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Autore: Khepri    12/05/2011    1 recensioni
Il mondo di un ragazzo viene travolto dalla scoperta di un misterioso diario appartenente ad un suo consanguineo vissuto 50 anni prima.
Cosi Miquel De Torres scopre nuove avventure, nuovi nemici, nuovi amori e nuove emozioni che lo porteranno a vivere tutta un'altra storia da quella che immaginava da piccolo..
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 'Erano gli anni della guerra civile. Barcellona era sommersa da un candido manto di neve che ricopriva i tetti da una settimana. L'inverno ostile sembrava opporre resistenza alla violenza che dilaniava la città. Le persone andavano dileguandosi nei vari vicoli che si intrecciavano parallelamente alle ramblas. In quest'ultime non si vedevano più passeggiare gli anziani con i propri parenti ne le giovani coppie che fino a qualche anno prima rallegravano quelle strade piene di fiori e di colori. Ormai tutto era bianco, anzi grigio per la coltre di nubi che ricopriva la città.'

Queste furono le prime parole che lessi. Era un diario, ne ero certo, ma cosa ci faceva nella mia soffitta?
«Miquel, scendi gli altri scatoloni che il camion è pronto per il trasloco».
Ignorai mio padre (Antonio Herrera, proprietario di un negozio d'antiquariato vicino Calle Sant'Anna). Continuai a leggere lasciandomi trasportare dal ricordo di una Barcellona ormai perduta per sempre.

 'La gente non si spaventava più e tutti rimanevano quieti quando sentivano qualche sparatoria o delle urla soffocate riempire il silenzio della città. Passate le nove di sera le famiglie rimanevano rintanate in casa ad ascoltare la radio. Per le strade alcuni poliziotti della Squadra Anti Crimine (SAC) governavano la città, e chiunque vi si metteva contro veniva soppresso nell'ombra di un silenzio assordante. Per i circoli degli anarchici la SAC veniva rinominata come Scagnozzi Ammazza Cittadini. Io, laureato in filosofia, avevo da vent'anni una cattedra all'Università di Barcellona. Gli alunni del mio corso erano sempre meno, la gente si spaventava ad uscire di casa. Io in cuor mio volevo fare qualcosa, ma chiunque si metteva contro la persona di turno al potere veniva seguito dalla SAC e, appunto, non tornava a casa vivo. Tutti volevano combattere la SAC, ma nessuno attivava le proprie parole. «Tutto fumo e niente arrosto» diceva sempre mio fratello... La gente aveva voglia di rivolta, ma la SAC faceva intimorire anche i più coraggiosi. Io non avevo nulla da perdere, così decisi di indagare sul passato della SAC e dei suoi vecchi e attuali componenti. Interrogai la gente, cercai tra i documenti più strani e sospetti della biblioteca di Barcellona, ma niente. Un giorno ritrovai in mezzo ad una rivista di qualche giorno prima un articolo che parlava di una villa dove si credeva nascosto uno dei principali capi del partito degli Anarchici. Ovviamente avrei trovato una casa abbandonata, ma valeva la pena provare. Decisi di andarci.'

Eravamo quasi arrivati alla nuova casa. I bagagli facevano così tanto rumore da distrarmi dalla mia lettura.
Sospirai e chiesi a mio padre «Quanto manca all'arrivo?»
«Dieci minuti» rispose.
Guardai distrattamente fuori dal finestrino. I viali scorrevano velocemente e si intravedevano le scritte dei negozi illuminate dai lampioni in una Barcellona che stava per spegnersi in un tramonto. Tutto era reale, ma era stupefacente pensare che qualcuno che aveva vissuto nella mia stessa città durante gli anni della guerra civile aveva scritto un diario che io possedevo.

«Via del Tibidabo n°32»
«Cos'è?» chiese mio padre.
«Un viale di Barcellona, l'abbiamo appena passato, ma il numero 32 non l'ho visto» dissi dopo averlo letto dal diario.
«Sarà stata una svista. Siamo quasi arrivati, domani puoi tornare a cercarlo...ci sta qualche ragazzina che conoscevi?»
«Si» inventai una scusa abbastanza vaga.

A tredici anni non avevo una mentalità chiusa, ma non potevo inventare altro: avrebbe frainteso. Mio padre sorrise mentre guardava la strada buia illuminata soltanto dai fari dell'auto. Cominciavo solo adesso ad intravedere i segni della sua vecchiaia. Erano diventati molto più evidenti rispetto a qualche anno prima. Nonostante queste marcature il suo sorriso era rimasto invariato nel tempo e lo stesso che mi stava mostrando adesso era lo stesso mi mostrava quando avevo cinque anni, ed era lo stesso che non ho mai dimenticato.
Eravamo appena arrivati e già dopo dieci minuti dall'essere entrati in casa suonò al campanello la famiglia Rodriguez. Era una famiglia formata da quattro membri. Horatio e Sophia erano due genitori affettuosi,il padre era un orologiaio abbastanza famoso. La madre era disoccupata. I due figli erano Gabriel, di tredici anni e Bernardo di appena due anni. Gabriel era un ragazzino magro e simpatico con capelli mori e fluenti e nonostante la sua giovane età era molto ammirate dalle ragazzine di quartiere. Presto anch'io sarei diventato molto famoso in fatto di ragazze. Appena ebbi la possibilità di conoscerlo meglio scoprii che nonostante fosse di bel aspetto era un ragazzo molto strano. Amava disegnare, ma tra i suoi disegni c'era un soggetto molto ricorrente: una villa. Era una di quelle lussuose che solo i ricconi di alto borgo possono permettersi, ma sembrava completamente diroccata e la sua bellezza era come sfiorita a causa del tempo.
«Dove l'hai vista questa?» chiesi parlando della villa.
«Non so precisamente dove si trovi, ma so che è qui a Barcellona.»
«E allora come fai a disegnarla?» risposi allibito.
«La vedo sempre in sogno e la disegno quando mi sveglio a notte fonda. È inquietante, lo so, ma non posso farci niente, è come se fossi cosciente di essere posseduto».

Dopo aver parlato di questa villa-fantasma cominciammo a parlare dei nostri gusti letterari, di attualità, ecc.. Insomma, cominciammo a parlare del più e del meno e scoprimmo di avere un mare di cose in comune tra ideali e letteratura.
«Oramai il mondo sta per finire» diceva Gabriel quando ascoltavamo le notizie alla radio. Ogni tanto guardavamo quei pochi programmi che si potevano vedere nelle vecchie televisioni in bianco e nero di un tempo, che Gabriel possedeva nel suo salottino. Gabriel odiava la televisione.
«La televisione è soltanto un mezzo inutile che serve a delimitare la fantasia umana» diceva sempre.
Preferiva evidentemente i libri alla televisione e ogni volta mi ricordava che 'i libri danno conoscenza, mentre la televisione serve solo a lasciar la gente imbambolata davanti ad uno parallelepipedo che proietta immagini in bianco e nero'. Come potergli dare torto? Quel marchingegno infernale preannunciava la dipendenza dalla tecnologia in un'era prospera e fiorente.

Io e Gabriel andavamo alla stessa scuola e presto saremo arrivati al liceo.
L'estate era alle porte e dopo quel lungo ultimo anno passato alle medie mi avrebbe aspettato una nuova vita in un liceo dove avrei sviluppato il mio essere e la mia conoscenza. Non sapevo cosa mi aspettasse in questi cinque lunghi anni, ma speravo sarebbe stato qualcosa di eccitante e fantastico, così da poter essere indimenticabile.

  
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