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Autore: Maharet Kurosaki    11/05/2011    5 recensioni
[Francis Bonnefoy(Francia)/Arthur Kirkland(Inghilterra)]
C'è sempre un odore particolare in casa di Francis: un misto di profumi costosi, di fiori sempre freschissimi, di vino e di dolci; è un aroma strano, unico, talmente forte, a volte, da dare alla testa.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avvertenze: La pubblicazione di questo racconto in altra sede, senza il consenso dell'autrice, è assolutamente vietata.
Note:
1. La mia prima FrUk, fiuuu credevo di metterci di più a scriverla e invece xD Spero vi piaccia ^^
2. Dedicata a naripolpetta e persychan. Amovi.
3. I Commenti Sono Sempre Amore. Quindi, per favore, perdeteci 5 secondi se leggete xD.
 


 


C'è sempre un odore particolare in casa di Francis: un misto di profumi costosi, di fiori sempre freschissimi, di vino e di dolci; è un aroma strano, unico, talmente forte, a volte, da dare alla testa.
Non ci si abitua mai, perché ha sempre qualcosa di nuovo, di diverso.
Arthur lo respirò affondo, seduto sul divano nel salotto del francese, il fuoco caldo e vivace nel caminetto di fronte, attorno a lui la luce soffusa della lampada appoggiata al muro e, dietro, quella delle candele sistemate sul tavolo.
Gli unici suoni erano una noiosa sinfonia classica in sottofondo e i movimenti di Francis in cucina: Arthur fissò il bicchiere di vino ancora pieno che aveva in mano e poi ne bevve lentamente un sorso, tornando poi a guardare il fuoco.
Nella stanza si diffuse un leggero odore di tabacco, che si fece sempre più vicino, man mano che il francese gli si avvicinava: Francis si lasciò cadere sul divano, la sigaretta accesa tra le labbra, la sua solita espressione maliziosa sul viso.
- Quando ho accettato il tuo invito a cena, non credevo l'avresti interpretato come un appuntamento. -
Francis aspirò una lunga boccata di fumo, che poi soffiò fuori sorridendo.
- Oh, non lo è?-
- Certo che no, idiota. -
- Non posso neanche illudermi?-
Francis allungò una mano verso di lui, ma Arthur la ignorò, allontanandosi appena.
- Non ci provare neanche, pervertito. -
L'altro non disse nulla; restarono in silenzio per un po', lo sguardo di Arthur si posava di tanto in tanto su Francis, che fumava tranquillo e rilassato, le gambe incrociate: la camicia bianca leggermente aperta sul petto e i pantaloni scuri che indossava sembravano cuciti alla perfezione su di lui, come sempre.
Arthur sbuffò e tornò a fissare il fuoco.
Dopo qualche minuto Francis si alzò e gli porse la mano in modo affettato.
- La cena è pronta, se vuole seguirmi, monsieur... -
Arthur accettò la mano con circospezione, temendo uno dei soliti tranelli del francese, ma Francis si limitò ad aiutarlo ad alzarsi e a precederlo nella piccola ed intima saletta da pranzo: gli allontanò la sedia dal tavolo e lo invitò a sedersi come si farebbe con una signora e Arthur si stupì di quanto, anche dopo quanto? Secoli? Millenni? Di conoscenza, Francis riuscisse ancora a sorprenderlo.
Francis aveva sempre avuto un rapporto strano con l'avere ospiti in casa sua: non si faceva nessun problema se doveva piombare in casa d'altri nelle ore più improbabili e moleste e accamparcisi per giorni senza essere stato invitato, provocando l'ira più che giustificata dei padroni di casa.
Ma la sua casa era, per Francis, un tempio inviolabile: il suo rifugio solitario in cui pochissimi eletti erano ammessi; era strano vederlo lì, silenzioso e pensieroso in modi che era impossibile immaginare se lo si conosceva solo superficialmente.
