vieni, dobbiamo parlare, e tu hai bisogno di me.»
Andammo a casa sua, e durante il tragitto parlammo del più e del meno. Bonnie sembrava più sollevata. Sorrideva, chiacchierava allegramente, sembrava più felice dopo quella notizia. Non credo che sarebbe stata ancora così dopo che avrebbe saputo ciò che mi serviva. Continuammo a parlare, poi arrivammo a Stefan.
«Come vanno le cose con Stefan?»
«Al solito. Sembra un po’ più triste dopo la partenza del fratello.»
«Certo, lo capisco.. Perdere un fratello dev’essere doloroso.»
Bonnie era imbarazzata. Abbassò gli occhi. Continuai imperterrita.
«Bonnie, so che noi non siamo più in rapporti amichevoli come prima, ma la ragione per cui sono venuta qui non è semplicemente fare due chiacchiere con te. Sono venuta qui per chiederti un favore riguardo Damon. Hai visto come sto. La sua partenza mi ha distrutto. Se n’è andato per me, per colpa mia. E non riesco a sopportarlo. Sento la sua mancanza ogni giorno di più, e non riesco a sopportare tutto questo dolore..»
Mi ero interrotta, perché le lacrime erano sfuggite ai miei occhi. Bonnie mi guardava allibita. Aveva capito dove volevo andare a parare. Ma mi abbracciò ugualmente, consolandomi. Era da tanto che non ci concedevamo un gesto così. Era da tanto che non mi consolava più come una volta, da quando i miei genitori morirono. Aspettò che finissi di sfogarmi, poi mi disse seria:
«Elena, so che tutto questo ti infligge dolore, perché ho sempre saputo che tu e Damon eravate legati, ma non posso aiutati, capisci? Lui è un mostro, e tale rimarrà! Non posso cambiare ciò che ha fatto, e non posso aiutarti a farlo tornare a Mystic Falls.»
La capivo, in fondo Damon le aveva fatto del male, e lei non poteva farlo tornare ora che se n’era andato. Ma era stata dura con me. Sapeva quanto tutta questa storia mi infliggesse dolore, eppure non aveva avuto esitazione o dubbi nel rispondermi. Le dissi un grazie secco, poi me ne andai, mentre lei ancora mormorava le sue scuse. A cosa servivano? Ormai l’avevo perso per sempre. Che importanza aveva? Il mio sogno si era infranto, e nessuno avrebbe più potuto aiutarmi. Sarebbe andata sempre peggio, d’ora in poi. Camminavo a testa bassa verso casa, piangendo sommessamente, pensando a che inferno sarebbe stato d’ora in poi. La disperazione mi avrebbe scavato il cuore, lacerando perfino l’anima, togliendomi le ultime speranze di una vita senza di lui che mi erano rimaste, portandomi sul fondo. Perché io senza di lui non esisto.
 
 Gennaio..
 
..Febbraio..
 
..Marzo..
 
..Aprile..
 
..Maggio..
 
..Giugno..
 
..Luglio..
 
..Agosto
 
• Il tempo passa, anche quando sembra impossibile. Anche quando il rintocco di ogni secondo fa male come il sangue che pulsa nelle ferite. Passa in maniera disuguale, ma passa. Persino per me.[New Moon - Stephenie Meyer]
 
Otto mesi. Erano passati esattamente otto mesi da quando Bonnie aveva rifiutato la mia richiesta di aiuto, riducendomi in questo stato. Ormai sembravo morta. Mi sentivo menomata. Era come se qualcosa mi avesse scavato il cuore, togliendo tutte le emozioni, tutti i sentimenti che potevo essere capace di provare. Odio, paura, angoscia, rabbia, gioia, amore. Ormai era rimasto solo il dolore. Mangiavo poco, il necessario per far funzionare il mio corpo. Di dormire, non se ne parlava. Gli incubi mi facevano visita troppo spesso. A questo punto, io non vivevo più. Sopravvivevo. Bonnie non si era più fatta sentire, da quel giorno. Il mondo sembrava girare senza di me. Mi sentivo un fantasma che girava per la città. Anzi, nemmeno quello, perché avevo smesso di passeggiare per Mystic Falls come una volta. L’unica persona che si era fatta sentire, oltre a Stefan, era stato Matt. Dopo un’assenza di 10 giorni da scuola, si era preoccupato, e non vedendomi tornare aveva chiamato a casa. Avevo risposto io, ma non mi aveva riconosciuto, perché anche la mia voce era cambiata. Come tutto il resto, d’altronde. Aveva fatto poche domande, aveva capito il mio dolore, e aveva avvertito anche Caroline di evitare di chiamarmi. Era un ragazzo d’oro. Jenna e Jeremy ormai dovevano aver capito, o almeno mio fratello. Jeremy adesso stava con Bonnie, e avrei tanto voluto chiedergli cosa Bonnie pensasse di tutta questa storia, ma non l’ho mai fatto. Jenna molte volte cercava di instaurare un dialogo, si sentiva responsabile per me, e lo capivo, ma non avrebbe mai potuto aiutarmi. Non c’era nessuno che avrebbe potuto aiutarmi.
In questi otto mesi di agonia, l’unico problema era stato Stefan. Non volevo che soffrisse, quindi quando ero con lui cercavo di mantenere un aspetto normale, ma non se l’era bevuta. Non sapeva più cosa fare per aiutarmi. Per cercare di risollevarmi il morale, mi veniva a trovare ogni giorno, dopo la scuola, e rimaneva sdraiato accanto a me, a guardare i miei occhi. Forse sperava di trovare l’origine della mia depressione, ma l’avevo nascosta talmente a fondo nell’anima, che nemmeno io riuscivo più a trovarla. Mi sembrava che tutto quello che avevo vissuto nei mesi precedenti alla caduta fosse stato solo un sogno. Pensavo che lui non fosse mai esistito, che i suoi occhi che mi guardavano ogni notte nei miei incubi fossero frutto della mia immaginazione. Ma proprio gli incubi riuscivano a farmi credere che tutto ciò che c’era stato era vero. È strano definirlo incubo, ma era talmente reale che tale mi sembrava, quando mi svegliavo piangendo ogni notte da otto mesi. Era un sogno semplice, simile a quello che avevo fatto mesi prima. Ma stavolta era solo lui. Niente trasformazioni, solo il suo viso, dannatamente bello e perfetto, sempre leggermente accigliato. I suoi occhi azzurri mi scrutavano per ore, e sembravano ogni notte sempre più contrariati. Volevo che quel momento fosse durato per sempre. Volevo guardare nei suoi occhi per l’eternità, affondare in quell’oceano blu, così chiaro eppur così profondo, viaggiare nella sua anima. Poi, pian piano, avvicinava sempre di più il suo viso al mio, e, quando le sue labbra erano ad un soffio dalla mia fronte, scompariva. A quel punto mi svegliavo. Ormai avrei dovuto farci l’abitudine, ma non ci riuscivo. Il sogno era ricorrente, sempre identico, ma non mi permetteva mai di prevedere quel momento, e non riuscivo a smettere ogni notte di piangere per ore fino all’alba. A quel punto, mi addormentavo, immergendomi nel nulla che riempiva il mio cuore. Tempo fa avevo smesso di sperare che sarei tornata a respirare.
 
Ogni notte venivo a trovarla, dal giorno in cui era tornata a scuola, dopo dieci giorni di assenza. Quando era con me si comportava normalmente, ma volevo vedere cosa faceva quando io non c’ero. La guardavo ogni sera prepararsi per andare a dormire, spegnere le luci, ma c’era qualcosa di strano nei suoi movimenti, come se fossero ripetuti da un’ automa. Non avevo più speranze di cambiarla. Si era spenta. Lei non viveva più, lei cercava di sopravvivere. Volevo riempire quel nulla che sembrava avvolgerla ogni giorno come una coperta, dissipare le ombre che la offuscavano, volevo che il mio amore potesse completarla, ma non ci riuscivo. Ogni giorno appassiva sempre di più. Ed era mentre mi perdevo in queste riflessioni, durante tutte le notti, trascorse per otto mesi guardandola dalla finestra, che la vedevo girarsi verso di me, con un sorriso sincero, pieno di gioia, un sorriso che non le vedevo da tanto, troppo tempo. Sembrava pacificata dai fantasmi che la tormentavano, sembrava rifiorire, e tornare rosea come un tempo. La prima notte che la vidi, credetti di essere stato scoperto a spiarla, e  pensavo che la mia presenza le facesse piacere. Poi, quando entrai nella sua camera, credendo che di essere accolto con un bacio, la sentii sospirare nel sonno.
Un nome. Solo un nome.
Damon.
Poteva  un cuore freddo e morto spezzarsi? Il mio sembrò sul punto di farlo.
Aveva sempre quel sorriso gioioso, veramente sincero sulle labbra, ma quel sorriso non era per me, lei non era contenta che fossi accanto a lei, io per lei adesso non esistevo.
Stava sognando Damon. Lo ripeté di nuovo.
Damon.
Non c’era paura nella sua voce, nessun timore, nessun odio celato, solo una leggera malinconia, e una gioia profonda, come di chi si incontra dopo tanto tempo trascorsi separati. Come due amanti che si ricongiungono di nuovo, dopo una lunga lontananza sofferta.
Damon.
A quanto pare, avevo sottovalutato il legame che c’era tra loro. Evidentemente, il mio amore non le bastava. Poi, ad un tratto, la vidi svegliarsi; mi nascosi nell’ombra, sperando non essere scoperto, ma non badava a me; la osservai mentre si guardava intorno, e cominciò a piangere sommessamente. La prima notte decisi di andarmene, pensando che quell’evento non si sarebbe ripetuto; aspettai che chiudesse gli occhi, e sgusciai silenzioso dalla finestra. Ma ogni notte che tornavo lì, alla finestra della sua camera, la sentivo ripetere sempre quel nome, Damon, e aveva sempre quel sorriso sul volto, sostituito alla fine da un lungo pianto. Ogni notte tornavo ad infliggermi lo stesso dolore. Ogni notte dicevo che sarebbe stata l’ultima, e invece tornavo sempre, solo per vederla sorridere. Era un dolore profondo, quello che provavo, ma vederla tornare in vita era uno spettacolo stupendo, e sentivo che ne valeva la pena. Ma ad un tratto, una notte, mi resi conto che avevo sbagliato. Avevo sempre creduto che lei piangesse perché il sogno era finito, qualunque esso fosse. Lei invece piangeva perché lui non c’era più, perché se n’era andato per sempre, e questa cosa la dilaniava, la straziava. Piangeva perché lo voleva accanto a lei. Piangeva perché le mancava. C’è un limite al dolore che una persona, uomo o vampiro, può sopportare. E io lo avevo oltrepassato, giungendo a quella conclusione.
Per questo decisi di andare da lei. In fondo, era l’unica e la sola che poteva aiutarmi, e salvare Elena dall’abisso in cui stava precipitando.
 
