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Autore: LonelySpring    10/05/2011    4 recensioni
[Paul/OC]
Per la fretta, allora, si sedette nel primo posto libero che trovò, maledicendo quel seggiolino scomodo che lo aveva accolto con rudezza. Si grattò la nuca e subito dopo sbadigliò in una smorfia tra l’annoiato e l’assonnato, giusto per sembrare uno dei tanti stakanovisti di ritorno dal lavoro.
Le porte della metropolitana si chiusero e luci flebili illuminarono gli occhi stanchi dei viaggiatori notturni. E fu mentre Paul guardava i suoi compagni di viaggio, che incontrò il suo sorriso.

Terza classificata al contest "She smiled at me on the subway" indetto da DazedAndConfused sul forum di EFP.
Genere: Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Paul McCartney
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Contest: [BEATLES] “She smiled at me on the subway”
Autore (nick sul forum): _DreamerGirl_
Nick su EFP: Lonely spring
Titolo storia: Continua a sorridere.
Pairing: Paul McCartney/sconosciuta
Rating: Verde
Genere: Malinconico, “What if…?”, Fluff
Luogo: Los Angeles
Anno: 1965
Note dell’autore: Facciamo un po’ di chiarezza nella mia storia. :3
Ho immaginato che i Beatles fossero andati prima di Agosto negli States (ossia prima del loro tour statunitense) – ma non credo sia successo, ecco perché questa fan fiction è una mezza “what if…?” – diciamo, verso Gennaio. Nel Febbraio del ’65 poi, precisamente il 18 del mese (vedi Wikipedia inglese), i Fab Four registrarono “Tell me what you see”, canzone che ho pensato fosse adatta per questa storia… infatti, ho immaginato che Paul avesse scritto questa canzone dopo dell’incontro con la ragazza sulla metropolitana, ispirandosi alle reazioni di quest’ultima (“apri gli occhi adesso, dimmi cosa vedi. Non è una sorpresa se quello che vedi sono io” è uno dei versi che si adatta di più alla storia, anche se ne ho scelto un altro come citazione). In un certo senso è liberamente ispirata a questa canzone^^
Tutto il resto poi, è realtà: i Beatles, nel 1965, fecero il concerto negli Stati Uniti d’America. Il 29 e 30 di agosto, si esibirono all’Hollywood Bowl di Los Angeles.
L’ultima parte è volutamente scritta come se mi rivolgessi direttamente a Paul.
Da precisare infine che i Beatles non mi appartengono – That’s unfair…! -, mentre i loro pensieri, dialoghi, sensazioni, il soggiorno negli Usa, la ragazza sulla metropolitana e così via, sono frutto della mia fantasia!
Non ho altro da aggiungere, sennonché “spero non sia una schifezza!” e “Cerco di far sembrare Paul un uomo normale, ma mi è impossibile perché lui è esteticamente perfetto!”. *O*


Continua a sorridere


Look into these eyes now, tell me what you see,
don’t you realise now what you see is me.
Tell me what you see.

(Tell me what you see – The Beatles)

Il freddo, quella notte, riusciva ad ottenebrare i sensi di chiunque con il suo abbraccio tagliente, ma nonostante ciò intrepide persone si avventuravano tra le strade di Los Angeles per godere dello splendido paesaggio offerto dall’immensa metropoli.
Luci caleidoscopiche attorniavano quella folla crescente, donando impulsi d’immaginario calore non solo ai passanti, ma a tutta la città stessa.
E tra quelle mille e mille formiche sparse qua e là, nessuno avrebbe mai immaginato chi, già da tempo immemore, vi camminava spaesato.
Il capo, leggermente reclinato verso il basso per nascondere il proprio viso da occhi indagatori, spesso non riusciva a rimanere in quella posizione strategica, poiché spinto da un’irrefrenabile curiosità di vedere, osservare, catturare con quelle iridi castane un mondo che avrebbe rivisto solamente dopo altri lunghi sei mesi.
Un assurdo spreco, una follia. Los Angeles doveva essere scrutata attentamente, non meritava d’essere ignorata. Tuttavia anche l’anonimato era necessario per la sua sicurezza, quindi decise accontentarsi di poche occhiate lanciate per brevi intervalli temporali, per poi tornare ogni volta ad abbassare la testa.
La passeggiata notturna di Paul McCartney era ormai giunta al termine. L’aereo con destinazione Liverpool sarebbe giunto a prenderli di lì a due ore e lui doveva ritornare all’hotel almeno un’ora prima della partenza, o John, George e Ringo lo avrebbero ucciso – in fatto di orari, quei tre erano noiosamente fiscali! – o magari sezionato in tanti piccoli pezzetti.
Viste le lancette sul suo orologio da polso, affrettò il passo e, con il freddo pungente della notte soffiato impetuosamente contro la sua faccia, corse verso la metropolitana, pregando il cielo di non sbagliare strada.

