Ciao carissime/i!!!!!! Ok,
lo so, sono in mostruoso ritardo,
però per farmi perdonare vi informo che ho già
scritto
l'epilogo e che quindi lo posterò a breve, poichè
mi
sembrava corretto pubblicare l'ultimo cappy e l'epilogo a poca distanza
l'uno dall'altro. Sob, l'ultimo cappy. Alla fine è arrivato,
se
penso che le prime righe di questa storia sono state scritte in una
lontana afosa serata di agosto del 2009 e ora siamo a maggio del 2011,
mi sembra incredibile di essere davvero giunta alla parola "fine". Due
anni sono tanti e le cose che sono successe sono ancora di
più,
cose che cambiano una persona (si spera in meglio) e di conseguenza
anche il modo di scrivere, come credo vi sarete accorti. L'altro giorno
stavo rileggendo i primissimi capitoli e quasi dubitavo di essere stata
io l'autrice! Ma basta con i sentimentalismi, vi farò
già
penare con il contenuto del cappy, non occorre che vi torturi anche con
l'angolo dell'autrice! E poi c'è ancora l'epilogo da
pubblicare,
quindi non pensate che dopo questo 22° cap vi sarete liberati
di
me, ho ancora le ultime pagine con la quale disturbarvi XD!!!
Parlando di questo capitolo, come il precedente parte esattamente da
dove si è concluso il ventunesimo, ovvero con Peter che dice
a
Cathy che il loro tempo è scaduto. Immagino abbiate
tutti
capito a cosa si riferisca, ma quindi come si comporteranno le nostre
due coppie di piccioncini? Vi confesserò che il finale non
lo
avevo in mente chiaro come la maggior parte degli eventi della storia,
ero indecisa tra il caro e dolce happy ending e un finale
più
poetico ma malinconico, indecisione che è durata fino
all'ultimo
e che è stata difficile da prendere. Spero che alla fine
abbia
fatto la scelta giusta e che la conclusione della storia vi piaccia :-)
dopo tutta la pazienza che avete avuto nel seguirmi per questi lunghi
ventidue capitoli, il minimo che vi devo è concludere la
storia
senza farvi venire la voglia di tirarmi pomodori e ortaggi vari! Fatemi
quindi sapere cosa ne pensate e tenetevi pronti per l'epilogo, il quale
sa.,le ultime righe che pubblicherò per
questa storia, ve
lo prometto XD!
Ringraziamenti:
Bex: ciao carissima! Lo so, sono stata crudele a lasciare la storia con quell’affermazione di Peter però in mia difesa posso dire che credevo di metterci molto meno ad aggiornare, davvero! Adesso però che finalmente sono riuscita a postare spero di farmi perdonare con il contenuto del capitolo ! Sono felicissima che lo scorso cap ti sia paiciuto e che ti abbiano sorpreso le rivelazioni fatte da Aslan, le avevo in testa da tanto e non vedevo l’ora di scriverle, quindi sono contenta che siano state apprezzate, grazie mille!! Dunque premetto che il finale del secondo film a me non è piaciuto per niente neanche a me. Ero convinta che sarebbero rimasti tutti e quattro a Narnia e quando hanno comunicato il contrario credo di essermi fatta uscire un sonoro “no!” nonostante fossi al cinema XD! Però anche se l’idea dell’happy ending è molto bella o anche un debole per i finali magari più tristi ma poetici, quindi ero divisa tra queste due possibilità. Per ora non aggiungo altro, ti lascio il piacere (o almeno spero sia così XD) di scoprire cosa ho scelto leggendo! Non vedo l’ora di sapere cosa ne pensi, ti mando un grande bacio e ancora grazie per la tua recensione!!
Dahylia: ciao
bella^^! Come potrei annoiarmi nel leggere la tua recensione? L'unica
cosa che posso dirti è grazie mille per aver recensito lo
scorso cap e per averlo apprezzato!!!!!!!!!!!!! La scena
dell'incoronazione di Caspian è nata proprio
perchè anche io avevo notato quel particolare nel film, un
secondo prima stava combattendo contro Telmar e l'attimo dopo aveva la
corona in testa O.o, però poi ho pensato che molto
probabilmente ci aveva pensato Aslan a incoronarlo legittimamente ^^.
La parte della festa è una delle mie preferite quindi sono
felicissma che ti sia piaciuta e che tu sia riuscita a immaginarti bene
la scena**, come anche la parte con Aslan, trattare personaggi di
simile spessore non è molto facile, avevo paura di non aver
reso bene l'aria di potenza e saggezza che emanava, quindi grazie per
avermi rassicurata :-) Si, la magia Rossa rappresenta idealmente
l'amore in contrapposizione all'egoismo ma anche più
pragramaticamente il fuoco in opposizione al ghiaccio :-)
Però, Jadis figlia di un gigante e della prima moglie di
Adamo, alla faccia di avere parenti importanti XD! Thanks for the
information :-) Anche io nel film ci sono rimasta malissimo quando i
sovrani se ne sono andati, caspita, dopo tutto quello che avevano
fatto, dopo tutte le fatiche compiute per quel regno, perchè
mai Aslan ha dovuto rimandarli a casa senza la possibilità
di ritornare per Peter e Su? L'ho trovata un'enorme ingiustizia! Sono
andata comunque poi a vedere il terzo film, ma proprio come hai detto
tu, senza Peter e Susan sembrava mancasse qualcosa, non era
più lo stesso...:-(! Tuttavia capisco che i Pevensie non
essendo originari di Narnai dovevano comunque imparare a vivere anche
nel loro mondo, a Londra, problema che, essendo la storia tratta da
Narnia 2, ho dovuto affrontare anche io in questo cappy. Come lo
avrò risolto? XD sono sadica, lo so! Però spero
tanto che il finale ti piaccia, sono curiosa di sapere cosa ne pensi!
Ti mando un bacione e grazie ancora per la recensione:-)!
Ps: bello come significato Niji_Shoku no Yume, molto
poetico :-) però adesso giusto per non smentirmi devo
chiederti il significato del tuo nuovo nickname! Di primo achito ti
direi che mi ricorda il nome di qualche divinità greca o
qualche ninfa, come Dafne, sono fuori strada o ci ho azzeccato? :-)
Freddy Barnes: Ciao caraaa! Grazie per aver recensito e per il tuo entusiasmo, davvero grazie^^! Sono felice che come mi sono immaginta l'incoronazione di Caspian ti sia piaciuto, e che sia riuscita a trasmettere la gioia dei personaggi nell'apprendere che finalmente la guerra era finita perchè avevo un sacco di dubbi su quale fosse il modo migliore per rendere quella parte. XD mi sa che hai ragione, la piccola Lucy dietro quel faccino tenero potrebbe nascondere un animo sadico, per esempio verso la fine del secondo film, quando è sul ponte con Aslan, tira fuori con aria angelica il pugnale sorridendo come se niente fosse...mah qua mi sa che dovrebbero stare molto attenti hihihihihii!!!!!!!! Sono felicissima che la storia su Suavitas ti sia piaciuta, l'avevo pensata da tanto e non vedevo l'ora di scriverla e sapere cosa ne pensavate!!!! Anche io sono triste che qst sia l'ultimo cappy, però mi consolo sapendo che ho ancora l'epilogo da pubblicare, gli addii e le lacrime me le tengo tutte per quello (mi spiace ma non scamperete al sentimentalismo della sottoscritta!). Ti lascio alla lettura e spero di leggere presto la tua recensione per sapere se l'ultimo capitolo ti sia piaciuto o meno :-) grazie ancora, un bracio grandissimo!!!!!
sweetophelia: ciao bellissima! Grazie per aver recensito^^ Sono contenta che tu sia riuscita a immaginarti bene le varie scene :-) Si, la storia di Suavitas ha richiesto diverso tempo, però mi sono divertita tantissimo a costruirla passo per passo, il bello di scrivere dopotutto è proprio quello di creare una cosa dal nulla che segua la tua immaginazione :-) Cmq concordo con te sul fatto che nel nostro mondo una costituzione perfetta non potrà mai esserci, e nemmeno nel mondo di Narnia come dimostrano le continue guerre che dilaniano il regno. Tuttavia ho pensato che nella società dei maghi, essendo più evoluta sia dei narniani che anche dei terrestri, avendo tutti uguali diritti data l'assenza di classi nobili e povere e avendo capacità che forniscono a tutti le medesime possibilità, potesse essere almeno ipotizzabile il funzionamento di una costituzione utopica, quanto meno sulla carta :-) Si, le costellazioni sono state ispirate dai miti classici. Io frequento lo scientifico però ti confesso che anche io ho sempre avuto un debole per i miti greci e romani, se si pensa che loro, a differenza nostra, non avevano miti precedenti a cui rifarsi, sono davvero ammirabili per la quantità e la varietà delle storie che ci hanno tramandato! Spero che anche qst cappy ti piaccia, non vedo l'ora di sapere un tuo parere^^! un bacione!!!!
