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Autore: hotaru    14/05/2011    2 recensioni
- E com'è questa storia? -.
Forse era vero che solo Luna ne conservava memoria, dato che controllava il passato, perché sia Artemis che Diana si voltarono verso di lei.
La gatta nera si leccò lentamente una zampa, per poi passarsela sul muso ed esordire:
- Conosci Plutone, bambina? -.
Prima classificata al contest "La Tempesta" di Vienne e al contest "Un Segreto in Soffitta" di DarkRose86 e iaia86@
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Artemis, Chibiusa, Luna, Makoto/Morea
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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5- Carillon arrugginiti Carillon arrugginiti


La mattina dopo si stupì nello scoprire che aveva dormito come un sasso per tutta la notte. Il pianto senza riserve della sera prima l'aveva sfinita, e si era addormentata senza nemmeno accorgersene.
Si chiese se anche i genitori fossero già svegli: dalla cucina non proveniva nessuno dei soliti rumori- o per meglio dire, il fracasso- provocati da sua madre mentre preparava la colazione.
Sfregandosi gli occhi ancora pastosi per il sonno e le lacrime, scese dal letto e si avvicinò alla porta; fece per aprirla, quando si ricordò che la sera prima l'aveva chiusa a chiave. E infatti eccola lì, ancora inserita nella serratura. La fece girare al contrario, più volte, finché non scattò a vuoto.
E quando aprì la porta e fece un passo in corridoio, si chiese dove mai fosse finita.
Perché quella non poteva essere casa sua.
Chibiusa guardò ammutolita l'edera che cresceva lungo i muri pieni di crepe, le mattonelle ormai staccate da quello che era stato il pavimento: avrebbe dovuto fare attenzione a non inciamparvi, tanto erano sconnesse. Tutto era immerso nella penombra, ma le finestre c'erano: il problema era che i vetri erano talmente sporchi da far passare soltanto una luce opaca e polverosa, come quella della soffitta dell'asilo.
Quando mosse un paio di passi, facendo attenzione a dove metteva i piedi infilati nelle ciabatte, Chibiusa si rese conto che c'era silenzio. Una parola che il più delle volte sua madre non sembrava nemmeno conoscere, perché a quell'ora avrebbe dovuto chiamarla a gran voce per accompagnarla all'asilo. Dov'era sua madre?
- Mamma? -.
Saltellando tra le mattonelle sconnesse, cercando di non far caso ai ciuffi d'erba che spuntavano qua e là e alle porte mezze scardinate, raggiunse la cucina.
E lì le si spezzò il cuore.
Sembrava che tutti se ne fossero andati da tanto tempo, abbandonando quel posto e lasciandolo orfano. Qualche anta della credenza era aperta, mostrando gli scaffali desolatamente vuoti. Alcuni piatti c'erano ancora, a ben guardare, ma sembravano terribilmente sporchi, come se non fossero stati lavati appena la sera prima.
- Mamma? Papà? -.
La voce di Chibiusa si incrinò sull'ultima sillaba, accompagnata da un singhiozzo che rimbombò nella stanza ormai priva di quadri e tappeti. Provò a sentire se qualcuno le avesse risposto, ma ascoltò il silenzio. Si fece coraggio e decise di andare nella loro camera a vedere: ripercorse il corridoio, inorridendo quando si rese conto che la sua stanza era caduta nello stesso stato di abbandono del resto della casa. Ma arrivò fino in fondo, ad una stanza con un polveroso letto matrimoniale di cui non si distingueva più nemmeno il colore della coperta.
Andò dalla parte in cui dormiva sua madre, e aprì il cigolante cassetto del comodino. Raccolse con entrambe le mani l'oggetto più prezioso che custodiva la donna: un carillon regalatole dal marito quando erano ancora fidanzati. A forma di stella, si apriva quando veniva azionato, svelando un piccolo vetro blu al cui interno ondeggiava una specie di luna dorata. Era un oggetto così bello che Chibiusa l'avrebbe tanto voluto per sé, un giorno. Ma non voleva che fosse quel giorno.
Il carillon era visibilmente arrugginito, ma quando la bambina lo azionò si rivelò ancora funzionante: si udì una melodia stanca e stonata, quasi l'antenata di quella tintinnante e argentina che era abituata a sentire. (¹)
Quel suono strozzato le fece venire un nodo alla gola, che si sciolse presto in un pianto dirotto.