Sapevo che era molto presto, non dovevo disturbare così presto, ma contai sul fatto che fosse in piedi per il caldo, che alla fine di Agosto ancora si faceva sentire, anche se erano solo le sette di mattina. Mentre camminavo verso casa sua, riflettei su cosa avrei dovuto chiederle. Sapevo che non mi avrebbe mai aiutato, perché Damon le aveva fatto del male e non voleva che lui tornasse, ma speravo che almeno per Elena lo avrebbe fatto. E poi, non chiedevo tanto. Volevo solo che lei recuperasse la lettera di cui parlava Damon. Non ero mai riuscito a trovarla. Avevo frugato in tutta la camera, ma non era saltato fuori niente. Speravo che potesse darmi un’indicazione su dove si trovava, così avrei potuto leggerla e darla ad Elena. Era sbagliato leggerla, ma lei non poteva soffrire ancora, quindi avrei infranto una piccola regola, ma solo per lei. Poi, solo dopo aver ottenuto la fiducia di Bonnie, le avrei provato a chiedere di “chiamare” Damon. Bastava chiamarlo, poi la risposta alla chiamata dipendeva da lui. In un certo senso, speravo che non tornasse. Mi avrebbe portato via Elena, come tutto ciò che mi aveva portato via in questo secolo e mezzo. Poi mi vergognai di averci pensato. Elena non era mia. Elena non era di nessuno, e meno che mai era mia. A quel punto dovetti interrompere il filo dei miei pensieri, perché ero arrivato a casa di Bonnie. Bussai alla porta, e poco dopo mi aprì. Avevo visto giusto, era già alzata, e aprì la porta con uno smagliante sorriso sulle labbra. Forse aspettava qualcuno. Quando mi vide, però, cambiò il sorriso con un’espressione fredda.
«Ah, Stefan. Cosa ci fai qui?»
«Ciao, Bonnie. Mi dispiace averti disturbato a quest’ora del mattino, ma ho bisogno di parlarti.»
Dapprima rimase interdetta, poi il sospetto si affacciò sul suo volto.
«A quale scopo?»
«Riguarda Elena. Penso che tu abbia visto com’è ridotta. E adesso ho veramente bisogno del tuo aiuto per farla tornare in sé.»
Esitò un attimo, incerta. Poi mi fece un cenno.
«Va bene, entra.»
Entrai in casa, e Bonnie mi fece cenno di sedermi. Mi accomodai sul divano, poi le raccontai tutto, da quando Damon se n’era andato, del motivo per cui se n’era andato, e della sofferenza che adesso attanagliava Elena. Bonnie ascoltò, ma sembrava conoscere questa storia. Solo quando arrivai alla parte dei sogni di Elena, trasalì. Finii dicendole queste parole.
«So che tu ed Elena eravate molto amiche, e la sofferenza che adesso sta patendo Elena, lei non la merita. Ho provato a farla rifiorire, ma sembra morta. Con me cerca di essere indifferente, ma ormai ho capito tutto. Bonnie, io la amo, non posso più vederla morire giorno dopo giorno, rimanendo impotente davanti a ciò che le sta accadendo. Ti prego Bonnie, so che odi Damon, perché a suo tempo ti fece del male, ma adesso è cambiato, ha maturato dei sentimenti, sento che se n’è andato per non abbandonarsi del tutto alla sua parte umana. Ma in lui c’è ancora del buono, ed è di questo che Elena ha bisogno. Non chiedo di riportarlo qui, voglio solo che tu gli mandi un messaggio, poi deciderà lui se tornare. E, riguardo alla lettera, vorrei solo conoscerne il nascondiglio, niente di più.»
Bonnie rifletté. Aveva ascoltato tutto in silenzio, senza reagire, e adesso la ponevo di fronte ad una scelta difficile anche per lei. Aspettai pazientemente, con l’ansia che cresceva di minuto in minuto. Poi si morse un labbro, e mi diede la sua risposta.
«Stefan, per me fare tutto questo è un enorme sacrificio, e lo sai. Ma so quanto tieni ad Elena e, che tu ci creda o no, io le voglio ancora bene come un tempo. Anche a me fa soffrire vederla autodistruggersi ogni giorno sempre di più, e sono otto mesi che cerco di rimediare alla possibilità di farla smettere di soffrire che le negai. Sento che è colpa mia tutto questo che è successo. Ho sempre voluto rimediare al mio errore, e per questo ho deciso che ti aiuterò. Chiamerò Damon, gli manderò un messaggio, e ritroverò la lettera. Ad una sola condizione.»
Ero estasiato, aveva accettato la mia proposta. Doveva sentirsi veramente in colpa. A quel punto, avrei accettato qualsiasi condizione.
«Qualunque cosa, pur di salvarla.»
«Non dovrai leggere la lettera.»
Questo non me l’aspettavo. Rimasi spiazzato. Il punto cruciale era la lettera. Se non la leggevo, avevo paura che avrebbe fatto male ad Elena leggere tutto quello che c’era scritto. Ma, per il suo amore, per la sua rinascita, avrei accettato.
«Va bene. Non leggerò la lettera. Manterrò la parola, Bonnie.»
Bonnie mi guardò negli occhi, cercando una qualche traccia di menzogna, ma non ne trovò, perché si rilassò e si sedette per un minuto, pensierosa. Poi si alzò, e cominciò a preparare l’occorrente. Le porsi la penna che Damon usava solitamente per scrivere, sapendo che sarebbe stata utile. L’avevo trovata accanto alla lettera che mi aveva scritto quando se n’era andato. Dopo alcuni minuti, sul tavolo della cucina c’erano due candele, una ciotola con dell’acqua, fiammiferi, la penna di Damon e un foglio bianco. Ed iniziò il rituale.
Dapprima accese le candele. Poi avvicinò un fiammifero alla fiamma, mormorando parole incomprensibili, e mise la fiamma del fiammifero sull’acqua. Il fuoco fu assorbito dall’acqua, che diventò di un blu scurissimo. Poi Bonnie prese la penna di Damon, la intinse nell’acqua e ne fece cadere una goccia sulla fiamma della stessa candela di prima, che non si spense. Poi chiuse gli occhi. Sussurrava parole incomprensibili, sembrava latino. Poi, ad un tratto, la fiamma si spense. Bonnie aprì gli occhi. Aveva delle gocce di sudore che le imperlavano la fronte, e sembrava visibilmente stanca. Ma aveva uno sguardo determinato, ed era decisa a continuare. Non mi opposi. Sapeva quel che stava facendo.
«La lettera si trova nel cassetto più vecchio del comò nella stanza di tuo zio. Per la chiave, non sono riuscita a fare niente, ma sono certa che si trova in quella stessa stanza. Bene, con questo ho finito. Ora chiamiamo Damon. Mi servirà il tuo sangue.»
Non mi soffermai troppo, e mi tagliai il palmo con un coltellino che avevo trovato in cucina, lasciando colare il sangue nella bacinella d’acqua, che adesso aveva assunto riflessi biancastri. Quando la prima goccia di sangue arrivò sull’acqua, questa divenne di un rosso cupo. Bonnie, nel frattempo, aveva preso la penna di Damon, e l’aveva bagnata nel sangue. Poi scrisse il messaggio che le avevo detto sul foglio.
 
Damon, dovresti tornare a Mystic Falls. Sei anche libero di non tornare, se non vuoi. Ma ho un disperato bisogno di te. Per favore, fai presto.
Stefan.

