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Autore: Keitorin Asthore    10/05/2011    3 recensioni
“Ho smesso di credere in Dio quando avevo otto anni”. Kurt racconta a Blaine cosa è successo otto anni prima e si prepara per il rifiuto. Accenni di Klaine
(Altro personaggio: Burt Hummel)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Blaine Anderson, Kurt Hummel, Nuovo personaggio
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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DISCLAIMER: Glee appartiene a Ryan Murphy e alla Fox. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.

La versione originale della storia appartiene a Keitorin Asthore e la potete trovare qui

DA DICEMBRE A MAGGIO

"Ho smesso di credere in Dio quando avevo otto anni".

Kurt lasciò cadere la frase come una bomba e si appoggiò allo schienale, le mani posate sul tavolo con le dita distese. Tenne gli occhi bassi, riluttante ad alzare lo sguardo.

Quella sarebbe stata una conversazione difficile, lo sapeva. Soltanto pochi mesi prima aveva confessato ai suoi amici più cari di non credere nel Dio in cui loro credevano e avevano reagito più o meno come si era aspettato- shock, paura e un istantaneo, disperato bisogno di fare proseliti.

E dato che Blaine aveva appena raccontato un aneddoto sulle sue recenti prove per lo spettacolo di natale della sua chiesa, farcito di accessi elogi da parte di amici devoti e un pastore perspicace, si preparò mentalmente per la stessa reazione.

Schiacciò la schiena contro la ringhiera della sua sedia nel loro tavolo infilato in un angolo, lontano da chiunque altro nel locale. Gli altoparlanti del coffee shop diffondevano le note di una versione soft jazz di Let it snow, che si mescolava con il ronzio delle macchine per il cappuccino e gli ordini degli altri clienti. C’era giusto rumore a sufficienza per rendergli difficile sentire la risposta.

Blaine appoggiò la sua tazza di caffé. "Perché otto?" domandò a bassa voce.

Kurt alzò lo sguardo. "Cosa?".

L’espressione di Blaine era assolutamente calma, gli occhi scuri gentili. "Perché otto anni?" ripeté. "Cosa è successo, Kurt?".

Forse fu la dolcezza nei suoi occhi. Forse fu il fatto che non si fosse lanciato in un piano in dodici fasi per salvargli l’anima. Forse fu perché era la prima volta che qualcuno glielo chiedeva.

Ma glielo disse.

*******

Kurt afferrò la mano di suo padre, le sue dita sottili inghiottite da quelle grandi e callose di lui. "Com’è andata a scuola oggi, ragazzino?" gli domandò Burt, adeguando l’andatura ai piccoli passi del figlio. "È successo niente di bello?".

"Abbiamo fatto biglietti per San Valentino" rispose Kurt, facendo rimbalzare lo zaino sulle spalle. "Ne ho fatto uno per la mamma, pensi che le piacerà?".

Burt sorrise scompigliandogli i capelli. "Lo adorerà" gli assicurò mentre attraversavano il parcheggio dell’ospedale.

Kurt si accigliò. "Non è ancora San Valentino. Ma non voglio aspettare".

"Sai una cosa? Non credo che alla mamma importerà se glielo dai prima" sorrise Burt.

Tenne la porta aperta lasciando entrare per primo Kurt nell’atrio. Istintivamente il bambino tenne stretta la mano del padre. L’ospedale lo rendeva sempre nervoso. Aveva un odore buffo e c’erano sempre tutte quelle persone dall’aria triste che lo fissavano mentre passava.

In silenzio salirono in ascensore fino al terzo piano e poi percorsero il corridoio fino alla scrivania dell’infermiera. Burt lasciò la mano di Kurt per firmare il registro dei visitatori. "Salve, signor Hummel" lo salutò l’infermiera. "Qui per vedere Mollie?".

"Già, e ho portato il piccoletto" disse Burt, passando una mano tra i capelli di Kurt. Il bambino gli circondò una gamba con le braccia mentre l’infermiera si alzava e girava attorno alla scrivania per parlargli. Era una ragazza carina e alla mano con una targhetta che recitava "Sandy", ma anche se le aveva già parlato prima, era ancora più che altro un’estranea.

