Pictures of you,
pictures of me
Remind us all of what we could have been.
(Pictures of You –
The Last Goodnight)
Ero in ritardo. Come al solito ero in ritardo. La mia quasimoglie sarebbe stata furibonda, non
avrebbe tollerato uno striminzito “Scusami, tesoro, la sveglia non ha suonato”
in un giorno come quello. E sicuramente Padre Gottberg non sarebbe stato da
meno. Scesi le scale del mio appartamento a due a due facendo ticchettare le
scarpe sul parquet lucido che le rivestiva, mentre mi infilavo velocemente la
giacca grigia e finivo di abbottonare il polsino destro della camicia bianca.
Piombai in cucina trafelato e bevvi d’un sol sorso il caffè bollente che Milla,
la mia colf, aveva versato in una tazzina bianca giusto un attimo prima.
“Brucia!”, boccheggiai poggiando la tazzina vuota nel lavandino con
un’espressione disgustata in volto.
“Non ci ho nemmeno messo lo zucchero…”, bisbigliò a malapena la donna, con la
zuccheriera a mezz’aria.
“Come sto?”, le chiesi sorvolando, sistemandomi con uno strattone il collo
della giacca e raddrizzando la schiena. Milla sollevò un angolo della bocca,
divertita.
“In ritardo. Non pensi che sarebbe meglio mettere una cravatta?”
“No, troppo formale. E poi ho i jeans.”, sollevai gli occhi lasciando scivolare
lo sguardo sull’orologio appeso alla parete. “Cazzo, è tardissimo.”, le diedi
un bacio sulla fronte, “A dopo Milla!”, e pochi attimi dopo ero già in
macchina.
***
“Io esco.”, mi alzai da tavola facendo graffiare i
piedi della sedia sul pavimento.
“Dove vai?”, biascicò Gabriel scrutandomi da dietro il giornale che stava
leggendo e masticando una brioche. Helen, d’altro canto, non sollevò nemmeno
gli occhi dalla posta che scrutava con cura.
“A fare un giro in macchina con Hannah.”
Come avevo sospettato la parola “macchina” attirò l’attenzione di entrambi.
Persino Munja sollevò per un attimo gli occhi dai fornelli che stava lucidando
con cura.
“Esci in macchina?”, domandò immediatamente Helen.
“Sì. Qual è il problema?”
“Nessuno.”, scattò in difensiva Gabriel. “E’ solo che hai la patente da poco
e…”
“Sono maggiorenne.”, lo interruppi sbuffando. “Ho la patente e voi mi avete regalato una macchina. Non
vedo il motivo per cui ogni volta che parlo di uscire in macchina dobbiate
montar su questa storia e queste lagne. E possibilmente venire in macchina con
me.”
“Non ci stiamo lagnando e non vogliamo venire in macchina con te per chissà
quale motivo, è solo che ci sembra un po’ prematuro il fatto che tu debba
uscire già da sola in auto…”
“Già, che sciocca.”, sibilai. “Come ho fatto a non pensarci prima? Vi comprerò
due bei seggiolini da mettere sui sedili posteriori in modo che possiate venire
con me e non correre troppi rischi.”, mi infilai la giacca e feci per
andarmene. “Ora scusate ma la mia amica mi sta aspettando.”, uscii dalla cucina
a passo di carica e da casa sbattendo la porta. Pochi attimi dopo ero già in macchina.
***
Richiusi, infreddolito, il tettino della mia
decappottabile rabbrividendo. Il mio cellulare iniziò a vibrare e squillare sul
cruscotto, ma prima che potessi prenderlo, scivolò giù e sparì sotto qualche
sedile.