 
Prese il foglio, e lo bruciò mentre pronunciava una litania incomprensibile. Quando fu completamente bruciato,Bonnie svenne. La presi al volo, poi la stesi sul divano. Cercai qualcosa che potesse rianimarla, ma capii che era stato lo sforzo di due magie a provarla. Le ascoltai il cuore, e sentii che stava bene. Mi rilassai. Aspettai per un paio di minuti, poi la vidi aprire lentamente gli occhi.
«Stefan..Oddio, scusami, sono svenuta.. Ho fatto uno sforzo immane, con due magie consecutive.. Comunque credo che l’incantesimo sia riuscito.»
Mi sorrise, e io ricambiai. Poi mi alzai. Dovevo andare, o Elena si sarebbe svegliata.
«Grazie Bonnie. Non so davvero come ringraziarti. Ora devo cercare la lettera e trovarla prima che Elena si svegli. Grazie ancora, di tutto quello che hai fatto. So quanto dev’essere stato difficile per te, ma ti ringrazio infinitamente. Salverai Elena. Adesso devo andare. Ci rivedremo presto.»
Uscii da casa Bennett, e mi misi a correre. In meno di cinque minuti fui a casa. Andai dritto nella camera di zio Zach. L’unico cassetto che corrispondeva alla descrizione di Bonnie era quello in fondo a destra, piccolo, con la serratura quasi arrugginita. Non era aperto da tanto tempo. La chiave non mi serviva, bastava una spilla. Ne presi una dal comò e cominciai a lavorare con la serratura. Ci vollero alcuni minuti, ma alla fine cedette. Dentro era pieno di ragnatele. Ma in fondo, vidi un foglio ripiegato con cura. Lo presi. Era leggero, ma a me sembrava pesante come un macigno. Dentro quel foglio c’era la risposta. Finalmente avrei potuto scoprire ciò che Damon aveva voluto cancellare dal suo passato, ciò che lo aveva realmente spinto ad andarsene. Stavo già per aprire a lettera, quando mi ricordai della promessa fatta a Bonnie. Ripiegai la lettera, la misi in tasca e uscii. Avevo deciso di non dire ad Elena del messaggio per Damon. Si sarebbe nutrita di false speranze. E se non fosse arrivato, non so cosa sarebbe potuto succederle. Mentre correvo verso casa di Elena, la lettera bruciava in tasca. Non avrei mai dovuto portargliela senza leggerla. Ma dovevo farlo. Per me, per Damon, e soprattutto per Elena.
 
Un’altra nottata era passata. La notte alla fine era il momento che preferivo. Potevo vederlo, starlo a guardare per ore, senza soffrire. Poi, alla fine del sogno, sfogavo la mia rabbia e la mia disperazione in quel pianto. Mi liberava dal dolore, in parte, ma ogni volta che ricordavo che lui non c’era, allora la disperazione mi avvolgeva di nuovo, e cadevo di nuovo negli abissi vuoti della mia anima. Ormai la mia vita si riduceva a questo, a mattinate in solitudine, con gli occhi ancora gonfi di pianto, e la testa che evocava l’immagine di quegli occhi stupendi. Gli occhi che amavo.
NO!Non era vero! Non era vero ciò che stavo dicendo! Io non amavo lui, io amavo Stefan, Stefan era la mia vita, il centro del mio universo.. Allora perché la sua scomparsa mi provocava tanto dolore? Probabilmente ciò derivava dal fatto che lui fosse il solo amico che avevo avuto in questi mesi, a cui potevo parlare senza timore, a cui non dovevo mentire mai, come succedeva invece con tutti gli altri. Sì, doveva essere per forza questo il motivo. Cercai di tranquillizzarmi pensando che sarebbe successa la stessa cosa se ci fosse stato Stefan al suo posto, anzi, sarei morta se Stefan se ne fosse andato. Ma non era quello che stavo facendo? Non mi stavo forse spegnendo per la sua scomparsa?
Le mie elucubrazioni furono però interrotte da qualcuno che bussava alla finestra. Mi alzai, scostai le tendine. Stefan era seduto sul davanzale. Sorrideva, ma c’era una nota dolente nel suo sguardo. Aprii la finestra. Non era da lui presentarsi di prima mattina. Eliminai la faccia scura e cercai di sembrare contenta della sua presenza.
«Stefan..Cosa ci fai qui? Non è presto?»
«Elena mi dispiace disturbarti, stavi dormendo? Scusami amore, ma sono solo passato per darti una cosa.»
Entrò nella stanza, e mi guardò negli occhi. Aveva un’espressione seria. Ed era proprio questa che mi preoccupava. Cosa poteva essere successo di così importante? Poi capii. Tirò fuori, dalla tasca, una lettera. Era molto semplice, ma davanti c’era scritta una sola parola, con una calligrafia che avrei riconosciuto tra mille. Era la sua calligrafia. Una sola parola, che mi fece sobbalzare.
 
Elena
 
Rimasi a bocca aperta. Una nuova speranza aveva riempito il mio cuore, rimasto vuoto per così tanto tempo. Non riuscivo a muovermi. Rimasi semplicemente lì, a fissare quel foglio, che conteneva, forse, la risposta a tutte le domande che da mesi mi riempivano la testa. Stefan non disse nulla. Appoggiò la lettera sul mio comodino, e senza dire una parola, uscì dalla finestra. Era quella lettera che a lungo avevo agognato, era quella che volevo trovare. E adesso era lì. Non so per quanto tempo rimasi in piedi a fissare il vuoto, forse mezz’ora, forse una giornata, non saprei dirlo. Poi, dopo un tempo che mi era parso un’eternità, ordinai al mio corpo di muoversi. Mi sedetti sul letto, presi la lettera e cominciai a leggere quelle parole che Damon non aveva mai voluto dirmi, quelle parole che non aveva mai avuto il coraggio di pronunciare.
 
Avevo deciso di lasciarla da sola. Una parte di me voleva ardentemente sapere cose c’era scritto in quella lettera, ma un’altra aveva paura che avrei sofferto. Non sapevo a quale delle due cedere, quindi avevo deciso di andarmene. Il destino avrebbe fatto il resto. Cercai di concentrarmi sui suoni che uscivano dalla camera di Elena, ma forse ero troppo distante. Forse era meglio così. L’avrei lasciata al suo dolore, o alla sua felicità. Allora pensai al messaggio che avevo inviato a Damon. Sapevo che all’inizio non avrebbe voluto leggerlo. Ma speravo che il mio nome potesse farlo insospettire. Non avevo voluto scrivergli di Elena. Se veramente se n’era andato per lei, non sarebbe mai tornato di nuovo per lei. Quindi, tanto valeva raccontargli che mi sentivo solo, che mi mancava mio fratello. E in parte era vero. Ma se non fosse tornato? Da oggi avevo deciso di dargli un mese di tempo, poi non avrei più aspettato. Sarei andato a cercarlo io stesso.
Sentii qualcuno piangere. Era Elena.
Non potevo ascoltare quel dolore. Ma dovevo lasciarla sfogarsi. Le avrebbe fatto bene. Presi la via di casa, cercando di non ascoltare quei lamenti strazianti.
 
Non so per quanto tempo ero rimasta raggomitolata sul letto, a fissare la finestra, in camicia da notte. Fatto sta che il sole era già alto. Di andare a scuola in quelle condizioni, non se ne parlava. Di incontrare Stefan, tanto meno. Aveva fatto bene ad andarsene. Avevo iniziato a piangere dopo aver letto le ultime righe. Il ricordo era tornato prepotente. Anche se mi aveva soggiogata, io ricordavo. La lettera giaceva ancora dove l’avevo tirata, sul pavimento. Era costellata di macchie, che avevano slavato l’inchiostro. Le mie lacrime. Non potevo crederci. Non poteva essere vero. Lui mi amava.Lui se n’era andato per colpa del suo amore per me. Era vero, portavo dolore e disperazione nel cuore di chiunque amassi. Perché? Perché il destino era stato così crudele con me? Mi aveva portato via tutto. Prima i miei genitori, poi i miei amici, e ora lui. Avevo anche paura a pensarne il nome. Il dolore che avevo provato fino ad ora, la disperazione che mi aveva accompagnato fino a poche ore fa erano niente in confronto a quello che sentivo ora. Era come se avessi una bestia nel petto che mi artigliava il cuore, facendolo sanguinare. A quel punto, mi aspettavo anche di cominciare a piangere sangue. Era insopportabile. Era impossibile da accettare, anche meno di ciò che avevo passato fino ad ora. Mi amava. Forse mi amava tutt’ora, anche se era lontano, a combinare chissà quali guai. Quel pensiero scatenò un’ondata di ricordi dolorosi, di quando ancora era a Mystic Falls, a combinare guai, ma era vicino a me. Ma in questo modo, con questa conclusione, riuscivo anche a spiegare i miei sogni. Avevo sempre saputo che mi amava, solo che non riuscivo ad ammetterlo a me stessa. E io? Cosa sentivo io per lui? Non era amicizia. No. Era qualcos’altro. Qualcosa che metteva in ombra anche l’amore per Stefan. Qualcosa di potente, che risvegliava in me una nuova consapevolezza. Aveva ragione lui, quando mi aveva detto che stavo mentendo a me stessa. Non avevo mai voluto accettarlo. Se me ne fossi accorta prima, tutto questo non sarebbe successo. La verità in quel momento mi si impose, con tanta forza che non potevo più rifiutarla. Probabilmente era già dentro di me da tempo, e solo adesso veniva alla luce.
Io lo amavo.
Quel pensiero mi fece sorridere, e il mio cuore sembrò sul punto di esplodere. Finalmente, dopo tutto questo tempo, ero riuscita ad accettare la realtà. Dopo tanto dolore, finalmente un sorriso sincero mi era comparso sul volto. Nuove lacrime mi scendevano sul volto, ma erano lacrime di gioia. Non credevo che giungere ad una simile conclusione mi avrebbe fatto così felice. Perché nell’amare c’era sempre dolore. Perché, anche se avevo accettato ciò che sentivo per lui, sapevo che il dolore che ancora infliggevo, e che avrei dovuto infliggere, non era finito. Non potevo più ingannarlo, dopo tutti questi mesi passati a negare la realtà dei fatti. Avrebbe sofferto, ma non potevo mentire anche a lui. Non era da me. Dovevo pensare alle parole adatte, per fargli accettare la cosa più facilmente. Mi serviva tempo. E soprattutto, mi serviva il coraggio. Dovevo dirlo a Stefan.
 
