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Autore: Akemi_Kaires    24/05/2011    7 recensioni
{Sandra Centric}
C'è aria di festa ad Ebanopoli in questi ultimi giorni. Si tratta dell'arrivo imminente della data che tutti aspettavano con ansia: la festa della fondazione e del principio, dove si ricorda la nascita del paese montano.
Ma si è sicuri che sia solo questo l'avvenimento importante che dovrebbe essere ricordato in quello stesso giorno?
Aspettando in silenzio, immersa nei suoi pensieri e nelle sue emozioni, la giovane Capopalestra Sandra riflette su ciò che le accade intorno, su come le cose siano cambiate col passare degli anni.
Qualcuno sarà in grado di placare il moto di emozioni che la travolgerà come una burrasca in piena? Riuscirà a portarla via dall'abbraccio della solitudine che l'ha avvolta completamente tra le sue spire colme di tristezza, lacrime e dolore?
- Nel mondo non si è mai soli, Sandra – mormorò, accarezzandomi i capelli. – Ognuno di noi ha un ruolo, in questo mondo, e nessuno viene mai dimenticato. Il nostro compito può essere di rilievo o invisibile agli occhi altrui, però sentono che noi ci siamo ed esistiamo. Forse non se ne accorgono immediatamente, oppure sottovalutano ciò che facciamo. Ma lo sanno. Lo sanno che qualcosa si sta rivolgendo a loro e che sta facendo qualcosa di bello nei suoi confronti.
[Partecipante al Pokémon Special Challenge indetto da nihil no kami su EFP; Personaggio: Sandra]
Genere: Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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Buon Compleanno!



Con le spalle appoggiate alla parete umida e fredda della grotta, osservai inespressiva la mia stessa immagine riflessa nell’acqua.
C’era aria di festa, ad Ebanopoli, allegria e gioia nel vento. Nel cielo, oltre alle stelle luccicanti, numerosi fuochi artificiali scoppiavano frequentemente, suscitando stupore e felicità in tutti gli abitanti.
Avrei dovuto essere anche io, là fuori, con loro. Sarei dovuta essere lì, in mezzo ai miei compaesani, per festeggiare assieme. Invece mi trovavo lì, con aria sconsolata, da sola, in un angolo della Tana del Drago.
Sospirai, chiudendo gli occhi. Se fossi stata una brava e diligente Capopalestra, avrei raggiunto gli altri anche solamente per salvaguardare la sicurezza degli infanti: era mio dovere garantire la loro incolumità.
Se fosse successo qualcosa durante la mia assenza, non me lo sarei mai perdonato. Eppure non riuscivo a muovere le gambe, a fare semplicemente un passo, a tornare in piazza.
Anche se ne avessi avuto l’intenzione, non ero nello stato di farlo: ero ancora vestita da Domadraghi, neppure in abito elegante, e il mio umore non era dei migliori.
L’unica mia consolazione era che, almeno, non ero completamente abbandonata a me stessa. Dragonite svolazzava qua e là e Kingdra nuotava gioiosamente. Almeno loro potevano dire di aver passato una bella giornata. Io, invece, non avrei potuto farlo neppure mentendo.
Fuori, nel frattempo, risuonavano le assordanti grida e urla delle persone. Stavano cantando, danzando, si stavano divertendo. In teoria per questo avrei dovuto rallegrarmi un minimo.
Il freddo di quel posto penetrava nelle mie ossa, facendomi provare un dolore acuto. Non era un clima normale, quello: di notte tutto diventava più umido del solito. Per questo risultava masochistico e difficile allenarsi in quegli orari. Solitamente a me non faceva nessun effetto, ma solo perché non stavo mai ferma. Mentre ora potevo sentirla chiaramente e provarla sulla mia pelle, quella sensazione fastidiosa. Non era neppure tanto salutare. Non mi stupivo affatto delle lamentazioni di mio nonno riguardo i suoi reumatismi. Lui ci dormiva anche, a volte, nel tempio. E quel posto era proprio al centro del lago.
Pazzo. Avrebbe fatto meglio a pensare un po’ più alla sua salute che ad altro.
Forse era questo che mi mancava, che mi impediva di ottenere l’approvazione dei saggi: quello spirito di sacrificio che a me pareva follia. Cominciai a pensare di essere troppo egoista. In effetti il comportamento di adesso testimoniava tale pensiero.