DreamWanderer: ciao tesoro!! Qui tutto bene, grazie, a parte gli ultimi compiti in classe di fine anno, ma mi consolo con il miraggio delle vacanze, il traguardo/mare è vicino XD!! Tu come stai? Spero che il periodo pieno all'uni sia passato, io già sclero alle superiori non oso pensare come sia all'università! Cara, davvero non è assolutamente un peso rispondere alla tua recensione, vi dedichi sempre tantissimo tempo ed è sempre così accurata e attenta che dare una risposta è davvero il minimo che possa fare! Grazie per avermi rassicurata su Jadis, sono sollevata nel constatare che la mia idea di un cattivo capace anche di provare altri sentimenti oltre l'odio sia condivisa! Cmq ho visto solo i film di Narnia :-), il che forse in qst caso è stato un bene così non avevo influenze di nessun genere è ho potuto spaziare con la fantasia :-)! Grazie anche per avermi tranquillizzata sul cappy basato prettamente sul film, temevo di risultare noiosa dato che la storia della battaglia era nota, sapere che non è risultato così è un sollievo! Sono felice che la scena dell'incoronazione sia piaciuta e che sia riuscita a far trasmettere il senso di felicità e di consapevolezza che la guerra fosse conclusa che provano i personaggi xkè avevo mille dubbi su cm rendere quelle emozioni! Il menzionare la corona di Cate mi sembrava doveroso, nella fiction non l'ho mai sottolineato particolarmente però anche lei è una sovrana volente o nolente e prima o poi dovrà farne i conti! La scena della preparazione al ballo è nata come sketch per alleggerire l'atmosfera che progressivamente, come fa intuire il titolo, va a incupirsi, e sono lieta che sia stata apprezzata :-) poi volevo far relazionare Cate anche con altri personaggi, motivo per cui il primo ballo lo fa con Caspian e non con Peter. Nella storia la faccio quasi sempre interagire con Peter, però ci tenevo a sottolineare che la nostra Cathy ha un ottimo rapporto con tutti i Pevensie e con il nuovo sovrano di Telmar, cosa che sottolineerò anche in qst cappy^^. Guarda, se ti può consolare mi sono sciolta anche io mentre la scrivevo, la scena del ballo tra Peter e Cathy **! Non che abbia scritto una scena tratta direttamente dai miei sogni romantici, eh, noooooo, sia mai XD!!!! Non ho saputo resistere alla tentazione di paragonarli a Romeo e Giulietta rubando (l'ennesima XD) frase di Shakespeare, specie se si considera la loro imminente separazione per causa di forza maggiori...! E poi, diciamocelo, Peter nei panni di Romeo secondo me ci sta benissimo <3!!!!!! Sono felice che tu abbia notato la parte scenografica del ballo, non lo ha fatto nessun altro! E anche che abbia apprezzato il mix di "passi, sguardi ed emozioni" tra i personaggi, così mi hai fatto capire che la scena era riuscita, thanks^^!!! Si la storia del Amatores lo inventata io :-), anche se, come immagino si sia capito, mi sono ispirata ai miti greci e alla loro lunga tradizione di amori finiti tragicamente per colpa degli dei o di incomprensioni, miti che tra l'altro adoro! Cmq avrà una piccola ripercussione nei pensieri della nostra bella Cathy, facendola riflettere sul tema dell'amore in qst cappy^^. Ti confesserò la mia ignoranza riguardo l'esistenza della Magia Rossa nella mitologia, l'idea mi era venuta più semplicemente solo per avere un altro tipo di magia che si contrapponesse a quella Bianca. La scelta del colore rosso per indicare la magia buona è nata perchè il rosso è idealmente il colore dell'amore, della carità e del fuoco, che si contrapponevano all'odio, all'egoismo e al ghiaccio :-) Probabilmente proprio perchè il colore rosso è associato di solito a queste cose ci saranno molte leggende con la Magia Rossa come protagonista, però qst è solo una mia supposizione :-) Sono davvero felicissimissima che la storia dello scisma tra i narniani e i maghi e la fondazione di Suavitas ti sia piaciuta^^ l'avevo in testa da tanto e non vedevo l'ora di scriverla e rimetterla al vostro giudizio! Non so come ringraziarti per i tuoi complimenti, mi fa davvero un'enorme piacere sapere che il mio racconto poteva addirittura essere davvero parte della storia del passato di Narnia :-) grazie davvero**! La rivelazione finale di Peter voleva creare suspance ovviamente, però mi dispiace di averci messo così tanto per aggiornare, volevo tenervi un poco con il fiato sospeso ma non così tanto, giuro! Spero di farmi perdonare con il contenuto del capitolo. L'ultimo capitolo, caspita, incredibile ma alla fine è giunto sul serio, credevo non sarei mai riuscita a scriverlo! Riprende esattamente dall'affermazione del nostro bel sovrano e poi.... sorpresa! Spero di leggere presto la tua recensione per sapere cosa ne pensi del finale di qst storia, come sai tengo tantissimo al tuo parere quindi spero che il cappy ti piaccia! Ci sarà ancora un epilogo che pubblicherò a breve (è già bello pronto ^^) però è una specie di bonus, (non è il termine giusto per definirlo ma non me ne vengono in mente altri) la parola fine viene scritta in qst dato che è qui che ogni cosa si decide, l'epilogo mostrerà solo le conseguenze delle scelte compiute dai nostri eroi in qst capitolo :-) Ti auguro una buona lettura e ancora grazie infinie per le tue recensioni, per il tuo entusiasmo e per i tantissimi e troppo buoni complimenti che mi hai fatto! Un bacio grande grande grande e a presto <3
Grazie mille anche a coloro che mi hanno aggiunta tra i preferiti e/o le seguite o anche a chi solo legge, grazie^^! Vi ricordo che qst è l'ultimo capitolo ma ci sarà ancora l'epilogo che vedrete pubblicato :-)
Vi auguro una buona lettura
kisskisses
68Keira68
22_Promettimi
che sarai felice
“Scaduto?”
ripetei assottigliando lo sguardo
nel tentativo di comprendere. “In che senso, cosa vuol
dire?” scandii mentre un
brutto presentimento iniziò a farsi strada dentro di me,
anche se confuso,
offuscato dall’enigmaticità della frase di Peter.
Il ragazzo prese un altro respiro e parve trovare la forza
per rialzare i suoi zaffiri
sul mio viso. “Vuol dire che dobbiamo andare via da Narnia,
Cathy. Io e i miei
fratelli dobbiamo tornare a Londra.”
Mi ritrassi, come colpita da
uno schiaffo. Mossi la testa a scatti, piccoli, nervosi, negatori del
significato di quella frase. D’un colpo compresi il
perché dell’urgenza nel suo
bacio. Aveva bisogno di sentirmi vicina a sé
perché sapeva che il tempo che ci
restava da condividere era contato.
Perché se ne sarebbe
andato.
Sarebbe tornato a Londra.
“No!” quasi
urlai, incapace
di accettare ciò che mi diceva. Anche l’ultimo
residuo dell’euforia provata
prima scivolò via da me, lontana e irraggiungibile.
“Cathy…”
Peter tentò di
prendermi il viso tra le mani ma io mi allontanai, scattando in piedi.
“No, no, no”
ripetei più
volte, camminando a ritroso finché non fui bloccata dalla
balconata. “Perché?
Perché lo dice Aslan? Che diritto ha lui di decidere chi
deve restare e chi
deve rimanere?” gridai. Contro Peter, contro Aslan, contro il
cielo stesso che
ci era testimone, mentre sentivo l’ira montare dentro il mio
petto con foga.
Il re mi si avvicinò
cauto,
un’espressione affranta a dipingergli il volto, in netto
contrasto con la mia
rabbia.
Ero adirata e incredula. Come
poteva permettersi Aslan di cacciarli via da Narnia, specie ora che
avevano
appena rischiato la vita per salvarla di nuovo? Cosa pensava, che
potesse
chiamarli a suo piacimento, farli mettere in gioco la loro esistenza e
poi,
come ricompensa per la loro vittoria, buttarli fuori dal loro regno?
Ero ingiusto,
non potevo accettarlo e la rassegnazione che vedevo dipinta sul volto
di Peter
non faceva che aggravare la situazione.
“Cathy, non è
così semplice,
fammi spiegare” tentò di calmarmi.
“Non
c’è niente da spiegare.
Voi non dovete andarvene solo perché lui lo ordina. Avete
tutto il diritto di
restare, il popolo stesso vi vuole.” obiettai sbattendo i
palmi delle mani
contro il marmo della balaustra per la frustrazione. “Io ti
voglio” aggiunsi
con un tono più basso.
Peter appoggiò le sue
mani
sulle mie intrappolandomi tra il parapetto e il suo corpo, cercando
così di
costringermi a sentirlo.
“Aslan non ci ha ordinato
di
andarcene. Ci ha posto dinanzi ad una scelta”
precisò.
Strinsi gli occhi confusa,
invitandolo a proseguire anche se sentivo ancora la rabbia schiumare.
“Ci ha fatto presente che
nessuno può vivere sospeso tra due mondi, ognuno deve avere
un mondo di
appartenenza e viverci, rispettando le leggi della natura. A me, Susan,
Edmund
e Lucy è stata data la possibilità di vivere per
qualche tempo in due mondi
diversi per imparare a conoscere meglio noi stessi e per apprendere
tutto ciò
che serve per condurre la nostra esistenza, ma adesso che io e Susan ci
avviamo
all’età adulta e abbiamo imparato tutto quello che
potevamo da entrambe le
realtà, dobbiamo decidere in che mondo vivere.”
Corrucciai la fronte, certa
di aver compreso male. “Quindi è una scelta vostra
quella di tornare a Londra?”
chiesi conferma.
Peter annuì, lasciandomi
estrefatta.