“Cazzo!”, lo sentivo ancora squillare e immaginavo la mia quasimoglie che avrebbe sbraitato attraverso quella cornetta di lì
a poco. Continuai a guidare e guardare la strada mentre con un braccio mi
sporsi, e frugai sotto il sedile alla ricerca dell’oggetto perduto. “Non
smettere di suonare, non smettere di suonare… ti prego non smettere di…”,
appunto. La suoneria cessò di botto, irritata. Ora non avevo davvero più
speranze di ritrovarlo. Colpii il volante stizzito. Era la mia punizione. Non
sarei riuscito a recuperarlo e quindi avvertire del mio ritardo né
giustificarmi. E mi sarei beccato il cazziatone dal prete. Come minimo.
Complimenti Tom, arrivare in ritardo proprio il primo giorno del corso
prematrimoniale. Sei un genio, davvero.
***
“Hannah?”
“Hey sorella!”, la voce della mia amica mi arrivò metallica mentre facevo
manovra, il cellulare incastrato tra la spalla e l’orecchio. Ridacchiai. “Ho
letto il tuo sms. 5 minuti e sono pronta.”
“Sto venendo a prenderti, pupa.”
“Sei in macchina quindi?”
“Oh si.”
“Senza tuo padre? Non ci credo.”
“Credici, bambola.”
“Sorella stai avendo la mia stima!”
“Dai.”
“Un momento… sei al cellulare mentre guidi?”, il suo tono era di rimprovero.
“Ecco, ora non mettertici anche tu… sembri davvero mio padre quando fai così.”
“Questa poi!”
“E la cintura di sicurezza, e fermati agli stop, e non parlare al cellulare
mentre guidi…”, brontolai.
“Ehy, codice della strada, mai sentito?”
“Si ma…! Andiamo, sono una neopatentata.”
“Bé direi che è un’ottima ragione per farsi ritirare la patente dopo la tua
prima guida senza nessuno appollaiato sulla tua spalla che ti dica «guarda a destra e a sinistra prima di passare… dai la precedenza!, ehy,
ehy! Rallenta, stai superando i 30 chilometri orari!».”, ghignò imitando la
voce di mio padre. “Andiamo sii seria, non voglio avere una frittella contro un
palo al posto di un’amica.”
“Non morirò spiaccicata contro nessun muro, sta tranquilla. Tra 5 minuti sono
sotto casa tua, mamma.”
“Scema. Sono quasi pronta. A dopo.”
“A dopo.”, riagganciai e mi sporsi verso il sedile per afferrare la mia borsa e
ci lanciai dentro il telefono. Mi fermai ad un semaforo rosso e accesi la
radio, strinsi di più il volante tra le mani e guardai nel sedile posteriore e
in quello accanto al mio quasi per accertarmi che davvero non ci fossero i miei
genitori. Abbassai in finestrino e inspirai
profondamente l’odore di smog del mio primo vero giorno di libertà.
***
Superai
due semafori verdi e accelerai appena. Venti minuti di ritardo. Non sono poi
moltissimi, no?
Il cellulare riprese a suonare dal fondo della mia auto, distolsi per due
secondi gli occhi dalla strada per cercare di captare il suono. Cambiai marcia
e allungai di nuovo il braccio al disotto del mio sedile continuando a guidare,
senza rallentare. D’un tratto sfiorai qualcosa che vibrava e si agitava proprio
nell’incavo tra le guide del sedile e l’aggancio della cintura di sicurezza.
Spinsi la mano più in fondo e lo afferrai. Mi sentii di colpo sollevato, e
sospirai.
“Merda.”, il sollievo sparì l’attimo dopo quando, strattonando il braccio per
portare il telefono all’orecchio, mi accorsi di essere incastrato.
***
“For the first time in
history it's gonna start raining men…! It's Raining Men! Hallelujah! It's
Raining Men! Aaaameeen! I'm gonna go out to run and let myself get…”, cantavo a squarciagola nella mia auto.
Ero libera
come l’aria, mi sentivo senza pesi addosso. Sai quella sensazione di avere
tutto il mondo in mano che provi quando diventi maggiorenne? Bé, quella
sensazione un attimo dopo aver capito che in fondo in fondo, non è cambiato
granché dal giorno prima del tuo compleanno, svanisce. Invece ora la stavo
lentamente assaporando, e capendo. Era una sciocchezza, era semplicemente
guidare e cantare da sola, ma era tanto per me. Era davvero molto.
