“No blinding light or
tunnels to gates of white
Just our hands clasped so tight…”
(I will follow you
into the dark, Death Cub for Cutie.)
Il cielo è plumbeo, opprimente.
L’aria gelida.
La neve nel parcheggio è sporca e
mezzo disciolta dal sale degli spazzaneve. Scivola ai lati della strada in
tristi rigagnoli grigi per poi scomparire nel buio dei tombini.
Bianco Natal, pensa Dean con una smorfia.
Ne sposta una manata dall’Impala
e l’osserva cadere a terra in un liquido plop.
Un brivido gli corre lungo la schiena. D’improvviso, ricorda interiora
strappate e grida laceranti, per un attimo la neve si stria di rosso…
“Ehi, tutto bene?”
Sam.
Il suo tono è teso, preoccupato.
Sulle labbra un sorriso tirato.
Dean scuote la testa, scacciando
via l’immagine.
“Sì. Vedo che sei riuscito a
scrollarti di dosso la vecchietta della reception” incomincia, gioviale. “Avevo
quasi temuto ci seguisse sin da Bobby.”
“Un regalo che non avrebbe saputo
come riciclare, temo” ribatte, ghignando.
Dean scoppia a ridere, di gusto.
La viscida sensazione di poco prima già dimenticata.
“Questa è stata perfida, Sammy”
commenta, scivolando in macchina.
La statale è deserta. Be’,
dopotutto chi si metterebbe in viaggio il giorno di Natale?
Ai lati della strada svettano
piccoli monticelli bianchi, sormontati da rami caduti e vecchi tronchi. Dean si
tiene al centro della carreggiata, esattamente sulla doppia striscia continua,
augurandosi di non veder arrivare nessuno dalla parte opposta.
Nella sua mente si affollano
visioni di prosciutto arrosto e patate dolci, tacchino farcito e pan di
zenzero…
“Stai sbavando” esclama Sam,
divertito.
Dean si riscuote dalla sua
fantasia.
“Eh?” chiede, confuso. “Perché
dovrei?”
“Hai quell’espressione beata solo
quando pensi alle donne o al cibo, e a giudicare dal tuo stomaco…”
“Quanto è arguta, signora
Fletcher!”
“Molto dive… Attento!”
Dean inchioda di colpo e le ruote
slittano sull’asfalto bagnato. La corsa dell’auto termina qualche metro più avanti,
contro un imponente abete. L’impatto è violento, ma non frontale.
“Sam, stai bene?” mormora Dean,
portandosi una mano al volto.
“Sì” è la pronta risposta. “Tu?”
“Ho picchiato contro il
finestrino, ma sto meglio della mia piccola. Che diavolo ti è saltato in
mente?”
“Non hai visto nulla?” domanda
l’altro, esterrefatto.
“Visto che cosa?”
“Ssshh, ascolta!”
Dean resta in silenzio, prestando
orecchio al minimo rumore, poi scuote la testa. Suo fratello è
concentratissimo, attento.
“Ecco, di nuovo!” urla, gettandosi
fuori dal veicolo.
Lo segue immediatamente.
Il cambio d’altezza gli dà le
vertigini, anche lo stomaco protesta.
Fantastico, una commozione cerebrale.
“Mi stai preoccupando, Sam” dice,
sostenendosi alla portiera. “Torna dentro.”
Sam si guarda intorno. Il suo
sguardo si perde fra gli alberi, rapito. Ammaliato.
“Sam?” prova Dean, avvicinandosi.
Il cuore gli batte all’impazzata
nel petto, pompando nelle sue vene adrenalina e paura. Rivede la neve del
parcheggio, una massa informe e sporca che lentamente marcisce al suolo…
Puttanate del cazzo!
Fa un respiro profondo e si
impone di calmarsi.
“Sam?” Questa volta con dolcezza,
sfiorandogli il braccio.
Gli occhi del fratello sono
fissi, folli. Scatta nella foresta.