Per un lungo e intenso
minuto l’unica cosa di cui fui cosciente fu il ronzio sempre
più acuto che mi
riempiva le orecchie, riportandomi l’eco delle sue parole e
di ciò che
significavano. Poi il mio respiro si fece affannoso, i battiti cardiaci
si
affrettarono e dal petto sentii esplodere una nuova ondata di rabbia,
insieme
ad un’immensa delusione. Era lui che voleva andarsene dal suo
regno, dalla sua
gente! Dopo tutte le parole spese ad esplicare il senso di appartenenza
che
sentiva verso Narnia, l’amore che provava per il suo popolo,
decideva di
voltargli le spalle. E decideva di voltarle anche a me. Se ne stava
andando
senza rifletterci due volte, abbandonandomi, dimostrando come tutto
quello che
mi avesse detto, non fosse altro che polvere al vento.
Sentii un groppo in gola e i
miei occhi si fecero lucidi. Non poteva essere vero, non potevo
crederci. Non volevo crederci.
Puntai entrambe le mani sul
suo petto con forza cercando di distanziarlo. Desideravo allontanarmi
da lui,
mi sembrava di soffocare, avevo bisogno di spazio per prendere fiato e
urlare
finché i miei polmoni avessero retto per sfogarmi. Peter
però mi si oppose,
afferrandomi per i polsi.
“Lasciami, tanto
è questo
quello che vuoi fare, ora o poi non fa differenza” gli sputai
con acrimonia,
fulminandolo con lo sguardo, mentre cercavo di svincolarmi dalla sua
presa. Il
ragazzo mi lasciò andare ed io cominciai a colpirlo al petto
con i pugni, riversando
in essi l’ira che mi aveva invasa. Inutile dire quanto i miei
sforzi furono
vani. Nonostante la mia buona volontà Peter non si fece
minimamente male,
parando ogni colpo senza però cercare di fermarmi,
consapevole forse più di me
di quanto avessi bisogno di sfogarmi. Solo quando smisi, affaticata
più dai
miei sentimenti che dallo sforzo fisico, mi riafferrò i
polsi e si avvicinò
ancora, bloccandomi definitivamente contro la balaustra con il suo
peso.
“Non è come
pensi tu, non
voglio lasciarti, fammi finire” mi supplicò con
quella sua voce soffice che con
ben altre parole mi aveva conquistata.
I miei occhi lampeggiarono.
“Ah
no? È come sarebbe, sentiamo! Perché
l’unica interpretazione possibile mi
sembra quella che vuoi lasciarmi, nonostante tutte
quelle…” tutte quelle
promesse e meravigliose frasi
che mi hai regalato, avrei voluto continuare, ma le parole
mi morirono in
gola.
Avvertivo la delusione e il
dolore pronte a travolgermi come un’onda anomala, anche se
cercavo di tenerle a
bada. Non volevo farmi dominare da loro, non se volevo scaricare
addosso a
Peter tutta la mia più che giustificata rabbia.
Mi tenne i polsi con una
sola mano, liberandosi l’altra per portarmela sotto il mento,
delicato ma fermo.
“Ti amo. E tutto quello
che
ti ho detto è assolutamente vero.” Disse, intuendo
come sempre i miei pensieri
senza che dovessi esplicarli. “Non hai idea di quanto stia
soffrendo per questa
scelta, ma non posso fare altrimenti” proseguì con
una fermezza tale da far
vacillare la mia posizione.
“Spiegati” gli
imposi,
fissandolo duramente.
Peter mi sfiorò una
guancia,
sperando di addolcire il mio sguardo, ma resistetti alla morbidezza
della sua
mano, non piegandomi. Il biondo sospirò vedendo fallito il
suo piccolo
tentativo e cominciò a parlare.
“Edmund e Lucy devono
tornare a Londra perché hanno ancora da imparare qualcosa
nel nostro mondo. Poi
torneranno a Narnia un’ultima volta e infine dovranno anche
loro scegliere dove
vivere”. Qualcosa cominciò a delucidarsi oltre la
coltre di delusione, prima
che Peter continuasse. “Se io e Susan decidessimo di restare
a Narnia, dovremmo
separarci da Edmund e Lucy, dovremmo lasciarli soli. Senza contare che
non sappiamo
quando tornerebbero a Narnia. Potrebbero volerci mesi come anni. O
addirittura
secoli e noi non li rivedremmo mai più”. La nebbia
si fece più rada, il mio
sguardo vacillò. “Non posso lasciare Ed e Lucy da
soli. Sono ancora piccoli, e
specie ora che papà non c’è
più hanno bisogno di me e Susan.” Prese un respiro
profondo prima di proseguire. “Vorrei restare a Narnia con
tutto il cuore, lo
sai, ma ho dei doveri verso la mia famiglia che devono venire prima dei
miei
desideri.”
Tutta l’energia
alimentata
dalla rabbia mi lasciò, scacciata da quella spiegazione
così dannatamente
logica e comprensibile. Mi sentii debole, stanca, perfetta preda del
dolore che
avevo cercato di allontanare, e stupida per essere saltata a
conclusioni
affrettate e non aver avuto fiducia in Peter. Poggiai la mia fronte sul
suo
petto come fossi priva di forze, spossata dai troppi sentimenti che mi
avevano
animata in poco tempo, e mi abbandonai al lento ritmo del suo respiro e
allo
scorrere delle mie lacrime che insensibili alla mia volontà
avevano preso a
scorrere. Lacrime di desolazione, suscitate dal senso di impotenza che
la
schiacciante ineluttabilità della sua partenza mi faceva
provare. Lacrime che
erano anticamera del dolore che mi avrebbe presto sommersa.
Ora capivo. Ero stata
avventata a lanciargli quelle accuse. Peter mi amava e stava soffrendo
per la
scelta che aveva fatto. Ma, come aveva detto lui, non poteva fare
altrimenti.
Non poteva abbandonare Edmund e Lucy, lui era il fratello maggiore, la
loro
guida, il loro sostegno. Sarei stata un’egoista a chiedergli
di restare per me
rinunciando alla sua famiglia, alle persone con la quale aveva
condiviso tutta
la sua vita. Erano i suoi fratelli. Non avevo nemmeno il diritto di
essere
arrabbiata con lui. Semmai, l’unica persona con la quale
potevo prendermela era
il destino, che beffardo, nonostante tutte le difficoltà che
avevamo dovuto
superare, non voleva lasciarci in pace, deciso a privarci della
felicità che
finalmente avevamo sperato di godere.
“Capisco”
mormorai flebile, condividendo
la sua rassegnazione ora che conoscevo la situazione. Il ragazzo non
poteva
opporsi a quella scelta, ora comprendevo. Non si poteva lottare contro
ciò che
era giusto e necessario.
Peter mi passò le
braccia
attorno alle spalle e mi strinse forte, affondando il viso nei miei
capelli.
“Non hai idea di come mi senta, di quanto mi sia costata
questa decisione. Non
avrei mai pensato di dover di nuovo andarmene, di abbandonare questa
terra. Ma
ho degli obblighi verso la mia famiglia prima che con me stesso. Devo
tornare
con loro, tornare a casa. E poi non riesco a lasciarli andare da soli,
non
potrei.” Confessò, cullandomi con un dolce
movimento. “Ma non posso nemmeno
lasciare te” aggiunse poi.
Mi scostai un poco per
guardarlo negli occhi, afflitta dalla consapevolezza di quanto i suoi
desideri
fossero inconciliabili con i suoi propositi. “Neanche io
voglio che tu te ne
vada, credo sia chiaro”.
“Ma il fatto che debba
lasciare Narnia non vuol dire che debba lasciare anche te.”
Insinuò enigmatico.
La mia espressione era
simile ad un grande punto interrogativo. “Non ti
seguo” ammisi.
Peter mi prese per le spalle
e accostò il suo viso serio al mio. “Potresti
attraversare il varco anche tu,
tornare a Londra con noi” mi propose, un lampo di speranza
negli occhi azzurri.
Restai interdetta dalla sua
proposta inaspettata. Tornare a Londra.
Da quando ero arrivata a Narnia non avevo mai pensato ad un mio
eventuale
ritorno in Inghilterra, ma non avevo nemmeno considerato
l’idea di avere una
vita in quel luogo incantato. Gli eventi si erano susseguiti
l’un l’altro
prendendo il sopravvento, in una girandola continua di scoperte e
imprevisti che
mi avevano impedito di fare progetti a lungo termine, limitandomi a
vivere un
giorno alla volta. Non avevo nemmeno considerato che prima o poi avrei
dovuto
decidere. Ma ora che la scelta mi veniva posta dinanzi, qual era la mia
risposta? Tornare o restare? Poi mi ricordai un piccolo
dettaglio.
“Se anche attraversassi
il
varco, saremmo comunque separati dai sessant’anni che
distanziano la tua Londra
dalla mia” gli feci notare. La mia
Londra. Mi resi conto subito di come quel pronome possessivo stonasse
sulle mie
labbra se riferito a quella città. Londra non era mai stata mia, non l’avevo mai sentita
come tale.
Tra quelle residenze vittoriane e prati ben curati ero sempre stata un
corpo
estranio inserito a forza, un’anomalia tenuta nascosta per il
quieto vivere
comune. Mia era un aggettivo
accostabile a ben altro paese. Mia
potevo avvicinarlo al nome Narnia, luogo dove ero nata e che mi aveva
accolta a
braccia aperta appena vi ero tornata. Sarei potuta tornare alla
solitudine di
una realtà a me ostile? La risposta era semplice quanto
certa. No.
“Potremmo chiedere ad
Aslan
di trasportarti nel nostro tempo, non credo sarebbe un problema per
lui.”
risolse pronto il biondo, dando prova di aver già pensato
all’ostacolo.
