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Autore: Arial    07/05/2011    6 recensioni
"Love of mine, someday you will die, but I'll be close behind. I'll follow you into the dark."
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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“No blinding light or tunnels to gates of white
Just our hands clasped so tight…”

(I will follow you into the dark, Death Cub for Cutie.)

 

 

 

Il cielo è plumbeo, opprimente. L’aria gelida.

La neve nel parcheggio è sporca e mezzo disciolta dal sale degli spazzaneve. Scivola ai lati della strada in tristi rigagnoli grigi per poi scomparire nel buio dei tombini.

Bianco Natal, pensa Dean con una smorfia.

Ne sposta una manata dall’Impala e l’osserva cadere a terra in un liquido plop. Un brivido gli corre lungo la schiena. D’improvviso, ricorda interiora strappate e grida laceranti, per un attimo la neve si stria di rosso…

“Ehi, tutto bene?”

Sam.

Il suo tono è teso, preoccupato. Sulle labbra un sorriso tirato.

Dean scuote la testa, scacciando via l’immagine.

“Sì. Vedo che sei riuscito a scrollarti di dosso la vecchietta della reception” incomincia, gioviale. “Avevo quasi temuto ci seguisse sin da Bobby.”

“Un regalo che non avrebbe saputo come riciclare, temo” ribatte, ghignando.

Dean scoppia a ridere, di gusto. La viscida sensazione di poco prima già dimenticata.

“Questa è stata perfida, Sammy” commenta, scivolando in macchina.

 

 

La statale è deserta. Be’, dopotutto chi si metterebbe in viaggio il giorno di Natale?

Ai lati della strada svettano piccoli monticelli bianchi, sormontati da rami caduti e vecchi tronchi. Dean si tiene al centro della carreggiata, esattamente sulla doppia striscia continua, augurandosi di non veder arrivare nessuno dalla parte opposta.

Nella sua mente si affollano visioni di prosciutto arrosto e patate dolci, tacchino farcito e pan di zenzero…

“Stai sbavando” esclama Sam, divertito.

Dean si riscuote dalla sua fantasia.

“Eh?” chiede, confuso. “Perché dovrei?”

“Hai quell’espressione beata solo quando pensi alle donne o al cibo, e a giudicare dal tuo stomaco…”

“Quanto è arguta, signora Fletcher!”

“Molto dive… Attento!”

Dean inchioda di colpo e le ruote slittano sull’asfalto bagnato. La corsa dell’auto termina qualche metro più avanti, contro un imponente abete. L’impatto è violento, ma non frontale.

“Sam, stai bene?” mormora Dean, portandosi una mano al volto.

“Sì” è la pronta risposta. “Tu?”

“Ho picchiato contro il finestrino, ma sto meglio della mia piccola. Che diavolo ti è saltato in mente?”

“Non hai visto nulla?” domanda l’altro, esterrefatto.

“Visto che cosa?”

“Ssshh, ascolta!”

Dean resta in silenzio, prestando orecchio al minimo rumore, poi scuote la testa. Suo fratello è concentratissimo, attento.

“Ecco, di nuovo!” urla, gettandosi fuori dal veicolo.

Lo segue immediatamente.

Il cambio d’altezza gli dà le vertigini, anche lo stomaco protesta.

Fantastico, una commozione cerebrale.

“Mi stai preoccupando, Sam” dice, sostenendosi alla portiera. “Torna dentro.”

Sam si guarda intorno. Il suo sguardo si perde fra gli alberi, rapito. Ammaliato.

“Sam?” prova Dean, avvicinandosi.

Il cuore gli batte all’impazzata nel petto, pompando nelle sue vene adrenalina e paura. Rivede la neve del parcheggio, una massa informe e sporca che lentamente marcisce al suolo…

Puttanate del cazzo!

Fa un respiro profondo e si impone di calmarsi.

“Sam?” Questa volta con dolcezza, sfiorandogli il braccio.

Gli occhi del fratello sono fissi, folli. Scatta nella foresta.

“Dannazione!” esplode, lanciandosi all’inseguimento.

Sam lo distanzia subito. Corre veloce, risoluto: sa dove andare. Dean, al contrario, non ne ha la più pallida idea. La foresta gli scorre alle spalle in un indistinto caleidoscopio di verdi e marroni, esacerbando la sua nausea. Gli ronzano le orecchie, avverte una pulsazione sgradevole alla gola. Rami e fronde gli frustano il viso e le braccia.

Griderebbe al fratello di fermarsi, ma non può sprecare neppure un filo di fiato.

Una repentina svolta a sinistra e Sam scompare dalla sua vista.

