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Autore: tersicore150187    14/05/2011    14 recensioni
Io sono ancora una "illusa" che crede che l'amore può anche curare le ferite più profonde.
Il parallelismo tra il corpo e l'anima di Kate in questa storia è abbastanza chiaro.
In fondo è come se, alla morte della madre, lei fosse stata picchiata dentro e portasse con sè delle ferite che non ha il coraggio di far medicare a nessuno.
A nessuno, fin quando non arriva Castle nella sua vita.
One-shot scritta per i CSA di Maggio 2011 - secondo turno. Categorie Sad-Romance.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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One-shot scritta per i CSA di Maggio (II turno) - categorie Sad - Romance

 

Vivimi.

 

Era bello camminare per le strade di New York per raggiungere casa, senza aver niente di meglio da fare, senza avere del tempo da rincorrere su un taxi, senza avere tempo da guadagnare avidamente, minuti, ore....da passare con qualcuno. Già. Camminare lentamente in fondo era una magra consolazione per una giovane donna che avrebbe meritato di godere avidamente di quel tempo tra le braccia di un uomo innamorato. Kate si fece impercettibilmente triste per un istante, prima che un forte rumore metallico attirasse la sua attenzione.

 

“Hey, hey...che diavolo state...” urlò con rabbia.

Due ragazzi sull'altro lato della strada, al di là del bivio, stavano dando dei colpi secchi ad una saracinesca chiusa di un piccolo negozio di liquori. “Ma che cosa credete di fare?” urlò Kate per la seconda volta. Con un gesto istintivo mise la mano alla fondina per tastare la presenza della sua arma “protettrice” e poi prese il cellulare. “Mandatemi una pattuglia all'angolo tra la 143esima e la Amsterdam, c'è una rapina in corso, non so se sono armati. Ok, intervengo”. In pochi minuti i rinforzi sarebbero stati lì, il distretto distava pochi isolati e a quest'ora non c'era molto traffico. I suoi colleghi erano già tornati a casa da parecchio, Beckett pensò che non era il caso di disturbarli, se la sarebbe cavata da sola, come sempre. Già, perché lei era sola.

 

Immersa in questi pensieri si avvicinò ai due e fece la cosa peggiore che potesse.

Sentì una voce dentro di lei che le diceva “Kate, ti prego, non lo fare”. La ignorò.

“ Stop, NYPD!”.

Erano in due. Due tipi dall'aria anonima, immigrati sudamericani avrebbe detto lei, forse portoricani, ma non ne era sicura. Uno alto e più smilzo, vestito di nero dalla testa ai piedi, sembrava fosse drogato o stordito, forse era ubriaco. L'altro, più basso e minuto, a lei era sembrato subito la “mente” dell'operazione, aveva un ghigno odioso dipinto sul volto e una cicatrice che gli partiva dal centro della guancia sinistra e scorreva giù fin sotto il mento.. Non appena la videro brandire l'arma, il più bassino fece un cenno del capo all'altro e, prima che lei potesse minacciarli o tantomento sparare, le furono sopra. Uno dei due le diede un colpo ben assestato che la fece cadere di schiena proprio in mezzo al marciapiede deserto, l'altro, con il piede le fermò il polso con forza, facendole cadere di mano la pistola. Kate era paralizzata, sentiva un bruciore partirle dalla mano e risalire fino all'incavo dell'ascella, doveva averle toccato il nervo del braccio quel bastardo. Respirò e cercò di mantenere il sangue freddo, a breve sarebbero arrivati i rinforzi, si trattava di resistere solo pochi minuti. Resistere.

Il piccoletto la osservava con quell'aria ributtante mentre l'altro compare la teneva bloccata a terra. Kate non sapeva se sfidarlo o aspettare una sua mossa. Ma voleva prendere tempo. “Pensi che io abbia paura di te?” sibilò.

Secondo errore.

Il tipo, con l'aria più rabbiosa che Beckett avesse mai visto da tanti anni, estrasse un coltello dalla tasca dei pantaloni, fece scattare la lama e la avvicinò pericolosamente alla guancia di Kate che, dentro di sé, cercava un barlume di ragionevolezza e un'idea su come uscire da quella situazione. Non la tocco, ma le passò la lama vicinissima al naso, alla bocca agli occhi, al collo, arrivando infine a tagliarle una sottile ciocca di capelli che portò al viso annusandola come un trofeo.

Kate capì di avere a che fare con uno psicopatico.

Fu un attimo, un lampo.