"Ciao, tesoro" disse Sandy. "La tua mamma sta proprio bene oggi". Kurt nascose il volto contro il fianco del padre.

"Scusa, è un po’ timido" spiegò Burt. Liberò la gamba dalle braccia di Kurt e gli prese la mano. "Forza, scooter, andiamo a vedere la mamma".

Kurt strinse più forte la mano del padre mentre attraversavano il reparto verso la stanza di sua madre. Era passato davvero molto tempo da quando si era ammalata e l’ambulanza l’aveva portata via, ma ancora non volevano lasciarla tornare a casa. E lui voleva bene al suo papà, ma senza di lei non era lo stesso.

Lasciò la mano di Burt quando riconobbe la porta della camera di sua madre- camera 801, quella con un disegno della Bella Addormentata appiccicato sotto la targa del numero. Suo padre non lo fermò quando spinse la porta ed sbirciò dentro.

"Mamma?" mormorò incerto.

Sua madre si mise a sedere sul letto, il volto che si illuminava. Era molto pallida, eccetto per gli zigomi spruzzati di rosso, ma i suoi lunghi capelli le ricadevano sulle spalle come avevano sempre fatto e non indossava quell’orribile camicia da ospedale che aveva i primi giorni di ricovero, ma una camiciola con un merletto e un paio di pantaloni larghi.

Kurt sospirò di sollievo nel vedere quando normale sembrasse. "Oh, piccolo, ciao" disse lei tendendo le braccia. Lui le corse incontro e cercò di arrampicarsi sul letto, ma era troppo basso.

Suo padre lo sollevò e lo posò sul letto di fianco a lei. Kurt si lanciò in avanti, gettando le braccia attorno al suo collo e seppellendo il viso contro la sua spalla. "Mi sei mancata, mamma".

Lei lo strinse forse a sé. "Anche tu mi sei mancato, piccolo".

"Ehi, a me non dici niente?" la stuzzicò Burt.

Mollie tirò anche il marito nel loro abbraccio, baciandolo sulle labbra. "Ovvio che mi sei mancato" disse, sorridendo maliziosamente.

"Ma io ti sono mancato di più, vero, mamma?" domandò Kurt ansiosamente, separandosi da lei tenendo le manine ancora sulle sue spalle.

Mollie gli scostò un ciuffo errante di capelli dalla fronte. "Mi sei mancato più di tutti" disse. Lui le sorrise e strisciò in avanti sulle ginocchia. "Papà si è preso cura di te come si deve?".

Burt prese una sedia e si sedette, sospirando. "Ho idea che sia più bravo lui a prendersi cura di me" disse. "Sta sempre a mettere via roba, rifarsi il letto o lavarsi i denti senza che glielo chieda".

"Sono davvero autosufficiente" dichiarò Kurt solennemente, senza sapere perché sua madre ridesse di questo.

"Sei sempre stato molto indipendente" lo rassicurò.

"Indipendente abbastanza per tirare di nuovo fuori la sua bici dal vicolo" aggiunse Burt, lanciandogli un’occhiata eloquente.

Kurt abbassò il capo. "Kurt Elijah" lo rimproverò Mollie. "Sai bene che non dovresti andare in bici se uno di noi non è presente. Non vogliamo che ti rompa il braccio un’altra volta".

"Lo so" mormorò il bambino. "Volevo solo andare un po’ in bici. Mike della mia classe può farlo tutte le volte che vuole".

"Sì, ma quella è una decisione che sta ai genitori di Mike" ribatté Mollie. Chiuse la mano sottile attorno al sul polso sinistro. "D’altronde, la scorsa estate ti sei rotto il braccio perché andavi in bici da solo ed è ancora troppo freddo fuori, in ogni caso".

Kurt si morse il labbro e rimase a fissare le lenzuola bianche finché sua madre non gli posò un bacio sulla cima della testa. "Ora raccontami com’è andata a scuola".

Kurt si mise dritto e sfilò lo zaino dalle spalle. "Ha fatto qualcosa per te" le spiegò Burt.

Mollie batté le mani. "Oh, fammi vedere".