Questo cambiava le carte in
tavola. La domanda diveniva un’altra. Restare o tornare con
Peter? Avrei
continuato a subire una realtà ostile, ma non più
da sola. Dopotutto una
persona che mi amasse e che mi conoscesse interamente non era
ciò che più mi
era mancato in Inghilterra? Non era anche per l’assenza di
questa ipotetica
figura amica che non avevo esitato ad attraversare il varco che mi
aveva
condotta a Narnia? Quel “no” pensato con tanta
fermezza vacillò.
“E
dove vivrei? Nella tua Londra non ho una
casa, né un lavoro, né niente. Sarei una
ragazzina venuta fuori dal nulla”
obiettai prendendo tempo.
Peter si illuminò,
già lieto
di non vedermi rifiutare la sua proposta di primo achito.
“Potresti vivere con
me e i miei fratelli per qualche tempo e finire la scuola con noi. Poi
potremmo
andare a vivere io e te in una casa nostra appena saremmo indipendenti,
massimo
nel giro di due anni. Insieme potremmo costruirci una nostra vita nella
mia Londra.
Non sarà magica come un’esistenza a Narnia, ma
sarebbe comunque una vita
insieme.” Proseguì, illustrandomi
un’idea sulla quale probabilmente aveva
lavorato tutta la sera. Il suo tono era però cauto, a
discapito del fervore che
gli animava le iridi zaffiro. Sapeva che quanto mi stava chiedendo era
tanto,
forse troppo, che quello delineato da lui era un progetto grande e
avventato,
basato su castelli di carta costruiti sulla terra
dell’immaginazione.
Presi un respiro profondo e
abbassai lo sguardo, non sapendo cosa dire, cosa pensare.
L’unica mia
consapevolezza era che la scelta postami davanti sarebbe stata la
più
importante di tutta la mia vita. Una consapevolezza schiacciante, il
cui solo risultato
era quello di mandarmi ancora più in confusione.
Peter mi accarezzò una
guancia con dolcezza, come se con quel solo gesto potesse mettere in
ordine il
caos che regnava nella mia mente. “So che è una
decisione difficile. Si tratta
del tuo futuro e non ti chiedo di rispondermi subito. Voglio solo che
tu
rifletta attentamente su questa possibilità.”
“È
l’unico modo per restare
insieme” mormorai, il capo ancora chino, come appesantito
dalle troppe
riflessioni.
“Si”
concordò “ma il prezzo
è alto, lo so bene. Probabilmente troppo alto, ma questo lo
devi decidere tu.
Sappi solo che mi atterrò a qualsiasi cosa tu scelga e che
se decidessi di
restare a Narnia non metterò in dubbio il tuo amore per me.
So perfettamente
cosa rappresenti questa terra per te, cosa vi hai trovato e quanto ti
sarebbe
difficile riprendere una vita normale a Londra.”
A quelle parole alzai gli
occhi, nuovamente lucidi. Ancora una volta metteva ogni decisione nelle
mie
mani. Mi dava libero arbitrio a patto che scegliessi ciò che
mi avrebbe reso
felice. Ma come potevo decidere tra la persona con cui volevo vivere,
Peter, e
il mondo che mi permetteva di vivere come strega, la vera me stessa?
“Noi partiamo domattina.
Hai
tutta la notte per decidere.” Concluse infine.
Il tono sofferente della sua
voce commentava ogni cosa per entrambi.
Sentii le lacrime sul punto
di scendere ancora, ma Peter, accortosene, scongiurò il
pericolo. Mi prese di
nuovo il mento e mi alzò il viso per baciarmi. Passionale,
tormentato,
bisognoso, urgente, dolce e malinconico. Un bacio che esprimeva il
nostro
desiderio di voler restare insieme e il dolore sordo che ci provocava
anche
solo l’idea di dividerci.
Passandogli le mani dietro
la nuca, lo attirai maggiormente a me, anche se dubitavo ci fosse
ancora spazio
a dividerci. Sentiii le sue dita infilarsi tra i miei ricci,
giocandoci,
tirandoli con delicatezza, procurandomi piccoli brividi lungo la spina
dorsale.
Lo amavo così tanto. Era
stato il primo alla quale avevo aperto il mio cuore, la mia anima. Il
primo che
mi aveva conosciuta veramente, che era riuscito a farmi avere fiducia
nell’amore e nell’amicizia. Perché il
fato ancora minacciava la felicità che
avremmo potuto raggiungere solo insieme? La sola idea che quel bacio
potesse
essere l’ultimo mi era insopportabile. Non riuscivo nemmeno
ad immaginarmi
senza Peter.
Le mani del ragazzo scesero
giù tracciando linee immaginarie sulla mia schiena. Le sue
labbra si scostarono
dalle mie, avventurandosi lungo la mandibola, poi sul collo,
costringendomi a
reclinare indietro il capo. Avrei potuto vivere anni e anni senza le
sue mani
gentili che mi accarezzavano? Senza il soffio caldo del suo respiro
sulla mia
pelle? Non lo sapevo. Ma non sapevo nemmeno se la loro presenza sarebbe
bastata
per farmi tornare a nascondermi da una città basata su
preconcetti limitati che
fornivano la difinizione di “normale”, una
definizione che mi escludeva e che
mi avrebbe sempre fatta sentire diversa.
*
Aria. Pura, fresca, liberatoria
aria. La respirò a pieni polmoni, beandosi della sensazione
dell’ossigeno che
gli penetrava nei tessuti rinvigorendoli. Si concentrò sul
diaframma che si
alzava e abbassava a ritmo controllato una, due, tre volte. Presto
però il
giovane re di Telmar si rese conto che per quante volte potesse
ripetere quel
movimento, il suo apparato respiratorio non avrebbe esplulso i pensieri
nefasti
che gli ronzavano in testa assieme all’anidride carbonica.
Quelli sarebbero
rimasti nella sua mente per tutta la notte e molto tempo ancora per
tormentarlo, per ricordargli con quali esatte parole aveva rinunciato
per
sempre alla persona che amava…
“Ti
amo, e per questo non ti chiederò mai di scegliere
tra me e la tua famiglia, né di comportarti diversamente da
ciò che ritieni
giusto e se la tua decisione è quella di andartene la
accetterò. Sappi però che
ti amerò ancora dopo che te ne sarai andata e che
probabilmente non smetterò
mai di farlo.”
Parole posate, scelte con
cura dopo i lunghi minuti di silenzio che erano seguiti
all’annuncio inaspettato
e devastante di Susan Pevensie. Un annuncio che aveva informato il
giovane
sovrano dell’imminente partenza della ragazza. E della sua
impossibilità a
tornare in un ipotetico futuro.
Imporsi il silenzio per
darsi il tempo di riflettere e agire secondo la ragione e non
l’istinto gli era
costato tutta la sua forza di volontà. Il primo impulso alle
parole “Devo
andarmene” della giovane era stato quello di afferarla per le
spalle e
scuoterla finché non avesse cambiato idea. Sapeva che
avrebbe anche potuto
arrivare a supplicarla di non tornare nella sua città,
facendo leva sul
rapporto che in quelle settimane erano faticosamente riusciti a
costruirsi e
dipingendo il futuro che avrebbero potuto condividere. Fortunatamente
però una
voce interiore era intervenuta in tempo per fermarlo, costringendolo a
pensare
alle conseguenze che si sarebbero susseguite a quella reazione.
Tralasciando
che tentare di far cambiare idea a Susan, in particolare se
l’idea riguardava
un dovere da compiere, era come pregare la pioggia di non cadere, ossia
inutile,
esibirsi in una scenata simile avrebbe avuto come unico risultato,
oltre quello
di apparire ridicolo e infantile, quello di farla soffrire. O meglio,
farla
dolere più di quello che già stava patendo.
Perché la decisione di andarsene la
stava facendo soffrire, glielo aveva letto nei lineamenti del suo bel
viso a
cuore, che inutilmente aveva cercato di irrigidire nella posa che
assumeva
quando si comportava da regina, come se volesse già mettere
una distanza tra
lei e Caspian per prepararsi per gradi alla definitiva separazione, ma
che
inevitabilmente si erano sciolti in una smorfia dolente alla prima
carezza
comprensiva del ragazzo. Una carezza significante che Caspian aveva
capito
quanto Susan stesse pagando la scelta di partire, quanto desiderasse
restare a
Narnia, con il suo popolo e con lui. Ma per quanto potesse agognare di
non
partire, Susan Pevensie non si sarebbe mai sottratta ad un suo dovere,
specie
se era nei contronti della sua famiglia.
Caspian tirò un calcio a
vuoto, sfogando la frustrazione sulle pietre del ciottolato del cortile
dove
stava camminando.
Dannazione
a lei e al suo smisurato senso del dovere!
Quel senso del dovere che
l’aveva resa la regina più grande che Narnia
avesse mai avuto, che le aveva
dato la forza per compiere scelte difficili per il suo popolo, che la
caratterizzava e le dava quella particolare luce negli occhi che
Caspian tanto
amava. Ma che ora la stava privando della sua felicità,
aprendole la porta ad
una vita di rimpianti. La stessa porta che il re vedeva dinanzi a
sé. Amava
quella testarda, splendida e dolce ragazza che lo aveva stregato prima
con la
sua forza d’animo, poi con la tenerezza e
l’insicurezza che si celavano dietro
ad essa, e la sola idea di non vederla mai più gli straziava
il cuore. Aveva
sperato che sconfitto Miraz e riavuto il regno, ogni cosa sarebbe
andata per il
verso giusto, secondo i suoi desideri, e il primo tra tutti era stato
proprio
quello di condividere i giorni futuri con la regina di Narnia e del suo
cuore.