Non tornai da Elena quella sera. Volevo lasciarla sola. Aspettavo che venisse lei da me. Quando avrebbe deciso lei. Intanto, i giorni trascorrevano, e non avevo nessuna notizia di Damon. Forse l’incantesimo non aveva funzionato? No, mi fidavo di Bonnie. Avrebbe deciso lui quando tornare. E io avrei atteso.
 
Stefan non si presentava. Avevo pensato alle parole da dirgli, ma era una settimana che non veniva da me. Forse aveva da fare, forse aveva paura di quel che avrei potuto dirgli. Ma sapevo che, prima o poi, sarebbe venuto. In fondo, teneva troppo a me per lasciarmi sola per tutto questo tempo.
 
Due settimane erano passate. Nessuna notizia di Damon. Cominciavo a pensare che non tornasse più, che non mi aveva creduto. Avevo ancora due settimane, poi sarei andato a cercarlo. Nessuna notizia di Elena. Ma ormai a cosa serviva pensare a lei? Il peggio era fatto. Non restava che aspettare.
 
Stefan sembrava scomparso. Non rispondeva alle mie chiamate, non telefonava più da due settimane. Che se ne sia andato anche lui? No. Non l’avrebbe mai fatto. Ma il dubbio si insinuò in me, rendendomi ansiosa sempre di più ad ogni chiamata non risposta. Ma sapevo aspettare. Dovevo aspettare. Non avevo il coraggio per andare a dirglielo. Doveva venire lui.
 
Un’altra settimana passata. Se non fosse arrivato, me ne sarei dovuto andare, lasciando Elena da sola. Speravo che almeno lui se ne rendesse conto. Aveva sofferto così tanto, e se me ne fossi andato io, di lei non sarebbe rimasto più niente. Ma dovevo farlo. Sapevo che sarebbe arrivato, me lo sentivo nel cuore.
 
La disperazione ormai mi permetteva di vivere. Il dolore mi mandava avanti. Era quasi un mese che pensavo a quel messaggio, appoggiato sul letto, dove era arrivato. Mio fratello aveva bisogno di me. Lo avrei fatto solo per vedere come stava lei. Non potevo non rivedere la ragione per cui ero fuggito. Mi mancava. La mia principessa. Avevo deciso. Sarei tornato a casa.
 
Era mattina. Il suono del mio cellulare mi svegliò. Era Stefan. Finalmente avevo la mia occasione, non me la sarei lasciata sfuggire. Riposi.
«Stefan. Non ti sei fatto sentire per tutto questo tempo. Ero preoccupata.. Pensavo te ne fossi andato.»
Non rispose. Forse doveva aver notato il cambiamento nella mia voce che, lo sentivo, era più colorita. Fatto sta che non parlava.
«Stefan? Cosa succede? Perché non rispondi?»
«Elena.» Fece una pausa. Il suono della sua voce mi scioccò. Era disperato. Sembrava stesse piangendo.
«Stefan, cos’hai..?»
«Elena. Devi venire subito a casa mia. C’è..»
Non terminò la frase, sembrava che qualcosa lo soffocasse. Una strana sensazione si risvegliò dentro di me. Poi Stefan riprese a parlare. Sembrava più tranquillo, ma sentivo un dolore straziante nella sua voce.
«Elena, non posso spiegarti. Ti prego, vieni prima possibile. Devo andare.»
Riagganciò, senza aspettare una mia risposta. Mi vestii in fretta, animata da una nuova speranza. Un nuovo sorriso prese forma sulle mie labbra. Poi mi ricordai che lui se n’era andato, ricordai le parole che dovevo dire a Stefan, e sprofondai di nuovo nella disperazione.
 
«Finalmente sei arrivato. Ormai credevo che non saresti più venuto.»
Scesi in salotto. Era seduto con la sua solita aria strafottente sul divano, un bicchiere di sangue in mano, e mi guardava. Ma notavo un qualcosa di diverso nel suo sguardo. Rassegnazione? No. Damon aveva nascosto i suoi sentimenti sotto ad un macigno, era impossibile che li avesse lasciati uscire di nuovo. Forse era solo una mia impressione. Il mio sguardo si velò di contraddizione, quando mi ricordai del motivo per cui l’avevo chiamato, e lui se ne accorse.
«Che c’è fratellino? Mi hai chiamato tu. Ora non mi vuoi qui?»
No. Anche se mi costava ammetterlo, ero felice della sua presenza. Lui rimaneva pur sempre mio fratello. Mi era mancato in questi mesi. Ma stava comunque per distruggermi la vita.
«Lo so che ti ho chiamato io. In realtà, Damon, mi fa piacere vederti. Sei pur sempre mio fratello.»
Sorrise. Rimaneva pur sempre Damon.
«Adesso ricomincia con le solite chiacchiere. Stefan, so che non mi hai chiamato solo per rivedere “il tuo fratellone”. Dimmi la verità. Basta con questi giochetti. »
Trassi un profondo respiro per calmarmi, poi mi decisi a parlare.
«È per Elena.»
Il sorriso scomparve, così come la sua aria da spavaldo. Vidi un lampo di dolore attraversargli il volto. Era così simile ad Elena, nel soffrire. Fu solo un attimo, perché riprese un’espressione neutra, la stessa che aveva Elena da otto mesi quando stava con me. Niente gioia, niente dolore. Era come se spegnessero le loro emozioni. A quanto pare, era diventato bravo a nascondere le emozioni, più di quanto non lo fosse prima di partire.
«Cosa c’entra Elena?»
«Damon, so che tu te ne sei andato per lei, ma.. Lei..»
Non riuscivo a terminare la frase. Ma non ce ne fu bisogno. Sentii chiaramente la macchina di Elena fermarsi. Anche Damon doveva averla sentita, poiché rimase allibito per alcuni secondi, il tempo di sentire la portiera della macchina di Elena che si chiudeva, i suoi passi sul portico, poi il volto di Damon fu oscurato da una rabbia cieca, e si lanciò contro di me in un lampo, lanciando il bicchiere contro il camino.
«Tu..Come hai osato..»
Ma non ebbe tempo di muoversi. Perché Elena era arrivata.
 
Avevo fatto la strada di corsa. Quando ero arrivata in prossimità della casa di Stefan, avevo rallentato. Ripassai per bene le parole da dirgli. Ero decisa a dirglielo. Non potevo farlo soffrire oltre. Aveva bisogno di sapere la verità. Ormai non potevo più mentirgli. Scesi dalla macchina di fretta. Quando mi avvicinai alla porta, sentii qualcuno che imprecava e un rumore di vetro infranto. Mi spaventai. Cos’era successo? Non bussai nemmeno, e mi precipitai lungo il corridoio che dava sul salotto. Appena arrivata, mi fermai. Sembrava che il tempo il fosse fermato. Tutto sembrava immobile. Lui era chino su Stefan, il volto oscurato dalla furia. Ma Stefan non sembrava aver paura. Sorrideva. A quel punto il mio cuore esplose. Le emozioni tornarono tutte insieme, riempiendomi di nuovo, le sentivo in tutto il corpo, giungevano ad ogni angolo della mia anima. Sentivo il cuore, sentivo il suo battito forte che mi rimbombava nelle orecchie. Un miscuglio di sensazioni mi agitava il petto, mi scuoteva; dolore, felicità, odio, felicità, rabbia, gioia, disperazione, sorpresa, disappunto, amore. Una cosa che non ricordavo nemmeno essere capace di provare. Anche se i suoi lineamenti erano distorti dalla rabbia, riconoscevo bene il suo viso, quello che mi osservava ogni notte, e che mi faceva risvegliare piangendo. Occhi azzurri come il ghiaccio, che gli conferivano un aspetto freddo e distante all’apparenza, ma che celavano sempre una nota di malinconia nel fondo, che, durante le mie notti passate a rimirare il suo sguardo, avevo imparato a trovare. Capelli neri corvini, che incorniciavano un viso splendido, dannatamente perfetto. Sembrava un angelo della morte, a completamente infuriato. In fondo, sarebbe stato bello morire per mano sua. Dopo un tempo che parve un’eternità, si girò lentamente, mentre il suo viso tornava normale, bello esattamente come lo ricordavo. Mi veniva da piangere guardandolo, così bello eppur triste. Volse lentamente il capo verso di me, e mi guardò negli occhi, un’espressione dolente e allibita allo stesso tempo. In quel momento non sentivo nulla. Era tutto perfettamente immobile. Esistevamo solo io e lui. Gli corsi incontro. Perché adesso era qui. Era tornato. Damon.
 
