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Autore: Sam221b    19/05/2011    5 recensioni
Questa è una piccola serie di tre brevi racconti, non uniti tra loro, basati su tre episodi della vita di Cesare Borgia (il primo il suo rapporto con il fratello Juan, il secondo lui e sua sorella Lucrezia, il terzo lui e sè stesso) i quali semplicemente mi sono venuti in mente in un attimo di ispirazione. Non sono una storica, dunque molti passi semplicemente me li sono inventata e sono certa che gli esperti storicamente ne avrebbero da correggere. Il titolo ha un significato ben preciso che spiegherò alla fine dei tre racconti. Buona lettura.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La Notte del Valentino

 Parte I 

Le urla di baldoria del bordello si propagarono in strada quando il Gonfaloniere aprì la porta, insieme ad un pungente aroma di vino misto a birra. La notte afosa di quel 14 giugno incombeva su Roma come un gramo malaugurio, cupa messaggera del fato sventuroso. La luna pallida e tonda mostrava il suo ghigno alla città santa, sbeffeggiandola dall’alto della volta, circondata dalle piccole sorelle insieme alle quali illuminava flebilmente le strade immerse nell’oscurità.
Il capitano delle truppe papali si stava allontanando ridendo e barcollando, avviandosi verso la Giudecca. In una mano reggeva ancora il fiasco di vino dal quale ogni tanto ingolfava un sorso. Indossava i vestiti annodati alla meglio, e alla cintola reggeva la spada sbilenca, come l’avesse affrancata in fretta. Sentiva ancora sulla pelle i baci della prostituta che l’aveva riscaldato quella notte, dimentico della moglie fedele che lo attendeva a casa animata di devozione imperitura, quella moglie che, come da normale amministrazione nella sua famiglia, non amava e disprezzava, affiancatagli a forza, per vantaggi territoriali del Papa suo padre.
Sputò a terra, scolandosi poi l’ultimo goccio della bottiglia, imprecando quando gliene colò un po’ sulle vesti, creando una macchia che difficilmente sarebbero riusciti a lavare. Si fermò un attimo a pensare che il vino, immerso nell’ombra della notte, pareva in modo inquietante sangue sui suoi vestiti. Un brivido gli si inerpicò sulla schiena. Si scrollò di dosso quella sensazione e rise. I soldi per farsi confezionare uno, anche venti nuovi vestiti non gli mancavano. Lanciò la bottiglia verso una delle porte, e quella si frantumò in mille pezzi fragorosamente.
Rise di nuovo a quella scena, ma quando si voltò davanti per proseguire il cammino si bloccò di colpo mentre la risata gli moriva in gola. Davanti a lui si stagliava una figura ammantata di velluto nero, che si sfilò il cappuccio non appena si fu accorto della sua presenza.
Di nuovo il Gonfaloniere rabbrividì. Suo fratello Cesare lo fissava con lo sguardo gelidamente distaccato di quei due pozzi scuri che da tempo ormai non sembravano trasmettere altro che vuoto. Nemmeno l’odio o la vendetta infuocavano quei fossi, semplicemente erano stati svuotati da ogni azione compiuta da quelle stesse mani, alle quali avevano assistito nel corso di una vita fondata sulla sete di potere fomentata da un padre senza scrupoli ed una famiglia di scellerati senza timore di nulla, tantomeno del Dio del quale il padre era portavoce.
Juan sapeva che suo fratello era l’ultimo uomo al mondo che si volesse incontrare in un vicolo oscuro di Roma, e non pensò per un solo istante che il legame di sangue potesse proteggerlo dall’uomo che si trovava innanzi.
Parlò per primo, aprendosi in un ghigno sghembo, dovuto anche al troppo alcool in corpo, che non era comunque abbastanza per far abbassare la guardia al Gonfaloniere, il quale, nonostante la fama di buono a nulla, rimaneva sciocco fino ad un certo punto –Cardinale- salutò imitando una mezza riverenza, posando la mano sull’elsa della spada. Sapeva quanto quel titolo gli desse fastidio.
-Gonfaloniere- rispose quello con voce atona.
-Suppongo tu non stia andando a raccogliere margherite all’alba, fratello- lo provocò.
