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Autore: Lights    21/05/2011    9 recensioni
Greta, 30 anni, si ritrova a vivere finalmente nel suo appartamento, tutta sola... ma qualcosa non torna, specialmente a fine mese. Un giorno, non sa neanche lei come, si ritroverà ad avere come inquilino Diego, il suo ex collega. Due persone completamente opposte che condivideranno spazi e vita privata che li porterà sempre più vicini a quella linea di confine che divide le due cose: amiciza o amore? Forse ... sì, o proprio no. Seguite con me il loro viaggio e sicuramente ne vedremo delle belle. Light!
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Ma salve! Eccomi di ritorno da un lungo periodo di lontananza dalla “categoria originali”, ma da qualche tempo mi è ritornata la voglia di creare dei miei personaggi, et voilà, che si è creata

 

Forse…sì, o proprio no.

 

Un bel viaggio che ci poterà nella vita di Greta e Diego, in questa convivenza assurda di due persone che sono uno l’opposto dell’altro e sicuramente ne vedremo delle belle.

 

Non aggiungo altro.

 

 

Buona lettura.

 

 

 

Lights

 

 

 

 

 

 

 

 

Greta: il piano di guadagno >> Diego

 

 

 

 

Eccomi qui: Greta, trent’anni, con un lavoro soddisfacente, un bel appartamento con due camere, un bagno e una vita sentimentale che paragonarla a quella di una suora non renderebbe bene l’idea di come sono messa. Una suora avrebbe senz’altro la meglio su di me. Gli uomini? Non troverei un uomo adatto a me neanche a pagarlo.

Pretendo troppo? No, sono solo perfezionista, incredibilmente romantica ma totalmente razionale e con una lieve punta di puro cinismo; insomma, un vero disastro di emozioni e sentimenti.

Perfetta donna in carriera, catastrofe come esponente del genere femminile.

Intendiamoci, non faccio proprio schifo. Sono un tipo.

Sì, un tipo.

Alta un metro e sessantadue centimetri, di cui vado fierissima, specialmente di quei due centimetri che fanno la differenza.

Occhi castani, profondi, la parte migliore di me. Ho uno sguardo che incanta, ammalia e infine, se proprio costretto, uccide, ma completamente indecifrabile; solo pochi riescono a capire che cosa dice.

Un corpo morbido, con le forme al posto giusto che nascondono agli occhi altrui la verità del mio generoso peso.

Tutta questa me va perfettamente a braccetto con la mia personalità lunatica: passo dalla razionalità più estrema al più profondo romanticismo; una parte di me crede ancora che il principe azzurro fondamentalmente esista.

L’unico neo, però, che mi spaventa, è che quando il romanticismo avrà trovato il principe azzurro, credo proprio che la mia razionalità lo massacrerà di botte per averci impiegato tutto quel tempo per arrivare da me.

Sorrido a quest’ultima riflessione, come tutte le altre volte che mi soffermo a pensare a quel dettaglio.

Sono seduta sul divano del mio appartamento, in completo silenzio. Ho spento televisione e radio e sono rimasta qui a osservare queste mura che amo.

Ho comprato l'appartamento da più di tre anni ma sono appena cinque mesi che ci abito da sola e a volte, non mi sembra vero che tutto questo corrisponde alla più bella delle realtà: la mia libertà.

È per me una grande soddisfazione.

Mi ricordo ancora il giorno in cui ho varcato la soglia per la prima volta.

Tutto intorno a me applaudiva. Un senso di soddisfazione e onnipotenza ha invaso il mio essere, un’apoteosi di felicità scintillava nei miei occhi e sfociava sulle mie labbra in un sorriso che batteva qualsiasi modella di pubblicità per dentifrici.

Come diceva il tipo sulla luna? Ah sì! Un piccolo passo per l’uomo. Un grande passo per l’umanità.

Beh, in quel momento, era proprio così che mi sentivo.

Il più grande progetto l’avevo realizzato: avere una casa e per giunta tutta mia.

- E della banca.- Aveva sottolineato mio padre, divertito dall’espressione estasiata sulla mia faccia.

Grazie, papà. Tu sì, che sai come rovinare con una parola un momento fatidico di tua figlia!

Respiro a fondo ed evito di rimuginare su quella spada di Damocle che pende sulla mia testa ogni mese, comunemente chiamata dall’essere umano: rata del mutuo!