“Dannazione!” esplode,
lanciandosi all’inseguimento.
Sam lo distanzia subito. Corre
veloce, risoluto: sa dove andare. Dean, al contrario, non ne ha la più pallida
idea. La foresta gli scorre alle spalle in un indistinto caleidoscopio di verdi
e marroni, esacerbando la sua nausea. Gli ronzano le orecchie, avverte una
pulsazione sgradevole alla gola. Rami e fronde gli frustano il viso e le
braccia.
Griderebbe al fratello di
fermarsi, ma non può sprecare neppure un filo di fiato.
Una repentina svolta a sinistra e
Sam scompare dalla sua vista.
Merda!
Si getta in quella direzione, ma
di Sam non c’è traccia. Svanito.
Sente le gelide dita del panico
carezzargli il cuore, delicate e velenose.
No, devo restare concentrato.
Serra le palpebre e ascolta il bosco
intorno a lui: passi, pesanti; rami che si spezzano. È nella direzione giusta e
Sam ha ben poco vantaggio, ha rallentato.
Qualche minuto e intravede la
fine della linea degli alberi, una radura.
Sam è al centro di questo immenso
semicerchio innevato. Il giubbotto lacero, il volto pallido e graffiato, il
respiro corto…
“È qui” ansima, eccitato.
“Chi?”
Impugna la pistola, ma non c’è
nulla cui sparare.
Suo fratello sorride, poi
qualcosa lo fa volare per aria. Atterra di schiena, senza un lamento, quasi un
metro più in là. Una manciata di secondi e comincia a gridare. Si agita e si
dimena, cercando di liberarsi.
Il patto.
I segugi infernali.
Zanne e artigli.
Dolore.
“Sam!” urla Dean, correndo verso
di lui.
Un piede in fallo, un secco crack e si ritrova a terra, la faccia
nella neve.
Solleva la testa, tremante, e
finalmente lo vede: un fottutissimo cane nero.
È gigantesco, mostruoso. Una
chiostra di denti affilati grondanti densa bava sanguinolenta; il pelo lercio,
laido; una zampa affondata nel ventre di Sam.
La creatura si volta e a Dean
pare di scorgere una sadica gioia nei suoi enormi occhi gialli, prima che si
chini sul collo di suo fratello.
Alza il braccio e fa fuoco.
Quattro, cinque, sei volte.
Il mostro crolla su Sam,
schiacciandolo col suo peso.
Fiato caldo contro il viso.
Carne guasta, decomposta.
L’oscurità porta via ogni cosa, tranne il fetore… Marcio, asfissiante.
Definitivo.
“Saaam!”
Disperato, impotente.
Levatelo di dosso, per favore.
Soffocherà, soffocherà…
Dean prova a rimettersi in piedi.
Fa leva sulle braccia e sulla gamba sinistra. Arriva a metà strada e la destra,
come una zavorra, lo trascina nuovamente giù.
Affonda nella neve e il dolore si
fa sopportabile: non più un’accecante e continua scarica, bensì un sordo
pulsare sempre più distante. Resta immobile, lasciandosi cullare dalla benigna
morsa del gelo. Torna il basso ronzio, spia di due polmoni ormai sul punto di
cedere.
E Sam? Lascerai morire anche lui? Ammesso che non sia già morto, certo…
È ancora vivo, sta zitto!
Si solleva sui gomiti,
riprendendo a respirare in avide boccate. Poi comincia a trascinarsi in avanti,
artigliando con furia ghiaccio e terreno. In un attimo è madido di sudore.
Grosse gocce gli imperlano la fronte, scivolando, impietose e brucianti, fino
agli occhi. Sbatte rabbiosamente le palpebre nel vano tentativo di scacciarle
via. Non può concedersi il lusso di fermarsi: da quanto tempo Sam è lì sotto?
Due minuti? Tre? Troppi, comunque.