Merda!

Si getta in quella direzione, ma di Sam non c’è traccia. Svanito.

Sente le gelide dita del panico carezzargli il cuore, delicate e velenose.

No, devo restare concentrato.

Serra le palpebre e ascolta il bosco intorno a lui: passi, pesanti; rami che si spezzano. È nella direzione giusta e Sam ha ben poco vantaggio, ha rallentato.

Qualche minuto e intravede la fine della linea degli alberi, una radura.

Sam è al centro di questo immenso semicerchio innevato. Il giubbotto lacero, il volto pallido e graffiato, il respiro corto…

“È qui” ansima, eccitato.

“Chi?”

Impugna la pistola, ma non c’è nulla cui sparare.

Suo fratello sorride, poi qualcosa lo fa volare per aria. Atterra di schiena, senza un lamento, quasi un metro più in là. Una manciata di secondi e comincia a gridare. Si agita e si dimena, cercando di liberarsi.

Il patto.

I segugi infernali.

Zanne e artigli.

Dolore.

“Sam!” urla Dean, correndo verso di lui.

Un piede in fallo, un secco crack e si ritrova a terra, la faccia nella neve.

Solleva la testa, tremante, e finalmente lo vede: un fottutissimo cane nero.

È gigantesco, mostruoso. Una chiostra di denti affilati grondanti densa bava sanguinolenta; il pelo lercio, laido; una zampa affondata nel ventre di Sam.

La creatura si volta e a Dean pare di scorgere una sadica gioia nei suoi enormi occhi gialli, prima che si chini sul collo di suo fratello.

Alza il braccio e fa fuoco. Quattro, cinque, sei volte.

Il mostro crolla su Sam, schiacciandolo col suo peso.

Fiato caldo contro il viso.

Carne guasta, decomposta.

L’oscurità porta via ogni cosa, tranne il fetore… Marcio, asfissiante. Definitivo.

Saaam!” Disperato, impotente.

Levatelo di dosso, per favore.

Soffocherà, soffocherà…

Dean prova a rimettersi in piedi. Fa leva sulle braccia e sulla gamba sinistra. Arriva a metà strada e la destra, come una zavorra, lo trascina nuovamente giù.

Affonda nella neve e il dolore si fa sopportabile: non più un’accecante e continua scarica, bensì un sordo pulsare sempre più distante. Resta immobile, lasciandosi cullare dalla benigna morsa del gelo. Torna il basso ronzio, spia di due polmoni ormai sul punto di cedere.

E Sam? Lascerai morire anche lui? Ammesso che non sia già morto, certo…

È ancora vivo, sta zitto!

Si solleva sui gomiti, riprendendo a respirare in avide boccate. Poi comincia a trascinarsi in avanti, artigliando con furia ghiaccio e terreno. In un attimo è madido di sudore. Grosse gocce gli imperlano la fronte, scivolando, impietose e brucianti, fino agli occhi. Sbatte rabbiosamente le palpebre nel vano tentativo di scacciarle via. Non può concedersi il lusso di fermarsi: da quanto tempo Sam è lì sotto? Due minuti? Tre? Troppi, comunque.

Tieni duro, fratellino.

È vicinissimo ormai. Il tanfo dell’animale gli riempie le narici e gli stringe la gola.

Sam è lì sotto, Sam è lì sotto…

Stringe le mani intorno alla nauseabonda pelliccia e spinge con tutte le sue forze. Dopo un’iniziale resistenza, il figlio di puttana ricade dall’altra parte, scoprendo uno spettacolo agghiacciante: il corpo di Sam è costellato di tagli e abrasioni; una lunga ferita solca tutto il torso a partire dalla clavicola, dov’è lieve e superficiale, fino a raggiungere il basso ventre e il bacino. La situazione lì è decisamente peggiore: il taglio è più profondo e lascia intravedere il bianco dell’osso e tratti di intestino e altro che Dean neppure riesce a identificare.

Distoglie immediatamente lo sguardo e si china sulla bocca parzialmente dischiusa di Sam. Non respira.

Merda, merda, merda…

Si assicura che la gola non sia ostruita e immette aria nei polmoni di suo fratello.

“Uno, due.”

Pausa.

“Tre, quattro, cinque.”

Un’altra pausa.

Coraggio, Sammy. Coraggio.

Poggia le dita sulla carotide, pregando di trovare ancora un battito. C’è, seppur debole e stentato.

“Grazie” mormora del tutto ignaro delle lacrime che gli rigano le guance.

Riprende la respirazione.

