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Autore: KymLYCANTHROPE    24/05/2011    2 recensioni
“Ciao.”, la sua voce, improvvisamente vicina, mi fece sobbalzare nonostante sapessi che stesse per arrivare. […]
“Ciao.”, risposi, pacata e nervosa allo stesso tempo.[…] “E’ libero qui?”, aggiunse, forse si corresse, dopo un istante, ed indicò con il mento la poltroncina accanto alla mia.
“Sì. Certo, sì, è libero.” […]
Si mise comodo sulla poltroncina e intrecciò le dita in grembo, allargò le gambe e mi fissò con un sorriso obliquo e il suo imbarazzo sembrò svanire. Sul suo viso da pseudo ventenne comparve un’aria sicura.
“Come mai qui?”, mi chiese, spostando gli occhi dal mio viso alle mie scarpe.
“Sono ad una festa.”, risposi. “Un compleanno. E tu?”
“Un addio al celibato.”, scrollò appena le spalle larghe. Restammo in silenzio per alcuni attimi. “Cassandra, giusto?”
“Cassandra? Cosa? Ah, il mio nome. Sì, sì mi chiamo Cassandra.”
C’era qualcosa, nel modo di guardarmi che quell’uomo aveva, che mi lasciava perplessa. Non riuscivo a capirlo. Come se lo conoscessi; come se in passato, o forse in un’altra vita, avessimo avuto qualcosa a che vedere l’uno con l’altra.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Tom Kaulitz, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Pictures of you, pictures of me
Remind us all of what we could have been.
(Pictures of You – The Last Goodnight)

 

Ero in ritardo. Come al solito ero in ritardo. La mia quasimoglie sarebbe stata furibonda, non avrebbe tollerato uno striminzito “Scusami, tesoro, la sveglia non ha suonato” in un giorno come quello. E sicuramente Padre Gottberg non sarebbe stato da meno. Scesi le scale del mio appartamento a due a due facendo ticchettare le scarpe sul parquet lucido che le rivestiva, mentre mi infilavo velocemente la giacca grigia e finivo di abbottonare il polsino destro della camicia bianca. Piombai in cucina trafelato e bevvi d’un sol sorso il caffè bollente che Milla, la mia colf, aveva versato in una tazzina bianca giusto un attimo prima.
“Brucia!”, boccheggiai poggiando la tazzina vuota nel lavandino con un’espressione disgustata in volto.
“Non ci ho nemmeno messo lo zucchero…”, bisbigliò a malapena la donna, con la zuccheriera a mezz’aria.
“Come sto?”, le chiesi sorvolando, sistemandomi con uno strattone il collo della giacca e raddrizzando la schiena. Milla sollevò un angolo della bocca, divertita.
“In ritardo. Non pensi che sarebbe meglio mettere una cravatta?”
“No, troppo formale. E poi ho i jeans.”, sollevai gli occhi lasciando scivolare lo sguardo sull’orologio appeso alla parete. “Cazzo, è tardissimo.”, le diedi un bacio sulla fronte, “A dopo Milla!”, e pochi attimi dopo ero già in macchina.

***

“Io esco.”, mi alzai da tavola facendo graffiare i piedi della sedia sul pavimento.
“Dove vai?”, biascicò Gabriel scrutandomi da dietro il giornale che stava leggendo e masticando una brioche. Helen, d’altro canto, non sollevò nemmeno gli occhi dalla posta che scrutava con cura.
“A fare un giro in macchina con Hannah.”
Come avevo sospettato la parola “macchina” attirò l’attenzione di entrambi. Persino Munja sollevò per un attimo gli occhi dai fornelli che stava lucidando con cura.
“Esci in macchina?”, domandò immediatamente Helen.
“Sì. Qual è il problema?”
“Nessuno.”, scattò in difensiva Gabriel. “E’ solo che hai la patente da poco e…”
“Sono maggiorenne.”, lo interruppi sbuffando. “Ho la patente e voi mi avete regalato una macchina. Non vedo il motivo per cui ogni volta che parlo di uscire in macchina dobbiate montar su questa storia e queste lagne. E possibilmente venire in macchina con me.”
“Non ci stiamo lagnando e non vogliamo venire in macchina con te per chissà quale motivo, è solo che ci sembra un po’ prematuro il fatto che tu debba uscire già da sola in auto…”
“Già, che sciocca.”, sibilai. “Come ho fatto a non pensarci prima? Vi comprerò due bei seggiolini da mettere sui sedili posteriori in modo che possiate venire con me e non correre troppi rischi.”, mi infilai la giacca e feci per andarmene. “Ora scusate ma la mia amica mi sta aspettando.”, uscii dalla cucina a passo di carica e da casa sbattendo la porta. Pochi attimi dopo ero già in macchina.

