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Autore: piccolalettrice    08/05/2011    11 recensioni
"...Lo fissai sbalordito. Se diceva la verità eravamo in pericolo. Se diceva la verità allora tutti i miei attacchi erano colpa sua. Se diceva la verità Talia aveva fatto bene a fare quello che aveva fatto. Se diceva la verità voleva dire che eravamo stati traditi di nuovo. Se diceva la verità tutte le cose successe negli ultimi tempi avevano trovato un’unica spiegazione: lui."
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Quasi tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Solo intuendo'
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SPAZIO AUTRICE:
*IL 10 ESCE IL TERZO LIBRO Di PJ!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!*
 Scusate sono un po’ tropo su di giri XD...
...Ed eccomi qui, con l’ultimo cap.
premetto dicendo che questo prodotto della mia mente può essere benissimo inteso sia come epilogo che come ultimo cap effettivo, fate un po’ voi.
Diciamo che è molto confuso, ma l’ho fatto apposta perché è proprio come qualcuno vuole far sentire qualcun altro.
Lo so, sono sempre chiara ed esauriente.
Vediamo un po’... altre cose da dire?
Non uccidetemi quando l’avrete finito.
A dir la verità non mi convince molto, avrei voluto concludere con qualcosa di veramente bello ma... è questo che mi è uscito, quindi dovete accontentarvi, mi spiace...e poi è più corto del solito.
Che dire spero che vi invogli a leggere il seguito (ribadisco: ci sarà il seguito)
Quindi buona ultima lettura della fic
Piccolalettrice
Ps. Posterò presto anche i ringraziamenti, e mi piacerebbe che li leggeste anche se sono solo una palla, lo so bene... grazie in anticipoJ
 
 
 
24- è la fine di un eroe?
 
Avete presente quando si ha la sensazione che sia tutto perfetto? Tutto esattamente al suo posto, come deve essere?
Bè, diciamo che la situazione in cui mi trovavo era l’esatto opposto.
Pensate alla spiaggia, al mare, al fuoco e a una canzone stonata di Hilary Duff, poi aggiungeteci un paio di minacce di morte, delle risate, e delle lunghe chiacchierate sul nuovo completo firmato di un certo traghettatore di anime, contornate tutto da un’atmosfera calda e burrosa e ditemi se non esce qualcosa di perfetto.
Talmente perfetto da essere più falso dei piedi di Grover.
Me ne stavo seduto sul tronco vicino al falò, accanto a me c’erano il satiro e Talia, ai miei piedi Annabeth giocherellava con il suo coltello e la sabbia. Io ero impegnato a sperare che la figlia di Atena non sbagliasse mira mentre infilzava sovrappensiero il tronco, Luke rideva con Talia (di nuovo), Clarisse minacciava Grover (di nuovo), Silena e Backendorf si facevano i cavoli loro e mia madre supervisionava, ridendo ogni tanto alle mie barzellette idiote. Poteva sembrare tutto un po’ troppo... innaturale, ma dopo aver passato quei giorni in stato vegetativo ed aver imparato il significato della precedente parola, anche un semplice falò di Halloween mi sembrava un lusso e per tanto ero deciso a godermelo, ignorando quel brutto presentimento che mi attanagliava le viscere.
Non chiedetemi cosa fossimo andati a fare fuori, sotto il cielo di ottobre, con quell’aria ghiacciata che sembrava volesse far atrofizzare le nostre povere chiappe, ma era appunto Halloween, dovevamo dare un po’ d’atmosfera, e il fuoco era perfetto, anche se non riscaldava certo come quello che accendevamo al campo.
Eravamo tutti davvero preoccupati per Chirone e il resto, ma avevamo raggiunto il tacito accordo che ci saremmo presi una giornata di riposo da tutte le apprensioni, così eccoci tutti riuniti intorno al falò, a pensare solo ai lati positivi... o almeno era quello che tentavamo di fare.
Malgrado le risate dei miei amici notavo che erano tutti tesi; vedevo una certa rigidità nelle spalle di Annabeth e nella mascella di Luke, l’espressione da pazza e i capelli elettrici di Talia, e Clarisse che non riusciva ad allontanarsi dalla sua spada, ora puntandola contro Grover ora lucidandola, il tutto con una posa rigida.