Dodici insufflazioni al minuto, finché lo stato del ferito non cambia”, abbaia suo padre. L’eco dei suoi ordini nella testa stranamente confortante.

Rimetterò a posto le cose, starai bene Sammy, vedrai.

Un lungo singulto, un accesso di tosse e Sam respira di nuovo.

Gli occhi di Dean corrono alla ferita che erutta un vivo fiotto cremisi. La comprime con forza, sentendo i muscoli di suo fratello contrarsi di rimando. Un basso lamento sfugge a entrambi.

“Ecco, con calma. Respiri lenti e profondi, Sammy” sussurra, incoraggiante.

Le palpebre di Sam tremolano nel tentativo di sollevarsi.

“D-Dean?” incomincia, incerto.

“Ehi, sono qui” risponde, scioccato.

La voce di Sam è flebile, quasi afona.

Pensi ancora di poterlo salvare?

Due occhi colmi di dolore e confusione si posano nei suoi: “C-cos’è successo?”

Non sono riuscito a proteggerti.

“Una sosta non prevista. Cosa ricordi?”

“L’incidente... qu-qualcosa che m-mi chiamava... C-cos’era?”

Dean scuote la testa: “Un figlio di puttana morto.”

“Che c-cos’era, Dean?” insiste.

“Un cane nero.”

Sam resta in silenzio, assimilando la notizia, consapevole che quelle creature siano presagi di morte.

“L’hai vi-visto a-anche tu... p-prima di...?” domanda, qualche minuto dopo.

Ucciderlo?

“D’n?” Speranzoso, implorante.

Non dargli motivi per smettere di lottare.

“No, ho praticamente sparato all’aria” ribatte Dean.

L’altro sospira, apparentemente più tranquillo.

“Tieni duro, Sam: presto arriverà la cavalleria.”

Smette di reggersi con la sinistra, usandola per frugare nelle tasche di Sam e andando automaticamente a pesare sul torace di suo fratello e sulla sua gamba rotta.

“Scusa” mormora a denti stretti, in risposta all’urlo strozzato di Sam. “Ci sono quasi.”

Quando finalmente riesce ad afferrare il cellulare, ansima terribilmente e sente il sangue di Sam filtrargli fra le dita.

Lo schermo è crepato in più punti, ma l’apparecchio sembra andare.

Una sola chiamata, ti prego.

Compone il numero del pronto intervento.

Andiamo, andiamo, andiamo.

Un acuto beep e la chiamata si interrompe.

“Che dia…?”

Osserva meglio il piccolo led e realizza che non è visibile alcuna barra di segnale: non c’è campo.

No, non è possibile.

Depone gentilmente il cellulare a terra, svuotato.

È Sam a riscuoterlo qualche momento dopo: “D-Dean?”

Un rivolo rosso gli sporca il labbro inferiore, Dean lo lava via con cura. Un attimo prima c’era, quello successivo non più.

Un sorriso gli tende il viso: “Ci toccherà solo aspettare che si freddi il tacchino e Bobby manderà qualcuno a cercarci. L’Impala è ben visibile e non siamo lontani dalla strada: ci troveranno presto, vedrai.”

Non ci credi neppure tu…

Sam annuisce, poco convinto. Stanco.

La sua attenzione tutta per il cielo grigio che li sovrasta.

Non lasciarlo andare via.

“Ehi, sai dove ho imparato questa complessa tecnica di compressione?” incomincia Dean, allegro.

Questo sembra ridestare l’interesse del fratello: “N-no, do-dove?”

“Dr Sexy, MD” ribatte, ghignando.

Una smorfia familiare si dipinge sul volto di Sam, quell’espressione esasperata e affettuosa che in sintesi ha sempre chiesto a Dean e al resto del mondo come fosse mai possibile che loro due condividessero lo stesso corredo genetico.

Ti prego, fa che non sia l’ultima volta che la vedo.

“Davvero. Ellen Piccolo doveva arrestare l’emorragia di un paziente che non poteva essere operato, aveva ingoiato una bomba o qualcosa del genere…”

“C-che caz-zata… e la bom-ba?”

Il sorriso di Dean si allarga: “Visto che ci sei già dentro? Comunque, non ricordo. Dopo c’è stato un bacio lesbo fra la cinese e la dottoressa nevrotica…”

“O-ok, capi…”

Sam comincia a tremare. Il suo corpo si inarca e torna a rilassarsi, come attraversato da intense scariche elettriche. Gli occhi si rovesciano all’indietro.

No, no, no, no, no. Non può essere. Non dopo Cold Oak. Non con la consapevolezza che nessun demone accetterebbe un patto con lui, non quando sa che ogni dannato pennuto è ormai tornato al suo nido.