Kurt aprì lo zaino e tirò fuori con attenzione un cuore di carta rosa, rosso e bianco. "È per San Valentino, ma papà ha detto che non ti sarebbe dispiaciuto averlo prima" l’avvertì.

"È bellissimo" disse Mollie. "Questa sono io?".

"Ah, ah" annuì lui. "E indossi il vestito che ti ho regalato per il tuo compleanno, vedi?"

"Sì, vedo" rispose Mollie, sorridendo di cuore. "Mille grazie, piccolo".

Burt lo prese in mano. "Vuoi che lo appenda al muro insieme agli altri?".

"Sì, proprio al centro" disse Mollie. Burt le diede un bacio sulla fronte, dopodichè attaccò il disegno sul muro di fronte, al centro di una galleria di varie opere di Kurt.

"Mamma? Posso starti in braccio?".

Lei tese immediatamente le braccia. "Certamente, tesoro". Kurt si sistemò impaziente sul suo grembo mentre lei lo circondava con le braccia. I suoi genitori cominciarono a parlare di altre cose, più che altro degli affari di papà all’officina, di quello che facevano altri membri della famiglia e di quello che il pastore aveva detto domenica in chiesa. Lui non sapeva le risposte a quelle cose- non parlava con i clienti dell’officina o con i suoi parenti dell’Iowa e di solito in chiesa si addormentava- ma sua madre lo teneva stretto, le braccia calde e accoglienti, e questo era tutto quello di cui gli importava davvero. I suoi lunghi capelli castani, simili ai suoi ma di una tonalità più rossiccia, caddero sulla sua spalla e lui vi attorcigliò le dita, assaporandone la morbidezza.

Dopo un po’, suo padre portò loro la cena dalla mensa dell’ospedale e lui lasciò le braccia di sua madre per sedersi al tavolino con papà. Dopodichè fecero uno dei suoi giochi preferiti- anche se Burt vinse, per la sorpresa di tutti- e quando venne sera, suo padre mise su un film. Si trattava di Un amore tutto suo, uno dei preferiti di sua madre, e anche uno dei suoi, anche se c’era una scena che i suoi genitori facevano sempre passare avanti.

Mentre il film iniziava, si rannicchiò nuovamente nella sicurezza delle braccia di sua madre. Mollie se lo mise in grembo, cullandolo come era solita fare quando era molto più piccolo. Poggiò la testa contro la sua spalla, respirando il confortante odore del suo profumo. Lei gli passò un braccio attorno al fianco, dando con aria assente dei colpetti all’interno della sua coscia, mentre l’altro braccio curvava sotto il suo collo cosicché potesse passargli le dita tra i capelli. Dopo un po’, Mollie si riappoggiò contro i cuscini, stringendoselo al petto, allungandosi occasionalmente per dargli un bacio sulla fronte, sulla guancia o sulla punta del naso. Kurt cominciò a scivolare nel sonno.

Era talmente andato che nemmeno si accorse quando suo padre spense il televisore nonostante mancassero ancora venti minuti alla fine del film

"Sarà meglio portarlo a casa" sussurrò Burt. "È tardi".

Kurt aprì gli occhi lentamente, rigirandosi per accoccolarsi ancora più vicino. "Vorrei poter venire a casa anch’io" sussurrò Mollie.

Burt fece per tirarlo su, ma Kurt gemette e si aggrappò alla camiciola di Mollie, seppellendo le manine nel tessuto morbido. "Voglio stare con la mamma" li implorò. "Per favore? Voglio stare con la mamma".

Mollie appoggiò la testa contro la sua. "Lo so" mormorò, accarezzandogli i capelli. "Lo so, amore mio. Tornerò a casa presto, te lo prometto".

Lui tese la mano, il mignolo in fuori. Mollie lo legò al suo, per poi condurre le loro mani unite alle labbra e baciare quella del figlio. "Prometto che tornerò a casa" disse. "Ma adesso tu devi andare con papà, okay? Fa il bravo per papà".

Gli diede un bacio prima sulla fronte, poi sulle guance e infine leggermente sulle labbra. "Ti voglio bene, mamma".

"Ti voglio bene anch’io, Kurt".