I primi tre anni, è stato facile a gestire i conti, pagati per la maggior parte delle volte dalla rata dell’affitto, ma ora, che devo fare tutto da sola, i salti mortali si sono moltiplicati.

Respiro a fondo e mi distendo meglio sul divano.

Avvolta nel silenzio dell’appartamento, inizio a pensare a un piano… sì, proprio un piano: un piano di guadagno.

Più i minuti passano e più il cervello si rifiuta di escogitare qualcosa.

- E va bene! - dico ad alta voce. A chi? Non lo so, ma ormai mi sono abituata a conversare con i muri, sono dei perfetti ascoltatori.

Oddio! Il primo segno di pazzia…

Siamo sicuri primo segno?

Beh, forse no. Ma ditemi voi, chi non ha mai parlato con un muro? Ecco, appunto.

Balzo giù dal divano, innervosita da tutto questo silenzio e con una gran voglia di uscire.

Che fare?

Mando un po’ di sms in giro, ma chissà perché le mie migliori amiche, Lalla e Ally, da quando si sono accasate, sono scomparse dalla circolazione.

Evviva l’amicizia… sì, fino a quando non trovi il ragazzo o per giunta ti sposi.

Due palle!

Ignoro le loro risposte, dove si dispiacciono da morire, ma hanno altro da fare, prendo la giacca, le chiavi dell’auto, borsa ed esco.

Dove? Semplice, dove mi porta la macchina.

Io sono così.

Guidare e andare a istinto, seguendo i nomi dei vari paesi che stuzzicano la mia curiosità.

In fondo è sabato ed io ho tutto il tempo per cazzeggiare.

Osservo la mia auto appena uscita dall’autolavaggio.

Tutto di quella macchina mi piace: una Volkswagen Polo nera e lucida. Peccato per quei graffi bianchi vicino alla portiera… Ehm, un piccolo incontro ravvicinato con la porta del garage, dal quale la “polox” (il nome della mia auto, chi di voi non ha dato un nome alla sua auto? Non sono pazza!) a suo malgrado è uscita perdente.

Eh vabbè, anche a Schumacher senz’altro sarà successo, e che diamine!

- Ehi piccola!

Una voce dolce, ma allo stesso tempo fastidiosa blocca la mia salita in macchina.

- Mamma! - rispondo senza enfasi.

Un dettaglio: mamma Rosa, un vero portento nel sottolineare i difetti e smorzare l’entusiasmo per ogni mia impresa eroica”, come le piace chiamare i miei colpi di testa, è sempre disponibile a criticare quanto a essere affettuosa e infine comanda tutti a bacchetta guidando l’intera famiglia come se fossimo il suo battaglione. Un piccolo generale dell’esercito mancato, che ha trasformato la casa in una caserma mettendo in riga tutti quanti come bravi soldatini, perfino il Colonnello, alias mio padre, che in pratica tra lavoro e famiglia non ha mai dismesso i panni da militare.

Per fortuna, con il passare degli anni, grazie anche ai colpi di testa - o forse meglio definirli di stato o di poterebeh, scegliete voi - di mia sorella Lucrezia, si è ammansita, o forse semplicemente ha perso la speranza che, un giorno, la sua figlia minore, ovvero me, possa sistemarsi e coronare il suo sogno di avere un’altra figlia sposata, visto che la prima, sì, si è sposata, ma, come dire... non con l'uomo che mamma e papà hanno sempre sognato per lei.

Respiro a fondo e mi preparo al suo attacco.

- Dove vai? - mi osserva attentamente con i suoi occhi azzurro cielo che tanto amo, ma soprattutto invidio per la loro bellezza, mi abbraccia e mi dà un leggero bacio sulla guancia.

Rimango in silenzio per qualche secondo, mentre cerco una buona scusa per non fare attivare quel suo dannato radar “preoccupazioni di una madre”.

- Vado a fare un giro.

Mi congratulo con me stessa per aver trovato in poco tempo una risposta breve, concisa ma soprattutto neutra.

- Con chi? - se speravo di cavarmela con quella domanda, sono solamente un’illusa.