Ora quel sogno, prima a portata di mano, aveva messo le ali e si era
allontanato sino a diventare irraggiungibile. Era volato via. A Londra,
per la
precisione. La città dove la sua Susan sarebbe tornata per
non andarsene mai
più, come aveva decretato Aslan.
Era profondamente ingiusto.
Perché non potevano restare?
Ingiusto e insensato.
Perché
lasciare Narnia nuovamente senza re visto cosa era accaduto
l’ultima volta?
Ingiusto, insensato e
crudele. Perché il destino doveva separare delle persone che
si amavano o che
si volevano semplicemente bene?
Purtroppo però oltre ad
essere ingiusto, insensato e crudele, era deciso. I Pevensie non
avrebbero
cambiato idea, la scelta era stata fatta. L’unica cosa che
Caspian poteva fare
ora era accettarlo e sperare che con il tempo il ricordo del dolce
sorriso di
Susan da doloroso divenisse agro-dolce fino a tenero, e nel mentre
vivere la
propria vita cercando di essere un sovrano capace almeno un decimo di
quanto lo
era stata lei. E augurarle di raggiungere la felicità anche
nel loro lontano e
strano mondo.
Alzò lo sguardo al cielo
blu
e prese un altro respiro. L’aria fresca della notte era
ristorativa, portatrice
del quieto silenzio che dominava in quelle ore del giorno. Si
fermò, dopo aver
percorso l’intero cortile del palazzo quasi senza
accorgersene, immerso com’era
nelle sue elucubrazioni. Il ragazzo constatò con piacere
come camminare sotto
le stelle aveva anche quella volta sortito un effetto benefico come in
passato.
Si sentiva molto più calmo di quando aveva abbandonato la
sua camera
lasciandosi alle spalle Susan. In quel momento aveva la mente in
sobbuglio e lo
stomaco contratto per le troppe emozioni. Ora, anche se il dolore sordo
per
l’imminente separazione restava, sentiva di poter provare a
sopportarlo, di
poterlo controllare e cercare di godersi così le ultime ore
che gli restavano
accanto alla sua amata.
Stava quasi per tornare
indietro quando il profilo di una giovane donna delineato da un raggio
di luna
catturò la sua attenzione. Sorrise mesto riconoscendo la
persona seduta
sull’erba con la schiena appoggiata ad una delle quercie sul
fondo del cortile.
Avrebbe dovuto aspettarsi di trovare anche lei lì, in preda
a pensieri simili
ai suoi. Erano nella stessa situazione in fin dei conti.
Proprio per condividere il
peso di quel destino simile il re le si avvicinò, sperando
di recare sollievo a
se stesso e magari di alleviare le pene a lei.
Ero assolutamente certa che
nessun studioso letterario o insegnante avrebbero mai potuto trovare
parole
adatte per descrivere quanto dilaniante fosse essere vittime di un
dubbio
amletico. L’unico modo per comprendere i sentimenti del
povero principe di
Danimarca era provarli in prima persona, e anche se la mia domanda era
diversa
dal suo ormai proverbiale “essere o non essere?”,
ero sicura che fosse di
uguale portata.
Restare o tornare? Narnia o
Peter? La magia o una vita normale?
Mi presi la testa tra le
mani, poggiando i gomiti sulle ginocchia. Odiavo essere in dubbio.
Già non
sopportavo quando nel frigorifero trovavo più di due tipi di
yogurt tra cui
scegliere, figurarsi trovare ad affrontare una decisione simile. Ma
cosa avevo
fatto di male nella mia vita? In fin dei conti non avevo chiesto tanto,
solo
delle risposte e delle persone sincere attorno a me, era forse la luna?
O forse
questo era il prezzo da pagare per aver ottenuto la realizzazione del
mio
desiderio. A ben pensarci tutti i sogni che avevo quando avevo
attraversato il
varco si erano realizzati. Avevo trovato l’affetto di amici
veri, l’amore di un
ragazzo semplicemente perfetto e un’identità. La
mia missione a Narnia era
teoricamente conclusa. Sarei quindi potuta tornare a Londra e
archiviare
l’esperienza fatta in quel magico mondo?
Ne dubitavo.
Quell’avventura
iniziata quasi per caso si era spinta troppo oltre per essere messa da
parte
con facilità. Io non ero una semplice visitatrice come i
Pevensie, quel viaggio
mi aveva messa a parte di una rivelazione non trascurabile. Io non ero
ospite
di Narnia, gentilmente accolta perché adempisse al suo
incarico. Io ero un suo
abitante, ne facevo parte. E questo senso di appartenenza non poteva
essere
ignorato.
Dovevo quindi restare? Il
bel volto di Peter mi apparve talmente nitido da farmi male al cuore.
Lo avevo
allontanato recandomi nel cortile interno per avere tempo per
riflettere da
sola, ma la sua immagine mi compariva dinanzi agli occhi talmente
spesso che
era come averlo accanto.
Preda dello sconforto,
sospirai facendo scivolare lo sguardo sull’erba fresca per la
notte, finché non
notai un gruppetto di foglie radunate in un angolo accanto al muretto
in pietra
che delimitava il prato. Distrattamente alzai una mano, liberando un
leggero
flusso di magia atto a sollevarle. Le feci avvicinare e le tramutai in
candide
margherite. Con le dita imitai il giro di un vortice e i fiori
seguirono il
comando circondandomi, provocando un lieve soffio d’aria. Le
margherite
crearono una sfera con me al centro e presto la mia mente di
ricordò di
un’altra sfera magica, fatta di goccie d’acqua
cristallizzate, che aveva
inglobato me e Peter. Una meravigliosa sfera ferma a
mezz’aria attraverso la
quale i raggi del sole erano filtrati dando vita ai colori
dell’arcobaleno,
complici e spettatori del primo bacio tra il giovane e me, un bacio che
aveva
sugellato un “ti amo” atteso e sincero. Il ricordo
era talmente vivo che mi
parve quasi di poter sentire la morbidezza delle sue labbra sulle mie
quando
esitanti si erano appoggiate per la prima volta.
Con un altro sospiro cercai
di riscuotermi. Di certo certe reminiscenze non erano d’aiuto
in quel
frangente. Solo allora notai cosa avevo incosciamente creato con i
fiori.
Strabuzzai gli occhi, incredula di dove potesse arrivare il subconscio,
e il
mio sguardo fu ricambiato da quello di Peter. O meglio
dall’immagine del volto
di Peter che ero riuscita a ricreare servendomi dei petali delle
margherite.
Dovevo complimentarmi con me stessa poiché la somiglianza
era impressionante,
il suo viso mi sorrideva a mezz’aria esattamente come avrebbe
fatto l’originale,
al contempo però avrei voluto prendermi a testate. Potevo
scegliere di
andarmene con i suoi bei lineamenti davanti?
Per giustizia decisi di
creare accanto, con dei fili d’erba mutati in altre
margherite, il castello di
mia madre l’ultima volta che lo avevo visto, ovvero privo di
ghiaccio,
assumendolo come simbolo di Narnia.
Bene, ora potevo ripropormi
la domanda con anche un ausilio visivo. Restare o tornare?
Guardai il castello. Se
restavo, mi aspettava una vita da Strega Rossa. Non avrei mai dovuto
nascondere
i miei poteri, al contrario sarei sempre stata apprezzata per essi.
Avrei
potuto aiutare Narnia e i suoi abitanti ad avviarsi in quella nuova era
di
pace. Quella terra mi aveva donato tanto e io ero consapevole del fatto
che
avrei potuto ricambiare il favore. Sarei stata conosciuta per le mie
capacità e
avrei avuto una mia identità. Sarei sempre stata Cathrine,
la potente Strega
Rossa che aveva risvegliato Narnia. E mi sarei sentita a casa.
Il quadro dipinto mi
riempiva il cuore di orgoglio e speranza. Una vita passata ad esaltare
la mia
magia, a sfruttarla per il bene comune e non a nasconderla, a
considerarla una
maledizione, era stato il mio sogno più grande per tutta
l’infanzia e
l’adolescenza. Prima però che arrivasse Peter.
Il mio sguardo guizzò
verso le
angeliche fattezze del giovane. Lui mi aveva fatto conoscere
l’amore, cambiando
nettamente le mie priorità. Se prima ero certa che non dover
temere la mia
magia mi sarebbe bastato per raggiungere la felicità, ora
ero sicura del
contrario. Non potevo essere completamente felice se Peter non era al
mio
fianco. Era come se il ragazzo mi completasse, se fosse una tessera
essenziale
del puzzle della mia vita. Ma che vita mi attendeva nella Londra post
guerra
assieme al biondo?
Potresti
vivere con me e i miei fratelli per qualche
tempo e finire la scuola con noi.
Vivere con lui, nella sua
casa, e frequentare la sua scuola. Riprendere un’esistenza
non molto diversa da
quella che conducevo nella Londra del duemila. La differenza
più sostanziale
probabilmente stava nell’uso delle divise scolastiche.
Poi
potremmo andare a vivere io e te in una casa
nostra appena saremmo indipendenti, massimo nel giro di due anni.
Due anni. Tra due anni avrei
compiuto diciannove anni. Nella mia Londra mi sarei iscritta
all’università,
avrei partecipato alla maggior parte dei festini del campus dove avrei
conosciuto un ragazzo con il quale avere una storia importante che
sarebbe
certamente naufragata entro tre anni, e poi mi sarei avviata nel mondo
del
lavoro. Rimboccandomi le maniche avrei potuto affiancare mio padre nei
suoi
viaggi all’estero, sarei diventata una valida manager, una
brava imprenditrice.