Il ragazzo getto via il coltello che risuonò scagliandosi contro un lampione, un secchio dell'immondizia, un angolo del marciapiede. Non gli serviva quella lama per ottenere quello che voleva. Si avventò su Kate con tutto il peso del suo corpo e le tenne ferma le testa con una mano mentre con l'altra tentava di sbottonarle i pantaloni. Quello che non sapeva era che Kate non sarebbe stata immobile a soffrire per l'inevitabile. Serrò le gambe più forte che potè, con tutta la resistenza che in quegli allenamenti le avevano insegnato, poi, alla prima occasione tirò su la testa e colpì il ragazzo che ansimava sopra di lei con il tacco dello stivale che indossava. Il tipo che la teneva ferma capì che non era sufficientemente forte per lei e così le diede uno strattone che le fece stirare il muscolo del collo che lei si ostinava a tendere verso l'alto e Kate gemette di dolore.

Fu come una miccia accesa per quella bestia che le stava sopra.

Le diede un colpo fortissimo sul viso e Kate quasi perse i sensi, poi iniziò a colpirla dappertutto. Calci e pugni a raffica si abbattevano su quel corpo che a Kate non era mai sembrato così fragile come in quel momento. Ebbe paura di svenire, perchè non voleva perdere coscienza di quello che le poteva accadere. E se l'avessero rapita? O tentato di ucciderla? In fondo erano armati non solo di un coltello, avevano la sua pistola. Registrata alla polizia per di più, non sarebbero mai riusciti a risalire a loro. Oddio, ma a che cosa stava pensando? A come scovare i suoi stessi assassini? Si sentì impazzire di rabbia. Sentì la lingua tagliarsi e un sapore metallico diffondersi in tutta la sua bocca, un sapore che le sembrò arrivasse fino all'anima. Sentì un dolore forte in bocca e sperò che non le si fosse rotto un dente....una perla.... “non sei nata con quello stupendo sorriso?”. In quell'abisso di dolore inenarrabile la sua anima aveva deciso di aggrapparsi all'unico pensiero che le dava la forza di restare vigile e non svenire. Rick Castle. Fu un pensiero istintivo. Non riuscì a controllarlo. Mentre una scarica di colpi continuava ad oltraggiarla, lui era lì fermo nella sua mente, nel suo corpo, vivo come non mai dentro di lei. Pensò che avrebbe voluto le sue mani sul suo corpo come carezze, il suo sesso dentro di lei come un balsamo curatore, come una medicina per la sua anima ferita. Mai come in quel momento il suo corpo era dolorante quanto il suo spirito. E in quel momento lei voleva Rick. Lo chiamò col solo alito di voce che le parve avere. Forse non uscì nulla dalla sua bocca, forse lo sentì solo dentro di lei. “Rick dove sei?”.

Le sirene della polizia riecheggiarono in lontananza.

 

Quando il poliziotto si avvicinò a quel corpo apparentemente senza vita non ne riconobbe i tratti. Non poteva, lui era fresco fresco di accademia, lavorava a New York da poco e non era neanche in servizio presso il suo distretto quella sera. Era con un ex compagno che aveva ricevuto la chiamata mentre erano insieme. Il ragazzo si voltò verso l'amico gridandogli di chiamare un'ambulanza. Guardò la donna priva di sensi, con il corpo sfigurato e sanguinante e si precipitò alla macchina a prendere la cassetta del primo soccorso. Quando si riavvicinò all'amico che era a fianco a lei, senza muoverla affatto le scostarono la giacca per prendere il distintivo. Il ragazzo le sentì il polso. “C'è battito” disse con un sospiro. “Avevo capito che era una poliziotta, è lei ad aver fatto la chiamata, guarda amico, è del dodicesimo”.

 

In poche ore Montgomery, Ryan, Esposito e Lanie che era a cena con lui quando avevano ricevuto la chiamata, erano al North General Hospital. Lanie si era fatta dare un camice in medicheria e si era precipitata all'interno spaventata e molto agitata. Quando usci, quasi in preda ad un attacco d'ansia e con il viso rigato di lacrime, disse quasi senza voce “Non hanno leso organi vitali. Ha fratture multiple, alcune scomposte. Ematomi e segni di violenza brutale su tutto il corpo, poco o niente sul viso per fortuna. Grazie a Dio non ha subito violenza sessuale, quel bastardo non ne ha avuto il tempo”. Esposito le si avvicinò e con uno sguardo dolce e protettivo, ma anche pieno di rabbia, le disse “Lo prenderemo piccola”. Lanie lo guardò di rimando e, mentre una lacrima le scendeva sulla guancia, sussurrò “Castle...”.