Seccata, feci un cenno ai miei Pokémon e tutti assieme ci avviammo verso l’uscita.
Avevamo un compito da svolgere, un luogo da proteggere anche se contro la nostra volontà.
Non appena ci trovammo fuori, ebbi un giramento di testa dovuto a tutta quella confusione improvvisa, alla vista di quel caos totale, al pensiero di dover affrontare una delle mie più tristi e peggiori nottate di tutta la mia vita.
«Lo sapevo…» mugugnai, salendo in groppa alla mia Dragonite per attraversare in volo il paese. «Sarei dovuta restare dov’ero e ignorare tutto questo».
Come sei pessimista” rispose lei. “Dopotutto, non è così male! Ehi, guarda, Charizard sta danzando con gli altri!”.
Avevo mandato il resto della squadra a fare un controllo mentre mi crogiolavo nel dolore.
Non avrei fatto una bella figura davanti a tutti facendo l’asociale e ignorando i miei doveri. Perciò avevo protetto la mia terra natale in qualche modo, anche se indirettamente.
Dall’alto, scorsi tutti i compaesani. Erano divisi in vari gruppetti, diversi l’uno dall’altro, eppure tutti accomunati dall’euforia provata durante quella sera. C’era chi brindava ad una nuova e lunga annata, chi mangiava a volontà e chiacchierava allegramente col vicino di tavolo, chi danzava al chiaro di luna accompagnato dalla melodia dolce dell’orchestra paesana e chi, come da tradizione, dichiarava il proprio amore alla persona amata stando accanto alla cascata dove venivano svolti i riti sacerdotali.
Notai anche i miei genitori, mano nella mano, seduti su una panchina mentre ammiravano il cielo farcito di stelle. Avevano un sorriso sereno dipinto sulle labbra, felice.
Nonostante la gioia provata nel vedere il mio popolo così allegro, artigli gelidi afferrarono il mio cuore, ghermendolo.
Provai una dolorosa fitta al cuore, mi mozzò il respiro, mi fece girare la testa. Il sangue nelle mie vene gelò completamente e un brivido freddo attraversò la mia spina dorsale. Sapevo di cosa si trattava: tristezza, dolore.
Si erano tutti dimenticati di cosa ricorreva, oltre all’anniversario di fondazione di Ebanopoli, quel giorno. Avevano scordato tutto, completamente.
Tutto questo stava solamente succedendo per colpa di un semplice cambio di date, di uno spostamento dovuto ad imprevisti. Se questo non fosse mai successo, forse qualcuno mi avrebbe degnato di uno sguardo.
Allora ciò che riguardava me in particolare contava così poco da essere dimenticato da tutto e tutti?
Una lacrima scorse lungo il mio viso, solcandolo e bruciandomi le guance.
Quel sentimento che stavo provando era davvero una brutta cosa. Era capace di farti sentir male per giorni, di rovinare qualunque cosa si veda, di osservare ogni cosa sotto un punto di vista pessimo. A volte portava perfino alla follia.
«Portami a terra, ti prego» supplicai il mio Pokémon, passandomi una mano nei capelli. «Non mi sento molto bene».
Sandra…? Cos’hai?” domandò lei per risposta, irritandomi alquanto. Era a modo suo gentile domandarmi questo, però in quel momento non ero proprio in vena di spiegazioni.
«Desidero solo scendere» risposi pacatamente, cercando di nascondere il nervosismo. «Non riesco a gradire molto questo volo. Ho mal d’aria».
Sicuramente aveva scoperto la mia menzogna. Sono sempre andata in groppa ad ogni essere dotato di ali senza mai stare male in vita mia. Anzi, adoravo viaggiare volando. Era il mio passatempo.
Fortunatamente, capendo il mio disagio, obbedì senza esitazione. Mi lasciò esattamente davanti a casa mia, proprio sulla soglia della porta.
Io vado a dar man forte agli altri con i controlli” mormorò lei, stando sospesa a mezz’aria. “Avvertirò anche Kingdra… così tutto sarà sotto controllo”.
Nelle sue parole, c’era sottintesa l’intenzione di lasciarmi da sola per sfogarmi, per permettermi di riflettere su ciò che stava accadendo intorno a me.
Mi conosceva a fondo e sapeva di ciò di cui avevo bisogno. Era davvero una vera amica, capace di capirmi senza bisogno di parole. Le bastava solo guardarmi per un attimo, leggere il mio sguardo e agire a seconda di ciò che vedeva. Adoravo questo suo modo di fare.
