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Autore: Mikiri_Tohoshima    08/05/2011    2 recensioni
Storia che partecipa al concorso sulla pagina Koogai anime couples
La Bella e la Bestia in chiave Sufin, una bestia orribile chesi troverà a vivere con una creatura di infinita bellezza.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Finlandia/ Tino Väinämöinen, Svezia/Berwald Oxenstierna
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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La Bella e la Bestia

La Bella e la bestia

C’era una volta un principe che viveva circondato dalla bellezza. Era di aspetto gradevole, e la sua maniacale vanità lo portò a vivere per lunghi anni in solitudine nel suo castello, assieme ai suoi servitori.

Una notte di tempesta, gli fu annunciato un ospite inatteso. Era una vecchia brutta, gobba e con il viso butterato dal vaiolo, che portava con sé una rosa, cercando di proteggerla con le dita adunche e rugose dal tempo impervio. Il principe la fissò a lungo, chiedendole cosa voleva, e la vecchia chiese riparo solo per quella notte. E l’avrebbe ripagato con quella rosa, marcia e avvizzita, che cercava in ogni modo di proteggere.

Il principe scoppiò a ridere, cacciandola via, ma la vecchia insistette. Dopo tre rifiuti, una luce abbagliante avvolse la vecchina, rivelando la sua vera natura. Era una bellissima fata, e il fiore che teneva tra le mani era rinvigorito, dallo splendido colore rosso sangue.

Riconoscendo quella creatura, il principe cadde in ginocchio, chiedendo pietà, ma la fata, disgustata dal suo modo altezzoso ed egoista, lo punì. Il suo aspetto avrebbe terrorizzato chiunque si fosse azzardato di entrare nel castello, e la maledizione si sarebbe sciolta solo quando un animo puro avrebbe superato la paura e lo avrebbe amato nonostante tutto. Amare lacrime caddero dagli occhi glaciali del principe, quando rientrò nel castello, e tutti i servitori, terrorizzati dal suo aspetto, fuggirono. Rimase soltanto la sua cagna, incinta e mezza cieca, che gli leccò la mano, fedele.

Nei dintorni dilagò la notizia che il principe fosse diventato un mostro, e nessuno affrontò più il sentiero in mezzo alla foresta, così, i lupi e le bestie selvagge, non più cacciate dagli uomini, divennero inconsapevoli guardiani della foresta e del castello che celava il suo signore spaventoso.

 

In un piccolo villaggio poco lontano da lì, un giovane andava al mercato con un cestino sotto il braccio e una mantellina a proteggerlo dal freddo. Stava arrivando l’inverno e gli ultimi raggi caldi dell’autunno salutavano quel mezzogiorno come una speranza.

Tino, era questo il nome del giovane, era l’unico figlio di un inventore un po’ stravagante, e diversamente da tutti gli uomini del villaggio che passavano le giornate a bere nella taverna e a vantarsi di quanti cervi avessero preso quella settimana, aveva un carattere molto tranquillo, e spesso doveva accudire il padre. Amava gli animali, anche se le circostanze, la potente allergia dell’inventore per il pelo, non gli avevano mai permesso di poterne tenere uno a parte il vecchio cavallo da tiro.

Il mercato del villaggio era sempre frenetico e pieno di vita e confusione, ma Tino aveva degli obiettivi preciso, e riuscì a non farsi trascinare dalla calca, fino al momento di raggiungere il bancone del pesce. Forse il destino beffardo, oppure una cattiveria, il ragazzo inciampò e cadde a terra, tra le risa di scherno da parte di un gruppo di giovani prepotenti. Rosso in viso, raccolse tutte le sue cose, e fuggì a casa, imbarazzato ed umiliato. Non c’era nulla per lui, in quel villaggio. Non tra quella gente ubriaca e inetta. Lo sapeva lui, lo sapeva suo padre, ma non potevano farci nulla. Li vivevano, e li dovevano restare.

Mentre metteva in ordine la cucina, sentì un boato provenire dalla cantina, una cosa praticamente normale, ma ogni volta provava sempre una certa angoscia... Suo padre non era più un giovanotto, e ogni colpo che prendeva, Tino aveva paura fosse quello che lo portasse all’altro mondo. Invece, quando arrivò nel seminterrato illuminato dal fuoco, capì che, finalmente, suo padre ce l’aveva fatta. ≪ Parto per la fiera, figliolo. Vuoi un regalo, per quando tornerò a casa?≫. Tino ci pensò su, per poi sorridere. ≪Mi basterà una rosa. Un ramo di rosa che potrò piantare in giardino.≫. L’uomo annuì, e si mise a fare i bagagli.