- Con la macchina. - rispondo divertita, ma lo sguardo ammonitore di mamma, che non si rabbonisce neanche dopo aver sfoderato il mio dolcissimo sorriso, mi fa desistere da seguire quella linea.

- Da sola. - confesso infine.

- Perché non vieni con me e tuo padre? - propone, fiduciosa nella mia risposta positiva.

No grazie, il tempo di figlia-bandante-genitori, è passato.

- Che fai per cena? – cambio discorso, nel vano tentativo di sviarla.

In fondo, si sa, se vuoi distrarre mamma Rosa, parla di cibo e il gioco è fatto!

Mamma per un attimo rimane spiazzata dalla mia risposta-domanda, sorride, ha capito quali sono le mie intenzioni.

- Pasta e fagioli.

A sentire il nome della pietanza storco il naso. Bleah! Che schifo i fagioli.

- Mi sa che questa sera io passo, ma se cambi menù, potrei ripensarci. - butto lì, con la speranza di avere la cena pronta, mentre le rivolgo il mio sguardo da cucciolo.

- Questo offre la cucina. Se ti va, bene, c’è posto, altrimenti vai altrove. Prova a chiedere asilo politico a Lucrezia. - mi propone ghignando mio padre, intervenendo nella conversazione e ignorando completamente la mia scenetta.

Signori e signore, ecco a voi quel simpaticone di mio padre, alias il Collonello, o semplicemente Carlo: un uomo di media statura, con voce calda e rassicurante, uno sguardo dolce e tenero, buono come il pane, sempre allegro e disponibile, ma soprattutto, grande sostenitore dei miei sogni ad occhi aperti, dato che anche lui ama le imprese eroiche. Per fortuna nella sua vita ha trovato mamma, senz’altro più razionale e realistica, che lo tiene ben saldo con i piedi per terra.

In fondo, non dovrei stupirmi se sono fatta in questo modo. Con due genitori così, che cosa poteva nascere come figlia? Lucrezia, appunto!

Come dice il proverbio? Ah sì: sbagliando s’impara.

Mia sorella l’errore e io, ahimè, la perfezione.

Nel formulare quel pensiero per poco non muio dalle risate.

Respiro a fondo per calmarmi ed evitare di dare spiegazioni.

Guardo papà perplessa. Quando realizzo quella proposta mi si attorcigliarono le budella.

Lucrezia ed io siamo sorelle solo all’anagrafe.

Sapete quel tipo di sentimento “ti voglio bene, ma stammi alla lontana che te ne voglio di più?”

Bene, noi siamo così: pronte nel momento del bisogno ad esserci l’una per l’altra, ma come due estranee se tutto va liscio.

Poiché per il momento tutto è calmo e pacifico, declino anche quell’invito. Ritrovarmi a cena da mia sorella, mentre litiga per un nonnulla con mio cognato... no, grazie.

- Vado.- Affermo decisa, e senza dar loro il tempo di reagire, li saluto con un bacio veloce sulla guancia, monto in macchina e sfreccio via.

 

Guido per diverso tempo, lasciando liberi i pensieri di affollarmi la mente e discutendo, a volte a voce alta, con il mio omino del cervello.

Alzi la mano chi non lo fa?

Adoro guidare, soprattutto nelle giornate di pace e tranquillità. Alla guida mi rilasso e la mia vita cambia completamente colore e sapore.

Un languore mi riporta sul pianeta Terra e alla vista di una gelateria mi fermo.

Mi accomodo al tavolino e afferro subito il listino dei gelati. Rimango colpita dalla sua grafica: semplice e accattivante che, mostra con delle fotografie la composizione delle varie coppe, rendendole gustosissime ai miei occhi.

- Ciao! - la voce squillante del cameriere mi distrae dal mio stato di venerazione di quelle buonissime immagini.

Ah! Maledetta golosità!

Alzo lo sguardo, lo faccio scivolare sul corpo dell’uomo. Indossa un paio di jeans e una polo a maniche corte di colore blu e; sotto porta una maglietta bianca a maniche lunghe.

Proseguo il mio “percorso esplorativo” piacevolmente colpita dal suo aspetto, lasciando a malincuore la visione di quelle spalle larghe e ben definite con un accenno di muscoli, fino ad arrivare al suo viso.

Quando incrocio i suoi occhi neri mi blocco all’istante.

