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Autore: Aydmen    10/05/2011    0 recensioni
Oneshot su Deimos e Phobos, le due concezioni di Paura.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era convinto che tutti avessero, da qualche parte, una persona che li avrebbe aspettati sempre.
Una persona che sarebbe stata giusta per loro e dalla quale non avrebbero mai voluto separarsi.
Deimos fissava l’oscurità all’interno di quella caverna e pensava che, se ci fosse stato un altro mondo e se altra fosse stata la realtà, lui avrebbe voluto conoscere quella persona e perdersi in lei.
Ora come ora cercava di non pensare a nulla, cercava di non pensare che quella persona era esattamente come lui, era una parte di lui, così vicino e simile che avrebbe potuto confondersi con lei, se avesse perso il controllo del proprio corpo.
Si alzò, camminando fino all’entrata e guardando fuori. Era ormai il crepuscolo e avrebbe dovuto tornare. Tornare dove, poi? Sull’Olimpo? Da Ares, a fare il cagnolino, inseguendo gli uomini e infiltrandosi negli incubi dei bambini e nelle ombre delle strade senza uscita?
Sospirò, socchiudendo gli occhi al che una mano si posò sulla sua spalla e qualcuno lo abbracciò da dietro, soffiandogli nell’orecchio. Deimos si ritrovò a ridacchiare, girandosi di modo da poter vedere con la coda dell’occhio il fratello.
“Guarda che non mi fai paura.” Disse, liberandosi gentilmente da quell’abbraccio e prendendo a camminare verso il boschetto.
Phobos lo seguì senza parlare, trotterellando fino a che non lo superò. Si girò per un attimo verso Deimos e gli sorrise, un sorriso pieno e sereno che ogni volta faceva rabbrividire l’altro. Poi, come se fosse la cosa più naturale del mondo, prese a correre, scomparendo fra gli alberi.
Deimos si fermò, appoggiandosi ad un albero. Poi si guardò attorno, prima di mettersi a correre nella stessa direzione in cui l’altro era fuggito.
“Ti diverti, fratello? Non a caso nostro padre ti donò il dono della Fuga… Ma nessuno può fuggire dalla Paura Vera, per quanto corra lontano, sai?”
 
Lui non aveva mai avuto paura. Neanche quando Phobos lo aveva colto di sorpresa, gettandoglisi contro e facendolo cadere nell’erba alta che andava bagnandosi di rugiada, a faccia in giù con il viso rivolto verso la terra umida. Deimos aveva chiuso gli occhi e ne aveva inspirato l’odore pungente, prima di sospirare mentre l’altro gli strappava le vesti, passandogli le mani sulla schiena e le natiche in una carezza ruvida.
“Sei così simile a me.” Mormorò la paura, mentre Phobos si chinava per baciargli la nuca, mordendogli la pelle. Deimos non voleva aprire gli occhi, voleva che il buio lo prendesse e lo portasse altrove, che lo facesse sprofondare in un luogo lontano da lì.
“Perché?” la voce di Phobos gli arrivò in un sussurro, mentre le dita si intrufolavano nella sua apertura senza chiedere permesso. Deimos si irrigidì per un istante e poi si rilassò, lasciando che il dolore si tramutasse in piacere, spingendo contro quell’invasione alla quale ormai avrebbe dovuto essere abituato. Sorrise, pensando che alla paura nessuno si abituava mai; tanto più se questa era vero e proprio terrore.
Le labbra del fratello gli baciarono il lobo ed il movimento delle dita si fermò per un istante, il tempo che Deimos si rilassasse completamente. Paura sentì l’eccitazione di Terrore spingersi contro di lui, calda e affamata. Inarcò appena la schina, come per sottrarsi a quel contatto, ma l’altro non glielo permise, afferrandolo con un braccio attorno alla vita e stringendolo a sé. Lo penetrò lentamente, le labbra che lasciavano sfuggire leggeri ansiti.
“Dimmi, fratello, perché?”
Deimos non riusciva a darsi una risposta. Come avrebbe potuto spiegargli che non era il terrore allo stato puro ciò che voleva, ma qualcos’altro? Era un concetto talmente incomprensibile anche per se stesso che non sarebbe mai riuscito ad esprimerlo a voce alta. Phobos lo morse con rabbia sul collo e si spinse dentro di lui con violenza, appoggiando le mani sui suoi fianchi e accelerando il ritmo del proprio movimento, noncurante del dolore che avrebbe potuto provocare. Le unghie lasciavano segni nella carne della paura, e ad ogni assalto lui tornava a vedere i visi delle donne che aveva imprigionato fra quattro mura, dei bambini che avevano pianto sperduti nel mezzo di una città ormai distrutta, degli uomini che avevano assistito all’omicidio delle persone alle quali tenevano. Il membro di Phobos lo lacerava e lo completava al tempo stesso, lasciando che ondate di piacere lo travolgessero e lo rendessero incapace di pensare. Le immagini, però, continuavano ad affollargli la mente, vivide come se avesse gli occhi aperti: sotto le porte Scee, i soldati che fuggivano in preda al panico, le fiamme che si innalzavano da quelle case, le genti che correvano impazzite per trovare rifugio dalla morte certa.
Aprì gli occhi di scatto, liberandosi improvvisamente dalla stretta del fratello e voltandosi. Indietreggiò, le natiche che sedevano sulla terra ormai bagnata. Phobos lo guardava esterrefatto, gli occhi neri che sembrarono adombrarsi maggiormente, il volto sfigurato in una smorfia di disgusto. Con un passo lo raggiunse e lo schiaffeggiò, il respiro che veniva in rantoli.
“Non mi fai paura.” Ripetè Deimos, sollevandosi in piedi e spolverando quello che restava dei propri vestiti. Phobos si allontanò senza smettere di guardarlo, sollevando una mano come se volesse toccarlo, come se volesse scusarsi. Poi scosse la testa con veemenza, i riccioli rosso sangue che creavano un’aureola spettrale attorno al volto scuro.
“Tu vuoi la Morte, fratello. La morte per te e la sofferenza per me. Perché mi odi così tanto?”
Deimos si passò una mano fra i capelli, scostando le ciocche brune. Non ebbe cuore di guardarlo in viso, quando rispose.
“Non lo so, Phobos. Cerco Thanatos come mio padre cerca la guerra, e sono stanco di portare sulle spalle questo fardello oscuro. Non odio te, odio ciò che ci è stato imposto. Non sei stanco di essere la paura?
Non udì i suoi passi allontanarsi e quando sollevò gli occhi trovò solo la notte ad aspettarlo, dove prima vi era stato il terrore.
 
 
  
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