La sentii chiaramente. I suoi passi frettolosi. Mi gettai contro Stefan. L’aveva chiamata. Anche se sapeva che mi faceva male rivederla, l’aveva chiamata. Volevo ucciderlo, staccargli la testa, impalettarlo, volevo farlo soffrire. Come aveva fatto soffrire me. Ma non ne ebbi il tempo. La sentii gemere, mentre era in piedi sulla soglia del salone. Rimasi immobile, le mani sul collo di Stefan. La vedevo chiaramente, con la coda dell’occhio. Era bella come la ricordavo. I capelli scuri, lunghi e lisci, che incorniciavano un viso a forma di cuore. Gi occhi sempre vigili e attenti, color cioccolato. Ma c’era qualcosa che non andava. Aveva un’espressione strana, a metà tra il dolore e la paura. Anche l’aspetto era diverso. Sembrava una morta che camminava. Quando mi vide, cambiò completamente. Ciò che avevo visto fino ad un secondo prima,sparì. Un sorriso si affacciò sulle sue labbra, la vidi rifiorire, tornare bella e rosea, mentre il sorriso si allargava sempre di più sulle sue labbra. Mi voltai lentamente. Sentivo il dolore tornare. Non potevo rivederla. Non potevo ricominciare a soffrire. Le parole che le avevo detto nove mesi prima tornarono nella mia memoria, e si impressero a fuoco nella mia mente. Perché, anche se ci avevo provato, non potevo dimenticare. La guardai. Vedevo i suoi occhi farsi lucidi, la consapevolezza della mia presenza in quella stanza farsi sempre più forte. Lasciai Stefan, che cadde per terra. Si massaggiò il collo, ma non disse una parola. Io e lei ci guardavamo ancora, gli occhi fissi uno in quelli dell’altro. Perché nulla era importante, nient’altro contava oltre noi due. La vidi corrermi incontro. Una piccola fiammella di speranza si accese dentro di me. Poi però il pensiero tornò a quell’ultima sera. Sarebbe stato come la sera sulla scalinata. Andava da Stefan. Si sarebbe gettata tra le sue braccia. Il dolore tornò prepotente a quel ricordo. Ma questa volta era diverso. Guardava me. Mi abbracciò. Rimasi immobile. Lo stupore mi aveva pietrificato. Lei che mi abbracciava? No, era uno scherzo. Non poteva essere vero. Ma sentivo il suo calore sulla mia pelle, il suo profumo, la sentivo abbracciarmi. Non riuscivo a muovermi. Avrei voluto ricambiare l’abbraccio, prenderle il viso, quel viso così dolce e delicato, dirle che inferno erano stati questi mesi senza lei, il dolore che avevo sentito ogni singolo secondo senza lei. Avrei voluto dirle che mi era mancata, più di ogni altra cosa, che l’amavo. Poi mi resi conto di ciò che stavo pensando. Avevo tenuto nascosti i miei sentimenti per tutti quei mesi. Come diavolo faceva? Come faceva a rendermi così vulnerabile in sua presenza? Come faceva una personcina così minuscola a sconvolgermi a tal punto la vita? Il dolore ebbe il sopravvento. Sapevo che sarebbe durato poco questo momento di apparente felicità. Perché lei rimaneva di Stefan. Era scritto così. Da sempre. Perché io non la meritavo. Sentii le lacrime farsi strada, ma le ricacciai indietro. Mi sciolsi con cautela dall’abbraccio. La guardai. Piangeva. Non capivo se erano lacrime di felicità o di dolore, fatto sta che piangeva. Mi guardò e cadde in ginocchio, continuando a piangere. Sentii l’irrefrenabile impulso di consolarla, ma non lo feci. Richiusi il mio cuore nella solita corazza di metallo, e attesi che parlasse.
 