***

Richiusi, infreddolito, il tettino della mia decappottabile rabbrividendo. Il mio cellulare iniziò a vibrare e squillare sul cruscotto, ma prima che potessi prenderlo, scivolò giù e sparì sotto qualche sedile.
“Cazzo!”, lo sentivo ancora squillare e immaginavo la mia quasimoglie che avrebbe sbraitato attraverso quella cornetta di lì a poco. Continuai a guidare e guardare la strada mentre con un braccio mi sporsi, e frugai sotto il sedile alla ricerca dell’oggetto perduto. “Non smettere di suonare, non smettere di suonare… ti prego non smettere di…”, appunto. La suoneria cessò di botto, irritata. Ora non avevo davvero più speranze di ritrovarlo. Colpii il volante stizzito. Era la mia punizione. Non sarei riuscito a recuperarlo e quindi avvertire del mio ritardo né giustificarmi. E mi sarei beccato il cazziatone dal prete. Come minimo.
Complimenti Tom, arrivare in ritardo proprio il primo giorno del corso prematrimoniale. Sei un genio, davvero.

***

“Hannah?”
“Hey sorella!”, la voce della mia amica mi arrivò metallica mentre facevo manovra, il cellulare incastrato tra la spalla e l’orecchio. Ridacchiai. “Ho letto il tuo sms. 5 minuti e sono pronta.”
“Sto venendo a prenderti, pupa.”
“Sei in macchina quindi?”
“Oh si.”
“Senza tuo padre? Non ci credo.”
“Credici, bambola.”
“Sorella stai avendo la mia stima!”
“Dai.”
“Un momento… sei al cellulare mentre guidi?”, il suo tono era di rimprovero.
“Ecco, ora non mettertici anche tu… sembri davvero mio padre quando fai così.”
“Questa poi!”
“E la cintura di sicurezza, e fermati agli stop, e non parlare al cellulare mentre guidi…”, brontolai.
“Ehy, codice della strada, mai sentito?”
“Si ma…! Andiamo, sono una neopatentata.”
“Bé direi che è un’ottima ragione per farsi ritirare la patente dopo la tua prima guida senza nessuno appollaiato sulla tua spalla che ti dica
«guarda a destra e a sinistra prima di passare… dai la precedenza!, ehy, ehy! Rallenta, stai superando i 30 chilometri orari!».”, ghignò imitando la voce di mio padre. “Andiamo sii seria, non voglio avere una frittella contro un palo al posto di un’amica.”
“Non morirò spiaccicata contro nessun muro, sta tranquilla. Tra 5 minuti sono sotto casa tua, mamma.”
“Scema. Sono quasi pronta. A dopo.”
“A dopo.”, riagganciai e mi sporsi verso il sedile per afferrare la mia borsa e ci lanciai dentro il telefono. Mi fermai ad un semaforo rosso e accesi la radio, strinsi di più il volante tra le mani e guardai nel sedile posteriore e in quello accanto al mio quasi per accertarmi che davvero non ci fossero i miei genitori.
Abbassai in finestrino e inspirai profondamente l’odore di smog del mio primo vero giorno di libertà.