La mano di Dean scatta, quasi di propria iniziativa. Colpisce il fratello più volte, incapace di arrendersi: “Non provarci neppure ad abbandonarmi così, Sammy” supplica, attirandolo a sé.

E Sam risponde al suo richiamo. Socchiude le palpebre e sussurra alcune parole, subito portate via dal vento.

“Cosa?” domanda Dean, chinandosi ulteriormente. L’orecchio contro le labbra dell’altro.

“L-le fa-te della f-fore-sta…”

“Non ti sembra che questa cazzo di foresta fosse già troppo affollata, fratellino?”

“Pa-pà era f-furioso…”

E Dean comprende: Sam e la sua cotta per Campanellino…

Era un inverno come questo, gelido e inclemente. Suo fratello doveva avere quattro, cinque anni. Uno scricciolo adorabile e curioso come una scimmia. Il padre li aveva trascinati fra i monti, a caccia del fottutissimo yeti, per quanto ne sapesse Dean. Li aveva lasciati in una baita puzzolente, sbattendo la porta e ricordando loro che valevano sempre le solite regole: niente estranei e niente giochi all’aperto. Il rombo dell’Impala aveva salutato la sua partenza. Cinque minuti dopo, Sam si era spalmato contro la porta di ingresso, pronto a rotolarsi nella neve. Dean, più responsabile, aveva resistito altri dieci minuti prima di dargliela vinta.

Dopo due pupazzi di neve e una guerra con palle grosse come cocomeri, Sam si era gettato a terra, senza dimenticare di fare il suo angelo. Dean si era accomodato al suo fianco: “È ora di rientrare, i vestiti devono essere asciutti per quando tornerà papà.”

Sam aveva scosso la testa, sovrappensiero: “Pensi che ci siano fate nella foresta?” aveva chiesto, osservandola.

Prima che Dean potesse rispondergli, si era lanciato nella macchia, ridendo.

“Sam, torna qui!” aveva ordinato il maggiore, raggiungendolo in tutta fretta. “Non provarci mai più, stupido!”

“Non chiamarmi così!” aveva ribattuto l’altro. “Volevo vedere le fate. Credi che siano come Trilly?”

“Non ne ho idea” aveva risposto Dean, stringendosi nelle spalle.

“Possiamo dare un’occhiata in giro? Solo cinque minuti.” La vocetta implorante, broncio e lucciconi in posizione.

Dean si era guardato intorno. Nella tranquilla penombra offerta loro dalle chiome degli alberi, il sentiero che conduceva alla baita appariva vicino e rassicurante.

“Non di più però” aveva detto, prendendolo per mano.

Si era avvicinato a un tronco e ne aveva piegato i rami.

“Come Hansel e Gretel!” aveva esclamato l’altro, ammirato.

“Spero un po’ meglio, Gretel.”

“Tu sei Gretel!”

“No, tu!”

“Basta, lo dico a papà” aveva piagnucolato Sam.

Avevano poi proseguito per un po’, spintonandosi a vicenda.

Quando un fiocco di neve gli si era posato sul naso, Dean aveva deciso che era tempo di fare dietrofront.

“Va bene” aveva acconsentito un infreddolito Sam.

Una manciata di minuti e Dean aveva capito che si trovavano in un grosso guaio. Nonostante i segni lasciati, era completamente disorientato e, a giudicare dall’incuria generale, si stavano inoltrando sempre più verso il folto del bosco.

“Dean, quando torniamo? Sono stanco.”

“Ssshh, Sammy. Non fare rumore, mi è sembrato di vedere una fatina e potresti farla scappare…”

“Davvero?” aveva gridato il minore, eccitatissimo. Si era poi portato una mano alla bocca, intimando il silenzio a suo fratello.

Dean aveva annuito: “Da questa parte.”

La neve cadeva sempre più fitta. Il freddo intenso trasformava i loro respiri in bianca condensa. Se non avessero trovato un riparo, sarebbero morti. Dean lo sapeva, era stato uno dei primi insegnamenti di suo padre, del nuovo John: mai farsi sorprendere dal buio all’aperto.

Aveva velocemente individuato un tronco cavo, indicandolo a Sam.

“Non mi piace. È vecchio e puzza di muffa.”

“Dici? A me ricorda tanto la tana dei bimbi sperduti…” aveva buttato lì Dean.

“Hai ragione, dobbiamo entrarci. Trilly verrà sicuramente a cercarci qua!”