Salutò il figlio raccomandandogli di badare alla casa, e partì. Tino, un po’ in pensiero per quel lungo viaggio, rientrò in casa, almeno sapendo che suo padre era diretto in un posto dove lo avrebbero apprezzato.

Durante il viaggio, l’inventore si trovò attaccato dai lupi. Ma perché aveva deciso di attraversare la foresta? Fuggendo da quelle bestiacce, fece galoppare il cavallo fino a giungere ad un cancello socchiuso. Non aveva nessuna voglia di affrontare di nuovo i lupi, così l’inventore scese dal calesse e aprì il cancello, chiudendoselo dietro. Avrebbe fatto riposare il cavallo fino al mattino dopo, poiché il sole in quel momento stava tramontando.

Si guardò intorno, stupefatto. Al di là del cancello c’era un magnifico castello, purtroppo in rovina. Lasciò il cavallo accanto ad un abbeveratoio, mentre si avventurava dentro il maniero. Non sapeva che c’era qualcuno ad osservarlo.

L’uomo camminò adagio nell’ingresso, chiamando a gran voce, chiedendo appello a chiunque abitasse in quel luogo, senza avere risposta. Giunse in una sala da pranzo grande due volte la sua intera casa, dove la tavola era apparecchiata con ogni ben di dio e nei camini ardeva il fuoco. Perplesso, l’inventore rimase un attimo ad osservare la scena, ma poi la fame superò la paura, e quelle pietanze emanavano un buon profumo, così si sedette e si servì quel poco che gli sarebbe bastato per sopravvivere. Mentre mangiava, sentì accanto a sé un uggiolio, e notò una grossa cagna bianca e nera che spingeva il muso contro la sua gamba.

L’allergia al pelo lo fece sternutire, e la cagna, dal suono improvviso, si spaventò e scappò via. Perplesso, l’uomo la seguì, e si ritrovò in un magnifico giardino.

Nonostante l’avanzata stagione, tutti i cespugli erano in fiore, e la cosa che più colpì l’inventore fu un roseto pieno di magnifici fiori rossi come il sangue. Ricordando la promessa fatta al figlio, tirò fuori dalla tasca, piena di oggetti utili per le riparazioni, una cesoia, e si avvicinò per tagliarne un ramo.

In quel momento sentì una mano forte prenderlo alla gola e lanciarlo lontano dal roseto. ≪T’ ho off’rto c’bo e rist’ro... E tu mi r’paghi così? Non d’vevi os’re tr’ppo. Ad’sso m’rirai!≫. L’inventore riuscì a scorgere il... volto della creatura, e il terrore gli invase le membra. ≪La prego, la prego non mi uccida! Volevo soltanto fare un regalo a mio figlio che non aveva altro desiderio di possedere un roseto! Non mi uccida per favore!≫. Il principe si fermò, rimettendo il pugnale che aveva sguainato nel fodero. ≪ P’rtami t’o f’glio. Pr’nderà il t’o p’sto. F’llo o ti ucc’derò≫.

All’inventore caddero le braccia e la disperazione fu l’unico sentimento che riusciva a provare. Ma la sua codardia lo fece prendere il cavallo il mattino dopo e tornare al villaggio a dare la cattiva notizia a Tino che lo aspettava ansioso.

Qui mi permetto di aprire una parentesi. Il principe Berwald, questo è il suo nome, prima di venire maledetto dalla fata, aveva una preferenza per i giovani uomini rispetto alle fanciulle. Questa faccenda sarebbe stata di rovina per il regno, poiché anche le giovani principesse non volevano avere anche fare con un individuo screanzato e vanesio come era il principe.

Per questo motivo, Berwald contava soprattutto che a sciogliere la maledizione riuscisse un giovane e puro “ragazzo” piuttosto che ad una pura e casta donzella. Per questo motivo, appena udì che l’inventore aveva un figlio, decise di metterlo alla prova. In caso contrario, lo avrebbe ucciso senza pietà come non aveva potuto fare con il padre.

Quando Tino vide tornare il padre a cavallo capì che era successo qualcosa di grave. Ancor prima di vedere il suo viso segnato dalla sofferenza. Lo fece entrare e andò a curare il cavallo, per poi rientrare. ≪Padre, che è successo? Dov’è il calesse?≫. L’uomo non riusciva a parlare, da quanto era sconvolto, ma alla fine si decise. E raccontò tutto quanto al figlio, compreso il fatto che, se lui voleva vivere, avrebbe dovuto spedire suo figlio verso la prigionia. Tino ascoltò attentamente, per poi capire cosa doveva fare. Lui amava suo padre, avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di aiutarlo. ≪Padre... io... andrò da lui.≫. Decise, mentre preparava una borsa. ≪Ma... figlio mio, ti ucciderà!≫. Tino si infilò la sua mantella. ≪E se non vado ucciderà te. Preferisco morire a 18 anni piuttosto che vivere senza di te.≫.