Le lacrime erano iniziate a scendere subito. Sentivo che non ricambiava l’abbraccio, ma non mi importava. Era lui. Era qui. Era Damon. Sentivo il mio cuore cantare, perché avevo ritrovato una parte di me. Per la prima volta mi sentii unica, completa, vera. Mi sentivo diversa. Strinsi l’abbraccio, ma mi accorsi che non si muoveva. Ben presto, la consapevolezza di una realtà ben diversa dalla mia sfera luccicante di felicità iniziò a farsi strada nel mio cuore. Improvvisamente lo sentii freddo, lontano. Cercavo di capire, ma non ci riuscivo. La felicità mi riempiva il cuore, le lacrime mi offuscavano la vista. Allora lo sentii sciogliersi dalla mia stretta. Aveva uno sguardo freddo e glaciale, un’espressione che non dava segni di nessun’emozione, e questa volta lo sentii veramente distante. Le lacrime continuavano a scendere sul mio viso, era come un rubinetto aperto che non voleva chiudersi. Mi domandai il perché di quello sguardo. Sapevo che mi amava, sapevo cosa aveva passato in questi mesi, perché, in fondo, io e lui eravamo uguali, nel soffrire. Eppure non fece un passo, quando mi vide cadere in ginocchio sul pavimento, singhiozzando. Non fece nemmeno un movimento. Tra le lacrime, mi accorsi solo che Stefan se n’era andato. Tutto taceva. Sentivo solo il rumore dei miei singhiozzi, che spezzava quel lugubre silenzio. Damon era in piedi davanti a me, e avevo paura di alzare lo sguardo. Mi sentii una stupida. Di cosa avevo paura? Era Damon. E mi amava. Cercai di frenare le lacrime. Quando capii che non sarei scoppiata di nuovo a piangere alla sua vista, mi alzai, lentamente. Alzai lo sguardo e lo fissai. Adesso avevo bisogno di risposte. Perché era tornato? Cosa ci faceva di nuovo da Stefan? Perché lo stava attaccando? Perché, anche se mi amava, mi aveva fatto soffrire così tanto? Ma di fronte al suo sguardo, il mio proposito vacillò. Mi sentii piccola, un minuscolo insetto, una nullità. Perché avrei dovuto vivere molto di più, soffrire molto di più, per capire il dolore lancinante che traspariva dagli occhi di Damon. Cercava di nasconderlo molto bene, ma ormai ero ben allenata a cogliere ogni sfumatura nel suo sguardo, ogni accenno di dolore. I miei incubi, alla fine, erano serviti a qualcosa. Per poco non ricominciai a piangere. Ma decisi di tenere a bada le lacrime e, una volta per tutte, avere qualche risposta decente. Ma la mia bocca rifiutava di muoversi. Riuscii a farfugliare poco e niente.
«Damon..Sei tornato..»
La mia voce traspariva un evidente dolore, perché vidi un lampo di compassione – compassione,Damon? – attraversargli gli occhi. Poi cercò di mascherare di nuovo le sue emozioni, ma ormai non abboccavo più.
«Smettila di farlo.»
«Fare cosa?»
La sua voce riportò alla mente tantissimi ricordi, in particolare quel ricordo, dell’ultima volta che ci eravamo visti. Anche se mi aveva soggiogato, io ricordavo perfettamente. L’amore, d’altronde, è più forte di qualunque altra cosa. Ricordavo ogni singola parola di quella sera. E quella che avevo appena sentito era la sua voce. Credevo di essermene dimenticata, e invece la ricordavo perfettamente, e ricordavo anche il dolore che celava sotto ogni parola. Adesso, quel dolore era ancora più forte. Lo sentivo, rinchiuso nelle segrete della sua anima, in un luogo inaccessibile, ma c’era. Era lo stesso dolore che provavo io. Forse si accorse della mia agitazione, infatti tornò di nuovo imperturbabile. Era insopportabile.
«Perché fingi di essere quel che non sei?»
«Perché, cosa dovrei essere? Elena, tu sai bene quel che sono, non serve mentirmi.»
Infatti lo sapevo, e meglio di quel che lui credeva.
«Certo che lo so. E tu non sei così.»
Non sapevo più cosa dirgli. Rimaneva immobile, senza battere ciglio. Sentii montare la rabbia. Che ci faceva a Mystic Falls, se non aveva nemmeno il coraggio di venirmi a dire “Ehi, sono tornato”, senza nemmeno venirmi a salutare? Per vederlo, ero dovuta essere stata avvertita da Stefan. Lo vidi rabbuiarsi. Un’idea spiacevole iniziò a farsi strada nella mia mente, insinuandosi tra i miei mille pensieri.
«Damon..Tu..Perché sei tornato?»
«Per rivedere Stefan. Non rimarrò qui a lungo, quindi non preoccuparti per me.»
Non era tornato per rimanere. Probabilmente era qui solo per fare una visita a Stefan. Non era venuto per me. Il dolore tornò, mozzandomi il respiro in gola. Non avrei mai potuto sopportare un’altra sua partenza. Un altro addio. Era troppo. C’è un limite al dolore che una persona può sopportare, e io avevo di gran lunga passato il mio, in tutti quei mesi passati a sperare che cambiasse idea, che tornasse. Ed ora che era tornato, non poteva andarsene di nuovo. Se questa volta sarebbe ripartito, sapevo che sarebbe stato un addio. Nessun ritorno, mai più. Adesso avevo paura. Non volevo lasciarlo andare. Si voltò e riuscii solo a afferrargli una manica della camicia.
«Damon..Ti prego, non..»
Si voltò, e capii quanto dolore gli provocava quella decisione. Ma prese comunque la direzione della porta. No, non poteva andarsene. Non adesso. Non senza avergli detto che l’amavo.
«Damon, non andartene..Damon..Damon..»
Non si voltava. Stava uscendo di casa. Mi accorsi che piangevo. Furono proprio quelle lacrime a farmi fare quell’ultima confessione.
«IO RICORDO,DAMON!»
Sentii che si era fermato. Era tutto perfettamente silenzioso. Le lacrime continuavano a scendere sulle mie guance, ma continuai imperterrita.
«Ricordo tutto. Ricordo tutto dell’ultima sera che ci siamo visti, dopo che mi avevate ritrovato, dopo che avevi ucciso Elijah. Ricordo benissimo le parole che mi hai detto, ricordo quell’ultima lacrima che ti è scesa, mentre pensavi di cancellarmi ogni ricordo. Ma non sei riuscito a cancellarmi niente. Ho letto anche la lettera, sai? Quella che credevi nascosta. L’ho trovata. Ed è stata proprio quella a farmi ricordare. Damon, so che mi ami, scappare non servirà a niente.. Ti prego, non andartene.. Ora che ti ho trovato, non posso perderti di nuovo.. Tu non hai idea di che cosa abbia passato in questi mesi, di che inferno sia stato senza di te. All’inizio non capivo, poi la verità si è presentata chiara ai miei occhi. Non posso più rifiutarla, ormai. Non lasciarmi Damon. Perché io senza di te non esisto. Io ti amo!»
Sentii il mio cuore fermarsi, mentre pronunciavo quelle parole. Gliel’avevo detto. Gli avevo detto che l’amavo. Sentii come se, all’improvviso, una parte nascosta di me fosse stata liberata. Guardai tra le lacrime verso l’entrata nel salotto, ma non vidi arrivare nessuno. Non sentivo niente provenire dall’altro lato della parete. Aspettai. Sapevo che non se n’era andato. Come avrebbe potuto farlo, dopo quello che gli avevo rivelato? Ricordavo cosa aveva scritto nella lettera. Avevo usato le sue stesse parole.
Io senza di te non esisto.
La verità delle mie parole mi assalì di nuovo. Sentivo che erano reali, che sentivo veramente ciò che gli avevo detto. La certezza fece breccia nel mio cuore. No, non se n’era andato. Ormai le nostre vite erano legate a doppio filo, nulla poteva separaci, non più. Ma tutto quello che sarebbe successo stava nei sentimenti che Damon provava per me. E se.. No, non osavo nemmeno pensarci. Ma ormai la mia mente era andata oltre.
E se i suoi sentimenti fossero cambiati?E se lui avesse cambiato idea? No. Era impossibile. Allora perché tentennava così? Non capivo. Avevo mille domande che mi si agitavano in testa, e non riuscivo a trovare una risposta concreta ad ognuna di esse. A questo punto, solo Damon poteva chiarire le mie incertezze. Ma lui sembrava scomparso.
«Damon.. Damon, so che sei lì.. Non puoi nasconderti più, lo sappiamo bene entrambi.. Ti prego, torna da me..»
Con passo cauto, mi avvicinai all’entrata del salone. Dovevo scoprire se se n’era andato. Forse, la vista della porta aperta, mi avrebbe fatto accettare più facilmente la realtà. Forse, vedendo la porta aperta, avrei potuto accettare più facilmente che lui se n’era andato, per sempre. Arrivata all’ entrate del grande salone, mi fermai. Una parte di me, desiderava fare quel passo, che mi avrebbe condotta alla verità. L’altra parte di me, quella che ricordava ancora il dolore che avevo provato fino a poche ore prima, desiderava tornare indietro. Avevo paura. Poi il cuore decise. Feci un passo, e mi voltai.
La porta era semiaperta, uno spiraglio di luce entrava dalla fessura. Accanto alla porta, Damon era seduto a terra, la testa sulle ginocchia, il viso nascosto. Mi aveva sentito, ne ero certa. Non potevo vederlo in volto, quindi non sapevo quale espressione mi stava celando. Ero confusa. Sembrava che non sapesse cosa fare. Io ero rimasta in piedi, incerta su cosa fare. Poi, di nuovo il mio cuore mosse i miei piedi. Mi avvicinai, e mi inginocchiai davanti a lui. Non alzò la testa. Sembrava una statua. Rimasi a fissarlo non so per quanto tempo, poi parlò. Anzi, sibilò.
«Vattene.»
Nulla. Non provai nulla in quel momento. Sapevo cosa stava facendo. Voleva allontanarmi da lui. Ma ormai sapevo perché lo faceva, quindi era come se non avesse parlato. Non mi mossi di un millimetro, e dopo un po’ parlò di nuovo. Ora sembrava triste, molto triste.
«Perché devi farmi questo?Chi sei tu, piccola insignificante essere umana, per fare questo a me
Non sapevo cosa rispondere. Lasciai che continuasse. Ero pietrificata ormai.
«Perché devi farmi soffrire così tanto? Mi odi a tal punto da farmi questo? So cosa farai. Stai solo cercando di farmi rimanere. Pensi che lo farò, solo perché sei tu a chiedermelo. Ebbene, ti stai sbagliando. Sei una bugiarda, Elena. Tu non mi ami. Tu non mi hai amato. Lo dicesti tu stessa. Tu ami Stefan, e sappiamo tutti che lui sarà per te la tua metà, per sempre. Mi hai mentito troppe volte, ora non puoi mentirmi ancora. Se guardi nel tuo cuore, capirai che è così. Non può essere altrimenti.»
Sembrava più un discorso per autoconvincersi, più che per convincere me. Ma le sue parole risvegliarono in me i sentimenti che provavo per lui. Avevo già attraversato quella fase, quando, rannicchiata sul letto, la lettera davanti, mi ero chiesta se amavo veramente Damon. A quel punto era arrivata la luce. Era stato così semplice ammetterlo, che mi ero quasi meravigliata di me stessa. Ma sapevo, nel profondo del cuore, che era quella la verità. Io amavo lui. In quel momento, tutto acquistava un senso. L’angoscia, il dolore, i sogni. Tutto si era fatto chiaro. Aveva ragione, non potevo più mentire a me stessa, e nemmeno a lui.
«Damon, io so cosa vuole il mio cuore. E quello che mi hai detto non cambierà ciò che sento per te. Avevi ragione, quando cercasti di uccidere Jeremy. Stavo mentendo a me stessa. Perché non era vero che ti volevo bene. Io ti amavo. L’ho capito troppo tardi, quando te n’eri già andato. Ma per me è stato così semplice accettarlo, così elementare, che ero rimasta meravigliata io stessa dalla mia reazione. Ma ciò che sentivo era reale. E di questo ne sono certa. Perché so che non potrò mai amare nessun altro. Ed è questa la verità. Io amo te,Damon. E so che la stessa cosa vale per te. Non puoi mentirmi. Sai cos’ ho fatto, in questi otto mesi, mentre tu non c’eri?»
Non rispose. Ero stata abbastanza tagliente, ma ero decisa a fargli capire cosa provassi veramente per lui. Teneva il volto basso, celandomi ancora la sua espressione. Non lo sopportavo. Non poteva tenermi ancora nascosto il volto, non dopo tutto quel tempo che era stato lontano. Era la cosa che mi faceva soffrire di più. Non guardare il suo viso, quel viso che mi aveva fatto piangere tutte le notti, era la cosa più straziante in quel momento.
«Damon, ti prego, guardami.»
Passò qualche secondo, poi alzò lentamente lo sguardo.
Quello che avevo davanti non era Damon. Il suo viso, quel bellissimo viso che tanto amavo, era rigato dalle lacrime, e lo sguardo era pieno di un’antica tristezza. Mi lasciò attonita. Non avevo mai pensato di veder Damon piangere. Era una cosa troppo lontana dalla mia immaginazione, e adesso che lo avevo davanti a me non riuscivo a crederci. Era impossibile. Damon non poteva piangere. E quella tristezza, quella tristezza che riempiva il suo sguardo, mi fece agire d’impulso.
Gli presi il viso tra le mani, con delicatezza, lo guardai negli occhi, e lo baciai. Non so perché lo feci. Forse quelle lacrime avevano fatto nascere in me il bisogno di consolarlo. Forse era stato il suo sguardo triste a farmi fare quel gesto. Forse, era questo ciò che avevo sempre voluto. Perché lo sapevo, io e lui eravamo destinati a finire così. Due anime dannate. In quel momento, sentii che era questo ciò a cui ero stata destinata, da sempre. Ecco perché non potevo fare a meno di dire bugie a Stefan, perché non ero mai riuscita a raccontargli ciò che sentivo. Perché non era lui che amavo. Che persona meschina che ero. Avevo mentito a tutti, da sempre, dal giorno in cui avevo conosciuto Damon. Ormai sapevo cosa dovevo fare. Ero giunta alla fine della mia ricerca. Era lui che volevo. Damon. Per sempre.
 