Tieni duro, fratellino.
È vicinissimo ormai. Il tanfo dell’animale
gli riempie le narici e gli stringe la gola.
Sam è lì sotto, Sam è lì sotto…
Stringe le mani intorno alla
nauseabonda pelliccia e spinge con tutte le sue forze. Dopo un’iniziale
resistenza, il figlio di puttana ricade dall’altra parte, scoprendo uno
spettacolo agghiacciante: il corpo di Sam è costellato di tagli e abrasioni;
una lunga ferita solca tutto il torso a partire dalla clavicola, dov’è lieve e
superficiale, fino a raggiungere il basso ventre e il bacino. La situazione lì
è decisamente peggiore: il taglio è più profondo e lascia intravedere il bianco
dell’osso e tratti di intestino e altro che Dean neppure riesce a identificare.
Distoglie immediatamente lo
sguardo e si china sulla bocca parzialmente dischiusa di Sam. Non respira.
Merda, merda, merda…
Si assicura che la gola non sia
ostruita e immette aria nei polmoni di suo fratello.
“Uno, due.”
Pausa.
“Tre, quattro, cinque.”
Un’altra pausa.
Coraggio, Sammy. Coraggio.
Poggia le dita sulla carotide,
pregando di trovare ancora un battito. C’è, seppur debole e stentato.
“Grazie” mormora del tutto ignaro
delle lacrime che gli rigano le guance.
Riprende la respirazione.
“Dodici insufflazioni al minuto, finché lo stato del ferito non cambia”,
abbaia suo padre. L’eco dei suoi ordini nella testa stranamente confortante.
Rimetterò a posto le cose, starai bene Sammy, vedrai.
Un lungo singulto, un accesso di
tosse e Sam respira di nuovo.
Gli occhi di Dean corrono alla
ferita che erutta un vivo fiotto cremisi. La comprime con forza, sentendo i
muscoli di suo fratello contrarsi di rimando. Un basso lamento sfugge a
entrambi.
“Ecco, con calma. Respiri lenti e
profondi, Sammy” sussurra, incoraggiante.
Le palpebre di Sam tremolano nel
tentativo di sollevarsi.
“D-Dean?” incomincia, incerto.
“Ehi, sono qui” risponde,
scioccato.
La voce di Sam è flebile, quasi
afona.
Pensi ancora di poterlo salvare?
Due occhi colmi di dolore e
confusione si posano nei suoi: “C-cos’è successo?”
Non sono riuscito a proteggerti.
“Una sosta non prevista. Cosa
ricordi?”
“L’incidente... qu-qualcosa che
m-mi chiamava... C-cos’era?”
Dean scuote la testa: “Un figlio
di puttana morto.”
“Che c-cos’era,
Dean?” insiste.
“Un cane nero.”
Sam resta in silenzio,
assimilando la notizia, consapevole che quelle creature siano presagi di morte.
“L’hai vi-visto a-anche tu...
p-prima di...?” domanda, qualche minuto dopo.
Ucciderlo?
“D’n?” Speranzoso, implorante.
Non dargli motivi per smettere di lottare.
“No, ho praticamente sparato
all’aria” ribatte Dean.
L’altro sospira, apparentemente
più tranquillo.
“Tieni duro, Sam: presto arriverà
la cavalleria.”
Smette di reggersi con la
sinistra, usandola per frugare nelle tasche di Sam e andando automaticamente a
pesare sul torace di suo fratello e sulla sua gamba rotta.
“Scusa” mormora a denti stretti,
in risposta all’urlo strozzato di Sam. “Ci sono quasi.”
Quando finalmente riesce ad
afferrare il cellulare, ansima terribilmente e sente il sangue di Sam
filtrargli fra le dita.
Lo schermo è crepato in più
punti, ma l’apparecchio sembra andare.
Una sola chiamata, ti prego.
Compone il numero del pronto
intervento.
Andiamo, andiamo, andiamo.
