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Autore: aoimotion    10/05/2011    5 recensioni
Spanner e Shoichi. Shoichi e Spanner.
Che gran coppia di amiconi.
Così amiconi che quando si trattava di costruire, programmare, montare, o - perché no? - distruggere qualcosa, erano sempre d'accordo su come procedere. Con calma, sangue freddo, e tanto, ma proprio tanto amore reciproco.
[ Accenni allo shonen-ai ]
[ ATTENZIONE! Ho deciso di rendere questa storia conclusa, perché è l'unico modo che ho per trovare ispirazione per il seguito. Quindi ci sarà una storia direttamente collegata a questa, multicapitolo, che terminerà il tutto. Grazie per l'attenzione. ]
Genere: Comico, Demenziale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Shoichi Irie, Spanner
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Che gran coppia di amiconi'
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c48 Vincere a un gioco come Epic Days significava senza dubbio qualcosa. Non era detto, certo, che fosse qualcosa di positivo.
E in effetti non lo era affatto.
Shoichi, il cui repertorio di emozioni si era ormai ridotto all'osso, boccheggiava di fronte allo schermo con l'espressione di chi non sa e non vuole sapere e sente che qualcuno o qualcosa lo costringerà a colmare la sua lacuna al più presto.
Spanner, per esempio. Che nonostante sapesse, in qualche modo lo avrebbe costretto a sapere per vie traverse. COME, era e sarebbe rimasto un mistero.
"Quindi non stavi bluffando! Hai davvero sabotato qualcosa, tu!"
L'amico annuì, placido. "Altrimenti non l'avrei detto, ti pare?"
"M-ma come diavolo... cioè, quanto sarò rimasto privo di sensi? Cinque minuti? Dieci? E' impossibile che in così poco tempo..."
"I fatti parlano chiaro", asserì Spanner con sguardo assente, il che a guardarsi risultava una contraddizione piuttosto divertente "tu eri irreversibilmente morto, e adesso sei il campione di questo RPG online dalle ignote origini. Sai spiegarlo in una maniera che mi dipinga totalmente estraneo alla faccenda?"
Spanner e Shoichi erano sempre stati degli atei convinti e affermati, ma il secondo, invero, era da qualche tempo che stava cominciando a credere nell'esistenza di qualche entità sovrannaturale che potesse spiegare il supplizio perpetuo a cui suo malgrado andava incontro ogni santo dì. Nonché - ma questo lo avrebbe ammesso a fatica, o non l'avrebbe ammesso affatto - a cui votarsi, nella speranza che tali torture psicologiche potessero presto vedere il loro epilogo. Triste, sicuramente, ma sempre meglio di niente.
Proprio in quel momento, effettivamente, Irie Shoichi desiderava con tutto se stesso potersi mettere in contatto con Zeus, Ade, Apollo, qualunque idiota dell'Olimpo - perché arrivati a certi livelli di tolleranza non importa neanche quale imbecille deve prestarti il suo potere, purché lo faccia - per cercare di contrastare la violenza discreta e sottile con cui si sentiva percosso in quell'esatto istante. Spanner, dal canto suo, non faceva nulla per contrastare quella sensazione di bullismo atroce che stava sovrastando il coinquilino, perché non solo non ne aveva alcuna voglia, ma anche se avesse voluto non avrebbe proprio saputo da che parte cominciare. Anche lui, dopotutto, sapeva comprendere un caso disperato, e Irie Shoichi rientrava innegabilmente nella suddetta cerchia di poveri disgraziati.
"N-non posso crederci... no, è assurdo, inconcepibile, mi rifiuto categoricamente di crederci..."
Tal miserabile essere, sudando copiosamente, cominciò a perdere l'equilibrio e ricadde esausto sul divano, una mano sulla fronte come se temesse che la testa potesse rotolargli via da un momento all'altro. "Ditemi che è solo un brutto sogno..."
"Shoichi, prendila con filosofia. Ci sarà un'altra occasione, no? Quando questa si verificherà potrai riscattarti." Ammesso che tu ci riesca, ma questo non lo disse. Si limitò a scrutarlo, imperscrutabile a sua volta, in attesa di un cenno di assenso o dissenso - tanto non gli importava cosa pensasse l'altro, finché ascoltava ciò che usciva dalla sua bocca - .