Era il momento.

 

“Perchè non mi avete chiamato prima?” urlava nella sala d'aspetto dell'ospedale. Sembrava furioso. “Credete che me ne sarei potuto stare a casa beato a sorseggiare vino mentre lei qui moriva?”. Non lo avevano mai visto in quello stato. “Castle, non stava morendo” disse Ryan timidamente, “gia, ma questo voi non lo potevate sapere! Dannazione se lei fosse....se io...non sarei mai, non me lo sarei mai....” non trovava neanche lui le parole, sembrava che stesse per mettersi a piangere o svenire da un momento all'altro.

“Lei non è morta, Castle. È viva. Vorrei poterti dire che sta bene, ma so che non è così. Sta peggio di come forse è mai stata in vita sua. Questo giorno da quest'anno in poi sarà come un lutto per lei ogni nuovo anno, come una data da cancellare per sempre dalla sua vita. Ma ora lei è qui. È lì, in un letto, ma è viva. E ha bisogno di noi. Di te.” La voce di Montgomery era dura ma calma e...anche dolce in fondo.

“Comunque sapevamo che non era in pericolo di vita, i paramedici ci avevano rassicurato, ma non potevamo chiamarti subito, eravamo troppo sotto shock, non ce l'avremmo fatta a reggerti.” era Ryan a parlare. Stavolta Castle non lo mise a tacere, troppo distrutto per replicare. “Uno di noi due avrebbe dovuto stenderti, bro.” Esposito gli diede un colpetto sulla spalla. Castle sorrise, in fondo a sé, guardò l'amico e gli disse “non c'è da scherzare questa volta, vero?” “va' da lei” fu l'unica risposta. Tutti in coro, con le loro menti, con i loro pensieri, con il loro affetto, lo spingevano verso quella porta bianca. Tutti sapevano che avevano bisogno entrambi l'uno dell'altra. Ora più che mai.

 

Castle entrò silenziosamente nella stanza semi-buia in cui dormiva Kate completamente sedata. Si avvicinò al letto, lo avevano avvisato delle sue condizioni, gli avevano detto che avrebbe potuto sembrargli diversa, invece lei non gli era sembrata mai più bella. Si sedette a fianco al letto e la guardò a lungo, provando un sollievo enorme per averla vicino e allo stesso tempo un dolore indescrivibile. Non riuscì a toccarla. Non perché fosse disgustato dal sangue che era ancora incrostato ai suoi splendidi capelli, dalla pelle gonfia e scura che si intravedeva tra le fasciature, dall'odore acre delle medicazioni, dal sondino tramite cui lei respirava. Non era questo. Aveva paura. Aveva paura di farle male. Pensò che non sarebbe mai più stato capace di toccarla e quel pensiero lo fece tremare. Gli girò la testa, temette di svenire nella penombra della stanza. Uscì di corsa in cerca di aria, corse verso il bagno. Si sciacquò il viso, lasciò che le lacrime si mischiassero all'acqua. Poi sentì una morsa atroce allo stomaco, si aggrappò alle mattonelle del bagno dell'ospedale e vomitò come se tutto il male che avesse dentro potesse uscirgli fuori dallo stomaco. Si sentiva male. Non era mai stato così male in vita sua. Non aveva mai amato così tanto qualcuno da essere così sconvolto per la sua sofferenza.

 

Il giorno dopo Kate si svegliò, trovando tutti quanti intorno a lei, tutti che attendevano che aprisse gli occhi. Solo suo padre non era ancora arrivato, lo avevano avvisato la mattina presto, Kate era molto rigida in queste cose, non avrebbe gradito sapere che suo padre aveva rischiato un incidente d'auto viaggiando di notte per arrivare a NY e vedere lei completamente sedata per almeno 12 ore. Anche Alexis mancava all'appello. Si era deciso che non era una circostanza adatta ad una ragazzina, benchè la più matura, sensibile e responsabile del mondo. Era stata una decisione di Richard, irremovibile. Alexis sarebbe andata a scuola come sempre. Avrebbe visto il mondo pulito come aveva sempre fatto, pur con il suo occhio critico per la buona dose di cinismo e cattiveria che realmente esiste. Ma ancora, finché poteva, suo padre la avrebbe protetta da sofferenze più grandi di lei. Non era giusto. Alexis avrebbe avuto giorni, mesi, anni, Rick sperò tutta la vita, per stare con Kate, quando lei fosse stata meglio.