***

Superai due semafori verdi e accelerai appena. Venti minuti di ritardo. Non sono poi moltissimi, no?
Il cellulare riprese a suonare dal fondo della mia auto, distolsi per due secondi gli occhi dalla strada per cercare di captare il suono. Cambiai marcia e allungai di nuovo il braccio al disotto del mio sedile continuando a guidare, senza rallentare. D’un tratto sfiorai qualcosa che vibrava e si agitava proprio nell’incavo tra le guide del sedile e l’aggancio della cintura di sicurezza. Spinsi la mano più in fondo e lo afferrai. Mi sentii di colpo sollevato, e sospirai.
“Merda.”, il sollievo sparì l’attimo dopo quando, strattonando il braccio per portare il telefono all’orecchio, mi accorsi di essere incastrato.

***

For the first time in history it's gonna start raining men…! It's Raining Men! Hallelujah! It's Raining Men! Aaaameeen! I'm gonna go out to run and let myself get…”, cantavo a squarciagola nella mia auto.
Ero libera come l’aria, mi sentivo senza pesi addosso. Sai quella sensazione di avere tutto il mondo in mano che provi quando diventi maggiorenne? Bé, quella sensazione un attimo dopo aver capito che in fondo in fondo, non è cambiato granché dal giorno prima del tuo compleanno, svanisce. Invece ora la stavo lentamente assaporando, e capendo. Era una sciocchezza, era semplicemente guidare e cantare da sola, ma era tanto per me. Era davvero molto.
Il mio cellulare riprese a squillare nella borsa, e allungai una mano per prenderlo. Non riuscendo a trovarlo mi voltai solo per un attimo, una frazione di secondo, lo giuro: è stato davvero un momento. Eppure…

***

Liberai finalmente la mia mano dall’incavo tra l’aggancio della cintura e le guide e portai il cellulare all’orecchio: ma appena pigiai trionfante il tastino verde, la mia interlocutrice, dall’altra parte, riagganciò.
“Cazzo! Cazzo.”, colpii il volante bruscamente con la mano, irritato. C’era qualche Santo o qualche Dio, lì sopra, che quel giorno non sembrava aver tempo per me. “Stavolta me la paghi, giuro.”, brontolai. “E io che vado anche a sposarmi in Chiesa…”, e a conferma della mia teoria, i Santi i gli Dèi in questione mi diedero la loro benedizione quando, nel distrarmi dalla strada che avevo davanti per sbirciare un momento nello specchietto retrovisore, non mi accorsi della Mini blu notte che sbucò veloce da una traversa e che colpii in pieno, proprio in corrispondenza della portiera posteriore.

***

Sentii uno stridio di gomme sull’asfalto. Il raschiare acuto delle ruote roventi e subito dopo uno schianto, un accartocciarsi metallico, poi un ripiegarsi di lamiere e lo schiocco della plastica che si sformava e spezzava… e poi una ventata d’aria più forte passare attraverso il mio finestrino, scompigliarmi i capelli, spingere la mia auto metri più in fondo e i miei freni calcare la strada. Il rinculo dell’impatto mi fece rimbalzare sullo schienale del sedile e battere con le ginocchia appena sotto il volante, facendo gonfiare l’airbag. Chiusi gli occhi, smisi di respirare, mi coprii le orecchie e la testa con le braccia e permisi ai miei sensi di riattivarsi solo quando mi resi conto di essere ferma e avvolta dal fumo e dallo smog e dagli scarichi e da auto impazzite che suonavano e dalla portiera posteriore ripiegata e dalla mia macchina sformata e distrutta e da suoni e rumori e ancora fumi e smog.
Ma li sentivo, e respiravo, e stavo bene.