"Non voglio pietà gratuita" sibilò il giovane senza guardarlo "non mi serve, non la voglio."
"Non si sputa nel piatto in cui si mangia, lo sai".
"Vorresti dire che io sputo nel piatto in cui mangio? Anzi... vorresti dire che io mangio in questo piatto?!"
Lo faceva? Era davvero così sfigato?
Spanner annuì morbidamente com'era sua consuetudine. Shoichi si prese la testa fra le mani e la scosse violentemente, nella speranza, forse, che i suoi neuroni potessero darsi la carica a vicenda e formulare un pensiero coerente che andasse aldilà dell'asdnwjfwp a cui era in quel momento soggetto. Ma si sa, la speranza di ogni Irie (junior o senior che sia) è destinata a soccombere nel momento in cui viene a confrontarsi con un soggetto come quello che stava assistendo zitto e muto all'affannarsi inutile del compagno.
"Shoichi, perché non ti calmi? Non è la fine del mondo se ho decifrato quel codice senza di te, no?"
Qualcosa nella mente di Spanner gli aveva suggerito che una reazione appropriata a quella cortesia sarebbe stata, come minimo, un gesto di ringraziamento. Una parola di gratitudine, una stretta di mano, una pacca sulle spalle, un sorriso, anche brutto - ma i sorrisi di Shoichi non erano mai brutti - , qualcosa che gli facesse capire di aver fatto la cosa giusta. Perché, nonostante la parentesi comica del povero vespone buzzurro e buzzante, nonostante Spanner si fosse preoccupato più di quell'insetto dall'addome a strisce piuttosto che del suo scarlatto coinquilino... non significava che il loro rapporto si riducesse a una lunga e stancante sequela di angherie. Perlomeno, questo non era il suo intento: che poi la situazione si fosse evoluta in quel modo, be'... non era colpa sua.
Non solo sua, almeno. Perché anche Shoichi isterizzando isterizzando aveva la sua buona dose di peccato. Anche se non lo ammetteva e preferiva celarsi dietro un'apparenza quanto mai uke e tsundere, due cose che si sposavano perfettamente come il cacio sui maccheroni. Forse anche meglio.
"Spanner, sono cinque minuti! Trecento secondi! T-tu hai... cioè!"
Silenzio.
"Io ho cioato?"
"NO! Non farmi bestemmiare, per la miseria! C-ci manca solo questo per completare le mie disgrazie!"
"Credi forse nell'esistenza di un'entità trascendentale?" Spanner sembrava quasi disgustato "Shoichi, ogni uomo è arteficie del proprio destino, è da codardi attribuire la fonte delle proprie sciagure a qualcuno che con molta probabilità non esiste. O che, se esiste, non si sta di certo preoccupando della tua salute."
Ci fu ancora silenzio. Shoichi fissò Spanner come se volesse mutilargli un arto, mentre Spanner cominciò a far roteare gli occhi, perplesso. "Mi sto chiedendo se la cosa vale anche per le papere..."
"TACI, AMMASSO DI IDIOZIA!"
Shoichi balzò giù dal divano additandolo sconvolto. Spanner reprimette uno sbadiglio e non si diede neanche pena di inarcare un sopracciglio. "Mi hai sentito? D-di' qualcosa!"
"Sei una contraddizione vivente."
"NON QUESTO!"
"E cosa, allora?"
"T-u... aaah, la mia TESTA!"
"Mh?"
"NON MUGOLARE!"
"Va bene."
Silenzio.
"Shoichi?"
"CHE VUOI?!"
"Hai un erezione."
"IO C--- cosa...?"
Lo sguardo di Shoichi corse ai suoi pantaloni.
E fu l'orrore.
"C-c-c-che scherzo è mai questo?!" Cominciò a picchiare la piccola testolina, facendosi un male cane oltretutto inutilmente, perché il suo pene era in vena di scherzi e non faceva altro che risalire a galla, quasi per sfregio. Spanner ridacchiò appena. "E' davvero eccitante parlare con me? Sono colpito."