Dov'erano i suoi genitori? Non le importava più niente se erano arrabbiati con lei: voleva solo che ci fossero, lì con lei.
Pianse a lungo, o forse solo per cinque minuti. Ma si sentiva ugualmente disperata quando una mano le si posò sulla testa, in una carezza silenziosa.
- Non piangere, piccola -.
Chibiusa sussultò, alzando il capo. Ma non si trattava di sua madre: accanto a lei c'era una donna dai lunghissimi capelli scuri, con qualche ciocca raccolta in un piccolo chignon dietro la testa, e un lungo bastone in mano.
Una donna mai vista prima, che tuttavia le si stava rivolgendo come se la conoscesse.
- Chi... chi sei? - domandò, sfregandosi le guance arrossate e umide per il pianto.
- Io sono Pluto -.
- Pu... Pluto? - ripeté Chibiusa, confusa.
La donna sorrise.
- Plutone -.
- Ah! -.
Chibiusa sgranò gli occhi, e riconobbe il bastone nella sua mano come la chiave che aveva lasciato appesa alla porta della sua stanza. La chiave che aveva portato via dalla soffitta. La chiave che aveva sistemato le cose, dopo aver provocato tutti quei guai, improvvisamente gigantesca.
Un dubbio le sorse nella mente.
- Tu sei... come Diana, Luna e Artemis? Anche tu sei... - cercò di ricordare cosa le avevano detto i tre gatti - ... della materia di cui sono fatti i sogni? -.
- Sì – annuì lei – Un sogno racchiuso in questa chiave -.
Ma non era questo che le importava davvero.
- Luna ha detto... che tu controlli il tempo. Dove sono i miei genitori? -.
- Nel passato, piccola mia – la donna sorrise dolcemente, nel dire una cosa tanto spaventosa.
- Che... che cosa? - Chibiusa si aggrappò alle gonne di quella strana donna, supplicandola: - E allora falli tornare indietro! -.
- Non si può, mi dispiace – mormorò lei, e sembrava davvero dispiaciuta.
- Ma... ma sì che si può! - ribatté con veemenza Chibiusa – Basta usare la chiave! L'ho già fatto, lo so che funziona! -.
L'altra le accarezzò piano i folti capelli raccolti in due codini, e scosse la testa. Poi si abbassò, in modo che il suo viso fosse alla stessa altezza di quello di Chibiusa.
- Vedi, piccola, anche questa chiave è della materia di cui sono fatti i sogni, e io ne sono la guardiana. Luna ti ha raccontato tutta la storia, e in effetti questa è la chiave donata all'uomo che pregava Plutone e sognava che la sua amata tornasse in vita – la pietra rossa in cima al lungo bastone brillò, facendolo tornare ad essere una semplice chiave sul palmo della donna – Ma vedi... questa chiave può essere usata solo con l'orologio costruito da chi ha dato il via ad ogni cosa. Tu l'hai utilizzata su una semplice porta e questo... ha sconvolto le dimensioni del tempo -.
Chibiusa non poteva dire di aver afferrato del tutto quella lunga spiegazione, ma una cosa l'aveva capita: non avrebbe mai dovuto portar via la chiave da quella soffitta. E adesso poteva essere troppo tardi.
- Ma tu... sei Plutone. E se hai potuto creare questa chiave, puoi anche riportare indietro i miei genitori! Ci dev'essere un modo! - urlò Chibiusa.
- No, mi spiace. La magia ha agito su questa casa, gettandola in una sfasatura temporale che non è possibile riportare alla normalità. La chiave doveva essere usata solo sull'orologio per cui era stata creata -.
Chibiusa non vedeva via d'uscita. Sarebbe scoppiata di nuovo a piangere, ma non aveva più lacrime. L'unica cosa che inconsciamente pensò fu di andare a vedere se nella soffitta di casa sua ci fosse un altro orologio magico che avrebbe potuto risistemare ogni cosa.
Quel pensiero le batté in testa come una lancetta, una lancetta che scocca l'ora. E quando l'ora scoccò, Chibiusa pensò che forse un sistema c'era ancora. L'unico.
La donna che aveva detto di chiamarsi Pluto era ancora china davanti a lei, con la chiave sul palmo aperto. Senza dire niente, Chibiusa la afferrò e corse fuori dalla stanza, lesta come un coniglio che scappa dai cacciatori, e poi fuori di casa.
L'altra non si era mossa dalla sua posizione. Era rimasta a guardare la bambina che afferrava la chiave e correva fuori, i codini che saltavano ad ogni suo movimento.
Un breve sorriso apparve sul suo volto, prima che scomparisse in un istante per seguire la chiave di cui era la guardiana.


