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Autore: Nene_chan    22/05/2011    2 recensioni
Ecco il primo capitolo della FF, a capitoli, sul mio primo, non che preferito, forum-gioco di ruolo.
Il suo nome è Gost Toon. E la prtagonista, la mia ragazza, è una maga mutaforma, si chiama Victoria Sophie Caterwill.
- Ricorda che io non sono un’Ignara, Nate. – disse entrando e accorgendosi di aver pronunciato il suo nome per la prima volta.
Spero vi piaccia.
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Lui si avvicinò, le labbra che si stavano per posare sulle sue…
Qualcosa di pesante atterrò sul letto accanto a lei, quasi sbalzandola giù. E, mentre il sogno si dissolveva del tutto, delle ginocchia sbatterono sulle sue tibie e vi strisciarono sopra.
Si tirò su, svegliata di soprassalto. Ora che era sveglia realizzò che Nate, l’Ignaro che aveva salvato da morte certa, le stava camminando sopra per inseguire Gunnar, il suo bakeneko ora trasformato in gatto.
Uscirono dalla stanza prima che lei potesse avere una reazione qualunque, in quanto era ancora scossa dal brusco risveglio.
Nate si era svegliato solamente ieri dal lungo coma che la pozione del ‘sindaco’, Orods Zetas Sixx Hill, gli aveva procurato nel tentativo di cancellargli la memoria, in modo che non potesse tornare a casa sua… e, in un certo senso, le aveva quasi fatto un favore: aveva bisogno di compagnia in quella casa così grande occupata solo da lei e i suoi tre animali ‘domestici’.
L’Ignaro sembrava stesse bene, ora, tutto sommato.
Si alzò e andò in cucina per prendere un bicchiere di latte, la canottiera di cotone che le arrivava quasi alle ginocchia.
Si bloccò sulla porta del salotto. Il divano era ribaltato all’indietro, il vaso di portellana e vetro a terra in una pazza d’acqua, accanto i fiori che conteneva. Il caos regnava nella cucina e nel salotto.
“Ora inizia il mio inferno personale…” si disse andando i camera a cambiarsi: indossò un abito femminile, con la gonna sulle ginocchia, nero e bianco, in stile gothic.
Entrò Rea esattamente mentre lei finiva di allacciarsi il bustino. Le chiese mentalmente se le serviva una mano per mettere in ordine e lei, accetando, gliene fu grata -lei e Rea, il suo basilisco, erano le uniche donne in casa.
Le due ore seguenti furono terribili, ma con un po’ di magia e olio di gomito ripulirono il disastro e sistemarono tutto quanto.
Quando ebbe finito, Sophie si stese stupina sul pavimento di legno lucido, Rea si raggomitolò lì vicino, per riprendere fiato. Nate entrò nel suo campo visivo, i capelli neri arruffati e il viso un po’ graffiato, stava tenendo Gunnar, in ‘versione topo’, per la coda.
- Victoria… - cominciò.
- Sophie. - lo interruppe subito lei.
- Sophie, che cosa c’è in quella stanza con la porta chiusa a chiave, in cantina? - chiese.
- Non sono affari tuoi, Ignaro. - rispose lei brusca, tirandosi su. - E lascia Gunnar. - aggiunse poi.
Lui sembrò ricordarsi del topolino che teneva sospeso a mezz’aria e, non appena lo rimise giù, questo si ritrasformò in quell’enorme felino che era e, indignato, se ne andò verso il giardino.
Il ragazzo le si avvicinò. - Dammi un’indizio… - continuò.
- Se la smetti di stressare, ti faccio dare un’occhiata veloce. Solo il tempo di prendere un paio di cose per uscire. - rispose lei, interrompendolo nuovamente, già quasi pentita di averlo salvato.
Rea la guardò storta, nemmeno a lei e a Gunnar era permesso entrare in quella stanza, normalmente. Ma Sophie la ignorò.
La porta di ferro della cantina si aprì con un clack secco. La spinse delicatamente e quella mostrò il contenuto della stanza.
Un tavolo rettangolare eccessivamente grande, ingombro di fornelletti, ciotole, boccette, sacchettini, piatti ricolmi di erbe e un libro aperto, era al centro della stanza.
Alla sua destra, attaccata al muro, una grande mensola in ciliegio che lo percorreva tutto per il lato corto della stanza. Sopra quest’ultima erano depositate le sue armi: il pugnale dei Casterwill, l’arco con la faretra ricolma di frecce, i pugnali da lancio, un cofanetto con strani intarsi che conteneva l’amuleto di Sabriel e King Basilisc, i suoi titani, un secondo ne conteneva altri che non usava spesso e diversi stracci ripiegati, con i rispettivi liquidi vicino che servivano per ripulire le armi.
Il continuo della mensola, sul muro adiacente, era ben più corto, infatti sopra di esso giacevano solamente una quarantina di fialette e boccette che contenevano i diversi veleni che lei stessa aveva creato: la riugiada bianca, in grado di privare della vista per qualche minuto, la riugiada rossa, che causava perdita di sangue da naso e occhi e il conseguente, lento, dissanguamento, la riugiada viola, letale in un periodo di tempo piuttosto lungo e che causava allucinazioni pre-morte, e, infine, la riugiada nera, quella che lei preferiva, appariva come un normale veleno di serpente, ma più letale, uccideva la vittima in pochissimi secondi.
A sinistra del tavolo, antichi strumenti di tortura che lei non usava più, per lo più insanguinati, e, accanto un’alta libreria straripante di libri.
Nate, dietro di lei, rabbrividì.
- Ricorda che io non sono un’Ignara, Nate. – disse entrando e accorgendosi di aver pronunciato il suo nome per la prima volta.
Prese il pugnale con lo stemma della sua famiglia, l’arco e la faretra con le frecce imbevute di riugiada nera.
- Stattene buono a casa e riposati, io vado a caccia. -
- A… caccia? – ripetè lui, sorpreso e appena turbato.
- Sì. Se stasera vuoi mangiare devo procurarti qualcosa, no?  - disse freddamente, come se la cosa fosse ovvia.
Salì a cambiarsi i vestiti e indossò i soliti: il corpetto nero con i bottoni vermigli, i pantaloni di pelle nera, gli anfibi scuri e la cintura borchiata alla quale assicurò il pugnale.
Poi, avvolgendosi nel mantello e prendendo la bisaccia dove aveva messo le altre armi, fischiò.
Thundar, il suo stallone nero, arrivò al galoppo. Gli saltò in groppa esattamente quando Gunnar apparì al suo fianco.
Spronò il cavallo e partirono nell’afa pomeridiana.
Eccola, Sophie, che tornava la solita, fredda assassina cacciatrice, la maga mutaforma, veloce e letale.
 