"N-non c'entra! Non ho idea del perché... dannazione, vuoi stare fermo? DORMI! Dormi, mannaggia a te, dormi! A-a cuccia! M-mi hai sentito?"
"Sì, ha ragione il tuo padrone, caro genitale... dormi, come hai sempre fatto e come sempre farai fino alla fine della tua miserabile esistenza!" Spanner annuì grave, avvicinando il muso alla virilità dell'amico e fissandola con sguardo attento. "Puzza. Ma lo lavi, ogni tanto?"
"M-m-ma che cosa dici, Spanner?! Certo che lo lavo!"
"Oh! Quindi sei come quelle persone che più non usano una cosa più la curano. Interessante..."
"S-senti un po', tu!" Shoichi raccolse i brandelli della sua dignità e li ricucì alla bell'e meglio, tentando di opporsi dall'oscura volontà del coinquilino dall'espressione faceta "Per tua norma e regola..."
"Non è né di norma né di regola quello che stai per dire, vorrei farti notare."
Silenzio.
"E-e tu come fai a sapere quello che stavo per dire?"
"Non lo so. Ma non lo sai neanche tu, quindi è come se lo sapessimo entrambi. Quindi come se lo sapessi solo io e basta."
Silenzio.
"... Spanner, ma tu che cosa sei? Sei un essere umano? Un alieno? Un vegetale? Anzi no, lo so cosa sei! Sei una pannocchia!"
"Ancora con questa storia?" Spanner si sporse verso l'amico, ma pareva quietamente interessato. "Spiegami perché sarei una pannocchia, Shoichi."
"B-be'..." il giovine aggiustò la montatura che perennemente tendeva al suolo attirata da una forza di gravità che sulla punta del suo naso sembrava centuplicarsi fino a sovvertire del tutto le leggi della fisica e disse: "i-il tuo nome... hai presente il nickname che ti sei scelto per giocare a Epic Days?"
"Intendi il gioco in cui ti ho fatto stravincere mentre eri in stato comatoso?"
"Non puntualizzare, maledizione!"
"Che c'è di male nel voler puntualizzare?"
"C'è che lo fai apposta per farmi dare fuori di matto, ecco la verità!"
Già, la verità.
Un concetto troppo astratto perché uno come Spanner potesse prenderne davvero atto. Era molto più semplice fare riferimento a un tipo di realtà ben definito, la stessa che si erano costruiti intorno in tutti quegli anni, la stessa che sembrava isolarli dal resto del mondo rendendoli una dimensione a parte, un'isola, un microcosmo separato dal resto dell'universo in cui ogni legge veniva aborrita in favore di una conduzione domestica che aveva del tragico e del sincopatico insieme.
"Sì, ho presente", disse allora lui per evitare che la conversazione degenerasse verso lidi da cui era impossibile scappare.
"EH?!" e ovviamente Shoichi gli venne incontro, facendo sfoggio di una prontezza di spirito che aveva del fantascientifico.
"Dico, ho presente il mio nick. Spappop, giusto?"
"Eh, sì, ma io stav-" venne però zittito da un paio di dita che gli acciuffarono le labbra stringendole come una molletta, con l'intenzione di sopprimere sul nascere qualunque ribellione verbale che si sarebbe dimostrata inutile e controproducente ai fini del loro sagacissimo dialogo.
Shoichi mugolò qualche vana protesta, com'era nel suo (triste) stile, e si sottrasse al contatto con il broncio stampato sul musetto deficiente che suo malgrado si ritrovava tutte le volte che arricciava il naso, stizzito; uno spettacolo da togliere il fiato.
Per le risate che riusciva a strappare anche a un macano cieco e depresso, con la cuperose, la sciatica, le emorroidi, il gomito del tennista e il virus dell'HIV.
"Limitati a proseguire il discorso, per favore. Potrebbe ritornare da un momento all'altro."