Ora, fortunatamente Chibiusa conosceva a memoria la strada che portava al suo asilo. Fortunatamente non era lontano, e correndo a perdifiato come stava facendo lo raggiunse in un batter d'occhio. Aveva avuto ragione: tutto, intorno a lei, era come era sempre stato, per cui la... "sfasatura" di cui parlava Pluto doveva contemplare solo casa sua. E in effetti, quando aveva girato la chiave nell'orologio, i cambiamenti erano avvenuti solo all'interno dell'asilo, come le avevano poi spiegato i tre gatti.
Sfortunatamente, però, Chibiusa era ancora soltanto una bambina di cinque anni, e non aveva la minima idea di come riuscire a mettere in atto il piano che aveva in mente. Per la prima volta in vita sua entrò nell'asilo da sola, guardandosi attorno in cerca d'aiuto.
- Oh, Chibiusa, eccoti qui! Finalmente sei arriva... - la maestra Makoto le stava venendo incontro, ma si interruppe non appena vide l'espressione della bambina – È successo qualcosa? Dov'è tua madre? -.
A questo Chibiusa non solo non rispose, ma preferì non pensarvi nemmeno. Pluto le aveva detto che i suoi genitori erano nel passato, ma che cosa significava esattamente? Forse che erano...
- Maestra, mi devi aiutare! - supplicò Chibiusa reprimendo un brivido, avvicinandosi a Makoto. Teneva la chiave ancora ben stretta in pugno, perché in effetti da quel malaugurato oggetto dipendeva davvero tutta la sua vita.
- Aiutarti a fare cosa? - Makoto si era fatta seria, e i limpidi occhi verdi non recavano traccia della tipica pazienza degli adulti quando parlano con i bambini. Aveva ben capito che c'era qualcosa che non andava, qualcosa di molto serio.
Chibiusa, dal canto suo, si chiese cosa potesse effettivamente rivelarle. Aveva bisogno di lei, perché la maestra Makoto era una della persone più forti che conoscesse- anche se non quanto il suo papà, ma lì suo padre non c'era- e doveva perlomeno spiegarle il favore che voleva.
- Io... - ma non c'era tempo – Mi serve l'orologio. Quello della soffitta -.




(¹) Penso che questa melodia la conosciate tutti. In caso contrario, eccola qui




Della serie: se Chibiusa non combina un guaio che rischia di mandare in frantumi tutto il suo mondo, non è contenta (vedi riferimenti alla seconda serie...). XD

lulu85: il cambiamento c'è stato eccome, come hai visto, e visto che la chiave è magica funziona praticamente con qualunque serratura. Il prossimo capitolo è quello conclusivo, e vedrai che si risolverà tutto.
Vampire Ninja: sì, per l'appunto quella di Chibiusa è una paura infondata, ma a cinque anni è difficile distinguere tra ciò che succede agli altri e ciò che potrebbe succedere anche a noi. Spero che la storia continui a piacerti, anche perché il prossimo è l'ultimo capitolo. ^^
criss90: anche a me piacciono molto i salti temporali, e sono felice che la storia ti piaccia!
   
 
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