Si erano accoccolati alla bell’e meglio su uno spesso strato di muschio, disseminato di noci e gusci vuoti. L’odore era penetrante, ma in un certo senso confortante.

Dean si era messo Sam fra le gambe, circondandolo col suo corpo. “Stai bene così?” aveva chiesto, dopo poco.

“Ci siamo persi, vero? Come Hansel e Gretel.”

“Papà ci troverà, vedrai.”

“E ti sgriderà, a causa mia” aveva mormorato Sam, colpevole.

“Probabile” aveva acconsentito l’altro, guardando a quel momento con desiderio. La notte sempre più vicina.

Quando Sam aveva cominciato a tremare fra le sue braccia, Dean l’aveva stretto con più forza.

“Resta sveglio, fratellino. Se ti addormenti, le fate non ci porteranno nel loro castello” aveva sussurrato contro i suoi capelli, sforzandosi di restare sveglio a sua volta.

“Le sento, Dean. Le fate cantano.”

“Sì?”

Sam aveva annuito: “Tu non riesci a sentirle?”

“No, sarò troppo vecchio per loro…”

In quel momento, avevano udito entrambi la voce del padre. Li aveva trovati seguendo le loro tracce sulla neve fresca e, passato lo spavento, si era assicurato che imparassero a seguire i suoi ordini, soprattutto Dean…

“Già, non dirlo al mio culo: non sono riuscito a sedermi per almeno un mese…”

Sam sorride: “L-le sen-to, D’n. Stan-no c-cantan-do” si sforza di dire.

Questa volta, Dean lascia che il sangue gli scivoli lungo il mento. “Sì? Io non sento nulla, sarò troppo vecchio per loro” ribatte, le lacrime che gli solcano il viso.

Sam chiude gli occhi. Una parte di Dean sa che non li riaprirà più, eppure non fa meno male quando, qualche istante più tardi, il suo petto smette di sollevarsi.

“Dannazione, Sammy.”

Affonda il viso nell’incavo del suo collo, deciso a morire esattamente così. Il freddo ha smesso di turbarlo, proprio come la gamba. La verità è che niente potrà mai toccarlo, non dopo questo.

“Dean.”

Be’, quasi niente: “Sammy, sei ancora qui. Più o meno.”

“Meno, direi. Ho poco tempo, voglio solo assicurarmi che…”

“Che io stia bene?” domanda Dean, incredulo. “Forse dovevi pensarci prima di farti sbranare, fratellino.”

“Che tu sia vivo, per quando arriveranno i soccorsi” ribatte Sam, stentoreo.

“Sei decisamente il fantasma più prepotente che abbia mai visto, ma ho una confessione da fare.”

“Cosa?”

“Ho visto anch’io il nostro cucciolone.”

“Dean!”

Ed ecco che ricompare la faccia da stronzetto.

Non esattamente il modo in cui mi auguravo di rivederla, ma meglio di niente.

Sam si siede accanto a lui. La sua mano lo sfiora, più gelida della neve. Dean sopprime un brivido, ricercando quel tocco immateriale.

Sente le palpebre farsi pesanti e le lascia ricadere. Le dita del fratello che si intrecciano fra i suoi capelli.

“E impari in fretta.”

L’altro sbuffa: “Basta essere incazzati neri per farlo, ricordi?”

Dean si sforza di riaprire gli occhi, ma non riesce a guardarlo in faccia: “Sei arrabbiato con me?”

Perché non ho saputo proteggerti?

Sam sorride, esasperato: “Non credi che dovrebbe essere il contrario, idiota?”

“Mmh… come vuoi” concede, sopprimendo uno sbadiglio. “Sai, Sam, ora le sento.”

“Le fate? Cosa dicono?”

“Di dormire, perché…”

Inspira una boccata d’aria, l’odore di Sam misto a quello del suo sangue.

Versa nuove lacrime brucianti.

Mi dispiace, Sam. Mi dispiace.

“Perché?” domanda il fratello, continuando a carezzarlo.

“Perché al mio risveglio saremo di nuovo insieme” mormora, imbarazzato.

La stretta di Sam si fa più solida, più reale, mentre il resto del mondo sembra perdere consistenza.

“Hanno ragione, Dean. Non andrò via senza di te.”

Dean chiude gli occhi, rassicurato: “’kay, Sammy…”

 

 

 

Note: Scritta per il compleanno della mia Soulmate/Beta reader. Ti voglio bene, Aliciuzza. Giuro che presto mi dedicherò a una sick!Sam, solo per te <3

Trovo che la canzone citata all’inizio sia perfetta per questa fic, cosa ne pensate? Fatemi sapere ^^

   
 
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