Shoichi, invero, aveva sempre avuto una certa fobia per gli esseri indefiniti che, in quanto tali, andavano contro ogni razionalità ed erano impossobili da inquadrare sotto un'ottica ben precisa, che magari li avrebbe potuti rendere meno spaventosi e più comprensibili ai sensi del siffatto scienziatucolo. E il fatto che il suo amico, che di certo non era rinomato né per la sicurezza che emanava né per il fascino con cui ammaliava le donne, gli uomoni e gli esseri neutri, stesse parlando volutamente di qualcosa senza attribuirle un soggetto di qualche tipo, alludendo malignamente ad essa al solo scopo di fargli drizzare i peli pubici dal terrore, non faceva altro che peggiorare una situazione che già di per sé risultava di una tristezza infinita e disarmante.
"CHI? COSA?" gracchiò dunque isterico, voltandosi verso il coinquilino con gli occhi usciti dalle orbite, il labbro sporgente e una tensione nervosa che gli percorreva l'intero corpo dalla punta dei piedi fino a quella dei capelli "METTI IL SOGGETTO ALLE FRASI, MALEDETTO SPANNER!"
Spanner rimase interdetto, fissando Shoichi che veniva rapito da un'entità buzzurra che voleva farne polpette, che rispondeva al nome di follia, chiedendosi perché la sua delicatezza o presunta tale non fosse stata recepita ed anzi invertita in qualcosa di molto più losco e maligno. Ma pur ponendosi quesiti di tale sorta, decise comunque di rispondere a ciò che il rosso giovine domandava per non turbare oltre la sua psiche già evidentemente compromessa.
"La tua erezione", sentenziò patetico.
"Eh? Ah?" Il suo sguardo corse ai pantaloni, ma nessun pony imbizzarrito cercava di eluderne la stretta sorveglianza. Sospirò appena e tornò in un lampo ad additarlo stravolto "D-devi smetterla di farmi venire un colpo dopo l'altro! Cosa fai se mi viene un infarto, AH?"
"Era destino", replicò pacioso.
"Era destino?! Proprio tu lo dici, che non credi in queste cose!"
"Se si parla di te, Shoichi, neppure io oso mettere in dubbio la sfortuna che ti perseguita."
Fece una piccola pausa e lo fissò intensamente negli occhi. "Perché è evidente che ti perseguita, mi sembra."
"Non è la sfortuna a perseguitarmi, sei TU che mi perseguiti!", gridò Shoichi esterefatto "Ogni mia disavventura, ogni mia... difficoltà! E' tutto opera tua, sei tu che saboti quotidianamente i server della mia esistenza rendendola sfigata e invivibile!"
Spanner rimase interdetto a sentire quelle parole. Guardò Shoichi negli occhi per una manciata di secondi, ma non fu capace di replicare alcunché. Era veramente lui l'arteficie del disagio dell'amico? Tutti i guai erano stati veramente causati da lui?
"... Mi dispiace, se le cose stanno effettivamente così." Il suo tono era umile e dispiaciuto, perché sentiva gravare su di sé il peso di una responsabilità che solo in quel momento sentiva chiaramente di avere. Ora, finalmente, riusciva a riconoscere quel senso di oppressione, di smarrimento e di confusione che lo aveva animato durante tutto l'arco di quella frustrante giornata, anzi, che lo accompagnava ormai da molto tempo ma che solo in quell'ultimo periodo aveva cominciato a manifestarsi con forza.
Del resto, se ci si pensava accuratamente, era facile da intuire. Trascorrevano le loro giornate dentro un appartamento che non era né bello né allegro, pur essendo almeno umanamente confortevole. Tralasciando il fatto che uno fosse una papera e l'altro una pannocchia e che quindi il concetto di umanamente confortevole potesse valere fino a un certo punto, in quella casa c'erano solo loro due. E uscivano poco. Quindi ogni guaio di Shoichi non poteva in nessun modo prescindere dalla sua persona, anzi, lui ne era la fonte diretta. La solitudine era qualcosa che non avevano mai rimpianto, ma Spanner comprese che forse, dopotutto, loro due erano in verità davvero soli. Soli, perché appartenevano a due sfere diverse che non si fondevano, ma si inglobavano a vicenda. I loro mondi si toccavano, ma non entravano in contatto divenendo una cosa sola. Ma non era stato sempre così, si disse poi. E allora, quand'è che i loro mondi avevano cominciato a toccarsi senza mai fondersi insieme? Quando era avvenuto il doloroso distacco? Quando le loro identità avevano cominciato a distinguersi nettamente, perdendosi in un ciclone di confusione di cui lui stesso, adesso, a stento riusciva a localizzare l'occhio?