Il mio cellulare riprese a squillare nella borsa, e allungai una mano per
prenderlo. Non riuscendo a trovarlo mi voltai solo per un attimo, una frazione
di secondo, lo giuro: è stato davvero un momento. Eppure…
***
Liberai finalmente la mia mano dall’incavo
tra l’aggancio della cintura e le guide e portai il cellulare all’orecchio: ma
appena pigiai trionfante il tastino verde, la mia interlocutrice, dall’altra
parte, riagganciò.
“Cazzo! Cazzo.”, colpii il volante bruscamente con la mano, irritato. C’era
qualche Santo o qualche Dio, lì sopra, che quel giorno non sembrava aver tempo
per me. “Stavolta me la paghi, giuro.”, brontolai. “E io che vado anche a
sposarmi in Chiesa…”, e a conferma della mia teoria, i Santi i gli Dèi in
questione mi diedero la loro benedizione quando, nel distrarmi dalla strada che
avevo davanti per sbirciare un momento nello specchietto retrovisore, non mi
accorsi della Mini blu notte che sbucò veloce da una traversa e che colpii in
pieno, proprio in corrispondenza della portiera posteriore.
***
Sentii uno stridio di gomme sull’asfalto. Il
raschiare acuto delle ruote roventi e subito dopo uno schianto, un
accartocciarsi metallico, poi un ripiegarsi di lamiere e lo schiocco della
plastica che si sformava e spezzava… e poi una ventata d’aria più forte passare
attraverso il mio finestrino, scompigliarmi i capelli, spingere la mia auto
metri più in fondo e i miei freni calcare la strada. Il rinculo dell’impatto mi
fece rimbalzare sullo schienale del sedile e battere con le ginocchia appena
sotto il volante, facendo gonfiare l’airbag. Chiusi gli occhi, smisi di
respirare, mi coprii le orecchie e la testa con le braccia e permisi ai miei
sensi di riattivarsi solo quando mi resi conto di essere ferma e avvolta dal
fumo e dallo smog e dagli scarichi e da auto impazzite che suonavano e dalla
portiera posteriore ripiegata e dalla mia macchina sformata e distrutta e da
suoni e rumori e ancora fumi e smog.
Ma li sentivo, e respiravo, e stavo bene.
***
Aprii gli occhi, stordito ma intatto. Agitai
le braccia per scacciare l’airbag che si sgonfiava ancora e scesi di getto
dalla mia auto, corsi avanti, e non riuscii a far altro che mettermi le mani
tra i capelli.
Il muso della mia auto era perpendicolare alla Mini blu, schiacciato e fumante
contro la sua portiera posteriore. Rimasi immobile. Il parafango era ceduto a
terra, il portellone accartocciato a fisarmonica e semiaperto; un cerchione
cedette davanti ai miei occhi inermi e assuefatti dal panico.
“Tutto okay amico?”, un uomo mi si avvicinò poggiandomi una mano sulla spalla.
“Che botta!”, commentò, come se notasse solo in quel momento l’impatto.
“Sì… sì, sto bene.”, mi voltai, mi guardai attorno per vedere chi fosse alla
guida dell’altra auto e vidi una donna accartocciata su sé stessa, ripiegata,
con gli occhi aperti e fissi sull’airbag afflosciato sul volante. Mentre alcune
persone si accalcavano attorno a noi, mi avvicinai alla sua auto e spalancai la
portiera ammaccata. “Ehy, stai bene?”, lei si voltò verso di me con
un’espressione spaesata e non mi rispose. Mi guardò per alcuni attimi
interminabili fisso negli occhi, spaurita e basita, e d’un tratto il suo volto
scavò nei miei ricordi, nel mio passato, e fu come se una fitta lancinante
permise a tutto ciò che avevo vissuto in un tempo non troppo lontano di
riemergere come da un fondale sabbioso e ricadermi addosso in un’onda forte che
mi batté violenta sul bagnasciuga.