Sembrava quasi... la quiete prima della tempesta, ecco.
Ma non ci badai molto, volevo godermi il momento, stare tranquillo, rilassarmi e scherzare, senza dar peso a tutte le inquietudini che tentavano di fare capolino nella mia testa.
Quanto ero stato sciocco.
“...secondo me il viola gli sta meglio del giallo”
“nah, il giallo gli illumina la carnagione”
“io ce lo vedrei con un bel verde mela, che dite?”
Guardai Grover, Annabeth e mia madre, inarcando un sopracciglio:
“ragazzi state davvero parlando dei completi firmati di Caronte?”
“già Testa d’Alghe, hai qualche argomento più filosofico da proporre?” fece la figlia di Atena, punzecchiandomi l’alluce con il coltello.
“in effetti...” allontanai il piede, prima che ci prendesse gusto “non vi ho ancora raccontato quella barzelletta con la sfinge e ....”
“no! basta barzellette!” intervenne Grover “io mi sono esercitato su una nuova canzone... volete sentire?”
“prova a toccare quel dannato coso, Capra, e non avrai più una testa”
“Clarisse, ti ho mai detto che sei simpatica come un attacco di diarrea?”
“da dove l’hai copiata questa? Dal tuo amichetto “mi-credo-divertente-perché-sono-il-figlio-di-Poseidone” o da internet?”
Mia madre li fissava scuotendo la testa, mentre Annabeth li guardava con l’aria di chi la sa lunga. Io ero troppo impegnato a reprimere quello strano presentimento che sentivo alla bocca dello stomaco, che alla fine era riuscita ad aprirsi un varco nella serenità di quella notte, per dar peso alle solite discussioni di quei due o al fatto che in quel periodo la frase preferita di Annabeth fosse “l’amore non è bello se non è litigarello”.
Posai lo sguardo oltre le basse fiamme del falò, verso i confini posti da mio padre.
Quei malsani pensieri si fecero strada in me, senza che li chiamassi, senza che li volessi, indelebili e presenti più del mio buon senso.
Lui era lì. Stava aspettando solo il momento più opportuno per colpire, lo sentivo.
Mi stava guardando, osservava ogni mia mossa. Ero circondato.
“Perseus...” la voce era sibilante “vieni, Perseus, vieni”
Mi rimbombava nelle orecchie, con un silenzio assordante.
“Perseus...”
“Percy?”
Abbassai lo sguardo, Annabeth mi fissava con un’espressione a metà tra il preoccupato e l’allarmato negli occhi:
“Percy, ti senti bene?”
“sì, tutto bene” mi sforzai di sorridere “sono solo... un po’ stanco”
Mia madre guardò l’orologio
“sono le undici, credo che sia ora di andare a nanna, bambini”
I miei amici protestarono un po’ mentre io me ne restavo fermo, a fissare l’oscurità oltre il fuoco. Non avevo mai avuto così paura del buio come in quel momento.
“L’oscurità ti fa paura, Perseus?”
Ancora.
“Percy, sicuro di sentirti bene?” mi sussurrò Annabeth mentre entravamo nel bungalow. Non mi ero nemmeno accorto di essermi alzato dal tronco, di aver spento il fuoco e di aver camminato fino a lì... era tutto molto strano.
Mi voltai di  nuovo verso l’entrata del camping, il fuoco era spento, il vento sibilava e l’oscurità... faceva paura.
“Percy...?”
“io...”
Guardai gli occhi attenti di Annabeth, non potendo evitare di sentirmi almeno un po’ più al sicuro sotto quello sguardo calcolatore che temevo e adoravo in egual misura, ma che non potevo far preoccupare ancora di più, quindi risposi:
“sto bene”
“sicuro?”
“mh-mh”
Mi fissò con quella sua occhiata che sembrava leggerti dentro al cervello in un modo tanto inquietante quanto straordinario.