Kate aprì gli occhi. Sorrise debolmente, guardò tutti quelli intorno a lei che le parlavano con dolcezza. Non capì perfettamente ogni parola. Si sentiva ancora molto debole. Girò debolmente la testa sui due lati, e quando Lanie capì che stava cercando qualcuno, prese il braccio di Rick e lo avvicino a letto. Lui la guardava e dentro di sé sentiva il peso di quegli eventi, pensando che la sua, la loro vita era già cambiata per sempre fin troppe volte per i suoi gusti. Kate lo guardò e non accadde assolutamente nulla. Lei non mutò espressione, non si mosse, non parlò, non pianse. Mosse impercettibilmente le labbra e sillabò “I want to go home”. Voglio andare a casa. Occhi negli occhi. Poi niente altro.

 

Due lunghi e penosi giorni dopo il medico, su pressioni della dott.ssa Parish che si impegnò a monitorare Kate a domicilio, portò i moduli per la dimissione di Kate. Castle li firmò al posto suo senza pensarci due volte. La guardò con gli stessi occhi che aveva da tre giorni e le disse “ce ne andiamo”.

Lei, esattamente come aveva fatto fino a quel momento non rispose, né con un gesto, né con un alito, né, men che meno, con una parola.

L'unico fiato che avevano udito da quelle labbra era il gemito di dolore che le sfuggiva quando la medicavano, o mentre dormiva e nei suoi sogni c'era chissà cosa e soprattutto chissà chi.

Castle la prese dalle braccia, la sollevò le asciugò i polsi dal disinfettante che aveva sparso un po' ovunque per le medicazioni e le flebo, preparò la sua roba e chiamò Lanie perchè la vestisse. Poi, come se Kate fosse un fantasma, la portò con sé in ascensore, in corridoio, in macchina. Castle aveva pensato a tutto. La casa era pulita, in ordine, c'era da mangiare, molte cose già preparate e divise in piccole porzioni. Le aveva fatto lavare gli abiti e la biancheria, c'erano dei bellissimo fiori in soggiorno e dei dolci appena comprati. Inoltre tutti la attendevano nell'appartamento.

Ma era stato fatto tutto senza gioia. Nessuno aveva ancora parlato di Kate, né con Kate. D'altra parte non sarebbero bastati tutti i soldi che aveva Castle o una brava domestica a curare il male che avevano dentro. Kate non aveva ancora rilasciato una deposizione, dal momento che non aveva proferito parola. Rick sapeva che le serviva tempo, ma era addolorato, sofferente, preoccupato e non sapeva neanche lui cosa ancora.

Ah sì. Innamorato.

 

Il saluto fu breve, tutti si congedarono lasciandoli soli. A nessuno era passato minimamente per la testa che Rick avrebbe lasciato quell'appartamento, forse addirittura per i prossimi mesi. D'altro canto lui aveva fatto preparare da Wilma, la colf, una brandina nello studio di Kate e vi aveva fatto lasciare a fianco una borsa con parecchi ricambi e qualche libro. Aveva parlato con Alexis. Anzi le aveva accennato, prima che lei dicesse “Papà, non provare a spiegare a te stesso qualcosa che sembra ovvio anche a me”. Aveva la voce triste, non perchè suo padre le sarebbe stato meno vicino per un po', ma per Kate. Stava male per lei. Castle la adorava per questo. Gli aveva persino chiesto se Kate non poteva andare da loro, per stare tutti insieme. Rick sapeva che sarebbe stata una soluzione anche migliore di quella che lui aveva pianificato per il momento, il “piano-brandina”, come aveva ribattezzato la sua idea di recupero di Beckett. Ma Kate ne avrebbe sofferto, non si sarebbe sentita a suo agio, non subito, e Rick voleva evitarle qualsiasi disagio, anche minimo, anche fatto per affetto. Le rispose “Kate ha bisogno di stare a casa sua per ora. E anche io Alexis”.