Il viso disteso in un'espressione rilassata e distante, gli occhi che si posavano quasi con delicatezza, senza la consueta brama, sugli oggetti e le persone, il suo contegno posato e quasi dimesso, che però non intaccava minimamente la sua naturale eleganza e grazia nei modi: era uno spettacolo raro e stupefacente e Arthur si sentiva privilegiato ad avervi assistito forse più di ogni altro.
Mangiavano in silenzio, Arthur con gli occhi fissi sul proprio piatto, consapevole delle occhiate insistenti che il francese gli lanciava.
- Cosa c'è? Ho qualcosa sulla faccia?-
Francis sorrise appena e bevve un altro po' di vino, assaporandolo per qualche istante prima di ingoiarlo.
- Stavo solo ammirando la deliziosa vista davanti a me, Arthur. -
Arthur arrossì appena e distolse di nuovo lo sguardo, imbarazzato dal sussulto involontario che aveva avuto nel sentire pronunciare il proprio nome con quel tono basso e suadente.
- Sei sempre il solito. -
Il silenzio cadde di nuovo tra loro: Arthur osservava le dita lunghe ed affusolate di Francis strette attorno atte posate d'argento con grazia, quasi accarezzandole, i suoi occhi socchiudersi appena quando si portava il cibo alla bocca e il modo in cui i capelli biondi gli ricadevano sulla fronte; sembrava che la luce soffusa non facesse altro che sottolineare la bellezza sensuale ed ammaliante dell'uomo e la cosa metteva Arthur a disagio, anche se cercava di non darlo a vedere.
Si spostarono di nuovo in salotto dopo aver finito di cenare: il fuoco continuava a crepitare nel caminetto, diffondendo un leggero odore di cenere della stanza, smorzato dalle candele profumate che Francis aveva acceso.
Arthur sentiva la presenza silenziosa del francese accanto a sé, il suo profumo intenso dargli alla testa più di tutte le candele messe insieme; si sentiva un po' confuso ed assonnato a causa del vino e di quella strana atmosfera intima.
- Sei silenzioso stasera. Nessuna battuta sconcia?-
Francis abbozzò un sorriso, continuando a guardare la neve che cadeva al di fuori della casa, lenta e silenziosa; Arthur si sentiva un po' a disagio: di solito era Francis a tenere viva la conversazione, con quella sua fastidiosa parlantina e Arthur non sapeva cosa dire o cosa fare in quella situazione.
Si sforzava di trovare qualche argomento di conversazione frivolo e divertente per stimolare la rassicurante eloquenza dell'altro, ma, notoriamente, Arthur non era un tipo né frivolo né particolarmente divertente e non gli venne in mente nulla, per quanto ci pensasse.
L'inglese sospirò: c'era qualcosa di strano nel modo in cui l'altro si stava comportando, ma Arthur non aveva il coraggio di fargli nessuna domanda, di infrangere quel muro di timida riservatezza che, puntualmente, sembrava creargli il vuoto attorno, quando si trattava di Francis.
- Credo sia ora che io me ne vada, si sta facendo tardi. -
Si alzò, ma Francis lo trattenne per il polso, costringendolo a voltarsi verso di lui: i suoi occhi verdi incontrarono quelli azzurri del francese, nei quali i bagliori del fuoco creavano strani giochi di luce.
- C'è troppa neve fuori. Resta qui. -
Inconsciamente aveva parlato in francese e Arthur sentì un brivido corrergli lungo la schiena: Francis gli stringeva ancora la mano e non accennava a lasciarla; l'inglese si mise di fronte a lui, restando in piedi, squadrandolo con lo sguardo, cercando di capire cosa si agitasse nella mente e nel cuore dell'altro.
Francis abbassò lo sguardo e gli lasciò la mano, imbarazzato, evitando di guardarlo mentre si metteva di nuovo seduto sul divano: sentì Arthur farsi più vicino, non abbastanza da far sfiorare i loro corpi, ma abbastanza da sentire il calore irradiare da lui, il suo odore farsi sempre più forte.
Francis respirò affondo e si mise di nuovo a guardare fuori.