"Comunque..." la voce sospirante di Shoichi lo riportò alla dura realtà, facendolo riemergere dalla bolla grigia in cui si era chiuso, immerso in una serie di pensieri senza inizio né fine che avevano il solo effetto di avvilirlo più del dovuto, in una maniera che non era capace di controllare. "Spappop mi ha fatto pensare ai... pop-corn, anche se tu l'hai scelto partendo da basi totalmente diverse. Quindi be', sì, il pop-corn si crea a partire dai chicchi di mais, quindi... pannocchia!"
"Ah..."
Era troppo... strano, per potersi deliziare di quella bizzarra associazione di idee. E Shoichi ci rimase visibilmente male. "Potresti anche dire qualcosa di più, ti pare? Le parole non ti costano mica!"
"Mh..."
Spanner! Ma mi stai ascoltando?!"
Era inconcepibile. Dopo che gli aveva persino detto il perché della pannocchia, reprimendo i suoi sentimenti di dolore per il modo in cui veniva puntualmente trattato da lui, Spanner si permetteva ancora di fare lo strafottente?
Proprio in quel momento si verificò un fatto interessante. Sulla schermata di Epid Days era apparso un messaggio, scritto in una maniera che risultava fin troppo seria per gli standard di un gioco come quello. Segnalò la sua comparsa con un bip incessante e logorroico, che spinse Shoichi ad avventarsi sul computer mentre Spanner lo fissava, ancora intorpidito dalla natura delle sue elucubrazioni mentali. "Ma che diavolo..."
«Congratulazioni!» recitava il messaggio, scritto in Verdana a grandezza 10 «Signor Whd29anksò, lei ha vinto il torneo Trespade con il suo pg, che risponde al nome di Darkwing Duck, e ciò le da il diritto di riscuotere il suo premio: una vacanza in America, e precisamente a New York, per due settimane con 0 spese! Si presenti all'areoporto di Kyoto entro 3 giorni dalla visualizzazione di questo messaggio, recando con sé il modulo che adesso le spediremo sul suo computer e che lei dovrà prodigarsi di stampare e compilare. Le auguriamo sentitamente una buona vacanza!»
Lette codeste parole, neanche fosse stato programmato - o forse sì - il gioco si arrestò, mostrando il consueto desktop con all'angolino un avviso di Outlook, che informava i gentili amiconi che era arrivato un nuovo messaggio di posta.
A quel punto, sia Shoichi che Spanner cominciarono a porsi una serie di leciti interrogativi che, com'era logico supporre, vedevano il primo affannarsi intorno al nulla e il secondo sfoggiare la sua migliore espressione da pesce martello con un tumore al fegato.
"Spanner... perché ti chiamano «signor Whdventinoveanksò»?"
"Suppongo che l'aver manomesso la struttura portante del gioco abbia provocato anche alcuni... effetti collaterali."
"E lo dici con questa flemma?!" Shoichi non poteva credere alle sue orecchie, ma per fortuna aveva smesso di farlo molto, molto tempo prima. Aveva capito che era fatica sprecata, e lui non era così prestante da potersi permettere di sperperare le sue energie in questo modo. "Va bene, prossima domanda... questo viaggio è per una persona sola, vero?"
La domanda fu pronunciata quasi con timore, in fondo al quale si celava malamente un istintivo sollievo che non sfuggì alle orecchie di Spanner. "Suppongo di sì", rispose atono "e la cosa ti fa piacere."
Non era una domanda, bensì una constatazione. E neanche felice. "Se devo essere sincero..." cominciò Shoichi fissando Spanner con una certa intensità di sguardo "ritengo che separarci per un po' non ci farebbe male."