Un acuto beep e la chiamata si interrompe.
“Che dia…?”
Osserva meglio il piccolo led e
realizza che non è visibile alcuna barra di segnale: non c’è campo.
No, non è possibile.
Depone gentilmente il cellulare a
terra, svuotato.
È Sam a riscuoterlo qualche
momento dopo: “D-Dean?”
Un rivolo rosso gli sporca il
labbro inferiore, Dean lo lava via con cura. Un attimo prima c’era, quello
successivo non più.
Un sorriso gli tende il viso: “Ci
toccherà solo aspettare che si freddi il tacchino e Bobby manderà qualcuno a
cercarci. L’Impala è ben visibile e non siamo lontani dalla strada: ci
troveranno presto, vedrai.”
Non ci credi neppure tu…
Sam annuisce, poco convinto.
Stanco.
La sua attenzione tutta per il
cielo grigio che li sovrasta.
Non lasciarlo andare via.
“Ehi, sai dove ho imparato questa
complessa tecnica di compressione?” incomincia Dean, allegro.
Questo sembra ridestare
l’interesse del fratello: “N-no, do-dove?”
“Dr Sexy, MD” ribatte, ghignando.
Una smorfia familiare si dipinge
sul volto di Sam, quell’espressione esasperata e affettuosa che in sintesi ha
sempre chiesto a Dean e al resto del mondo come fosse mai possibile che loro
due condividessero lo stesso corredo genetico.
Ti prego, fa che non sia l’ultima volta che la vedo.
“Davvero. Ellen Piccolo doveva
arrestare l’emorragia di un paziente che non poteva essere operato, aveva
ingoiato una bomba o qualcosa del genere…”
“C-che caz-zata…
e la bom-ba?”
Il sorriso di Dean si allarga:
“Visto che ci sei già dentro? Comunque, non ricordo. Dopo c’è stato un bacio lesbo fra la cinese e la dottoressa nevrotica…”
“O-ok, capi…”
Sam comincia a tremare. Il suo
corpo si inarca e torna a rilassarsi, come attraversato da intense scariche
elettriche. Gli occhi si rovesciano all’indietro.
No, no, no, no, no. Non può
essere. Non dopo Cold Oak. Non con la consapevolezza che nessun demone
accetterebbe un patto con lui, non quando sa che ogni dannato pennuto è ormai
tornato al suo nido.
La mano di Dean scatta, quasi di
propria iniziativa. Colpisce il fratello più volte, incapace di arrendersi:
“Non provarci neppure ad abbandonarmi così, Sammy” supplica, attirandolo a sé.
E Sam risponde al suo richiamo.
Socchiude le palpebre e sussurra alcune parole, subito portate via dal vento.
“Cosa?” domanda Dean, chinandosi
ulteriormente. L’orecchio contro le labbra dell’altro.
“L-le fa-te della f-fore-sta…”
“Non ti sembra che questa cazzo
di foresta fosse già troppo affollata, fratellino?”
“Pa-pà era f-furioso…”
E Dean comprende: Sam e la sua
cotta per Campanellino…
Era un inverno come questo,
gelido e inclemente. Suo fratello doveva avere quattro, cinque anni. Uno
scricciolo adorabile e curioso come una scimmia. Il padre li aveva trascinati
fra i monti, a caccia del fottutissimo yeti, per quanto ne sapesse Dean. Li
aveva lasciati in una baita puzzolente, sbattendo la porta e ricordando loro
che valevano sempre le solite regole: niente estranei e niente giochi
all’aperto. Il rombo dell’Impala aveva salutato la sua partenza. Cinque minuti
dopo, Sam si era spalmato contro la porta di ingresso, pronto a rotolarsi nella
neve. Dean, più responsabile, aveva resistito altri dieci minuti prima di
dargliela vinta.