La fortuna, quella sera, aveva deciso di voltarsi dalla sua parte. Era riuscito ad avviarsi verso la metropolitana senza bisogno di alcun aiuto, affidandosi esclusivamente alla memoria, che nei trascorsi non era sempre stata affidabile.
L’uomo della biglietteria, inoltre, non si era nemmeno accorto di chi avesse di fronte. Assonnato, gli aveva allungato un biglietto e Paul si era affrettato a porgere qualche dollaro assieme ad un “grazie, arrivederci” mugugnato.
Dopo cinque minuti che gli parvero un’eternità, la metro si fermò per far salire lui e altre tre o quattro persone.
Con la fluidità di un’anguilla, guizzò dentro quella sottospecie di treno, tentando di non dare a vedere l’ansia di essere riconosciuto – e soprattutto assalito – da qualche fanatico dei Beatles.
Per la fretta, allora, si sedette nel primo posto libero che trovò, maledicendo quel seggiolino scomodo che lo aveva accolto con rudezza. Si grattò la nuca e subito dopo sbadigliò in una smorfia tra l’annoiato e l’assonnato, giusto per sembrare uno dei tanti stakanovisti di ritorno dal lavoro.
Le porte della metropolitana si chiusero e luci flebili illuminarono gli occhi stanchi dei viaggiatori notturni. E fu mentre Paul guardava i suoi compagni di viaggio, che incontrò il suo sorriso.
Era una ragazza all’incirca della sua età. Nonostante fossero molti i posti vuoti, lei aveva deciso di rimanere in piedi. Si reggeva ad uno dei pali della carrozza, tenendo la mano ben salda sulla superficie di ferro.
Si era accorto di lei per via del tenero sorriso rivoltogli, disinvolto e senza secondi fini. Lei non aveva realizzato chi fosse realmente quel ragazzo.
Alzarsi in piedi per raggiungerla fu un gesto meccanico, un impulso al quale Paul non seppe sottrarsi.
Si chiese se la ragazza, una volta riconosciuto il suo volto, avrebbe continuato a sorridere per lui, Paul, che in fondo rimaneva sempre lo stesso ragazzo di Liverpool, o per Paul McCartney dei Beatles.
Lei socchiuse le palpebre, per poi riaprirle velocemente. Un fremito d’emozione uscì dalla sua bocca tremante. Lo sconcerto della ragazza alla vista di quel mito fu incredibile e perdurò per altri lunghi secondi, poi quella si avvicinò a lui, cercando di afferrare un lembo della sua giacca e continuando ad incurvare le labbra verso l’alto.
Per chi sorridi, ragazza?”.
E una porta dietro di lui si aprì.
La salvezza.
La fine di quel sorriso.
Uscì di colpo, senza esitare. Pochi istanti dopo la porta si richiuse.
Affacciata al vetro, la giovane donna guardava verso di lui. Non era disperata, non aveva smesso di sorridere.
Paul non smise mai di fissarla finché non fu lontana.
Con amarezza, realizzò che non avrebbe mai conosciuto la risposta alla sua domanda. Ma la cosa che lo toccò più nel profondo fu la certezza che non l’avrebbe più rivista.
Un dolore sordo nacque nel suo cuore ancora in tumulto.



Il concerto è finito. Le grida sono terminate, le luci sono spente. Tutto tace.
L’Hollywood Bowl era gremito fino a poco fa ed ora non c’è più nessuno. Nemmeno lei, nemmeno il suo sorriso. Che t’aspettavi? Di vederla?
Lei c’era, ma troppa gente era con lei. Distinguerla sarebbe stato impossibile, lo sai anche adesso.
Non perdere la speranza, forse la rivedrai.
« Continua a sorridere. So che ti ritroverò. »
Parole sicure pronunciate a questo teatro deserto. Riuscirai mai a vederle realizzate?



Sont les mots qui vont très bien ensemble, très bien ensemble.
(Chiamatelo come vi pare: questo è il mio spazio ♥)
Michelle, of course. Una delle più belle canzoni scritte da Paul McCartney e forse una delle prime che ho ascoltato. Dare questo titolo alle note d'autore mi sembra doveroso, poiché scrivendo una storia su di lui sono riuscita ad arrivare terza a questo meraviglioso contest, nonostante avessi grandi fanwriters in gara con me.
Sono contenta di aver rapprestato un Paul più profondo e non un dio sceso in terra che col suo fisico usa e spezza i cuori di tantissime ragazze; d'altronde stiamo parlando di colui che ha scritto e cantato canzoni come Yesterday, Let it Be, The fool on the hill, Eleanor Rigby, le canzoni più profonde e malinconiche del repertorio dei Beatles. Credo avesse una grande interiorità - che tutt'ora possiede ancora - ed è l'aspetto che più amo in lui.

Ringrazio la giudice, le mie colleghe di contest e tutti coloro che hanno appena finito di leggere o leggeranno questa one-shot. Qui sopra c'è il Paul di Liverpool, un mito ed una persona comune assieme, il Paul che mi ha incantata fin dal primo istante e a cui ho dedicato le mie migliori parole.
Un bacione ed un grazie immenso a tutte voi.

Lonely

   
 
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