Sospirai, fissando la mia baita. Mi era passata totalmente la voglia di entrare e dirigermi in camera mia, per sdraiarmi sul letto e addormentarmi beatamente. Non era più un’esigenza così grande come appariva inizialmente.
Mi stropicciai gli occhi, cercando di togliere quella sensazione sgradevole si solitudine e sonnolenza. Sarei andata nella taverna di mia nonna e mi sarei fatta di nascosto un bel caffè, piuttosto che addormentarmi e lasciarmi andare in balia di ciò che non era realtà o peggio, degli incubi.
A passo svelto, sgattaiolando nelle zone buie del paese per cercare di non farmi notare, m’incamminai verso la mia nuova destinazione.
L’aria di festa era così palpabile da darmi la nausea. Tutta quella baldoria, quegli odori di vino misti a prodotti tipici delle nostre zone, quel sapore di euforia che l’aria aveva e quelle urla mi facevano venire il voltastomaco.
In fretta e furia mi richiusi il portone d’accesso alle spalle, sbuffando. Cercai di riprendere fiato, inspirando a fondo l’odore di legna arsa e di dolci, di casa. Quel posto sì che mi faceva sentir bene, sul serio.
Accesi una lanterna, per evitare che qualcuno potesse notare la mia presenza, e mi diressi al retro del bancone proprio dove vi erano gli ingredienti e le varie macchine.
Preparai il mio espresso e rimasi lì, seduta su uno sgabello, a fissare la caffettiera lambita dalle fiamme del fornello. Il fuoco del camino, nel frattempo, scoppiettava allegro e la sua luce fioca e morbida descriveva i bordi di ogni oggetto, creando un gioco mistico di luci ed ombre capace di lasciar senza fiato. Quel luogo avrebbe fatto la gioia di un pittore in cerca di un soggetto da ritrarre.
Cercando come al solito di non farmi male, tolsi delicatamente l’elastico della mia coda e lasciai che quella cascata azzurra di capelli scivolasse lungo le mie spalle e sulla schiena. Lasciarli liberi mi faceva stare meglio, come se mi liberassi di un peso.
Mi sbarazzai anche il mantello e i guanti, rimanendo semplicemente col mio abito aderente, la mia collana con la perla di Dragonair e gli stivali alti fino al ginocchio.
Mi guardai allo specchio delle vetrine della credenza e mi parve di scorgere una persona diversa dalla solita me stessa Domadraghi combattente. Era il volto di una normalissima ragazza, di una donna, di una persona semplice con una vita tutt’altro che movimentata. Sorrisi amaramente mentre sorseggiavo la mia bevanda. Chissà come sarebbe stato se fossi nata in un luogo diverso o se non fossi esistita affatto.
A quanto pareva non sarebbe cambiato nulla di quanto fosse già.
Sì… perché tutti si erano dimenticati di che giorno fosse oggi.
Era il mio compleanno.
Ironicamente alzai al cielo la tazzina. «Buon compleanno a te, Sandra!» esclamai a bassa voce, tristemente.
«Sinceramente non mi sembra un bel posto per festeggiare, sai?» sussurrò una voce alle mie spalle, facendomi sobbalzare dallo spavento.
«Dannazione, Lance…» mormorai, non voltandomi neppure per guardarlo in faccia. «Vuoi farmi venire un infarto?».
Mio cugino, per tutta risposta, accarezzò la mia chioma, rigirandosi tra le dita una ciocca dei miei lunghi capelli. Sorrideva, ne ero certa. Lo conoscevo così tanto bene da poter prevedere ogni sua parola e mossa.
La gente ci considerava fratelli da come riuscivamo a comunicare in modo semplice ma ricco di affetto. Eravamo legati da qualcosa di speciale che andava oltre a qualsiasi altro tipo di parentela.
Si sedette accanto a me, guardandomi negli occhi. Ricambiai il suo sguardo, restando inespressiva.
Era così carino quando si interessava così tanto a me, quando era così premuroso nei miei confronti. Era davvero raro trovare gente così disponibile nel starti accanto in ogni momento di difficoltà. Infatti adoravo Lance. Era davvero un bravo ragazzo, pieno di carisma e di buona volontà.