-Supponete bene, Gonfaloniere. Per una volta il vostro acume non v’inganna- dal mantello sfilò rapido una sciabola spagnola. La lama affilata più di un rasoio e l’elsa d’argento intarsiata da gemme risplendettero sotto i raggi lunari.
Il duca fissò l’arma senza proferire parola, senza emettere nessuno sgomento. Pensò che dopotutto suo fratello avesse aspettato anche troppo a farlo, e sfilò la spada ad una mano alzando gli occhi sull’avversario.
-Da quanto aspettavi di farlo?- gli sorrise –Il puzzo della tua invidia intanfa l’aria al tuo passaggio- rise, senza aver nessun motivo per farlo –Pensi seriamente che un prete possa vincere contro il capitano delle truppe papali? Il tuo ego è addirittura più grande di quanto pensassi, fratellino-
-Mi sorprende anche solo sapere che riusciate a pensare, Gonfaloniere-
Di nuovo Juan rise.
Un flebile cenno del sopracciglio sinistro gli fece intuire che il fratello era irritato. –Ridi finché puoi Juan, perché non vedrai l’alba di questa giornata-
-E dopo avermi ucciso cosa speri accada? Che nostro padre ti faccia Duca togliendoti l’abito ecclesiastico? Sei illuso, fratellino. Monaco sei nato, e monaco rimarrai, con o senza me, sarebbe meglio se lo capissi ora, prima di pentirtene-
Senza nessun avviso, Cesare gli fu addosso, con la spada in mano, tentando un affondo violento. Juan, instabile sulle gambe molli dal vino bevuto, riuscì a stento a parare quella furia, e ad allontanare con un calcio l’avversario, che barcollò a terra, rischiando di cadere. L’esperienza del Gonfaloniere riusciva ad essere un vantaggio sul cardinale, nonostante gli effetti della sbronza e della notte di piaceri, che iniziavano a farsi sentire.
Questa volta fu lui ad attaccare, e tentò un affondo che l’altro riuscì a schivare. Juan fu troppo lento, con la mente offuscata e il corpo appesantito, non riuscì a spostarsi in tempo prima che la lama gli squarciasse l’abito e gli aprisse una ferita sul fianco. Non sarebbe stata grave, se la sua mente non fosse stata già offuscata dal vino. Cadde in ginocchio, mentre Cesare, prontamente alzava la lama a colpirlo. Ma Juan si lasciò cadere su un fianco, e rotolò malamente verso destra. Con un piccolo salto incerto ritornò in piedi, mentre il dolore gli bruciava le ossa e la carne, trapanandogli la testa. La sua vista si annebbiò, quando il fratello gli fu addosso. Senza vedere ciò che stava facendo, tentò qualche colpo a vuoto. La sua vista tornò appena in tempo per fargli schivare la lama dell’avversario. Cesare sbuffò mentre vedeva il fratello indietreggiare.
-Pensavi sarebbe stato facile ammazzarmi fratellino?- lo sbeffeggiò Juan –Si vede che sei abituato a delegare il lavoro sporco a quella viscida serpe del tuo sicario. Incapace!- e si gettò contro di lui con foga.
Cesare scartò e con furia lo colpì di piatto alla mano, facendogli cadere la spada. Afferrò per i capelli Juan, facendolo inginocchiare davanti a lui, mentre si dibatteva nel tentativo di liberarsi dalla presa. La lama si tinse di rosso quando gli ebbe reciso la gola con una rabbia cocente che non provava da moltissimo tempo –Hai sempre parlato troppo- sibilò nelle sue orecchie, allontanandolo da sé con uno spintone violento. Il sangue vermiglio che zampillò dalla carotide mentre il Gonfaloniere era preso da convulsioni frenetiche gli sporcò i quanti di seta. Cesare si stizzì. Glieli aveva regalati la sua splendida Lucrezia per la sua elezione a cardinale, ed ora avrebbe dovuto bruciarli. Guardò Juan, che fino all’ultimo momento della sua esistenza era riuscito a togliergli qualcosa di caro. Gli sputò in viso mentre finalmente giaceva a terra, immobile e gelido come la Morte che lo aveva preso.
Dalla densa oscurità del vicolo, Micheletto, il sicario, sopraggiunse dall’angolo della strada, affiancandosi al suo signore, unico uomo che non avrebbe mai tradito, neppure per denaro.
-Buttalo nel Tevere, e fai in modo che non debba vedere mai più la sua faccia- Ordinò Cesare, e così detto, sollevò il cappuccio sul viso e se ne andò, allontanandosi nel silenzio da cui era arrivato.

  
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