"Shoichi... ci siamo ricongunti ieri, vorrei ricordarti. Vuoi già andartene da qualche altra parte? Per essere sequestrato, seviziato e sciolto nell'acido?"
"Q-questo non c'entra, è un viaggio già pagato di tutto punto!"
"Da una... associazione, o setta di cui non sai assolutamente nulla?"
"Che problema c'è? Pensi forse che adeschino la gente per venderla oltreoceano?"
"Chiunque guardandoti proverebbe l'istinto di rapirti, Shoichi." Anche io, pensò poi mentalmente, stupendosi sinceramente di quel pensiero. "E tu sei così indifeso che mi chiedo come tu faccia ad essere ancora vivo. Forse perché bene o male hai sempre vissuto fra quattro mura, mh."
"Io non sono indifeso! S-sono intelligente, e so usare sapientemente la lingua!"
Dopo la sua uscita, ne seguì una piccola pausa carica di enfasi notevole, nella quale Spanner si permise la fatica di inarcare appena un singolo
"Ti piacciono proprio così tanto queste frasi a doppio senso?"
"Doppio senso? Ma dove ce l... a-ah!!" Il viso di Shoichi si colorò di rosso e il giovine tentò di riacquistare la sua dignità con un modesto colpo di tosse "I-intendevo dire che so parlare bene!"
"Si vede".
"Taci! Comunque sia, ho intenzione di accettare quel premio!" dichiarò alzando piccoli pugni al soffitto "Sono certo che un po' di indipendenza ci farà bene, e... ci permetterà di capire alcune cose."
"Per esempio?" Lo scetticismo gli impastò la bocca fino a lasciarle dentro una spiacevolissima sensazione di amaro pungente. La mancanza del suo leccalecca cominciava a farsi sentire. Si guardò intorno, nella speranza di riuscire ad identificarne l'ubicazione, ma sfortunatamente non vide alcunché.
"Non mi sembri molto interessato", commentò altrettanto ironico Shoichi "che... diavolo stai cercando, mi fai venire il mal di testa se continui a voltarti a destra e a manca!"
"Il mio leccalecca" rispose secco "mi serve."
"Ti serve? Ti senti male?"
"Ti preoccupi per me, Shoichi?"
"Perché rispondi alle mie domande con altre domande?"
"Perché, è un problema?"
Silenzio.
"Ma cosa mi preoccupo a fare per uno come te..." si passò una mano sul viso, sospirando miserabilmente.
"Quindi ti stavi preoccupando?"
Nella sua voce si udì un accento appena sollevato, che Shoichi colse in pieno e che suo malgrado gli provocò un leggero imporporimento "N-non guardarmi con quella faccia! E' ovvio che mi preoccupi... anzi, NO! Non è ovvio maledizione, perché mi preoccupo? Tu non meriti la mia preoccupazione!" Lo additò, e sul suo indice comparve una spirale rossa indignata. Le sue guance si tinsero di scarlatto ancora di più, e gli occhiali gli si storsero sul naso rendendo la sua figura quanto di più approssimativo esistesse sulla Terra.
"E non ti preoccupi di lasciarmi qui da solo, a casa, andando in America per due settimane?"
Battere il ferro finché era caldo era l'unica cosa che poteva fare in quel momento. Non sapeva bene neanche lui che cosa desiderasse sentire, ma comprendeva appieno che quello era l'unico modo per estorcergli qualcosa.
"Confido nel fatto che non uscirai di casa di tua spontanea volontà, Spanner, a meno che tu non desideri sperimentare il brivido della città, cosa che ti sconsiglio caldamente."
"Quindi tu fai leva sul fatto che presumi che io rimanga qua dentro per quattordici giorni di fila senza mai mettere un piede fuori di casa?"
"E' così strano? Sono sempre io" e si prodigò di dire in corsivo quella parola battendosi un pugno sul petto glabro "e sottolineo IO a uscire al posto tuo, per qualunque cosa!"
"Appunto, quindi se tu non ci sarai dovrò uscire io, non ti pare?"