 

Quando furono rimasti soli, Richard le si avvicinò. “Kate, va' a fare una doccia, tra dieci minuti vengo ad aiutarti. Aspetterò fuori dalla porta del bagno, quando aprirai vorrà dire che posso entrare, ok?”. Lei si diresse verso il bagno, mentre lui prendeva dimestichezza con l'appartamento e sistemava la sua roba. Dopo poco si avvicinò alla porta del bagno e rimase ad ascoltare. Voleva essere sicuro che stesse bene. No. Era una bugia. Voleva sentirla piangere. Voleva sbattere la porta del bagno, entrare nella doccia con lei, così, vestito come era, fregandosene completamente del mondo intero, dell'acqua, della sua stupida camicia. L'avrebbe abbracciata stretta, avvolta nell'asciugamano, un abbraccio che non le avrebbe mai fatto male. Le avrebbe fatto piangere tutte le sue lacrime, avrebbe pianto con lei se era necessario, avrebbero lavato via tutto il dolore e sarebbero rinati insieme. Ma non udì nulla, se non lo scattare della serratura che indicava che Kate stava per aprire la porta.

 

Entrò e la trovò vestita in parte, appoggiata ad uno sgabello. Lei lo guardò e poi si guardò la pancia, giustificando silenziosamente la sua nudità. Le fasciature andavano cambiate. Rick eseguì ogni singolo gesto meticolosamente, dall'asciugarle i capelli, prima con una asciugamano, poi con il phon, al pettinarla, allo spalmarle la pomata con delicatezza, disinfettare i tagli in parte richiusi, metterle le garze e le fasce pulite. Perfino pulire il bagno, chiudere il sacchetto dei rifiuti ermeticamente, gli sembrò una missione. Kate si alzò e andò seminuda in camera da letto zoppicando. Le faceva male tutto. Ora che era a casa sua e poteva pensare con meno paura e più lucidità, senza dubbio era così. Si cambiò la maglietta che aveva con una altra pulita. Quella che si tolse era stata solo un espediente per non far vedere a Castle i suoi seni. Non c'era molto da dire, ma che lei non volesse stare nuda davanti a lui era scontato. In fondo fra loro c'era solo il più grande amore che i due avessero mai provato. E lo sapevano entrambi. Ma ammetterlo era diverso. Stare nuda sarebbe stato ammetterlo. O forse si vergognava dei suoi lividi?

Castle la sorprese mentre pensava al suo corpo martoriato.

La trovò ad occhi chiusi seduta sul bordo del letto e le appoggiò una mano sulla spalla con la stessa delicatezza che avrebbe usato per un neonato.

“Stenditi” le disse “Io sono qui”.

Kate si sdraiò sul letto e Rick la aiutò a sistemarsi sul fianco sul quale aveva meno dolore.

Si sedette sulla poltrona e stette fermo un istante.

Poi lo vide.

Tum tum.

La mano di Kate aveva battuto due volte sul piumone a fianco a lei.

Lui credette di non aver capito.

Tum tum.

Di nuovo.

La guardò e provò ad assecondarla. Si sedette sul letto, vicino a lei.

Kate lo tirò dal braccio e Rick si trovò sdraiato al suo fianco.

“Vivimi”.

A lui sembrò di aver sentito parlare un fantasma.

“Vivimi Rick, non avere paura. Io ti sento”.

Rick la guardò incredulo, no, sconvolto.

Le prese la mano. Per la prima volta da quella maledetta notte.

Un'altra cosa che succedeva per la prima volta, come la voce di Kate che gli risuonava in testa.

Vivimi.

Non sapeva cosa fare, non sapeva se parlarle, abbracciarla, piangere.....

Lo sapeva invece. E fu facile. Le lacrime cominciarono a scorrergli bollenti sulle guance, riconoscendo i solchi delle compagne di tre giorni prima. Il pianto di Rick, inizialmente leggero, silenzioso e trattenuto, divenne uno sfogo convulso, pieno di singhiozzi amari.

La strinse continuando a piangere e a disperarsi. Era disperato, aveva visto quasi morire la donna che amava e ora aveva paura di perderla.

“Kate...I...I...I love you...s-so much...”

Le sue parole si perdevano fra le lacrime. Il suo corpo tremante si fuse a quello di Kate, lei respirò profondamente nell'incavo del suo collo, dove il suo viso aveva trovato riparo, e mentre altre lacrime le bagnavano il viso, non sapeva più se sue, o dell'uomo che amava che la teneva stretta a sé, Kate aprì la bocca e in un sussurro disse “Avevo deciso di tornare a casa a piedi dopo il turno quella sera. Stavo passeggiando tranquillamente, quando ad un tratto...”.


Angolo dell'autrice:
Credo che, questa volta, non ci sia da aggiungere assolutamente nulla.
Solo un ringraziamento per le magnifiche ragazze del gruppo Castle Made of EFP Writers e Castle Story Awards. E anche un pensiero per tutte le donne al mondo vittime di violenza.

Tersicore150187

  
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