Tornò verso sera, le mani sporche di sangue come i denti del bakeneko, per posare la selvaggina e, dopo essersi cambiata, uscire nuovamente, questa volta da sola.
S’incamminò sotto forma di gatto nero verso il castello, lì si era data appuntamento con la vampira.
Entrò dal portone principale, saltandolo, e si diresse nella camera da letto più grande. Quella dove si erano conosciute.
Tornò umana, gli occhi ancora felini per vedere nel buio, rischiarato solamente dalla luce della luna piena. Non appena ebbe effettuato la trasformazione, due mani fredde scivolarono sul suo volto, andandole a coprire gli occhi. Non cercò di ribellarsi, erano così familiari… si voltò e sorrise ancor prima di aver messo a fuoco il suo volto chiaro, i canini appuntiti digrignati nel suo stesso sorriso e i capelli neri che scendevano fino alle spalle.
- Ele… - sussurrò con una voce improvvisamente dolce, l’altra rispose abbracciandola. Elektra Blood, la vampira, era come una sorella per lei.
Si stesero sul grande letto, ancora abbracciate. Elektra, con una mano, le scostò i capelli dal collo e glielo mordicchiò affettuosamente, mentre Sophie ridendo sommessamente parlò:
- E’ un po’ che non ci vediamo… mi sei mancata. -
- Anche tu, sorellina. -  entrambe, notò Sophie, avevano una voce che sembrava più calda, ora.
La mutaforma si liberò dalla sua presa ferrea, che la teneva bloccata, e la baciò. Ma, evidentemente, all’altra non bastò, perché le strappò un nuovo bacio, più dolce del primo e poi passò a leccarle una guancia.
Andarono avanti così fino a notte fonda. Questo era il loro modo di passare del tempo assieme, quando potevano vedersi: morsi, baci, dolci abracci… e Sophie non riusciva ad immaginare un altro modo di poter stare con lei.
Quando fu quasi l’alba, la vampira si alzò.
- Sorellina… ehm… dovrei andare. Sai, la luce del sole non mi fa esattamente bene. – bofonchiò.
- Sì, lo so, Ele. – la tranquillizzò Sophie.
Elektra la baciò sulla fronte scompigliandole i capelli.
- Ti voglio bene, tesoro. Ci vediamo. -
Sophie la baciò.
- Anche io. – le sorrise, salutandola con una mano.
Saltò sul davanzale di pietra della finestra, freddo come la sua pelle, e si spinse giù, scomparendo e lasciando Sophie sola.
Sospirò, la maga, e a sua volta si avviò verso casa.
 
Quando finalmente arrivò, entrò in camera da letto, per mettersi a dormire. E, con sorpresa, trovò Gunnar ai piedi del letto. Sorrise stancamente, probabilmente aveva cercato di aspettarla sveglio, pensò, mentre si spogliava e si metteva la canottiera che le fungeva da camicia da notte.
Si adagiò sul letto che ormai il sole stava sorgendo, ma sprofondò ugualmente nel sonno.


-- Dedicata a ElektraBlood e a tutti gli abitanti di Gost Toon --

  
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