Dopo due pupazzi di neve e una
guerra con palle grosse come cocomeri, Sam si era gettato a terra, senza
dimenticare di fare il suo angelo. Dean si era accomodato al suo fianco: “È ora
di rientrare, i vestiti devono essere asciutti per quando tornerà papà.”
Sam aveva scosso la testa,
sovrappensiero: “Pensi che ci siano fate nella foresta?” aveva chiesto,
osservandola.
Prima che Dean potesse
rispondergli, si era lanciato nella macchia, ridendo.
“Sam, torna qui!” aveva ordinato
il maggiore, raggiungendolo in tutta fretta. “Non provarci mai più, stupido!”
“Non chiamarmi così!” aveva
ribattuto l’altro. “Volevo vedere le fate. Credi che siano come Trilly?”
“Non ne ho idea” aveva risposto
Dean, stringendosi nelle spalle.
“Possiamo dare un’occhiata in
giro? Solo cinque minuti.” La vocetta implorante, broncio e lucciconi in
posizione.
Dean si era guardato intorno.
Nella tranquilla penombra offerta loro dalle chiome degli alberi, il sentiero che conduceva alla baita appariva
vicino e rassicurante.
“Non di più però” aveva detto,
prendendolo per mano.
Si era avvicinato a un tronco e
ne aveva piegato i rami.
“Come Hansel e Gretel!” aveva
esclamato l’altro, ammirato.
“Spero un po’ meglio, Gretel.”
“Tu sei Gretel!”
“No, tu!”
“Basta, lo dico a papà” aveva
piagnucolato Sam.
Avevano poi proseguito per un
po’, spintonandosi a vicenda.
Quando un fiocco di neve gli si
era posato sul naso, Dean aveva deciso che era tempo di fare dietrofront.
“Va bene” aveva acconsentito un
infreddolito Sam.
Una manciata di minuti e Dean
aveva capito che si trovavano in un grosso guaio. Nonostante i segni lasciati,
era completamente disorientato e, a giudicare dall’incuria generale, si stavano
inoltrando sempre più verso il folto del bosco.
“Dean, quando torniamo? Sono
stanco.”
“Ssshh, Sammy. Non fare rumore,
mi è sembrato di vedere una fatina e potresti farla scappare…”
“Davvero?” aveva gridato il
minore, eccitatissimo. Si era poi portato una mano alla bocca, intimando il
silenzio a suo fratello.
Dean aveva annuito: “Da questa
parte.”
La neve cadeva sempre più fitta.
Il freddo intenso trasformava i loro respiri in bianca condensa. Se non
avessero trovato un riparo, sarebbero morti. Dean lo sapeva, era stato uno dei
primi insegnamenti di suo padre, del nuovo John: mai farsi sorprendere dal buio
all’aperto.
Aveva velocemente individuato un
tronco cavo, indicandolo a Sam.
“Non mi piace. È vecchio e puzza
di muffa.”
“Dici? A me ricorda tanto la tana
dei bimbi sperduti…” aveva buttato lì Dean.
“Hai ragione, dobbiamo entrarci.
Trilly verrà sicuramente a cercarci qua!”
Si erano accoccolati alla bell’e
meglio su uno spesso strato di muschio, disseminato di noci e gusci vuoti.
L’odore era penetrante, ma in un certo senso confortante.
Dean si era messo Sam fra le
gambe, circondandolo col suo corpo. “Stai bene così?” aveva chiesto, dopo poco.
“Ci siamo persi, vero? Come
Hansel e Gretel.”
“Papà ci troverà, vedrai.”
“E ti sgriderà, a causa mia”
aveva mormorato Sam, colpevole.
“Probabile” aveva acconsentito
l’altro, guardando a quel momento con desiderio. La notte sempre più vicina.
Quando Sam aveva cominciato a
tremare fra le sue braccia, Dean l’aveva stretto con più forza.
“Resta sveglio, fratellino. Se ti
addormenti, le fate non ci porteranno nel loro castello” aveva sussurrato
contro i suoi capelli, sforzandosi di restare sveglio a sua volta.