Sarei divenuta una persona indipendente, con un ottimo stipendio, una
bella
casa. Una persona che non doveva rendere conto a nessuno, che poteva
disporre
liberamente della propria vita perché ne era
l’unica padrona e perché sapeva
perfettamente come viverla. Con ironia mi resi conto di come queste
ultime
considerazioni potessero essere fatte anche per la mia ipotetica vita a
Narnia.
Il “lavoro” che mi attendeva in quel regno magico
era di natura ben diversa ma
mi avrebbe condotto alla stessa enorme libertà.
Potevo accostarle anche alla
mia esistenza possibile nella Londra di Peter? A diciannove anni
saremmo andati a vivere io e lui in una casa
notra.
Peter non pensava all’università, ma ad
un’altra continuazione. Quel “vivere
io e te in una casa nostra” nel
1948 implicava una condizione ben precisa. Il matrimonio. Peter voleva
sposarmi.
Non me lo aveva chiesto esplicitamente, ma era sottointeso in quella
frase. Tra
due anni ci saremmo sposati e ci saremmo trasferiti in
una casa nostra.
Se pochi mesi addietro mi
avrebbe chiesto se potevo prendere in considerazione l’idea
di sposarmi così
presto probabilmente avrei riso, negando energicamente anche la
più remota
possibilità. Ora però, guardando quel viso che mi
fissava con dolcezza, la
parola matrimonio non assumeva
quel
significato imperioso e pauroso che gli avevo attribuito. Non sembrava
una
gabbia di responsabilità che da sempre mi intimoriva,
bensì solo un modo più
solenne per dire “ti amo”. Dopotutto gli avevo
ripetuto mille volte che sarei
stata sua per sempre, la promessa che avrei fatto all’altare
sarebbe stata solo
una conferma. E poi, sarebbe stato così terribile svegliarsi
ogni mattina con tra
le sue calde e accoglienti braccia?
Insieme
potremmo costruirci una nostra vita nella mia
Londra. Non sarà magica come un’esistenza a
Narnia, ma sarebbe comunque una
vita insieme.
Dunque se fossi partita con
Peter mi sarei certamente sposata a diciannove anni. E poi? Secondo il
ragazzo
potevamo costruirci una “nostra vita”, ma cosa
intendeva di preciso? Nella mia
Londra sarei diventata una manager, a Naria una Strega capace di
aiutare la
popolazione, ma nella sua?
Lui, giovane aitante e
intelligente, avrebbe di certo avuto le strade spalancate. Avvocato,
dottore,
militare, avrebbe potuto diventare qualsiasi cosa avesse voluto. Ma
quale
sarebbe stato il mio ruolo in una società a me sconosciuta e
ancora restia ad
aprire le porte al gentil sesso? Un’immagine di me con una
candida camicetta
abbottonata sino al collo, indaffarata tra la cucina e il salotto,
frastornata
dai capricci di un bimbo, mi attanagliò lo stomaco. Non ci
voleva uno storico
per capire che i ruoli preponderanti per le donne nella seconda
metà del
novecento restavano quelli di moglie e madre. Ovviamente
c’erano le operaie, le
insegnanti, le sarte e altri impieghi simili, ma tutti erano comunque
alterego
di una moglie immersa nella biancheria da pulire o da bambini da curare
una
volta timbrato il cartellino.
Di certo sarebbe stata una vita insieme. Avrei tenuto in ordine la
casa, avrei cucinato, forse sarei riuscita a trovarmi un piccolo
impiego, e poi
avrei aspettato che Peter tornasse a casa dal lavoro. Non sarei stata
la grande
manager Cathrine Icepower, né la potente Strega Rossa
Cathrine, bensì la
signora Pevensie. In un mondo completamente diverso dal mio eccetto per
la
diffidenza verso la magia. In un mondo dove non conoscevo nessuno a
parte
Peter, al quale mi sarei certamente aggrappata in quanto unico appiglio
in un
mare di novità. In un mondo dove le parole indipendenza e
libertà si svuotavano
del loro allettante significato. Come potevo essere autonoma in una
società a
me estranea? Come potevo costruirmi una mia identità se non
potevo far uscire
né la strega né l’Icepower? Come potevo
essere libera di disporre della mia
vita se dipendevo totalmente da Peter?
Una
vita insieme.
Peter aveva basato quel futuro sul nostro amore, ma sarebbe bastato a
farci felici? Forse per lui lo sarebbe stato. La vita che avevo
raffigurato era
dopotutto la vita tipo di un ragazzo della seconda metà del
novecento. Ma io?
“Disturbo?”
Mi girai sorpresa verso la
voce inaspettata e mi ritrovai accanto al neo incoronato re di Telmar.
“Accomodati” lo
invitai indicandogli
la mia destra. La luce della luna era fioca ma bastò per
notare l’espressione
buia e rassegnata del ragazzo. Evidentemente Susan doveva averlo
informato
sulle ultime novità.
“Qualcosa mi dice che
siamo
tormentati dagli stessi pensieri” commentò
accenando con il capo alla
riproduzione del viso di Peter con le margherite e confermando la mia
intuizione.
“Credo
anch’io”. Sorridendo
mesta, con un gesto della mano distrussi le due composizioni facendo
cadere i
petali a terra.
“Tu...tu come
stai?” abbozzai.
I suoi occhi, resi d’argento dai raggi lunari, erano spenti,
rassegnati,
dolenti. Non mi piaceva vederlo in questo stato, specie dopo averlo
ammirato
pieno di vita e forza solo poche ore prima, ed ero del parere che
esprimere
quei sentimenti ad alta voce lo avrebbe aiutato, come se farli uscire
dalla sua
bocca li avrebbe fatti uscire anche un poco dal suo cuore.
Caspian sorrise amaro,
fissando i petali bianchi sull’erba. “Male e
purtroppo dubito ci sia qualcosa
che si possa fare per star meglio.” La rassegnazione nella
sua voce mi
appesantì il cuore. Lui, sempre così speranzoso e
vivace, pareva ora svuotato
dei buoni sentimenti con i quali aveva sempre vissuto. “Ma
immagino non te lo
debba spiegare. Se c’è qualcuno che possa capire
come mi sento quella sei
proprio tu” proseguì.
Annuii e gli strinsi forte
il braccio come a sottolineare le sue parole. Era vero, il suo dolore
era eco
del mio. Il mio animo era attanagliato però anche da un
altro sentimento che il
moro non sapeva, il dubbio.
“Credo di si. Tuttavia le
nostre situazioni non sono completamente uguali” insinuai.
Caspian aggrottò le
scure
sopraciglia. “Ovvero?”.
“Ovvero Peter mi ha
chiesto
di andare con lui nella sua Londra” lo misi a parte.
“Ah.”
Due lettere. Due piccole e
semplici lettere che però se accostate rendevano bene lo
stupore dipinto sul
suo viso. Caspian alzò il mento al cielo, annuì
come rivolto a se stesso e per
diversi minuti vidi il suo sguardo assorto nei suoi pensieri. Seguii la
traiettoria dei suoi occhi con un sospiro e
cercai di immaginarmi il filo dei suoi ragionamenti per
non tornare a
perdermi nei miei.
“Non avevo considerato
questa eventualità, sai?” disse infine,
facilitandomi il compito che mi era
prefissa.
“Nemmeno io”
sbuffai.
“E cosa credi di
fare?”
Domanda scontata. Peccato
che la risposta non lo fosse altrettanto.
Alzai le spalle e presi un
profondo respiro prima di rantolare un rassegnato “Non ne ho
la benché minima
idea”.
Caspian mi passò un
braccio
attorno alle spalle per attrarmi a sé e io volentieri
poggiai la testa sulla
sua spalla. Prima del suo arrivo non mi ero resa conto che avevo
bisogno di una
persona che mi stesse vicina, con la quale confidarmi e che mi capisse.
Un
amico. E Caspian era la persona più adatta poiché
oltre ad essermi
sentimentalmente vicino data la nostra simile situazione, era anche
l’unico tra
i miei amici a non essere imparentato con l’oggetto dei miei
problemi e con il
quale quindi potevo parlare liberamente, senza temere influenze o
complicazioni
varie.
“Tu cosa faresti se fossi
al
mio posto?” gli chiesi a bruciapelo.
“Se Susan mi avesse
chiesto
di partire?” il suo petto si alzò e
abbassò lentamente con anche la mia mano
appoggiata sopra. “Non è una risposta facile. Di
primo achito, con il cuore, ti
direi che la seguirei subito ovunque, anche in capo al mondo, ma
riflettendoci…” lasciò in sospeso la
frase, prendendosi tempo per pensare.
Lo aspettai paziente,
conscia di quanto complicata fosse la mia richiesta. Io era tutta la
serata che
ci ragionavo su…
Alzai gli occhi al cielo, cercando
la costellazione che mi aveva indicato Aslan. Dopo poco riusciia a
localizzarla. Quattro stelle brillavano alla mia destra, ora come da
millenni
sotto il nome di Costellazione degli Amatores. Mi ricordai la triste
storia ad
esse legate, i quattro amanti uccisi dal loro stesso sentimento, divisi
in vita
e uniti solo nella morte. Di certo quei ragazzi avevano agito
d’istinto, con il cuore,
come aveva detto Caspian,
ma se si fossero presi più tempo per pensare? I due amanti
appartenenti al
popolo delle ninfe si sarebbe suicidati per seguire i loro compagni
ugualmente
o avrebbero optato per continuare a vivere, portando con sé
il ricordo degli
amanti e sperando un giorno di tornare ad essere felici? E cosa sarebbe
stato
più giusto per loro? Seguire il cuore, qualunque sia la
strada a cui porti ma
rispettando un sentimento puro, o ascoltare la ragione e fare la scelta
migliore per se stessi? L’opzione migliore sarebbe quella che
vede cuore e
ragione indicare la stessa via, ma quando ciò non era
possibile cosa bisognava
scegliere?