Lui mollò la presa e permise a Burt di sollevarlo. Era stranamente fastidioso passare dalla sicurezza delle braccia di sua madre, calde, morbide e profumate di fragole e popcorn caramellati, a suo padre nella sua camicia di flanella e la sua giacca troppo grande, ma non oppose resistenza. Burt si chinò per baciare Mollie, sussurrandole qualcosa all’orecchio che Kurt non afferrò, e lei annuì, risistemando i cuscini per potersi sdraiare e dormire.

Kurt si sporse oltre la spalla del padre mentre veniva portato fuori dalla stanza d’ospedale e fece un sonnolento cenno di saluto. Mollie gli mandò un bacio e lui ebbe appena il tempo di mandarne uno in ritorno prima che la porta fosse chiusa.

Si rannicchiò contro la spalla di Burt mentre lasciavano l’ospedale. Fuori era freddo e buio e lui rabbrividì. Ricordò vagamente suo padre posarlo con attenzione sul sedile del pick up, allacciargli la cintura e avvolgerlo nella giacca, ma era stanco e si addormentò in fretta.

Si risvegliò nella sua cameretta, anche se non sapeva quanto tempo dopo- era scuro e l’unica luce proveniva dalla sua lampada a forma di navicella spaziale. Burt gli aveva tolto le scarpe, sistemandole nell’apposito spazio nel piccolo armadio, e gli stava sbottonando la camicia. Kurt si accigliò e cercò di rotolare via. "Sei sveglio, ragazzino?" domandò Burt dolcemente.

Kurt fece una smorfia e cercò di rispondere, ma tutto ciò che uscì fu un mugugno. Burt ridacchiò e gli sfilò le maniche dalle braccia. Presto suo padre l’ebbe cambiato dai suoi vestiti di scuola nel pigiama. Burt lo sollevò di nuovo, tenendolo sul fianco con una solo mano mentre tirava via le lenzuola di flanella e la trapunta a strisce.

"Eccoci qua" disse, rimettendolo giù. Kurt sospirò quando la testa colpì il cuscino e si girò sulla pancia mentre suo padre sollevava le coperte e gliele rimboccava strettamente intorno. "Okay, ragazzino. Torna a dormire".

Kurt si tirò su un pochino. "Papà?" sbadigliò.

Burt si sedette al suo fianco, poggiandogli una mano sulla schiena. "Cosa c’è?" domandò, la voce calma e gentile.

Il bambino si sfregò un occhio, assonnato. "La mamma starà meglio presto?".

Burt fissò la lampada-navicella, senza parole. "Starà meglio… quando dovrà stare meglio" disse infine. Si chinò e gli diede un bacio sulla testa. "Ora dormi, okay? E se fai il bravo, domani ti porterò a fare un giro in bici".

"Mmkay, papà".

Burt gli accarezzò i capelli un’ultima volta e spense la luce prima di uscire dalla cameretta, lasciando la porta aperta quel tanto che bastava perché la luce del corridoio potesse comunque arrivare fino a lui. Kurt si rannicchiò sotto le coperte, infilando una mano sotto il cuscino. Tirò fuori la sua vecchia copertina blu e se la strinse al petto.

Non era più andato alla scuola della domenica da un po’ ormai- papà di solito lo portava solo alla funzione, visto che mamma non poteva- ma le sue insegnanti ripetevano praticamente ogni domenica che, se pregavi Dio, lui avrebbe ascoltato qualunque cosa tu gli dicessi.

Kurt attorcigliò la mano alla copertina. "Caro Dio" sussurrò, la voce che suonava calma e attutita nel silenzio. "Per favore, fa guarire la mamma, così potrà tornare a casa e stare con me e papà. Sarò bravo per sempre quando mamma tornerà a casa".

Proseguì la sua piccola preghiere sussurrata finché non si addormentò, ben prima di raggiungere l’amen finale. Per molto mesi dopo quel giorno continuò a pregare fino ad addormentarsi, chiedendo a Dio solo una cosa- che sua madre stesse meglio e tornasse a casa per restare.

Ma in maggio, smise in pregare.

*******

Continuò a fissare il legno levigato del tavolo, la mano ancora mollemente appoggiata contro la sua tazza di caffé ormai freddo.