“Le sento, Dean. Le fate
cantano.”
“Sì?”
Sam aveva annuito: “Tu non riesci
a sentirle?”
“No, sarò troppo vecchio per
loro…”
In quel momento, avevano udito
entrambi la voce del padre. Li aveva trovati seguendo le loro tracce sulla neve
fresca e, passato lo spavento, si era assicurato che imparassero a seguire i
suoi ordini, soprattutto Dean…
“Già, non dirlo al mio culo: non
sono riuscito a sedermi per almeno un mese…”
Sam sorride: “L-le sen-to, D’n.
Stan-no c-cantan-do” si sforza di dire.
Questa volta, Dean lascia che il
sangue gli scivoli lungo il mento. “Sì? Io non sento nulla, sarò troppo vecchio
per loro” ribatte, le lacrime che gli solcano il viso.
Sam chiude gli occhi. Una parte
di Dean sa che non li riaprirà più, eppure non fa meno male quando, qualche
istante più tardi, il suo petto smette di sollevarsi.
“Dannazione, Sammy.”
Affonda il viso nell’incavo del
suo collo, deciso a morire esattamente così. Il freddo ha smesso di turbarlo,
proprio come la gamba. La verità è che niente potrà mai toccarlo, non dopo
questo.
“Dean.”
Be’, quasi niente: “Sammy, sei
ancora qui. Più o meno.”
“Meno, direi. Ho poco tempo,
voglio solo assicurarmi che…”
“Che io stia bene?” domanda Dean,
incredulo. “Forse dovevi pensarci prima di farti sbranare, fratellino.”
“Che tu sia vivo, per quando
arriveranno i soccorsi” ribatte Sam, stentoreo.
“Sei decisamente il fantasma più
prepotente che abbia mai visto, ma ho una confessione da fare.”
“Cosa?”
“Ho visto anch’io il nostro
cucciolone.”
“Dean!”
Ed ecco che ricompare la faccia
da stronzetto.
Non esattamente il modo in cui mi auguravo di rivederla, ma meglio di
niente.
Sam si siede accanto a lui. La
sua mano lo sfiora, più gelida della neve. Dean sopprime un brivido, ricercando
quel tocco immateriale.
Sente le palpebre farsi pesanti e
le lascia ricadere. Le dita del fratello che si intrecciano fra i suoi capelli.
“E impari in fretta.”
L’altro sbuffa: “Basta essere
incazzati neri per farlo, ricordi?”
Dean si sforza di riaprire gli
occhi, ma non riesce a guardarlo in faccia: “Sei arrabbiato con me?”
Perché non ho saputo proteggerti?
Sam sorride, esasperato: “Non
credi che dovrebbe essere il contrario, idiota?”
“Mmh… come vuoi” concede,
sopprimendo uno sbadiglio. “Sai, Sam, ora le sento.”
“Le fate? Cosa dicono?”
“Di dormire, perché…”
Inspira una boccata d’aria,
l’odore di Sam misto a quello del suo sangue.
Versa nuove lacrime brucianti.
Mi dispiace, Sam. Mi dispiace.
“Perché?” domanda il fratello,
continuando a carezzarlo.
“Perché al mio risveglio saremo
di nuovo insieme” mormora, imbarazzato.
La stretta di Sam si fa più
solida, più reale, mentre il resto del mondo sembra perdere consistenza.
“Hanno ragione, Dean. Non andrò
via senza di te.”
Dean chiude gli occhi, rassicurato: “’kay, Sammy…”
Note: Scritta per il compleanno della mia Soulmate/Beta reader. Ti voglio bene, Aliciuzza. Giuro che presto mi dedicherò a una sick!Sam, solo per te <3
Trovo che la canzone citata all’inizio sia perfetta per questa fic, cosa ne pensate? Fatemi sapere ^^