- Mi dispiace essere stato così poco di compagnia stasera, nonostante l'invito fosse mio. -
- C'è qualcosa che non va, vero?-
La voce di Arthur era un sussurro appena percettibile: Francis si voltò verso di lui, accarezzando con lo sguardo la figura dell'inglese, quel corpo che aveva sfiorato così tante volte nel corso dei secoli, che aveva visto contorto dal piacere e dal dolore sotto di sé, quello stesso corpo che tante volte lo aveva umiliato in battaglia o che lo aveva salvato all'ultimo momento dalla catastrofe.
- A volte mi sembra possibile, per noi, andare oltre tutto il nostro passato e, finalmente, vivere come abbiamo sempre segretamente desiderato. -
La voce di Francis era bassa e intensa, quasi come se fosse immensamente doloroso per lui pronunciare quelle poche parole.
- Poi, invece, mi rendo conto che, ogni volta che ti guardo, non riesco a non ricordare tutte le ferite che ci siamo inferti a vicenda, tutto il dolore che abbiamo provato. E allora mi chiedo come potremmo vivere insieme, così. Ci sono bagagli troppo pesanti da portare e cicatrici troppo profonde, che non possono svanire. Io e te ne abbiamo fin troppe. -
Arthur abbassò lo sguardo, ma lo rialzò dopo pochi secondi, mentre le parole di Francis gli penetravano nel cervello, scavando affondo, lasciando un segno profondo e doloroso.
- Non ti ho neanche mai detto quanto ti amo. -
Le parole gli uscirono di bocca prima che Francis potesse fermarle; si guardarono per un minuto lunghissimo, che sembrò dilatarsi all'infinito, immersi in quella quiete irreale, in quel silenzio che, adesso, aveva il sapore di mille aspettative e speranza sepolte per troppi anni e lasciate ad accumulare polvere in angoli nascosti, ma mai dimenticati, dei loro cuori.
Francis fu il primo a riscuotersi: fece per alzarsi, ma Arthur gli afferrò il braccio come lui stesso aveva fatto pochi minuti prima con lui; si guardarono di nuovo negli occhi a lungo, cercando una risposta da darsi.
La risposta arrivò da sola, quando le labbra di Francis si posarono su quelle dell'altro: Arthur respirò affondo e rimase immobile per qualche istante, prima di rispondere timidamente al bacio, sentendo Francis aumentare la pressione sulle sue labbra, premendo la lingua contro di esse, finché Arthur non aprì la bocca, approfondendo il bacio.
La bocca di Francis sapeva di tabacco e di vino e il suo profumo era così intenso che Arthur si dimenticò completamente di tutto quello che esisteva attorno a loro, lasciandosi andare, sentendo le mani del francese tra i suoi capelli.
Fu un bacio passionale, ma lento e calmo, intenso, ma allo stesso tempo privo di urgenza o impeto: quando si staccarono e si guardarono di nuovo negli occhi, Francis non potè fare a meno di ridere sottovoce, la fronte poggiata contro quella dell'altro.
- Perché ridi?-
Francis non gli rispose subito, impegnato com'era a posare piccoli baci sul suo viso e il suo collo.
- Francis?-
- Rido perché, dopo tutte le cose terribilmente romantiche che ti ho detto poc'anzi, l'unica cosa che mi viene voglia di dirti in questo momento è che voglio scoparti così forte da impedirti di sederti e camminare dritto per almeno una settimana. -
Arthur rimase interdetto per qualche secondo, prima di sbuffare sonoramente e poi bacare di nuovo l'uomo di fronte a lui.
- Sei sempre il solito maniaco, tu. -
Francis lo guidò in silenzio verso la camera da letto al piano superiore, tenendogli la mano: non era la prima che si trovavano in una situazione intima di questo tipo, eppure, adesso tutto sembrava essere completamente diverso da quello che c'era mai stato prima tra loro.