Il padre si commosse per le parole del figlio, e lo portò fino al castello. Lì lo salutò con le lacrime agli occhi e si congedò. Tino rimase qualche secondo a guardarlo andare via, per poi passare attraverso il cancello ed entrare nel castello.

I suoi passi rimbombavano nell’atrio vuoto, e ad ogni fruscio il ragazzo sobbalzava spaventato. Si bloccò quando udì una voce. ≪Sei il f’glio dell’inv’ntore?≫. Tino annuì. ≪Sì... signore...≫. Il principe sospirò, a guardarlo. Era davvero una creatura graziosa. ≪N’n tem’re. Non v’glio f’rti m’le...≫. Detto questo, si mostrò a lui.

Tino dovette far fronte a tutto il suo sangue freddo per non fuggire terrorizzato. Ma aveva fatto una promessa, e decise di mantenerla. Quindi, tanto di restare a tremare come una foglia, fece un inchino profondo, pur di staccare gli occhi da quella figura spaventosa. Berwald lo osservò a lungo, leggermente intristito da quell’inchino prolungato, poi si voltò, ordinando gli di seguirlo.

Lo condusse lungo i corridoi del castello fino ad una stanza lussuosa. ≪D’rmirai qui. B’na n’tte.≫. Tino ricambiò il saluto, entrando. Era tutto così diverso da casa sua... E, quella... creatura era così spaventosa... Però non capiva una cosa. Non aveva neanche avuto il tempo di metterlo a fuoco che subito aveva avuto paura di lui. Era istinto, oppure qualcosa di più grande e incomprensibile? Alzò le spalle, decidendo di rimandare al giorno dopo tutti i dubbi e le perplessità.

Il mattino dopo il palazzo fu svegliato da un breve strillo di paura. La prima cosa che vide Tino appena sveglio fu il principe che metteva in ordine i suoi vestiti, e il grido gli uscì fuori naturale. Berwald non si scompose, mentre gli indicava un vassoio su un tavolino. ≪ La c’laz’one...≫, Tino riuscì a ritrovare voce e spirito, e depose lo sguardo sul portavivande. Se era la “bestia” a cucinare, questo voleva dire che era una bestia cuoca. Non tanto male, in fondo.

Dopo la colazione, Berwald gli lasciò un po’ di privacy per vestirsi e lo guidò per il castello, mostrandogli tutte le stanze. Tino rimase affascinato dalle scuderie, ormai vuote, e dall’immensa biblioteca.

Passò giornate molto piacevoli anche se in compagnia del mostro, poteva leggere, vezzeggiare la cagnolina del principe e quasi non sentiva la nostalgia di casa.

Un brutto giorno, accade una cosa molto triste. Dana, la fedele cagna di Berwald dovette partorire. In quel momento Tino era nella biblioteca a leggere, quando udì il principe chiamarlo. Quando uscì, lo vide con i vestiti ricoperti di sangue. ≪Sire, cosa, è successo? ≫. Chiese intimorito, anche se ancora non riusciva guardarlo negli occhi un po’ ci aveva fatto l’abitudine. Berwald era addolorato. ≪ D’na... è m’rta...≫. Tino si portò le mani al viso, dispiaciuto. A lui quella bella cagna piaceva così tanto... ≪ E... i cuccioli? ≫. Berwald abbassò la testa. ≪ S’no m’rti.... a p’rte qu’sto...≫. e tirò fuori da dietro la schiena una cagnolina dal pelo bianco candido. ≪ È p’r te... T’no...≫.

Il cuore di tino passò da addolorato a intenerito e la prese tra le mani, guardandola dolcemente. ≪ È così piccola...≫ Mormorò... ≪ Davvero è per me?≫. Berwald, che gli dava la schiena per non spaventarlo oltremodo, annuì. ≪ Ho s’p’to che d’sider’vi un an’male... ≫. Tino chinò il capo riconoscente. ≪ Me ne prenderò cura... Sarò come la mamma che ha perso...≫. Berwald sorrise tra sé. ≪ S’no c’rto che sar’i in gr’do di f’rlo...≫.

Quell’evento aumentò la stima di Tino nei confronti del principe. Sembrava sapesse in anticipo di cosa avesse bisogno, e ogni minimo gesto era intriso di delicatezza e bontà. Era... felice di quell’amicizia creata con la bestia, ma dentro di sé soffriva. Hanatamago, così aveva chiamato la cagnolina, faceva progressi di giorno in giorno, ma Tino sentiva la mancanza di suo padre.