Parlare con lui si dimostrava sempre utile ed era una soddisfazione ascoltare le sue risposte e discorsi. Nonostante fosse un campione non era spavaldo, anzi. Sempre disponibile ad aiutare il prossimo, non considerava nessuno come un essere inferiore tanto meno me.
Era l’unico che poteva capirmi. Lo sapevo e lo sentivo nel mio cuore.
«Sandra… cosa ci fai qui? La festa è là fuori» disse, appoggiando la sua mano sulla mia.
«Diciamo che non è quella giusta per me» risposi pacatamente. Mi piaceva il contatto della sua pelle sulla mia. Mi donava calma e serenità. «Non è il mio posto, là fuori».
«Si tratta della tua Ebanopoli» replicò. «Sebbene si siano dimenticati di che giorno sia oggi, rimane sempre il tuo popolo».
«Se ti riferisci alla sicurezza, tutta la mia squadra sta pattugliando».
Restammo in silenzio per un bel po’, abbassando lo sguardo e fissando il lucente bancone sul quale eravamo appoggiati. Era inutile discutere, tanto nessuno dei due si sarebbe arreso all’altro. Avremmo finito col litigare e questo entrambi non lo volevamo.
Sentii, però, l’esigenza di confessargli tutto ciò che stavo provando in quel momento.
Dovevo farlo, volevo mostrargli tutti i miei sentimenti. Soprattutto fare tutto questo con mio cugino sarebbe stato ancor più giusto. Ero certa che, dopo tutto ciò, mi sarei sentita molto meglio e lui avrebbe potuto dirmi esattamente cosa fare, darmi dei consigli, consolarmi.
«Giuro che non me lo sarei mai aspettato» sussurrai infatti. «Credevo che almeno qualcuno si sarebbe ricordato di quale altra ricorrenza cadeva oggi».
Come previsto, Lance non proferì alcuna parola. Mi avrebbe lasciata finire, senza interrompermi, e solo dopo sarebbe intervenuto per dire qualcosa.
Come un fiume in piena, le sensazioni e le emozioni provate precedentemente mi travolsero completamente, sommergendomi e trasformandosi in frasi che, ad ogni respiro fatto e lacrima versata, scivolavano al di fuori delle mie labbra.
«Ogni persona a me cara, ognuno al quale tengo con tutta e più di me stessa, mi ha voltato le spalle!» singhiozzai, serrano occhi e pugni per permettere al buio di avvolgermi completamente, di accogliermi in quella silenziosa e piatta calma. «Nonostante tutto quello che faccio, dopo ogni giorno che passo nel dolore e nelle tribolazioni pur di garantire il loro benessere e felicità, si sono perfino scordati del giorno in cui sono nata!».
Ripensai amaramente a tutta la mia infanzia, passata tra allenamenti e tristezze, pur di veder un giorno dipingersi sul volto delle persone che mi circondavano un sorriso generato da me, dalle mie azioni e dai miei gesti. Avrei tanto desiderato che la mia presenza fosse fonte della gioia altrui.
Eppure mai avrei immaginato che sarebbe andata a finire in quel modo, che tutti approfittassero di questa mia buona volontà per benessere proprio, trascurando me e ciò che sentivo nel mio cuore.
Davvero mi avevano voltato le spalle?
«Nessuno mi è venuto a cercare, nessuno si è posto domande riguardo la mia mancanza! Ho visto perfino i miei genitori con un’espressione di gaudio sul volto…» sussurrai con voce spezzata dal pianto, rievocando quel momento al quale avevo assistito poco tempo prima. «Così contenti senza di me!».
Nonostante avessi accanto il Campione, in quell’attimo mi parve di instaurare un dialogo con me stessa, con la mia anima, auto-interrogandomi su quello che mi circondava.
Tante domande corrodevano la mia mente, lacerandomi il cuore come se una lama arrugginita ferisse la mia carne con un dolore acuto provocando un’infezione che si sarebbe sparsa in tutto il mio corpo, tante questioni mi ponevo con timore, cominciando a dubitare perfino di ciò che ero io.
«A volte mi chiedo… ha senso tutto quello che sto facendo?!» urlai, picchiando un pugno sul bancone, mentre sentivo ogni parte di me scossa da un tremito interminabile. «Ha senso il fatto stesso della mia esistenza?! Oppure la gente farebbe volentieri a meno di me?!».
Schiusi le labbra in una smorfia di disgusto provato verso ciò che ero, ripiegando la testa all’indietro, mentre poggiavo le mie mani sul volto oramai rigato dalle lacrime.