- Isola!- Mi saluta nuovamente, con un tono misto tra allegria e sorpresa, stupito di trovarmi lì davanti a lui senza, tuttavia, tralasciare il suo consueto modo canzonatorio con lo distingue da tutti gli altri.

- Diego!- Esclamo meravigliata.

Mi prendo qualche secondo per osservarlo meglio.

Sono passati tre o quattro anni dall'ultima volta che ci siamo visti.

Diego ed io lavoravamo in uno studio grafico e, insieme ad altre due colleghe, avevamo creato un'ottima squadra, che oltre a lavorare egregiamente, si divertiva un sacco.

Il primo giorno che ci eravamo conosciuti, essendo lui argentino, aveva capito che mi chiamavo Creta, come l’isola greca, e da quel giorno mi aveva soprannominato “isola”, divertito, più che altro, dalla somiglianza del suono delle due parole.

In un primo momento, quella sua aria strafottente e beffarda, mi aveva dato sui nervi, e ogni volta che mi appellava con quello stupido nomignolo, gli ruggivo contro, ma poi, con il passare degli anni, mi ci ero affezionata.

Le belle cose, però a mio malgrado, non durarono a lungo. Il grande capo, un bel giorno -  beh, proprio bel giorno non era stato, ecco. Togliamo “bel”. Un giorno dei primi di ottobre, il grande capo venne in ufficio, annunciandoci tranquillamente che l'indomani avremmo iniziato a lavorare a tempo parziale e che quasi sicuramente, se la situazione non migliorava, presto avremmo chiuso i battenti.

Il colpo fu durissimo. Fu peggio di ricevere un pugno nello stomaco, una cascata di acqua gelatissima addosso, un peso di mille tonnellate sulla testa. Insomma, per definirlo in un'unica parola: una tragedia.

Da lì cambiò tutto, anche perché si scoprirono le cose sgradevoli che aveva fatto il responsabile dell'ufficio fino a quel momento, il quale aveva messo in crisi il budget finanziario dello studio grafico. Peccato, però, che gli unici a rimetterci eravamo stati solamente noi.

Per arrotondare lo stipendio, mi ero trovata, con mia grande fortuna, quasi subito, un altro lavoro, ma, ahimè, come segretaria in uno studio di avvocati.

A dicembre, l'avvocato mi aveva proposto di andare a lavorare a tempo pieno da lui. All'inizio avevo rifiutato, ancora legata con il cuore al mio lavoro di grafica, ma le continue ripicche e il cambio di atteggiamento delle ex colleghe, dettate solamente dalla gelosia nei miei confronti per aver trovato un nuovo lavoro ben retribuito, mi portarono alla decisione sofferta di accettare la sua proposta. In fondo, il nuovo posto mi avrebbe permesso di rimanere vicino a casa e di avere più soldi al mese, ma soprattutto di avere la privilegiata e tanto agognata quattordicesima.

Per una persona venale come me, i soldi sono importanti in campo lavorativo, e forse la scelta decisiva l’avevo presa per quel motivo, ma una parte del mio cuore, tuttavia, è rimasta sempre legata fedelmente al mio ruolo di grafica, che fin dall'inizio si è stampato nel mio spirito libero e creativo.

Il volto triste e nello stesso tempo sorpreso di Diego alla notizia del mio licenziamento mi rimase impresso per molto tempo.

I suoi grandi occhi neri, così profondi e con quella luce particolare, mi avevano guardato a lungo senza dire una parola, poi mi aveva sorriso amaramente e si era congratulato con me.

L'ultimo giorno, le colleghe mi avevano salutato freddamente, mentre Diego, inaspettatamente, mi aveva stretto tra le sue braccia, tenendomi a sé più del dovuto. Si era avvicinato al collo e aveva respirato il mio profumo di vaniglia come se avesse voluto imprimersi nella sua mente la mia essenza. A quel gesto io mi ero irrigidita, non abituata a quell’aperta manifestazione di affetto tra di noi. Lui se ne accorse, o molto probabilmente si rese conto della sua reazione, e lasciandomi un bacio sul capo mi augurò buona fortuna.

Non aveva aggiunto neanche una parola in più e mi aveva lasciato lì, all'uscita dell'ufficio, come uno stoccafisso, sorpresa più che mai dalla sua reazione.

Sorrisi ripensando a quel giorno.