“Temo
che…” riprese il moro,
riottenendo la mia attenzione “nonostante ami Susan
più di me stesso, non
potrei mai lasciare il mio popolo. Sono il suo re, ho dei doveri ben
precisi
verso esso” affermò serio. “E
poi” aggiunse posando il suo sguardo reso argento
dalla luna “non credo riuscirei a vivere in un mondo tanto
diverso dal mio. Non
ho mai visto Londra ma da quel poco che mi hanno raccontato so che non
è un
luogo per me. Ho bisogno di vivere in un posto che possa chiamare casa,
e
l’unica casa che conosco è Telmar”
concluse.
Mi morsi il labbro annuendo
con il capo per dirgli che avevo compreso la sua posizione.
“Quindi l’amore non
basta?” domandai esprimendo ad alta voce uno dei quesiti che
avevo posto a me
stessa prima.
Caspian accennò ad un
sorriso amaro e distolse lo sguardo verso un punto non definito del
cortile,
cercando le parole giuste. “L’amore è
necessario per renderci completamente
felici, ma non è l’unico ingrediente di cui una
persona ha bisogno per sentirsi
bene. È brutto da dire ma non si può vivere di
solo amore, è una visione molto
romantica ma poco realistica. Un uomo o una donna hanno bisogno di
sentirsi
bene con se stessi, realizzati come individui e di un posto che sentono
come
loro in cui vivere, per esempio. A Londra sono convinto che non potrei
avere
niente di ciò quindi, anche se sarebbe una scelta sofferta e
rimpiangerei Susan
probabilmente per anni e anni, deciderei di restare. Sarebbe la scelta
più
ragionevole”.
Caspian avrebbe ascoltato la
ragione. Pur amando immensamente Susan, avrebbe scelto di vivere a
Narnia
perché era la scelta
più ragionevole.
La scelta che con maggiore probabilità gli avrebbe
assicurato una media
felicità e un futuro.
Ammiravo molto la
determinazione che aveva avuto nel fornirmi la risposta. Caspian sapeva
cosa lo
avrebbe reso pià felice, cosa era meglio per lui, e lo aveva
espresso in
maniera limpida e incontrovertibile. Che il giovane re avesse ragione?
Forse
davvero l’amore non bastava…
“Capisco” dissi
soltanto.
Avrei voluto aggiungere altro ma se avessi iniziato ad esprimere ad
alta voce
tutte le mie considerazioni e idee probabilmente non sarebbero bastati
due
giorni. Sperai che intuisse almeno una minima parte dei miei pensieri.
Evidentemente le mie
speranze non dovevano essere mal riposte perché Caspian
aumentò la presa sulle
mie spalle e avvicinò il suo viso al mio orecchio.
“Questo però
è solo il mio
parere. Io resterei, ma un’altra persona avrebbe potuto dirti
che sarebbe
partito senza esitare, felice magari di lasciarsi Narnia alle spalle
per un’avventura.”
Riprese con tono leggermente più concitato. “Non
lasciarti influenzare dal mio
discorso poiché solo tu puoi decidere cosa ti renderebbe
più felice.”
Mi massaggiai le tempie con
la mano destra, sospirando. “È una parola. Come
faccio a sapere cosa mi farebbe
felice?” chiesi frustrata. Ma cosa pensava che mi fossi
chiesta durante le
ultime quattro ore? Se preferivo i dolci di Narnia o quelli di Londra?
Il giovane poggiò la
testa
sul tronco dell’albero, riflettendo. “Pensa a cosa
ti fa sentire appagata. L’assenza
di cosa ti farebbe mancare l’aria? Senza cosa ti sentiresti
incompleta,
insofferente, perennemente in attesa di un cambiamento per migliorare
la tua
vita?”
La domanda mi lasciò
interdetta. Non l’avevo mai messa in termini così
espliciti, ma forse solo
affrontanre un interrogativo così diretto poteva aiutarmi a
trovare una
risposta utile. L’assenza di cosa
mi
farebbe mancare l’aria?
“Nessuno ti ha mai detto
che
quando vuoi regali vere e proprie perle di saggezza?” gli
dissi, cercando di
smorzare l’atmosfera appesantita da quei discorsi.
Funzionò
poiché mi giunse
presto la risata smorzata di Caspian. “Custodiscile bene
perché le dono solo a
pochi eletti” stette al gioco.
“Tranquillo, io e quelle
perle abbiamo tutta una nottata davanti per stare assieme a
riflettere” gli
assicurai sarcastica.
Il giovane mi diede un bacio
tra i capelli. “Sarà meglio che ti lasci
allora.” Mi disse prima di alzarsi
agile da terra. “Spero tu riesca a capire quale sia la scelta
migliore per te” mi
augurò. Gli sorrisi, intenerita dalla brillante
sincerità che vedevo nei suoi
occhi. Era proprio un bravo ragazzo, mi aveva ascoltata e mi era stato
vicino
senza nemmeno che glielo chiedessi, di sua iniziativa.
Il giovane fece per
andarsene poi però parve ripensarci e si volse nuovamente
verso di me. “Cate,
ascolta, volevo ancora solo dirti che se decidessi di restare, mi
piacerebbe
che tu potessi considerare Telmar e questo castello come casa tua. Sai,
una
mano per governare un regno così grande fa sempre
comodo” propose, cercando di
nascondere un lieve imbarazzo con
l’umorismo.
Il mio petto si scaldò
per
la sua dimostrazione di amicizia. Avevo sbagliato, non era un bravo
ragazzo,
era un ragazzo d’oro. Ma soprattutto, era davvero un caro,
caro amico.
“Grazia
Caspian” mormorai
commossa e ricevetti in cambio il sorriso aperto e sincero del giovane,
prima
che si voltasse di nuovo e si inoltrasse
nell’oscurità del cortile.
*
Era una bella porta. In
mogano, intarsiata con un motivo di foglie d’acanto, con un
maniglia in ottone
diligentemente lucidato. Mi sarebbe seriamente dispiaciuto se avesse
preso
fuoco a causa dell’intensità con la quale la stavo
fissando. Purtroppo però,
nonostante stessi cercando di impormi di girare quella dannata maniglia
e farla
finita, erano dieci minuti che i miei occhi non si staccavano dal
motivo del
fogliame, dimostrandomi come preferivano guardare quello invece del
viso della
persona che mi attendeva al di là della porta.
Non
fare la stupida, hai preso una decisione? Bene, ora
entri a testa alta e la difendi. Così si comportano le
persone indipendenti. Predicai a me stessa cercando di
simulare una fermezza
che in realtà non possedevo.
Presi un bel respiro e
concentrai tutte le mie forze sul complicato compito di alzare la mano
destra.
Con lentezza riuscii ad appoggiarla alla maniglia e a far stringere le
dita
attorno a quel tubicino di freddo metallo. Un altro sospiro, una lieve
pressione. L’uscio si dischiuse.
Inutile dire come avrei
preferito immettermi in un antro di minotauri inferociti. Almeno mi
sarei
difesa senza preoccuparmi di ferire i miei avversari.
“Ti aspettavo”
mi salutò una
voce un po’ roca, di chi sta per addormentarsi.
Mi volsi verso il letto alla
mia sinistra. Illuminato solo dall’argentea luce lunare che
gli rendeva il
petto nudo quasi marmoreo, c’era un ragazzo sdraiato
comodamente sul piumone
blu cobalto. Le braccia dietro la testa, un gamba leggermente
inclinata, Peter
mi sorrise invitandomi con lo sguardo ad avvicinarmi.
Se voleva lasciarmi senza
parole togliendosi la maglietta ci era pienamente riuscito. Non era la
prima
circostanza in cui potevo ammirare i suoi pettorali, eppure ogni volta
rimanevo
incantata dalla loro perfezione.
Anche se il primo istinto
era quello di tuffarmi tra le sue braccia, gli feci cenno di attendere
ancora
un po’. Mi diressi verso il paravento posto sulla parete
opposta a quella della
porta, un semplice pannello in rigida stoffa scura, da utilizzare come
camerino, come avevo visto in numerosi film in costume. Dietro il
paravento
c’era un comodino con la biancheria per la notte, gentilmente
fatta comprare da
Caspian per noi. Aprii il primo dei tre cassetti e tirai fuori una
camicia da
notte in seta leggera. La appoggiai sopra il mobiletto e mi accinsi a
districare l’intrigo di nodi e cordini che tenevano il
vestito attaccato al mio
busto. Con una punta d’orgoglio notai quanto mi fossi
impratichita nella
sottile e delicata arte di togliermi una di quelle trappole di tessuto.
Il
vestito mi scivolò addosso cadendo con un piccolo tonfo
sordo. Ripresi la
camicia da notte e la indossai. Il morbido tessuto mi
accarezzò il corpo
coprendomelo e modellandosi su esso. Controllai il risultato nello
specchio
intero, posizionato alla sinistra del comodino. Arricciai le labbra
compiaciuta. Chiunque l’avesse scelta aveva un ottimo gusto.