"Tornò a casa alla fine di febbraio" disse debolmente. "Aspettavano che fosse forte abbastanza per poterle fare l’operazione che le avrebbe salvato la vita… ma non è mai successo".

Non poteva vedere il volto di Blaine, ma sapeva che era ancora lì. "Quando è morta?".

"In maggio" rispose. "Nel sonno. Mio padre era tornato a casa molto presto dopo un viaggio di lavoro e venne nella mia camera per controllarmi".

Si decise ad alzare lo sguardo, la vista offuscata. Blaine non disse nulla.

"Io dormivo, e mia madre era morta".

Blaine si mosse così in fretta che il suo occhio non fece in tempo a registrarlo. Gli strinse la mano con forza, le sue grandi, forti, calde dita che si chiudevano su quelle gelate di Kurt. Il calore della mano di Blaine gli mandò un’acuta fitta di dolore nel petto.

Non aveva mai raccontato quella storia a nessuno prima.

"Ho pregato ogni notte" sussurrò Kurt. "Ho pregato ogni notte che Dio la facesse stare meglio e… E invece lui l’ha uccisa".

Si coprì il viso con la mano libera. Non poteva guardare in su. Non adesso.

"Se c’è un Dio, perché non mi ha ascoltato?" mormorò e, nonostante tutto, sentì la gola chiudersi e gli occhi bruciare prima di cominciare a piangere.

Blaine lasciò andare la sua mano e per un istante il suo cuore si spezzò. Ma subito realizzò che Blaine aveva spostato la sedia accanto alla sua e i loro fianchi si toccavano. Blaine gli passò un braccio attorno alle spalle e lo attirò con forza contro il suo petto. Kurt nascose il viso tra le mani, il suono dei suoi singhiozzi perso in mezzo alle canzoni natalizie, al rumore delle macchine del caffé e alle chiacchiere allegre della gente.

"Mi dispiace" disse Blaine, la bocca vicina al suo orecchio e il respiro caldo contro la sua pelle. "Mi dispiace tanto, Kurt".

Si appoggiò con forza contro di lui, la guancia premuta contro il costato di Blaine. Poteva sentire il costante battito del suo cuore e il suo respiro accelerato e presto la mano di Blaine fu sulla sua nuca, accarezzandogli i folti capelli morbidi con gentilezza.

"Non ho risposte per te" continuò Blaine. "Vorrei averle. Ma… Mi dispiace. Mi dispiace che sia successo a te. Ma andrà tutto bene, non importa quello che tu credi. Andrò tutto bene".

Kurt chiuse gli occhi e annuì contro il petto di Blaine, le guance ancora umide di lacrime. Blaine continuò ad accarezzargli i capelli e per la prima volta in otto anni, si sentì come se il cuore avesse smesso di far male un pochino.

 

Note dell’autrice

Non volevo davvero pubblicare questa storia, ma ho permesso a I Spiked the Ice Cream e psychopiratess di leggerla e loro erano tutte "Awwww… pubblicala".

Così… godetevi il piccolo bitty Kurt e questo generale festival angst-fluff.

L’ho scritto tardi di notte mentre mi sentivo di pessimo umore e vorrei davvero, davvero accelerare le cose in Lima Loser per poter scrivere del piccolo e adorabile baby!Kurt. Perciò… Questa storia serve per farmi andare avanti.

Ma okay.

Ancora, il suo titolo formale "Una storia di baby!Kurt piena di angst e tristezza" perché mi stavo lamentando di come questa storia non avesse titolo e Kat, Ary e Hailey hanno suggerito il sopraccitato. Seriamente, no.

Per quanto, la storia sia in pratica solo su questo…

Note dell’autrice

Scusate per l’attesa, ma sono stati giorni un po’ incasinati e tra una cosa e l’altra l’aggiornamento ha continuato a slittare…

Posso dirlo? Baby!Kurt è una delle cose più adorabili che siano mai apparse sulla terra, ho un tale bisogno di coccolare qualcosa in questo momento che potrei esplodere (ma forse siamo io e il mio sfrenato e quasi ridicolo amore per i bambini).

Scusate il generale tono angst-deprimente, prometto che la prossima volta pubblicherò qualcosa di più allegro!

  
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