Forse fu tutto quel buio, forse fu colpa di quella strana voce che mi sembrava di sentire nelle orecchie, forse fu il suo sguardo preoccupato, ma ad un tratto mi chinai su di lei, incurante di mia madre che era appena dietro la soglia, e la baciai, perché in quel momento, non so perché, mi sembrava di vitale importanza farlo.
All’inizio fu un bacio leggero, lei si scostò subito, sorpresa, ma poi l’attirai a me e ripresi con più foga, come se volessi lasciarle impresso il sapore delle mie labbra.
“hai paura per la tua bella, Perseus?”
La strinsi di più, e continuai a baciarla, come aggrappandomi a lei per ore, o forse secondi.
Sentii vagamente qualcuno che si schiariva la voce e Annabeth che si allontanava di scatto.
“ragazzi... potreste... evitare?”
Alzai lo sguardo sul viso di mia madre, sui suoi occhi azzurri a metà tra lo sconcertato, il preoccupato, il sorpreso e il terrorizzato.
Stranamente non mi sentii imbarazzato, non mi importava quali filmini mentali si fosse fatta o si stesse facendo, non mi importava quanto avrebbe potuto pensare male, mi sorpresi di me stesso nel constatare che tutto ciò non aveva importanza.
Fissai i suoi occhi azzurri, limpidi, le sopracciglia corrugate in una smorfia di preoccupazione, il viso arrossato per l’imbarazzo... e, travolto da un impulso simile a quello di prima, l’abbracciai.
“Percy... cosa...?”
“paura anche per tua madre, piccolo dio?”
La strinsi forte per un interminabile secondo, quasi come a voler imprimerle nella pelle il segno delle mie braccia, poi la lasciai e senza degnare di una parola né lei né Annabeth entrai, mettendomi sotto le coperte e girandomi dalla parte del muro.
Ma cosa mi stava succedendo?
Mi rannicchiai fino quasi ad abbracciarmi le ginocchia con le braccia, sentendo sfregare i granelli di sabbia sui piedi nudi e rabbrividendo di freddo.
“sei patetico, figlio di Poseidone”
Rabbrividii ancora, ma per un motivo diverso da prima.
Rimasi sveglio non so quanto a contemplare le venature del legno invisibili per il buio, non sentii più la voce, ma l’eco di una risata sibilante persisteva.
Ero consapevole della posizione esatta dei miei amici e di mia madre nella stanza, sapevo per certo che nulla si sarebbe insinuato nella quiete dei loro sonni quella notte almeno tanto quanto ero consapevole che i miei non sarebbero stati tranquilli.
Mi girai fino ad osservare il profilo del viso addormentato di mia madre, poi lo strano riflesso delle corna di Grover, il russare di Clarisse e il respiro di Annabeth.
“patetico”
 Mi addormentai cercando di imprimermi quell’immagine in tutti i suoi dettagli.
Pensando che, forse, il desiderio che avevo avuto di lasciare qualcosa a mia madre e ad Annabeth fosse più il macabro bisogno di imprimermi qualcosa di loro perché... perché cosa? Cosa stava succedendo? Cosa diamine era quella sensazione?
Tentai di rispondere a quelle domande, ma alla fine caddi tra le braccia di Morfeo.
Quando chiusi gli occhi, fin da subito cadde un buio, se possibile, ancora più fitto di quello che aleggiava fuori e dentro il bungalow e il sogno, che forse non era proprio tale, cominciò.
Poi, pian piano, la lontana eco della risata crudele che mi perforava i timpani si fece sempre più alta fino a diventare assordante, per poi mutare in parole.
“ricordi, Perseus, solo ricordi... tu vuoi solo ricordi, ma non li terrai con te a lungo...” un’altra risata “dimenticherai... perché dimenticare è giusto, dimenticherai di conoscere perché la conoscenza è sbagliata, ciò che conosci lo è.
Abbraccia l’oscurità, figlio di Poseidone, vieni da me”.
Rimasi immobile, troppo spaventato per fare qualcosa.
“vieni, Perseus”
Un’altra risata
“vieni”
non so dove trovai un briciolo di coraggio, di forza, di cui intersecai il mio urlo:
“NO!”