Ero rimasta a lungo ferma in quella posizione da imbecille, senza osare muovere un muscolo per paura di perdere il suo profumo di limone fresco e il ricordo del suo corpo che teneva stretto il mio.

Sì, tra noi c’erano state manifestazioni di affetto, risate complici, stuzzicamenti, ma tutto era rimasto sul neutro.

Quel gesto così avvolgente e caloroso era stato una vera sorpresa.

Respiro profondamente e avverto subito il suo profumo, sempre lo stesso: Armani Code.

Adoro questo profumo, quest’essenza particolare che mi svela un lato del suo carattere maturo nascosto sotto il suo stile di bambino cresciuto, che affronta la vita con spirito combattivo, dibattuto tra la leggerezza e intensità.

- Che ci fai qui? - cerco di concentrarmi sul suo viso per non ritrovarmi a fissare il suo petto più muscoloso di un tempo.

- Sono venuto a fare un giro! - mi deride. – Che cosa vuoi che faccia? Ci lavoro. - risponde in tono ovvio.

Apro la bocca per rispondere, ma non mi escono le parole.

Deglutisco, all’improvviso mi ritrovo con la gola secca.

Tolgo lo sguardo da lui e lo riporto nuovamente al listino.

- Vedo che non siamo cambiate di una virgola.- prosegue in tono compiaciuto, sedendosi al mio tavolo.

Abbasso il listino e lo osservo.

- Ahia!- esclama divertito. – Quello sguardo non annuncia niente di buono, - sottolinea preciso. - però non male! Me lo devi concedere, dopo quattro anni... o sono tre?- e senza aspettare la mia risposta continua tranquillo: - sono riuscito a farti girare la luna dopo neanche un minuto. Non ho perso il mio tocco! - si dice orgoglioso, strofinandosi le nocche al petto in segno di vittoria.

Sento la testa girare, talmente presa d’assalto da quel turbinio di sentimenti contrastanti, che solo lui può scatenare in me.

Con Diego è stato sempre così. Ha il dono di farmi incazzare in un nano secondo con un gesto, uno sguardo, una parola, come allo stesso tempo quello di farmi ridere.

Respiro a fondo, rassegnata.

Chiudo il listino che tengo ancora in mano e lo appoggio sul tavolino.

Mi sporgo in avanti con il busto, punto il gomito sul tavolo, appoggio la testa sul palmo della mano e lo guardo di traverso. Mi concentro sul suo viso: i capelli lunghi gli ricadono sugli occhi, che sono segnati da una leggera ombra per la mancanza di sonno. Evidentemente non ha perso il vizio di lavorare a computer fino a tarda notte. Ha la barba leggermente incolta e il solito ghigno derisorio stampato sulle labbra.

Quanto tempomi ritrovo a pensare.

Gli sorrido apertamente.

- Hai finito di sparare stronzate? - osservo divertita.

Lui, per tutta risposta, ride sguaiatamente.

- Allora, Isola, che cosa vuoi che ti porti? - domanda paziente.

A quel nomignolo incrocio gli occhi.

- Chiamarmi Greta, no? - propongo.

- Che gusto c’è? - chiede canzonatorio, alzandosi in piedi. – Ok, faccio io. - termina risoluto.

Mi toglie dalla mano il listino che avevo ripreso e se lo porta via con lui.

 

Basita.

 

Diego mi ha travolto come un tornado. Perché mi stupisco? Eppure una volta era sempre così tra noi. Possibile che tutti questi anni hanno cancellato la traccia del nostro rapporto che c’era in me?

 

Incredula.

 

Mi ha lasciato senza parole ed io non ho avuto la prontezza di reagire al suo attacco.

Possibile? Eppure una volta ero capace di intraprendere lunghe crociate solo per il gusto di non dargliela vinta.

 

Una volta…

Già.

 

Diego ritorna poco dopo e mi appoggi davanti gli occhi una coppa di gelato con panna montata, guarnita da cioccolato fuso, frutta e ombrellino… un vero spettacolo per la mia golosità!

- Assaggia.- Incita, sedendosi nuovamente di fronte a me.

Prendo il cucchiaino, scavo nella coppa e lo tiro su con un po’ di gelato misto tra il ferrero rocher e la vaniglia. Lo porto alla bocca e lo gusto lentamente, assaporando pienamente il gusto dolce e inteso delle creme.