Mi sembrò di averla già vista. No, non mi sembrò, io ero certo di sapere chi
fosse. Ma c’era qualcosa in me, che escludeva quella possibilità, che mi faceva
rifiutare una simile idea. Ma non trovavo nemmeno una sola, inutile,
striminzita ipotesi che potesse distogliermi dalla sensazione che, non
l’impatto dell’incidente, ma quello con il suo viso, mi aveva fatto provare. Un
vuoto immenso. E una mareggiata tempestosa e brusca.
“Credo di stare bene.”, biascicò lei aprendo e chiudendo lentamente le labbra a
cuore. La afferrai delicatamente per un braccio e la trascinai fuori dall’auto,
e la trattenni per qualche attimo. Mi sembrava così stravolta da non riuscire a
stare in piedi.
Eppure in piedi ci stava. Ci stava da sola e continuava a guardarsi intorno con
quell’aria vuota, spenta e disordinata. E più la fissavo, e più l’interminabile
flashback nella mia mente continuava a tessersi.
Possibile che fosse…?
***
“Zio, giochiamo con l’astronave di Capitan Klaus?”, Alain, il figlio di Alice e
Gustav, un metro e ventotto di elettrica vivacità sotto un caschetto biondo,
gironzolava attorno alla mia poltrona sventolando per aria il suo giocattolo.
“Amore, lascia stare lo zio Tom, non vedi che è stanco?”, lo rimproverò con
dolcezza Alice, porgendomi una tazza di tè.
“Sta tranquilla, Alice. Lo zio arriva tra poco, intanto tu va a giocare.”,
sorrisi al ragazzino che subito corse in terrazzo.
“Quindi la macchina è distrutta…”, sentenziò la madre, sedendosi su una
poltrona.
“Non del tutto. Diciamo che il paraurti e il cofano sono abbastanza…
schiacciati, ora.”, ridacchiai. “L’altra auto però è da rottamare.”, Alice
sorrise e scosse appena il capo.
“E tu e quella ragazza… nemmeno un graffio.”, mormorò pensierosa.
“Ti dispiace per caso?”, risi. Lei sventolò una mano.
“Ci mancherebbe! Come hai detto che si chiama la ragazza…?”
“Cassandra Schmitt.”
“Che nome familiare…”, constatò lei, corrugando le sopracciglia.
“Vero, l’ho pensato anche io.”, no, sbagliato. Non era il nome o il cognome a
sembrarmi familiare. Era lei a sembrarmi
familiare. Quella ragazza aveva qualcosa in quegli occhi enormi e castani,
qualcosa che mi ricordava tremendamente qualcuno
di cui avevo ancora un ricordo nitido e stampato in volto. I capelli un po’
più scuri di come il ricordavo, il corpo esile ma slanciato, aggraziato. Le
labbra a cuore, il viso dai lineamenti dolci.
“Bé magari avrai avuto anche la sensazione di averla già vista, no?”, si inserì
nella conversazione Bill.
Eccome se ce l’avevo quella sensazione. “No… no, direi di no.”, mentii. Mio
fratello rispose con una scrollatina di spalle. Alain ricomparve dalla finestra
del terrazzo.
“Zio!”, mi chiamò, mostrandomi l’astronave di Capitan Klaus. “Capitan Klaus
deve distruggere i nemici del Pianeta Blu.”, aggiunse venendo accanto a me e
aprendo la manina mostrandomi tanti pupazzetti azzurri. Feci per alzarmi quando
Alice mi bloccò.
“Tesoro, la mamma e gli zii devono parlare di cose da grandi.”, il visino del
piccolo si imbronciò; Alain piombò a sedere sul parquet, incrociando le braccia
al petto. Alice gli accarezzò la testa, dolce. “Non ti va di giocare con
Thomas?”
“Oggi andava da suo papà, non è in casa.”