***

Aprii gli occhi, stordito ma intatto. Agitai le braccia per scacciare l’airbag che si sgonfiava ancora e scesi di getto dalla mia auto, corsi avanti, e non riuscii a far altro che mettermi le mani tra i capelli.
Il muso della mia auto era perpendicolare alla Mini blu, schiacciato e fumante contro la sua portiera posteriore. Rimasi immobile. Il parafango era ceduto a terra, il portellone accartocciato a fisarmonica e semiaperto; un cerchione cedette davanti ai miei occhi inermi e assuefatti dal panico.
“Tutto okay amico?”, un uomo mi si avvicinò poggiandomi una mano sulla spalla. “Che botta!”, commentò, come se notasse solo in quel momento l’impatto.
“Sì… sì, sto bene.”, mi voltai, mi guardai attorno per vedere chi fosse alla guida dell’altra auto e vidi una donna accartocciata su sé stessa, ripiegata, con gli occhi aperti e fissi sull’airbag afflosciato sul volante. Mentre alcune persone si accalcavano attorno a noi, mi avvicinai alla sua auto e spalancai la portiera ammaccata. “Ehy, stai bene?”, lei si voltò verso di me con un’espressione spaesata e non mi rispose. Mi guardò per alcuni attimi interminabili fisso negli occhi, spaurita e basita, e d’un tratto il suo volto scavò nei miei ricordi, nel mio passato, e fu come se una fitta lancinante permise a tutto ciò che avevo vissuto in un tempo non troppo lontano di riemergere come da un fondale sabbioso e ricadermi addosso in un’onda forte che mi batté violenta sul bagnasciuga.
Mi sembrò di averla già vista. No, non mi sembrò, io ero certo di sapere chi fosse. Ma c’era qualcosa in me, che escludeva quella possibilità, che mi faceva rifiutare una simile idea. Ma non trovavo nemmeno una sola, inutile, striminzita ipotesi che potesse distogliermi dalla sensazione che, non l’impatto dell’incidente, ma quello con il suo viso, mi aveva fatto provare. Un vuoto immenso. E una mareggiata tempestosa e brusca.
“Credo di stare bene.”, biascicò lei aprendo e chiudendo lentamente le labbra a cuore. La afferrai delicatamente per un braccio e la trascinai fuori dall’auto, e la trattenni per qualche attimo. Mi sembrava così stravolta da non riuscire a stare in piedi.
Eppure in piedi ci stava. Ci stava da sola e continuava a guardarsi intorno con quell’aria vuota, spenta e disordinata. E più la fissavo, e più l’interminabile flashback nella mia mente continuava a tessersi.
Possibile che fosse…?

 

***


“Zio, giochiamo con l’astronave di Capitan Klaus?”, Alain, il figlio di Alice e Gustav, un metro e ventotto di elettrica vivacità sotto un caschetto biondo, gironzolava attorno alla mia poltrona sventolando per aria il suo giocattolo.
“Amore, lascia stare lo zio Tom, non vedi che è stanco?”, lo rimproverò con dolcezza Alice, porgendomi una tazza di tè.
“Sta tranquilla, Alice. Lo zio arriva tra poco, intanto tu va a giocare.”, sorrisi al ragazzino che subito corse in terrazzo.
“Quindi la macchina è distrutta…”, sentenziò la madre, sedendosi su una poltrona.