Chiudo gli occhi senza volerlo, per assaporare fino in fondo il buon sapore del gelato.

Lascio uscire lentamente il cucchiaino dalle labbra, imprigionando in bocca il gelato. Mi assaporo le labbra, lecco l’interno con la lingua fino a quando non rimane più traccia del gusto.

Apro gli occhi e incrocio immediatamente quelli di Diego, che ha assunto una strana espressione: come se fosse stato rapito da me.

Assurdo penso immediatamente, non appena formulo quel pensiero.

Lui alza un sopracciglio, come a invitarmi a esprimere il mio giudizio.

Mi accorgo, però, che alterna il suo sguardo dalla mia bocca ai miei occhi.

- Sono sporca? - chiedo portando subito una mano alle labbra.

Diego abbozza un sorriso, alza l’angolo destro della sua bocca, e si appoggia allo schienale della sedia. Incrocia le braccia, evidenziando in quel modo i suoi bicipiti allenati.

Da quando si è trasformato in uomo? deglutisco il residuo di gelato che mi è rimasto in gola.

Da quanto anche tu sei diventata una donna! Ecco la risposta solerte della mia coscienza.

- Buono. - decreto infine. Tuffo nuovamente il cucchiaino nella coppa per prenderne un altro po’.

- Solo? - domanda contrariato. – Non hai ancora imparato a concedere il giusto valore alle cose?-

In risposta gli rifilo un’occhiataccia.

- Io so dare il giusto valore alle cose!- protesto, assaggio un altro boccone.

- Buono ti sembra giusto?

- Uff…- non ho proprio voglia di intraprendere una crociata contro di lui, non sono pronta né mentalmente né fisicamente. È passato troppo tempo e dovevo riabituarmi.

- Va bene, hai vinto. È uno dei migliori gelati che abbia mai assaggiato.- alzo gli occhi al cielo per evitare il suo sorrisetto compiaciuto e vittorioso.

- Ti ringrazio!

Una voce calda e gioviale attira la mia attenzione.

Mi volto e il mio sguardo si posa su un viso illuminato da due occhi castani. Capelli corti a spazzola di un castano chiaro incorniciano il suo viso di uomo, sottolineato da un’ombra di barba, che circonda il lato della bocca chiudendosi in un pizzetto sotto il mento.

I miei occhi scivolano senza volerlo sul corpo dell’uomo davanti a me e noto che indossa gli stessi indumenti di Diego, solo che, al posto dei jeans, portava un paio di pantaloni neri leggermente fasciati che mostrano … Ehm, come dire… i piani bassi.

Ma ciao!” esclamano i miei ormoni.

A quell’espressione, un leggero colorito rosso mi dipinge le guance.

Greta, cazzo, contegno! anche se sei in quel periodo del mese, tieni a bada i tuoi feromoni da vampira!

Rimango a fissare l’uomo davanti a me come una deficiente, con il cucchiaino appoggiato alla bocca come se non aspettassi altro di assaggiare anche lui.

- Alberto, piacere.- si presenta, porgendomi la mano.

- Greta.- rispondo con un filo di voce. Appoggio immediatamente il cucchiaino dentro la coppa e gli stringo subito dopo la sua mano.

Una presa sicura, forte e dolce, calorosa. Quelle strette che ti conquistano perché ti mostrano che la persona che racchiude la tua mano è una di quelle sicure, forti e decise che faranno qualsiasi cosa per te, per renderti felice.

Greta! urla la mia razionalità, riportandomi sul pianeta Terra e ammonisce romanticismo di mille improperi.

Tolgo la mano e la riporto in grembo.

- Alberto è il proprietario della gelateria. - spiega Diego.

Giro di scatto lo sguardo verso di lui, come se mi fossi resa conto all’improvviso della sua esistenza, con la paura di scorgere nei suoi occhi che si fosse accorto del mio piccolo viaggetto a Romantilandia.

- Complimenti. - riesco a dire dopo qualche secondo, connettendo finalmente cervello e parole, e rivolgo ad Alberto un sorriso in pieno stile dentifricio “durban’s”.

- Scusatemi, ma ora vi lascio, mi desiderano alla cassa. - si congeda Alberto.