“Bé allora prova a chiamare qualche tuo amichetto.”
“Io voglio giocare con Tom.”, sorrisi, arruffandogli i capelli. Gustav comparve
sulla soglia del salotto, i capelli biondi scompigliati e leggeri, segno che
era appena uscito dalla doccia, indosso i pantaloni di una tuta e una t-shirt
grigia.
“Ehy, che cos’è quel faccino imbronciato?”, i suoi occhi immediatamente
piombarono sul bambino.
“Alain sta facendo un po’ di capricci.”, ribatté sua madre, rimproverandolo con
gli occhi.
“E perché?”
“Capitan Klaus deve distruggere i nemici del Pianeta Blu.”, rispose il
ragazzino. Gustav strabuzzò gli occhi, con espressione sorpresa.
“Ma cosa dici? E che ci fai ancora qui?”, andò verso di lui e lo prese tra le
braccia, sollevandolo in aria. “E dov’è la sua astronave? Presto! Dobbiamo
subito correre sul Pianeta Blu!”, Alain rise, scalciando e agitando il
giocattolo. “Presto Sergente Alain! Capitan Klaus ha bisogno di voi!”, Gustav
lo fece poggiare sulle sue spalle e sparì oltre la vetrata del terrazzo.
Alain era diverso da Gustav. Era più simile a sua madre, così vivace,
sbarazzino, a volte capriccioso, con enormi occhi verdi e le sue rade
lentiggini.
Ma aveva i capelli biondi di suo padre, e il suo sorriso, e le sue labbra. E la
sua capacità di tirarsi su con poco… e la sua risata, non rara come quella di
Gustav, però preziosa, preziosa almeno quanto la sua.
Salve a tutti! :D
Sono tornata per vostra sfortuna haha! :D
Finalmente ho pubblicato Le Strade del Tempo. Per chi non avesse letto il post
di spiegazioni che ho pubblicato alla “fine” di Le Dimensioni del Nostro Caos, che
è stata ormai rimossa, ve lo rincollo:
“Salve a tutti J
Sono “tornata” possiamo dire, ma con alcune notizie e non con un capitolo…
tenterò di farla il più breve possibile, perché capisco che non è piacevole
star qui a leggere tre pagine di cose superflue.
In parole povere, ho deciso di rimuovere Le Dimensioni del Nostro Caos.
Vi spiegherò brevemente cosa è accaduto, anche per permettervi di comprendere
l’inziale/ipotetica evoluzione di Mediamente Isterica e della mia idea.
In principio Mediamente Isterica era nata per essere una brevissima storia di 4
o 5 capitoli al massimo, tuttavia col tempo mi ha preso e siamo arrivati alla
bellezza di 28 capitoli (olè olè).
Successivamente, non contenta!, mi ero prefissata di scrivere un sequel del
quale avevo un’idea ben precisa. Tuttavia l’“idea ben precisa”, se ne andò
gentilmente a farsi fottere quando in me subentrò la voglia di realizzare una
trilogia incentrando la 2° parte non sulla mia idea di sequel, bensì su una
“strada di mezzo” nel quale avrei inserito altre idee che avevo avuto, e che
poi avrebbe portato alla 3° e ultima parte.
In ogni caso, andando “avanti” (si fa per dire) con Le Dimensioni del Nostro
Caos, l’ho sentita allontanarsi sempre di più dal mio concetto di Sequel.
Anzitutto perché avevo deviato completamente l’idea originale e quindi da Tom e
Roxy come fulcro mi stavo lentamente spostando su Bill e Georg che inizialmente
non era mia intenzione; inoltre le cose tra Tom e Roxy andavano decisamente
troppo rose e fiori e anche questo sviava dalle mie intenzioni principali.
Per questo motivo, incapace di prendere una decisione conclusiva, ho smesso di
scrivere per tanto perché effettivamente Le Dimensioni del Nostro Caos non la
sentivo “mia”. Avevo fretta di arrivare alla 3° parte che è quella che più
avevo voglia di affrontare, ma questa lunga “strada di mezzo” me lo impediva.