Quando aveva avvicinato le sue labbra alle mie, qualcosa si era risvegliato in me. Il sapore di un altro bacio, lontano, che avevo creduto di dare a lei, invece al suo posto c’era stata quella stronza manipolatrice di Katherine. Ma questa volta era diverso. Sentivo le sue labbra morbide premere sulle mie, e non mi capacitavo del fatto che una cosa del genere fosse possibile. Non capivo. Lei amava Stefan. Come poteva aver cambiato idea, tutt’a un tratto? Non mi aveva mai amato. Cosa era cambiato in lei, in questi otto mesi? Poi capii. Forse non stava mentendo, prima, quando mi aveva detto che mi amava. In quel momento rifiutavo di crederci. Come poteva amare me, un mostro assassino che l’aveva quasi uccisa, che l’aveva tirata in mezzo al casino con Katherine, che metteva la sua vita a repentaglio ogni secondo che passava? Come faceva ad amarmi? Elena che teneva a me, che soffriva per me, che mi voleva bene più di un semplice amico, era un concetto impossibile da accettare. Stava sicuramente mentendo. Forse faceva così perché lei credeva di amarmi, e una parte di lei pensava che fosse questa la verità. Ma allora, se stava mentendo, come faceva a sapere della dichiarazione che le avevo fatto? Come aveva fatto a ricordare? Non riuscii a chiarire i miei dubbi, perché le labbra di Elena che premevano sulle mie fecero sbiadire ogni pensiero. Da una parte, avevo desiderato così tanto quel momento, che avrei voluto prolungarlo in eterno, stringerla tra le mie braccia, sentirla sussurrare il mio nome, come sognai la notte che decisi di partire. Ma un’altra parte di me diceva che era sbagliato, perché io non meritavo Elena. Ero una persona spregevole. Non potevo semplicemente allungare una mano e prenderla, come avevo fatto con qualsiasi cosa fino ad ora, perché sapevo che non era mia, e che non lo sarebbe mai stata. La presi delicatamente per le spalle, e cercai di allontanarla da me. Non volevo ferirla. Capivo che tutto quello che mi aveva detto sulla sua sofferenza era vero, e probabilmente era anche vero che mi amava. Non nel modo in cui amava Stefan, certo, ma probabilmente, a modo suo, mi amava. Per questo avevo paura di ferirla. Quando riuscii ad allontanarla, però, vidi il suo sguardo. Una nuova luce animava i suoi occhi, e vidi una sensazione nuova, un nuovo sentimento, in quella luce. Questo mi lasciò ancora più sbalordito. Ma ricordai di nuovo che non era mia, e il piccolo barlume di speranza che si era acceso in me si spense. Lei sarebbe sempre rimasta irraggiungibile per me. Per questo decisi di mostrarle quello che provavo davvero in quel momento.
«Elena, ti prego, non essere sciocca..»
«Damon, perché non capisci? Perché non riesci ad accettare il fatto che io ti amo
Quelle parole dette tra le lacrime mi colpirono molto più di quanto pensassi. Le mie lacrime ripresero a scendere. Ormai mi ero svelato del tutto. Doveva sapere. Non potevo permettere che rovinasse la sua vita per una sciocca convinzione che credeva di avere. Amarmi. Come se fosse possibile. Sapevo che sarebbe stata dura. Sapevo che rivelarle veramente ciò che ero l’avrebbe ferita. Ma dovevo farlo, adesso.
«Elena, sei tu che non capisci. Ti stai aggrappando ad una stupida convinzione. Tu credi di amarmi, ma non è così. Lo sai benissimo che non è così. Sei condizionata probabilmente dalle parole che hai letto in quella lettera, o da quello che ricordi, e credi che quello che tu provi per me sia amore. Quelle parole in effetti sono vere, perché io ti amo, Elena. Ti amo più di quanto odi me stesso per avertelo detto, per aver ceduto alla mia parte umana solo per un attimo. Ma ormai il danno era fatto, e non potevo riparare niente. Potevo solo farti dimenticare, e andarmene. Andarmene, perché non potevo sopportare di rivederti il giorno dopo, con quel tuo splendido sorriso, mentre avresti baciato Stefan, senza ricordare nulla di quel che ti avevo detto. Faceva male, Elena, tu non sai quanto. Ma non posso permetterti di essere condizionata dai miei sentimenti per te.»
Le presi il viso fra le mani, mentre era rimasta inerte, seduta di fronte a me.
«Ti prego. Non cercare di autoconvincerti, o di ribattere, perché entrambi sappiamo che tra noi non ci potrà mai essere niente. Credimi, so che è così. Torna da Stefan. È lui che il tuo cuore brama, non me. Torna alla vita che avevi prima, torna dai tuoi amici ma, per favore, dimenticami. Soffrire per me, per il mio stupido amore per te, non servirà a niente. È una mia questione. Tu devi solo dimenticare che esisto. Vedi? Ti amo a tal punto da lasciarti andare. Vai Elena, dimentica quello che ti ho detto, fallo per me, se veramente ci tieni.»
Rimasi a fissarla per alcuni secondi, mentre vedevo i suoi occhi velarsi di pianto, di nuovo. Quando le lacrime iniziarono a scendere, iniziarono anche le parole, quelle parole che non dimenticherò mai, dovessi vivere per l’eternità e oltre.
 