Forse, se fossi stata una ragazza normale come tutte le mie coetanee, avrei trascurato questa piccola dimenticanza. Invece, dato il fatto che avevo deciso di mia volontà di dedicare la mia vita al bene altrui, questi gesti mi ferivano profondamente.
Sembrava quasi che ogni cosa da me fatta fosse inutile, che ogni mio sacrificio fosse vano.
Nella mia mente cominciarono a scorrere vorticosamente le immagini di tutta la mia vita, di ciò che avevo fatto durante essa, di come mi ero comportata e di come avevo agito.
C’era qualcosa di sbagliato? Avevo commesso qualche errore durante la mia vita? No.
Allora perché tutti mi avevano scordata? Ognuno di loro mi stava voltando le spalle e non ne conoscevo neppure il motivo.
Fu in quel preciso istante che sentii la mano di Lance accarezzarmi la fronte con dolcezza, attraverso un tocco leggerlo e morbido, rassicurante.
Come per magia, ogni mio pensiero malsano riguardo la mia vita, ogni sensazione triste provata prima evaporarono, lasciandosi poi trasportare dal vento lontane da me.
«Non devi dirlo neanche per scherzo, capito?» sussurrò lui, affettuosamente.
Istintivamente, colta da un desiderio improvviso di affetto e consolazione, mi fiondai tra le sue braccia, cominciando a singhiozzare sommessamente fino ad inzuppargli la divisa da Domadraghi con le mie lacrime.
Sentivo il bisogno di sfogarmi, di piangere, di sentire vicina la presenza del mio adorato cugino. Avevo necessità di farmi capire da qualcuno, di comunicare chiaramente le mie emozioni ad una persona in grado di capirle senza difficoltà, senza inutili e futili spiegazioni.
«Nel mondo non si è mai soli, Sandra» mormorò, accarezzandomi i capelli. «Ognuno di noi ha un ruolo, in questo mondo, e nessuno viene mai dimenticato. Il nostro compito può essere di rilievo o invisibile agli occhi altrui, però sentono che noi ci siamo ed esistiamo. Forse non se ne accorgono immediatamente, oppure sottovalutano ciò che facciamo. Ma lo sanno. Lo sanno che qualcosa si sta rivolgendo a loro e che sta facendo qualcosa di bello nei suoi confronti».
Alzai leggermente il capo, quel poco che mi bastava per poterlo guardare negli occhi. Stava sorridendo.
In quel preciso istante cominciai a ripensare a come davvero loro tenessero a me, in modo sempre diverso da persona a persona, di quanto mi aiutassero nel momento del bisogno, a tutti i loro “
Grazie” che pronunciavano quando davo loro un mano, agli allievi della Tana del Drago che mi ascoltavano seguendo passo a passo i miei ordini, ai bambini che si divertivano ogni volta che giocano con me, agli occhi di quegli infanti illuminati di gioia pura ogni volta che insegnavo loro qualcosa riguardo i Pokémon… solo dopo aver rievocato quei bei momenti delle mie giornate compresi davvero le parole di Lance.
Scossi leggermente la testa. «Hai ragione… comportarsi in questo modo è inutile!».
Mi allontanai da lui, sorridendo radiosamente. Era giunto il momento di riscattarmi, di uscire dal baratro della tristezza e di gioire assieme a coloro che mi volevano bene.
Appoggiai la mano sulla maniglia della porta, girandola, pronta ad entrare nella festa che mi attendeva là fuori.
Prima di lasciarmi alle spalle ogni momento tragico di quella serata, afferrai bruscamente mio cugino per un braccio, trascinandolo vicino a me per invitarlo a seguirmi e a divertirsi assieme a tutti noi.
«Grazie» sussurrai in ultimo, cominciando a correre verso coloro che aspettavano la Capopalestra e il Campione per festeggiare con loro quel giorno così magico e speciale, unico nel suo genere.


Questo è stato il mio primo tentativo di scrittura nel campo dei Pokémon. Non essendo abituata a scrivere storie basate su lotte, per ora mi sto concentrando su momenti significativi della vita dei vari personaggi.
Questa storia l'avevo già pubblicata in passato su un forum, ma ho deciso di riproporvela per permettervi di recensire e commentare.
Spero sinceramente possa essere di vostro gradimento!
Akemi_Kaires

  
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