Tutte le notti di sesso, tutte le sveltine tra un meeting e l'altro, tutte le frecciatine e le battute sembravano appartenere ad un passato lontanissimo che nessuno dei due voleva ricordare.
Francis si chiuse la porta alle spalle, appoggiandosi contro di essa per qualche istante, gli occhi chiusi, le mani di Arthur che cominciavano ad accarezzargli il petto, lentamente, su e giù, il suo respiro caldo contro le labbra, prima di un altro bacio, dolce ed appena accennato.
Sentiva le mani dell'inglese sbottonargli timidamente la camicia, non senza un po' di difficoltà, per poi accarezzare direttamente la sua pelle nuda, facendo gemere il francese nel bacio; Francis lo prese tra le braccia, stringendolo, approfondendo il bacio e guidandolo verso il letto, finché Arthur non si ritrovò sdraiato su di esso, il francese tra le sue gambe divaricate.
Francis gli sorrise, mentre Arthur gli accarezzava il viso, sentendo la barba ben curata sotto la pelle della mano: Francis si spogliò del tutto, prima di aiutare anche l'altro a fare lo stesso e poi a sdraiarsi bene tra i cuscini.
Arthur rabbrividì, quando sentì quel corpo solido e tonico sul suo: era passato così tanto tempo dall'ultima volta che si erano trovati così vicini, ma tutto l'imbarazzo e i dubbi tra loro sembravano essersi sciolti come neve al sole, senza lasciare altro che una piccola pozza bagnata che sarebbe bastato asciugare per farla sparire del tutto.
Arthur si chiese se fosse sempre stato tutto così semplice, se, anche prima, sarebbe bastato semplicemente pronunciare quelle poche parole per cancellare il dolore del passato o se quella fosse solo un'illusione ottimistica, che sarebbe svanita con quella notte.
Francis gli prese il viso tra le mani e gliele passò sugli occhi, sulle labbra dischiuse, sulle guance accaldate, tra i capelli.
- Ti ho amato dal primo momento e non ho mai smesso di farlo, solo che... -
- Ci hai messo troppo tempo ad accorgertene e hai sempre creduto che fosse troppo tardi, ormai, per mettere a posto le cose. -
Il francese rise sottovoce, prima di unire di nuovo le loro bocche in un nuovo bacio, strusciando i loro corpi l'uno contro l'altro, sentendo le mani timide di Arthur sulla sua schiena.
Quando si staccarono, rimasero in silenzio a guardarsi per un po', persi l'uno negli occhi dell'altro.
- Francis?-
- Si?-
- Se non ti decidi a scoparmi, chiamo Alfred e faccio bombardare quel tuo bel culo francese. -
Francis rise di gusto.

Arthur si svegliò quando sentì una mano leggermente fredda accarezzargli il viso e il collo: aprì gli occhi ancora assonnati e si volto verso Francis che lo guardava sorridente, seduto sul letto con indosso solo un paio di boxer.
- Bonjour Arthur. -
Arthur ricambiò il sorriso, sbadigliando sonoramente, mentre l'altro si sdraiava di nuovo accanto a lui, il viso tra i suoi capelli scompigliati; l'inglese strinse la mano che gli sfiorava il petto nudo e si rilassò, respirando affondo.
Era una sensazione così strana e meravigliosa da fargli pensare che, da un momento all'altro, si sarebbe svegliato nella sua fredda e vuota casa di Londra, senza Francis accanto a lui e con il loro bagaglio di silenzi e rimpianti ancora intatto.
Ma quando Francis gli morse leggermente la spalla, succhiando il segno che aveva lasciato e provocandogli un gemito di piacere, Arthur si disse che i suoi dubbi e le sue eterne paranoie potevano aspettare.
Si voltò verso il francese e lo baciò con forza, sentendolo sorridere e stringerlo forte, le sue mani grandi e leggermente callose contro la pelle sensibile della sua schiena: quando si staccarono, Arthur rivolse a Francis un sorriso bello e luminoso, un sorriso raro sul viso dell'inglese.
- Buongiorno, Francis. -
  
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