Guanti
sporchi
ice in her eyes ~ fire in his
head
Everything burns; watching it all fade away.
Né il cigolio
della porta che si apriva piano né l’eco dei passi nello spazio
vuoto della stanzetta umida furono più sinistri dello sguardo che Dorothy calò sul suo prigioniero.
L’uomo di paglia restò immobile, accucciato sopra il corpo prono sul pavimento di pietra,
incapace di chinare il capo. Non poteva far altro che ricambiare quello
sguardo, bellissimo e terribile.
« Le volevi molto
bene, vero, Spaventapasseri? »
Non era la voce che
ricordava. Quando Dorothy parlava, era come se cento usignoli cantassero lo
spuntare del giorno sulla strada di mattoni gialli. Quando Dorothy rideva, era
come se il vento soffiasse il suo suono dolce nelle campanule nei prati dell’Est.
Ma questa Dorothy era diversa; non c’era nulla, in lei, che lo
Spaventapasseri potesse chiamare casa.
Continuò a
guardarla in silenzio, consapevole del corpo ancora caldo sotto i propri guanti
sporchi di rosso. Era bella, più
bella forse. Stava in piedi davanti a lui sulle sue gambe nuove, più lunghe, le mani più affusolate congiunte dietro i
fianchi del vestito più ampio,
la testa [di sempre] inclinata di lato sulla spalla e le labbra incurvate in un
sorriso più freddo, molto
più freddo di quelli che lui ricordava. O dei suoi occhi diventati di
ghiaccio.
« Non ti conforta
sapere che sarà lei l’ultima cosa che vedrai? »
Lo Spaventapasseri si
rammaricò di non avere dita più consistenti, di non poter
stringere forte le spalle minute riverse sul pavimento, di non poterle in alcun
modo trattenere – non lasciarmi,
non andar via, non lasciarmi di nuovo, non lasciarmi. Ma sapeva, capiva che
era tutto inutile. Lei se n’era già andata, e questa volta nessun
ciclone e nessun oceano avrebbero mai potuto restituirgliela, mai, mai, mai.
Dorothy si mosse verso di lui; non fu per non vedere la verga
infuocata nelle sue dita che lo Spaventapasseri staccò infine le mani
dal corpicino spento portandosele agli occhi. I guanti già intrisi di
sangue si sporcarono di pittura blu.
E ora lei era sopra di
lui, ma era anche sotto di lui, e i
suoi lunghi capelli biondi scesero a sfiorargli il volto da un posto sbagliato, e forse lui avrebbe quasi preferito vederli
invece lì adagiati e sparsi dentro la pozza di sangue, e il crepitio del
fuoco gli risuonò vicinissimo all’orecchio dipinto ma non gli fece
nessuna paura, non più, non ora che tutto
il mondo bruciava.
« Dille addio,
stupido pupazzo innamorato. »
Ma non le diede il tempo
di sferrare il colpo. Da qualche parte nel proprio essere pieno di niente trovò
la forza di strappare la tela; e il volto del fantoccio venne via con
facilità e la paglia e gli spilli che erano il suo cervello si
mescolarono al sangue fresco della ragazzina. Alla verga non rimase che d’infierire
sul guscio vuoto che era stato lo Spaventapasseri di Oz,
il Saggio della Città di Smeraldo, uno stupido pupazzo innamorato.
La Principessa Langwidere non avrebbe mai più potuto ucciderlo. Era
morto nel momento in cui lei aveva rubato la testa e il sorriso di Dorothy.
[ 500 parole ]
Spazio dell’autrice
Sì, be’. Ecco. Probabilmente
le vicissitudini del momento influenzano la mia scrittura.
Per una volta ho voluto scrivere una, uhm, cosa dark, per il semplice motivo che il personaggio di Langwidere ci offre il dark su un piatto d’argento:
insomma, una bella Principessa che ruba le teste alle giovani fanciulle che si
avventurano nella sua Corte e se ne appropria per la sua collezione privata? Dovevo sfruttare l’idea. Così
è nata questa what if
– Langwidere non ha preso bene il rifiuto di
Dorothy, Dorothy non è mai stata salvata da Ozma
e compagnia, Ozma e compagnia sono stati fatti
prigionieri da Langwidere, e in tutto ciò chi
soffre di più è quel povero tesoro del mio Spaventapasseri, che
faccio sempre tanto patire. Spero che mi perdoni, e che mi perdoniate anche
voi.
Il verso iniziale è tratto da Everything burns di Anastacia feat.
Ben Moody.
Alla prossima, che spero sarà più allegra. ^^’
Aya ~