“Non del tutto. Diciamo che il paraurti e il cofano sono abbastanza… schiacciati, ora.”, ridacchiai. “L’altra auto però è da rottamare.”, Alice sorrise e scosse appena il capo.
“E tu e quella ragazza… nemmeno un graffio.”, mormorò pensierosa.
“Ti dispiace per caso?”, risi. Lei sventolò una mano.
“Ci mancherebbe! Come hai detto che si chiama la ragazza…?”
“Cassandra Schmitt.”
“Che nome familiare…”, constatò lei, corrugando le sopracciglia.
“Vero, l’ho pensato anche io.”, no, sbagliato. Non era il nome o il cognome a sembrarmi familiare. Era lei a sembrarmi familiare. Quella ragazza aveva qualcosa in quegli occhi enormi e castani, qualcosa che mi ricordava tremendamente qualcuno di cui avevo ancora un ricordo nitido e stampato in volto. I capelli un po’ più scuri di come il ricordavo, il corpo esile ma slanciato, aggraziato. Le labbra a cuore, il viso dai lineamenti dolci.
“Bé magari avrai avuto anche la sensazione di averla già vista, no?”, si inserì nella conversazione Bill.
Eccome se ce l’avevo quella sensazione. “No… no, direi di no.”, mentii. Mio fratello rispose con una scrollatina di spalle. Alain ricomparve dalla finestra del terrazzo.
“Zio!”, mi chiamò, mostrandomi l’astronave di Capitan Klaus. “Capitan Klaus deve distruggere i nemici del Pianeta Blu.”, aggiunse venendo accanto a me e aprendo la manina mostrandomi tanti pupazzetti azzurri. Feci per alzarmi quando Alice mi bloccò.
“Tesoro, la mamma e gli zii devono parlare di cose da grandi.”, il visino del piccolo si imbronciò; Alain piombò a sedere sul parquet, incrociando le braccia al petto. Alice gli accarezzò la testa, dolce. “Non ti va di giocare con Thomas?”
“Oggi andava da suo papà, non è in casa.”
“Bé allora prova a chiamare qualche tuo amichetto.”
“Io voglio giocare con Tom.”, sorrisi, arruffandogli i capelli. Gustav comparve sulla soglia del salotto, i capelli biondi scompigliati e leggeri, segno che era appena uscito dalla doccia, indosso i pantaloni di una tuta e una t-shirt grigia.
“Ehy, che cos’è quel faccino imbronciato?”, i suoi occhi immediatamente piombarono sul bambino.
“Alain sta facendo un po’ di capricci.”, ribatté sua madre, rimproverandolo con gli occhi.
“E perché?”
“Capitan Klaus deve distruggere i nemici del Pianeta Blu.”, rispose il ragazzino. Gustav strabuzzò gli occhi, con espressione sorpresa.
“Ma cosa dici? E che ci fai ancora qui?”, andò verso di lui e lo prese tra le braccia, sollevandolo in aria. “E dov’è la sua astronave? Presto! Dobbiamo subito correre sul Pianeta Blu!”, Alain rise, scalciando e agitando il giocattolo. “Presto Sergente Alain! Capitan Klaus ha bisogno di voi!”, Gustav lo fece poggiare sulle sue spalle e sparì oltre la vetrata del terrazzo.
Alain era diverso da Gustav. Era più simile a sua madre, così vivace, sbarazzino, a volte capriccioso, con enormi occhi verdi e le sue rade lentiggini.
Ma aveva i capelli biondi di suo padre, e il suo sorriso, e le sue labbra. E la sua capacità di tirarsi su con poco… e la sua risata, non rara come quella di Gustav, però preziosa, preziosa almeno quanto la sua.