Di conseguenza, la mia ispirazione era pari a zero.
Tuttavia mi è capitato di andare a stare un paio di giorni dalla mia
amica/consigliera/compagna d’avventure/lettrice/aiutante/coscienza/grillo
parlante nonché geniale autrice Valentina, alias EliBeke, che mi ha consigliata (come al solito
*-*) permettendomi di arrivare ad una conclusione fattibile e ragionevole.
E la conclusione sarà… *rullo di tamburi * eliminare Le Dimensioni del Nostro
Caos!
Ovviamente il vero sequel di Mediamente Isterica, che si intitolerà Le Strade
del Tempo, è già in fase di produzione e ho un bel po’ di materiale da
sistemare, per questo conto di pubblicarlo verso fine maggio-primi di giugno,
se non prima. Nell’introduzione scriverò che è il sequel di Mediamente Isterica
così che non possiate sbagliare, tranquille xD
Vi preannuncio cambiamenti enormi che vi stravolgeranno. (Su, su, fate una
faccia sconvolta!)
Tuttavia, questa parte di Le Dimensioni del Nostro Caos, prendetela ugualmente
per buona, dato che quello che è accaduto in questi pochi capitoli ho
intenzione di “riciclarlo” e riadattarlo ne Le strade del Tempo.
A questo punto, concludo dicendo che Le Dimensioni del Nostro Caos resterà su
EFP fin quando non posterò Le Strade Del Tempo, a quel punto verrà cestinata,
di modo che tutti i lettori possano leggere questo post evitando
fraintendimenti.
Che dire?, mi auguro solamente che le mie scelte vengano accolte e apprezzate,
e spero di star facendo la scelta giusta.
Vi auguro una buona fine di anno scolastico, nel caso in cui non dovessimo
sentirci prima, e, nel caso in cui a scuola non ci andiate xD,
un buona fine di Maggio-Giugno e inizio Estate. Godetevela J
Un bacio enorme dalla vostra
Alice.
Bene, a questo punto presumo che tutti abbiate un quadro generale della situèscion, per cui vi ripeto che ci sono stati
dei cambiamenti enormi.
Come
potete vedere non è passato molto tempo solo dal mio ultimo post, ma anche
nella nostra storia è successo qualcosa… sono passati tanti anni, ed infatti, secondo
voi, chi potrà mai essere questa misteriosa Cassandra Schmitt? J Scommetto che una mezza idea l’avrete già! :P
Ma lo vedremo meglio prossimamente, questo.
Intanto, facciamo un quadro della situazione: a quanto pare il nostro caro Tom
sta per sposarsi! :D e tanto per farsi riconoscere, è in ritardo già il primo
giorno del corso prematrimoniale… ppppoi.
C’è stato questo incidente con questa misteriosa ragazza che, a quanto pare,
sembra aver sconvolto i sensi del nostro ormai trentacinquenne Tom K.!
Ci sono pochi indizi che presumo siano molto chiari! Sta a voi captarli J
Detto questo, passiamo alla breve digressione sulla famiglia Shäfer…
a quanto pare si è aggiunto un posto a tavola! xD
perché da qualche annetto la famiglia sembra proprio essersi allargata :P il
piccolo Alain è infatti il figlio di Gusty e della
nostra dolce Alice… questa piccola finestra su di loro non ha scopi importanti,
se non quello di allargare la visione della situazione generale in cui ci si
trova, e, più o meno, della quantità di tempo passata.
Per quanto riguarda tutti i personaggi che non sono stati menzionati in questo
capitolo, ovviamente, li riscopriremo poco a poco nei successivi, e capiremo
dove sono stati portati dalle loro Strade del Tempo :P
Detto questo, enjoy! :D
Alla
prossima,
=Alice=
PS.
Il trailer all’inizio è stato realizzato dalla sottoscritta, mentre la
meravigliosa locandina è realizzata sempre dalla mia amata EliBeke :D