Sapessi io cosa desidero da te! formulo immediatamente, mentre osservo senza ritegno e completamente affascinata il suo lato B.

- Tieni, mi sa che ne hai bisogno. - mi canzona Diego e mi porge un tovagliolo di carta.

Osservo il fazzoletto e poi lui.

Arriccio il naso in un sorriso.

- Stupido! – l’ammonisco. – Così lavori qui? – chiedo, scettica che fosse la verità.

Diego è nato grafico e non avrebbe permesso a nessuno di impedirgli di continuare a fare questo lavoro.

Sorride divertito, compiaciuto più che altro della mia incredulità che lui potesse fare qualcosa di diverso da quello che era stato destinato fin dalla nascita.

- Do una mano ogni tanto ad Alberto nel weekend, quando la sua compagna è via per lavoro.-

Come infrangere i sogni di eros e amore in un secondo con una semplice parola: compagna.

Compagna è molto di più di ragazza o di fidanzata.

Compagna è per tutta la vita, compagna equivale a moglie, e quindi in base alle mie regole personali Alberto in quel preciso istante diventa off-limits.

Sob!

Diego, legge l’espressione che ha assunto il mio viso, cerca di trattenersi, ma poi scoppia in una fragorosa risata.

Oh cazzo! Mi sono dimentica che lui è una delle poche persone che riesce a interpretare che cosa mi sta passando per l’anticamera del cervello.

- Cosa fai per il resto del tempo? - chiedo, per evitare uno dei suoi attacchi imbarazzanti solo per la sottoscritta, perché Diego-sensibilità-di-elefante non conosce neanche il significato d’imbarazzo.

- Grafico, cosa vuoi che faccia?

- Sempre lì? - domando con una punta di dispiacere.

Scuote la testa in segno negativo.

- No. Alla fine, non sono durato molto, dopo che te ne sei andata tu. Non era la stessa cosa. In fin dei conti, lo sapevano anche Valeria e Monia, che tu ed io, eravamo la squadra. Loro erano semplicemente la cornice. - lascia vagare lo sguardo all’esterno, verso l’orizzonte, come ad immergersi nel cielo blu di quella bella giornata di settembre, per tuffarsi nuovamente nel passato e ritornare a quel tempo, ormai lontano da noi, quando tutto era bello e fantastico, e noi eravamo un’ottima squadra.

- Ho faticato parecchio, e ci ho impiegato molto a trovare un altro lavoro, ma alla fine ce l’ho fatta. Da sei mesi collaboro con uno studio grafico in città.- comunica soddisfatto.

Sorrido apertamente, fiera di lui.

La sua tenacia è una delle cose che mi ha sempre attratta della sua personalità. Peccato, però, per la sua testardaggine, che ci portava, per la maggior parte delle volte, a litigare e ad uno scontro verbale, solo perché l’ambiente di lavoro e il ruolo che avevamo, non ci consentivano di prenderci a botte.

- Ora sono alla disperata ricerca di una stanza, perché fare su e giù dal paese, sono più spese che altro, e poi a lungo andare stanca fare tutti questi chilometri al giorno.-

- Perché non vieni a stare da me? – propongo senza volerlo.

Sbarro gli occhi nel sentire le mie stesse parole.

Non l’ho detto davvero?Ditemi che l’ho solo pensato.

Diego stesso è rimasto senza parole a quell’eventualità.

- Sono cinque mesi che sono andata a vivere nell’appartamento che ho comprato tre anni fa. Ho una stanza libera e se vuoi, per duecento euro al mese, è tua!- continuo in quella pazzia.

Ecco qua, l’affarista che c’è in me che saltava fuori.

Lui rimane in silenzio per diversi secondi, valutando la questione.

Respiro a fondo, mentre io per tutto il tempo trattengo il respiro, in attesa di un suo verdetto.

- Perché no!

Perfetto! Piano di guadagno approvato.

Ora, l’unica cosa che mi rimane da fare è quella di informare il Generale e il Colonnello che avrei diviso il mio appartamento con un uomo!

Oh cazzo!

 

 

 

 

Continua…

 

 

  

Ok un inizio un po’ lungo… ma volevo presentarvi meglio la situazione… non sono sempre così chiacchierona… a volte.

Allora, che ne dite di Diego e Greta?

 

 

 

   
 
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