Mentre parlava, capii quanto dolore gli avevo inflitto in quei pochi mesi che avevamo passato assieme. Mi aveva detto che mi amava, tra le lacrime, mentre accettava che in lui c’era dell’altro, oltre l’odio, e mi rivelava che non mi meritava, perché si sentiva un essere cattivo, non degno di una persona come me. Cosa credeva? Che io fossi una persona tanto migliore di lui? Avevo ferito Stefan, gli avevo tenuta nascosta la verità per tutti quei mesi. Avevo ferito anche lui, lo avevo dilaniato con il mio rifiuto della verità. Credeva veramente che tutto quello che provavo fosse solo una stupida convinzione? Credeva davvero che il dolore, i sogni che avevo fatto ogni notte per otto mesi, fossero stati frutto della mia immaginazione? Avevo sempre saputo di amarlo. Solo che non avevo mai voluto ammetterlo con me stessa. Per questo dovevo dirgli cosa avevo passato in questi mesi in cui non c’era stato. Dovevo dargli prova della mia sincerità, della purezza dei miei sentimenti. Dovevo fargli capire che ciò che provavo non era solo una stupida convinzione, nata dalle sue parole. Perché lo amavo allo stesso modo straziante in cui lui amava me.
«Damon, so che tu non riesci ad accettare una cosa del genere, e lo capisco. Capisco che, dopo avermi sempre visto come la ragazza di tuo fratello, sapere che ti amo è una notizia abbastanza strana. Ma tu non ci sei stato per otto mesi, e non sai cosa ho passato in quel periodo. Non sai cosa ho dovuto sopportare. Il dolore, la disperazione. Mi scavavano, giorno per giorno, e non riuscivo più a capirne il motivo. Poi iniziarono i sogni. Ogni notte, sognavo il tuo volto, accanto a me, e ci guardavamo per ore, fino a quando non scomparivi. E quelli erano gli unici momenti in cui trovavo la pace. Tutto tornava come se tu non fossi mai partito, e riuscivo a guardarti negli occhi, senza vederti mai triste, come sei sempre stato.
«Ma ancora non trovavo il motivo del mio dolore. Pensavo che tutto questo era dovuto alla perdita di un amico, il mio unico vero amico. È stato Stefan. Nonostante gli abbia sempre mentito, aveva deciso di aiutarmi. Mi portò la lettera, quella che avevi nascosto. Non ho idea di come fece a trovarla, ma me la portò. Non l’aveva letta, ne sono sicura. Ma è stata quella lettera che ha portato i ricordi a galla.
Prima che tu mi cancellassi il ricordo, io avevo provato qualcosa, qualcosa di profondo, qualcosa che provo ancora adesso. Quel giorno, non ti riposi perché avevo paura che quella parte che avevo tenuto nascosta per tutto quel tempo venisse fuori. Avevo paura di ferire Stefan, perché, se tu non mi avessi fatto dimenticare, tutto questo non sarebbe mai successo. Perché adesso io e te staremmo insieme, come doveva essere dal giorno in cui ci siamo conosciuti. Io ti amavo già da prima, Damon. Ti amavo fin da quando tu avevi tentato di uccidere Caroline, me e Bonnie. Ti amavo già quando ti dissi che mi avevi persa per sempre. Quel giorno mi ero sbagliata. Per questo non posso lasciare che tu te ne vada. Perché sei parte di me, e lo sarai sempre. Per sempre.»
Avevo detto quelle parole tutte d’un fiato, senza pause, perché volevo veramente che capisse che l’amavo. Era stata l’ultima carta che avevo potuto giocarmi. Doveva capire. Tenevo troppo a lui per farlo andare via senza avergli detto tutta la verità. Perché quel giorno che avevo ricordato, il giorno in cui avevo capito cosa Damon mi aveva cancellato, erano tornati anche i ricordi di ciò che provavo già da prima per lui. Lo amavo a troppo tempo, e da troppo tempo gli avevo nascosto la verità. Quella sera, mentre finalmente stavo per rivelargli anch’io ciò che provavo, mi aveva tolto ogni ricordo. Ma quel giorno in cui avevo letto la lettera avevo ricordato tutto. E adesso lui lo sapeva. Era stato così semplice per me, accettare che lo amavo, perché non poteva farlo anche lui?
Alle mie parole, il suo volto si fece scettico, poi turbato, quando parlai dei miei sogni, infine rimase allibito. Avevo messo tutta la sincerità di cui ero capace in quel discorso, e sentivo che aveva fatto effetto. Vidi, infatti, un’ultima lacrima scendere lenta sul suo viso. Lo vidi alzarsi, molto lentamente, senza staccare gli occhi dai miei. Poi mi tese la mano. Ero confusa. Cosa voleva fare? La afferrai, e mi alzai anch’io in piedi. Si voltò e mi condusse in salotto. Probabilmente era passato molto tempo, perché vedevo la luce del sole, tipica del crepuscolo, entrare dalle alte finestre, tingendo tutto di uno strabiliante rosso sangue. Mi portò al centro della sala, senza lascarmi mai la mano. Rimase voltato verso le finestre per alcuni minuti, guardando fuori, mentre mi chiedevo ansiosamente che effetto avevano fatto le mie parole, cosa aveva realmente capito. Infine si voltò. Avvicinò il suo volto al mio. Avevo paura ad alzare lo sguardo. Avevo paura di quel che avrei trovato. Mi guardavo i piedi, mentre ero combattuta tra il desiderio di scoprire se aveva accettato come vere le mie parole, o se aveva pensato che fosse l’ennesima bugia. La mia testa era pesante; sentivo come se un macigno mi premesse per non farmi alzare lo sguardo. Quindi rimasi a testa bassa per parecchio tempo, senza parlare.
«Guardami.»
Tutt’a un tratto, il macigno scomparve, e alzai la testa. Aveva un’espressione indecifrabile sul viso. Il mondo mi crollò addosso. Non mi aveva creduto. Senti la delusione invadermi. Tutti i miei sforzi di fargli capire la verità erano stati vani. Non c’era futuro per noi, perché non voleva credere alle mie parole. Era meschino. Non poteva rifiutarmi così, non dopo tutto quello che gli avevo detto.
Teneva ancora il suo sguardo incatenato al mio, quando fece qualcosa che non mi aspettavo. Si avvicinò ancora di più, fino a posare le labbra sulla mia guancia, asciugandomi una lacrima, e mi accorsi solo in quel momento che stavo piangendo. Poi spostò la bocca vicino al mio orecchio.
«Non piangere, Elena. Questo mi fa soffrire ancora di più. Perché stai piangendo?»
Cercavo di trattenere le lacrime, ma con scarsi risultati. Adesso mi guardava negli occhi, di nuovo. A quel punto alzò la mano libera – l’altra era ancora intrecciata alla mia – e mi accarezzò, come se volesse raccogliere tutte le mie lacrime, tutta la mia sofferenza. Mi chiedeva perché piangevo? Ma non aveva capito quanto mi facesse soffrire il suo rifiuto della verità?
«Perché piango? Damon, ma non capisci? Io ti..»
Mi interruppe.
«Elena, lo so. L’ho capito. Dopo quello che mi hai detto, come potrei non averti creduto? So che mi ami,e so che faresti qualunque cosa pur di stare con me. Ma io non posso. Non posso semplicemente allungare una mano e farti mia. Io non ti merito, Elena. Io non sono una persona degna di te.»
Quelle parole mi colpirono. Damon non si riteneva degno di me. Quelle parole riportarono alla luce, di nuovo, il ricordo della notte in cui partì. Anche quella sera aveva detto di non meritarmi. Ma lui era degno di me, più di chiunque altro. Perché il destino ci aveva separati, ma eravamo sempre destinati a stare insieme. E di questo ne ero certa.
«Credi di non meritarmi? Damon, sono io quella meschina, qui dentro. Ho mentito a te e Stefan per tantissimo tempo, vi ho ingannati entrambi, vi ho fatto soffrire. Voi non lo meritavate. Tu eri quel che eri perché avevi sepolto tutti i sentimenti sotto la coltre di odio che provavi per Stefan, perché ti aveva portato via la tua unica ragione di vita. E lo capisco. Ma un giorno quella coltre è scomparsa, e i tuoi sentimenti umani sono tornati alla luce. Tu non sei quella persona che credi di essere, Damon. E non m’importa cosa pensi di aver fatto per non meritarmi.»
«A te non importerà, ma me sì. Non posso pensare di stare con te a ricordare tutto ciò che ho fatto in questi ultimi 145 anni. Non posso, Elena, non posso..»
Aveva pronunciato quelle ultime parole come un gemito, e di nuovo il bisogno di consolarlo m’invase. Ma non feci come prima. Semplicemente, gli presi l’altra mano, quella che teneva sul mio viso, e ne baciai il palmo.
«Non m’importa cos’hai fatto, Damon. Non m’importa
Rimase in silenzio per qualche secondo, sfuggendo al mio sguardo. Poi gli alzai il viso, costringendolo a guardarmi. Era di nuovo triste.
«Davvero? Non t’importa se ho ucciso una delle tue amiche, ed ho provato ad ucciderne un’altra?»
Un fremito mi corse lungo la schiena a quelle parole. Ricordavo bene cosa era successo quasi un anno prima, cos’era appena arrivato in città. Ma non m’importava, non più.
«Non eri te stesso, Damon. In quel momento, l’odio ti sopraffaceva e non riuscivi a vedere altro. Ora sei diverso. Vedi? Sono io l’egoista, adesso. Ti voglio solo per me. Non sono la brava ragazza che tu credi. Io e te siamo uguali.»
Aveva ancora quello sguardo dubbioso sul volto. Poi, pian piano, quel dubbio si sciolse in stupore. Rimase a guardarmi, sbalordito. Avevamo ancora le mani allacciate. Passò qualche minuto, mentre tenevamo gli occhi immersi uno in quelli dell’altro.
Poi mi lasciò le mani. Mi prese il volto. Adesso mi guardava intensamente. Avrei voluto colmare quella poca distanza che c’era tra noi, ma mi trattenni.
«Davvero pensi di essere tu la persona egoista? Davvero pensi di essere tu a far del male alle persone? Io sto per ferire tante persone a cui tengo, compreso Stefan.»
Lo guardai, sperando che cogliesse il vero senso delle mie parole di poco prima. Adesso sembrava rassegnato. Abbassò gli occhi. Poi fece un sospiro. Sembrava diverso da pochi minuti prima. Rialzò lo sguardo. Era veramente deciso a rivelarmi la verità.
«Se veramente sei sicura di amarmi, se veramente vuoi stare con me per sempre, almeno io devo dirtelo, e tu devi solo sentirtelo dire. Ti amo, Elena. Ed è proprio perché ti amo, che non posso fare l’egoista con te. Se mi ami, non lasciarmi andare, non permettere che me ne vada di nuovo per non ferire Stefan. Perché io senza di te non esisto.»
Aveva usato quasi le stesse parole di quell’ultima sera che ci eravamo visti. Ero commossa. Aveva accettato che io lo amassi. Aveva capito la verità. Posai la testa sul suo petto.
«Volevo solo sentirtelo dire di nuovo. Volevo solo sentire che i tuoi sentimenti per me non erano cambiati. Ti amo, Damon. L’ho sempre saputo, ma non sono mai riuscita ad accettarlo. E quando te ne sei andato, quando mi sei mancato veramente, ho capito la verità. Non lasciarmi mai più. Voglio rimanere con te. Per sempre.»
Alzai la testa. Adesso i suoi occhi si erano fatti lucidi. Tenevo il mio sguardo fisso nel suo, e non vedevo nessuna ombra di dubbio o di rimorso nei suoi occhi, mentre mi avvicinavo sempre di più alle sue labbra. Ma esitavo nei movimenti. Avevo paura che avesse detto tutto quello solo per compiacermi, per farmi credere in qualcosa che, invece, non era vero. Appoggiai la mia fronte sulla sua, mentre i nostri respiri si confondevano, e le nostre labbra si sfioravano. Mi lasciò le mani, mettendomele sulla nuca, e  gli misi le mie braccia al collo. Sembrava che esitasse anche lui. Ma ormai ne ero certa, mi amava con tutto se stesso. Mi attirò a sé, e finalmente toccai le sue labbra. Mi parve che le nostre anime si fondessero, dopo averlo desiderato per tanto tempo. Quel bacio diceva che nulla avrebbe più potuto separarci, perché il nostro amore superava i limiti più impensabili. Lo amavo con una dedizione assoluta, lo amavo più di ogni altra cosa, e sapevo che anche per lui era così. Eravamo due metà, che erano rimaste separate per tanto, troppo tempo, e finalmente si ricongiungevano in quell’attimo eterno. Noi ci appartenevamo. Volevo fotografare quel momento. Volevo conservarne il ricordo per sempre. Perché questo era il giorno in cui avevo scoperto cos’era il vero amore. Il giorno in cui avevo scoperto la vera me stessa. Adesso nulla importava. Nulla contava, a parte che noi fossimo insieme. E questa volta sarebbe stato per sempre.
  
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