 

 

 

 

Salve a tutti! :D
Sono tornata per vostra sfortuna haha! :D
Finalmente ho pubblicato Le Strade del Tempo. Per chi non avesse letto il post di spiegazioni che ho pubblicato alla “fine” di Le Dimensioni del Nostro Caos, che è stata ormai rimossa, ve lo rincollo:

“Salve a tutti J
Sono “tornata” possiamo dire, ma con alcune notizie e non con un capitolo… tenterò di farla il più breve possibile, perché capisco che non è piacevole star qui a leggere tre pagine di cose superflue.
In parole povere, ho deciso di rimuovere Le Dimensioni del Nostro Caos.
Vi spiegherò brevemente cosa è accaduto, anche per permettervi di comprendere l’inziale/ipotetica evoluzione di Mediamente Isterica e della mia idea.
In principio Mediamente Isterica era nata per essere una brevissima storia di 4 o 5 capitoli al massimo, tuttavia col tempo mi ha preso e siamo arrivati alla bellezza di 28 capitoli (olè olè). Successivamente, non contenta!, mi ero prefissata di scrivere un sequel del quale avevo un’idea ben precisa. Tuttavia l’“idea ben precisa”, se ne andò gentilmente a farsi fottere quando in me subentrò la voglia di realizzare una trilogia incentrando la 2° parte non sulla mia idea di sequel, bensì su una “strada di mezzo” nel quale avrei inserito altre idee che avevo avuto, e che poi avrebbe portato alla 3° e ultima parte.
In ogni caso, andando “avanti” (si fa per dire) con Le Dimensioni del Nostro Caos, l’ho sentita allontanarsi sempre di più dal mio concetto di Sequel. Anzitutto perché avevo deviato completamente l’idea originale e quindi da Tom e Roxy come fulcro mi stavo lentamente spostando su Bill e Georg che inizialmente non era mia intenzione; inoltre le cose tra Tom e Roxy andavano decisamente troppo rose e fiori e anche questo sviava dalle mie intenzioni principali.
Per questo motivo, incapace di prendere una decisione conclusiva, ho smesso di scrivere per tanto perché effettivamente Le Dimensioni del Nostro Caos non la sentivo “mia”. Avevo fretta di arrivare alla 3° parte che è quella che più avevo voglia di affrontare, ma questa lunga “strada di mezzo” me lo impediva. Di conseguenza, la mia ispirazione era pari a zero.
Tuttavia mi è capitato di andare a stare un paio di giorni dalla mia amica/consigliera/compagna d’avventure/lettrice/aiutante/coscienza/grillo parlante nonché geniale autrice Valentina, alias
EliBeke, che mi ha consigliata (come al solito *-*) permettendomi di arrivare ad una conclusione fattibile e ragionevole.
E la conclusione sarà… *rullo di tamburi * eliminare Le Dimensioni del Nostro Caos!
Ovviamente il vero sequel di Mediamente Isterica, che si intitolerà Le Strade del Tempo, è già in fase di produzione e ho un bel po’ di materiale da sistemare, per questo conto di pubblicarlo verso fine maggio-primi di giugno, se non prima. Nell’introduzione scriverò che è il sequel di Mediamente Isterica così che non possiate sbagliare, tranquille xD
Vi preannuncio cambiamenti enormi che vi stravolgeranno. (Su, su, fate una faccia sconvolta!)
Tuttavia, questa parte di Le Dimensioni del Nostro Caos, prendetela ugualmente per buona, dato che quello che è accaduto in questi pochi capitoli ho intenzione di “riciclarlo” e riadattarlo ne Le strade del Tempo.
A questo punto, concludo dicendo che Le Dimensioni del Nostro Caos resterà su EFP fin quando non posterò Le Strade Del Tempo, a quel punto verrà cestinata, di modo che tutti i lettori possano leggere questo post evitando fraintendimenti.
Che dire?, mi auguro solamente che le mie scelte vengano accolte e apprezzate, e spero di star facendo la scelta giusta.
Vi auguro una buona fine di anno scolastico, nel caso in cui non dovessimo sentirci prima, e, nel caso in cui a scuola non ci andiate xD, un buona fine di Maggio-Giugno e inizio Estate. Godetevela
J

Un bacio enorme dalla vostra
Alice.


Bene, a questo punto presumo che tutti abbiate un quadro generale della situèscion, per cui vi ripeto che ci sono stati dei cambiamenti enormi.

Come potete vedere non è passato molto tempo solo dal mio ultimo post, ma anche nella nostra storia è successo qualcosa… sono passati tanti anni, ed infatti, secondo voi, chi potrà mai essere questa misteriosa Cassandra Schmitt? J Scommetto che una mezza idea l’avrete già! :P
Ma lo vedremo meglio prossimamente, questo.
Intanto, facciamo un quadro della situazione: a quanto pare il nostro caro Tom sta per sposarsi! :D e tanto per farsi riconoscere, è in ritardo già il primo giorno del corso prematrimoniale… ppppoi.
C’è stato questo incidente con questa misteriosa ragazza che, a quanto pare, sembra aver sconvolto i sensi del nostro ormai trentacinquenne Tom K.!
Ci sono pochi indizi che presumo siano molto chiari! Sta a voi captarli
J
Detto questo, passiamo alla breve digressione sulla famiglia Shäfer… a quanto pare si è aggiunto un posto a tavola! xD perché da qualche annetto la famiglia sembra proprio essersi allargata :P il piccolo Alain è infatti il figlio di Gusty e della nostra dolce Alice… questa piccola finestra su di loro non ha scopi importanti, se non quello di allargare la visione della situazione generale in cui ci si trova, e, più o meno, della quantità di tempo passata.
Per quanto riguarda tutti i personaggi che non sono stati menzionati in questo capitolo, ovviamente, li riscopriremo poco a poco nei successivi, e capiremo dove sono stati portati dalle loro Strade del Tempo :P

Detto questo, enjoy! :D

Alla prossima,

=Alice=

 

PS.
Il trailer all’inizio è stato realizzato dalla sottoscritta, mentre la meravigliosa locandina è realizzata sempre dalla mia amata
EliBeke :D

  
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