Non aveva sue notizie, e man mano che si avvicinava la primavera, avrebbe voluto andarlo a trovare. O almeno sapere come stava...

Il principe si accorse che c’era qualcosa che non andava in Tino, e gli chiese schiettamente che cos’aveva. Anche se non voleva far soffrire il suo ospite, il giovane gli rivelò il suo tormento. Berwald ascoltò attentamente le sue parole, e decise di fargli un altro regalo. Gli donò uno specchio magico, con il quale poteva vedere le persone anche al di là del mondo.

Tino usò subito lo specchio, e il suo cuore si riempì ancora di più di angoscia, vedendo il padre ammalato. Supplicò la bestia di farlo tornare a casa almeno per un giorno per poter assistere al genitore, e in quel momento, Berwald capì che, se dentro di sé amava veramente Tino e non lo considerava di sua proprietà, avrebbe dovuto fare il giusto.

I suoi occhi celesti indugiarono sulla figura che procedeva veloce sul cavallo lungo la strada verso il villaggio. Dentro di sé soffriva per la mancanza del giovane, gli aveva detto di tornare entro una settimana o sarebbe morto di dolore, ma anche se fosse morto, l’avrebbe fatto con il sorriso, sapendo che Tino era al sicuro e felice assieme a suo padre.

Quando Tino arrivò a casa, suo padre quasi non lo riconobbe da quanto sembrava cresciuto. Ed era diventato... bello. Tino gli stette accanto durante quei giorni, lo curò e lo assistette fino a quando l’uomo non si sentì veramente meglio.

Ma Tino si rese conto che nel dolore di quei giorni, si era scordato la promessa fatta alla bestia, e che erano passati otto giorni da quando l’aveva lasciato. Dentro di sé il senso di colpa gli avvolgeva le viscere mentre sellava il cavallo, deciso, nonostante le richieste del padre, a tornare al palazzo del principe.

Fu un viaggio breve ma estenuante, e quando arrivò, udì le grida di dolore del mostro che lo guidarono su per le scale. Quando finalmente raggiunse il balcone, lanciò un muto gemito impaurito, vedendolo a terra ricoperto di ferite, che capì, dalle unghie insanguinate, si era fatto da solo.

Si chinò sul suo corpo esanime con le lacrime agli occhi. ≪Ti prego, non morire... sono tornato, sono qui...≫. Il principe socchiuse gli occhi, per poi fare un leggero sorriso. ≪ S’i qui...≫. Sollevò una mano per carezzargli il viso, ma ricadde. ≪T’no...≫. il giovane scosse la testa, con le lacrime agli occhi.≪ Non... non morire! Io... io ti amo...≫.

Ma fu troppo tardi. Gli occhi di Berwald rimasero chiusi, e le sue dita, ancora inarcate nell’atto di toccare il viso del più giovane, erano fredde. Tino si mise a piangere sul suo petto, lacerato dal dolore della perdita di quella... persona che ormai aveva imparato ad amare. Non udiva neanche il suono del cuore del principe che ritornava a battere. Si accorse solo delle sue grandi braccia forti che lo stringevano dolcemente a sé, e le sue parole nell’orecchio. ≪ H’i sp’zzato la m’led’zione... Gr’zie...≫. Tino sollevò i grandi occhi pieni di lacrime su di lui, per poi incontrare le sue iridi blu come il mare. ≪ Principe Berwald? ≫.

Non era cambiato. Era lui, il principe che amava. Solo che ora nel suo cuore non c’era più terrore per ogni volta che lo guardava negli occhi, ma solo profondo amore. Con uno slancio, lo baciò, aggrappandosi a lui, ricambiato con dolcezza.

Il regno tornò allo splendore di un tempo, e il principe potè vivere per sempre con il suo amato Tino. Riguardo il problema dell’eredità, lo risolse senza fatica, dato che suo fratello aspettava un bambino. Il padre di Tino non capì mai cosa potesse di trovare tanto bello in un altro uomo, ma alzò le mani e si dedicò alle sue invenzioni.

E Il Principe Berwald e il giovane che lo aveva riportato alla sua forma umana, vissero per sempre felici e contenti.

 

 

Ed un’altra Sufin mi rovinerà la vita... xD Era tipo tutta la vita che volevo scriverla, ed eccola qua‼! Me è tanto felice! Spero di ricevere qualche recensione, ma si dai, la Sufin piace, mi sono liberamente ispirata sia al cartone Disney che alla storia originale. Penso che ne scriverò altre...

  
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