La domanda suonò sorprendentemente coerente, cosa che non mancò di irritare l'ingegnerucolo rossiccio. "Allora vorrà dire che starai attento! Oppure ti farai portare le cose a domicilio! Oppure morirai di fame e di sete e seppellirò il tuo cadavere AL MIO RITORNO!"
"Shoichi... non per essere cattivo, ma è molto più probabile che fra due settimane sarai tu ad essere diventato un cadavere, e non io."
Silenzio.
"Ah, è così?! BENE! Allora abbiamo finito di discutere, la decisione è presa, tanti saluti Spanner! Ti manderò una cartolina dal mio lussuosissimo attico di 800 metri quadri!" E pronunciate quelle parole, Shoichi sbottò esausto e si diresse a grandi passi verso la porta, con le braccia serrate e parallele al corpo e i piedi a papera che facevano un rumore simile a un battiscopa quando toccavano il pavimento. "Dove vai?", chiese Spanner cauto.
"A fare la valigia!" rispose quello "E non provare a seguirmi, sabotatore!"
"Non era nelle mie intenzioni".
"Bugiardo!" Un dito sporse dalla soglia, indicando un punto indefinito della stanza che verosimilmente doveva corrispondere alla sua posizione nello spazio "Scommetto che non vedevi l'ora di mettermi a soqquadro la camera!"
"Stai parlando con me, Shoichi?"
"E con chi altri sennò?!"
"E allora perché stai indicando il tavolo?"
Silenzio.
Senza dire una sola parola, il dito si ritirò nelle profondità del corridoio e si udirono dei passi strascicarsi, un uscio aprirsi lentamente e richiudersi poi con violenza, e oltre esso una risata metallica che di umano non aveva più nulla rieccheggiare fra le pareti della stanza di Irie Shoichi.
Fu proprio in quel momento che Spanner si ritròvò a pensare. A pensare che non era passato neanche un giorno e il suo coinquilino lo stava abbandonando, ancora. Si era ripromesso che gli avrebbe detto qualcosa di gentile, che lo avrebbe trattato meglio, ma invece sembrava che fossero giunti a un punto di non ritorno, un'altra volta.
La lingua guizzò dentro la bocca, dimentica che al suo interno non vi era alcun leccalecca. Ma non fu solo lei a guizzare, e Spanner avvertì un ignoto tremore che si espandeva in lungo e in largo per tutto il corpo scuotendolo fin dal profondo delle sue viscere.
Shoichi stava per partire per un viaggio che forse li avrebbe separati definitivamente e lui non sapeva assolutamente come comportarsi per fermarlo.
Mai come in quel momento aveva avvertito la gravità della situazione. E mai, come in quel momento, aveva desiderato essere davvero una persona.













Note di Vetro: sono molto fiera di questo capitolo, che ritengo essere uno dei migliori che abbia mai scritto. E finalmente, per la prima volta, sono riuscita a rendere per iscritto esattamente tutto ciò che sentivo dentro di me. Non potete immaginare la soddisfazione <3 colgo l'occasione per ringraziare DremerRock per aver messo la storia fra le preferite: grazie, davvero, di vero cuore :) e ringrazio anche Miharu e Fania per avermi messo fra gli autori preferiti (perdonatemi se abbrevio i vostri nomi), anche se l'ultima non credo legga questa storia ma fa nulla :D adesso, finalmente, entreremo nella parte cruciale di questa storia, che durera ancora un bel po' di capitoli, e forse - ma devo ancora ponderare con cura - finirà lì, ma nel senso che farò un seguito con una storia a parte. Ma è ancora tutto da vedere, appunto, quindi state tranquilli (?). Ringrazio sempre tutti quelli che leggono e, ripeto, mi piacerebbe ricevere un parere anche da chi non l'ha mai commentata. Se volete mi va bene anche privato, pfff x°° ma basta, sono patetica, mi eclisso. AH! Entro qualche giorno aggiornerò anche L'ossimoro dell'orchidea, se a qualcuno importa~
 ● Have a nice day!



   
 
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