Un’altra risata, che, come prima, divenne da un bisbiglio, sempre più forte fino a far vibrare le pareti della mia testa, per poi diventare urla di dolore, intense.
Non riuscivo a capacitarmi di cosa fossero... di chi fossero. O meglio, ci riuscivo talmente bene da non voler ammetterlo a me stesso:
“lo riconosci, Perseus?” un altro urlo agonizzante “è proprio lui... già... sei così affezionato a questo rifiuto divino, vero?”
Le urla si inseguivano, instancabilmente.
Urla e pianto, ecco cos’erano.
Tyson.
“NO!”
“vieni a prendere tuo fratello, allora, figlio di Poseidone” rise ancora “svegliati, esci, vieni da me”
Mosso da un impeto di furia cieca dal desiderio di salvare o vendicare mio fratello, feci come mi era stato detto. Aprii gli occhi, alzandomi di corsa, senza nemmeno mettermi le scarpe, troppo istintivo per capire il suo gioco. Intanto nella mia testa c’erano solo urla, a cui si sovrapponeva una macabra canzone:
-svegliati, esci, vieni da me... ricordi... non avrai altro che ricordi... ricordi... svegliati,esci,vieni da me... ricordi... dimenticare è giusto... svegliati, esci, vieni da me, la conoscenza è sbagliata...-
E continuava, imperterrita, come sottofondo aveva le urla di Tyson, dentro la mia testa si susseguivano immagini, immagini di sangue.
Prima c’era Tyson, nel lago rosso, poi mia madre, poi Grover, Talia, Luke, Annabeth ed infine me stesso.
Non mi resi quasi conto del vento ghiacciato che sembrava voler spingermi indietro o del fatto che il mare si facesse strada sulla sabbia solitamente asciutta, fino a lambirmi le caviglie come a voler trascinarmi con sè, non mi resi conto di nulla, c’ero solo io, la rabbia, e il desiderio di proseguire.
Andai avanti, inesorabilmente, senza rendermi conto davvero di niente.
Alla fine mi ritrovai a faccia a faccia con la barriera invisibile.
Non potevo vederla eppure i miei occhi si posarono lo stesso su di lei, sul confine tra sicurezza e pericolo, tra vendetta e semplice desiderio di essa.
Fissai la barriera senza poter vederla per un interminabile secondo, poi le urla e la canzone tornarono a spingersi nella mia testa... o forse non solo lì:
“svegliati, esci, vieni da me... hai paura?... svegliati, esci, vieni da me... sei patetico... svegliati, esci, vieni da me... Perseus...”
Mossi un passo e la superai.
Poco più in là intravidi una luce argentea, quattro sagome nere.
La canzone, ormai non più solo frutto della mia immaginazione, ma latrata quasi, e le urla, che ne scandivano il ritmo erano sempre più insistenti.
“svegliati, esci, vieni da me...”
Feci scattare Vortice.
Altre urla.
Suoni confusi.
Paura.
Il colpo di una mezza luna, una delle sagome cadde a terra.
La canzone si interruppe con l’interrompersi delle grida.
“NO!”
Corsi incontro alle figure brandendo la mia spada, poi un clangore metallico, la luce argentea illuminò i tratti incavati di un viso pallido, dagli occhi neri e vacui, intrisi dell’oscurità ce ci attorniava.
Non si erano dimenticati, lui e suo padre.
Rimasi immobile, ipnotizzato dalla paura e dal pericolo di morte.
Cadde il silenzio.
Poi due paia di braccia intorno alle mie, altri versi della canzone sussurrati vicino alle mie orecchie.
Il sorriso del Cronide, sensazione di pericolo, paura, richiesta silenziosa  d’aiuto, confusione, tutto si conseguì troppo velocemente per essere assorbito dalla mia mente.
Ritornai in me giusto un attimo prima.
Attimo in cui vidi tutto e niente passarmi davanti agli occhi.
Ricordi, avevo solo i ricordi.
Poi un colpo di luce malsana.
Infine neanche quelli, solo oscurità.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  

   
 
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