Era di buona
fattura ma semplice, priva di pizzi o merletti, l’unico suo
vezzo stava nello
scollo a cuore. Era in stile impero e da sotto il seno partiva una
lunga gonna
che evidenziava le mie forme ad ogni movimento. Il rosso dei miei
capelli
risaltava sul colore bianco latte della seta, tonalità che
mi ricordava i
vestiti delle sacerdotesse dei templi romani.
Chissà
se a Peter piacerà…
Era un vestito casto, niente
a che fare con la provocante e a volte anche volgare lingerie che avevo
visto
sfoggiata nei negozi del ventunesimo secolo dato che l’unica
parte anatomica
scoperta erano le braccia, eppure nella sua sobria eleganza, nella
leggerezza
del tessuto, nel suo adattarsi al mio corpo, mi faceva sentire bella.
Uscita dal riparo del
paravento, il brillio malizioso negli occhi del mio re risposero alla
mia
domanda. Si, gli piaceva.
Senza farmi pregare
ulteriormente mi avvinai al letto sorridendogli fintemente ingenua,
mettendo
momentaneamente da parte le ansie che mi avevano trattenuta dietro la
porta. Con
dolcezza gli accarezzai una guancia con il dorso della mano, facendolo
scorrere
dalla tempia fino alla mascella. Peter alzò lentamente il
busto mettendosi a
sedere, mi afferrò per la vita con il braccio sinistro e mi
fece scivolare
sulle sue ginocchia. I nostri nasi si sfiorarono, i miei occhi color
ghiaccio
si scontrarono con un cielo primaverile. Il tempo di un respiro e
sentii la
dolce pressione delle sue labbra sulle mie. La mia bocca si dischiuse
obbediente per accogliere la sua lingua ansiosa di incominciare con la
mia la
loro ancestrale danza. Le mie mani si poggiarono sulla sua mascella,
traendolo
maggiormente a me, mentre Peter mi spingeva all’indietro,
facendo adagiare la
mia schiena sul morbido materasso, senza interrompere il bacio. Per non
aggravarmi del suo peso, si sosteneva con il braccio sinistro,
lasciando però
la mano destra libera di percorrermi il fianco e poi giù
fino alla coscia con
lente carezze.
Solo quando il pressante
bisogno d’ossigeno ci impose di respirare, ci separammo.
Alzai le palpebre e
contemplai la vista del viso di Peter, distante dal mio di pochi
centimetri.
Con i lineamenti rilassati, le labbra ancora umide e socchiuse per
prendere
fiato, un ciuffo d’oro ribelle sulla fronte, era
semplicemente perfetto. Non
avrei cambiato una virgola del suo volto come del suo carattere. Mi
persi in
quel quieto mare che erano le sue iridi. Non c’era traccia
del tormento scorto
in precedenza, evidentemente doveva averlo relegato in qualche
cantuccio della
sua mente per permettergli di godersi a pieno l’attimo che mi
aveva appena
regalato. Il mio di sguardo invece si adombrò
all’istante rendendomi conto che
presto sarei stata io a riportare vivo quel sentimento nel cuore di
Peter.
Il giovane parve accorgersi
del mio cambiamento perché scosse la testa in una muta
domanda.
Aprii le labbra
istintivamente per rispondergli, ma la voce si perse nel desiderio di
preservare la tranquillità perfetta che aleggiava
nell’aria. Sdraiata sul
soffice letto, immersa nella calma notturna, l’unica cosa di
cui volevo essere
cosciente era la presenza del corpo di Peter sopra il mio, del calore
che mi
trasmetteva, del profumo fresco che emanava. Sapevo che era una pace
racchiusa
in una bolla di sapone circondata dagli aghi della realtà,
ma avrei voluto
essere tanto forte da soffiare in eterno per allonare la sfera dalle
punte
acuminate. Purtroppo però non potevo.
“Peter,
io…” il mio sussurro
si interruppe. Come potevo dirgli quello che dovevo? Le parole erano
dolorose come
scaglie di vetro contro la gola.
Il ragazzo però
sfoderò un
sorriso comprensivo, in contrasto con la pena dipinta sul mio viso.
“Hai deciso” mi
venne
incontro.
Annuii con il capo, incapace
di proferir parola.
“E hai scelto di
restare”
concluse.
Distolsi lo sguardo dalla
sua persona, sentendomi una traditrice, anche se nella sua voce non
c’era
traccia d’accusa. Anzi, non c’era traccia
d’alcun sentimento, la sua sembrava
una semplice constatazione.
Sentii le sue dita correre
sotto il mio mento e riportarmelo nella sua direzione.
Con timore mi azzardai a
guardarlo. L’assenza di tormento che mi aspettavo nei suoi
occhi mi colpì. Vi
albergava invece una consapevolezza che mi lasciò
interdetta. Come se avesse
sempre saputo che non sarei andata con lui.
Sentii il mio cuore
stringersi. Significava che considerava il mio amore così
flebile da non
prendere nemmeno in considerazione l’idea di tornare a Londra
per lui? No, non
poteva pensarlo. Dovevo fargli capire la mia posizione, i miei motivi.
“Peter,
mi dispiace. Io ti amo, non hai idea
di quanto ti ami” cominciai, ma il giovane mi
zittì poggiando leggero due dita
sulle mie labbra.
“Lo so, Cathy, lo so. Ma
so
anche che non è una scelta facile quella di lasciare Narnia,
specie per te. Ti
capisco.” mi interruppe.
Scossi prepotentemente la
testa. “No che non capisci” obiettai in un
sussurro. Il nostro tono di voce era
lieve, come se entrambi temessimo di disturbare la quiete che ci
avvolgeva come
una coperta. “Non ho preferito Narnia a te, non ho scelto tra
due mondi, ma tra
due possibili Cathrine” gli spiegai.
Peter aggrottò le
sopraciglia. “D’accordo, non ti seguo”
ammise.
Gli scostai una ciocca
ribelle da davanti alla fronte e accennai ad un sorriso mesto.
“Ho provato ad
immaginare che persona sarei diventata a Narnia e a Londra.”
Premisi. “A Narnia
sarei la giovane strega rossa, apprezzata e utile con la sua magia, ma
soprattutto qui so qual è il mio posto, so come viverci e
questo mi fa sentire
indipendente e sicura di me.” Dissi con voce bassa
“Nella tua Londra invece
sarei un pesce fuor d’acqua, costretto a nascondere le sue
capacità, destinato
a non essere apprezzato né conosciuto, incapace di trovare
un suo ruolo e
dipenderei in tutto e per tutto da te. E questa è
un’immagine di me che non mi
piace.”
“Ma staremo insieme io e
te,
potremmo costruirci una famiglia” provò, anche se
gli leggevo in faccia che
sapeva quanto debole fosse il suo tentativo.
“Lo so, e non hai idea di
come mi piacerebbe. Ma non nella tua Londra. Nella mia sarei ancora
riuscita a
trovare un mio posto. Nel duemila le strade per le giovani donne sono
numerose,
al pari di quelle degli uomini, avrei trovato la mia via, ma nella tua
città
sarei unicamente la signora Pevensie, priva di qualsiasi indipendenza.
Mi
spiace ma non posso vivere così, non posso dipendere
totalmente da qualcuno, è
un’idea che mi spaventa, anche se quel qualcuno saresti
tu.”
“Perché?”
mi chiese
soltanto. Fui sollevata nel sentire solo voglia di chiarimento nella
sua voce e
non acrimonia.
“Perché
perderei la cosa più
importante”
“Ovvero?”
L’assenza
di cosa mi farebbe mancare l’aria?
“La mia
libertà” gli
risposi, semplice, diretta. “Allontanandomi da te
probabilmente mi precludo
l’unica cosa che renderebbe la mia vita felice, ma senza essa
so che non
riuscirei a vivere né felicemente né
infelicemene.”
Peter si morse il labbro,
assimilando le mie parole. Restai immobile, aspettando una sua
reazione, una
parola, un gesto. Qualsiasi cosa mi facesse capire cosa stesse
pensando. Solo
quando mosse le labbra permettei al mio diaframma di alzarsi nuovamente.
“Capisco”
mormorò. “E
approvo la tua scelta”.
Trassi un sospiro di
sollievo. “Davvero?” chiesi conferma quasi
incredula. Speravo non si
arrabbiasse o si adombrasse, ma di certo non immaginavo di ottenere
persino la
sua approvazione.
Peter abbozzò un sorriso
malinconico.
“Egoisticamente avrei voluto tu venissi con me, ma sono
contento che tu abbia
trovato la tua strada, anche se è diversa dalla mia. Quando
ti ho vista la
prima volta eri un pulcino smarrito. Non sapevi chi eri, dove andare,
con chi…
Ora invece davanti a me ho una donna forte, che sa cosa vuole e che
è riuscita
a trovare il suo posto nel mondo. E io non posso che essere fiero e
contento
per te, mia fulgida stella.”
Sentii gli occhi farsi
lucidi. “Oh Peter…” balbettai, le labbra
tremanti.
“Shh” mi
intimò scuotendo la
testa e sfiorandomi teneramente. “Ora basta, per favore.
Domattina, i raggi del
sole ci illumineranno due strade diverse, ma ora la luna rischiara
un’unica via
ed io intendo percorrerla con te per tanto che le stelle saranno in
cielo” mi
sfiorò le labbra con un bacio. “Voglio sentirti
vicina a me finché posso.”
Sussurrò con voce bassa e suadente.
Gli presi il viso tra le
mani e lo trassi a me per sottolineare quanto concordassi con le sue
parole.
Dentro di me il dolore stava per aprire una voragine
che solo con molta difficoltà e molto tempo
sarei riuscita a rimarginare, ma per il momento quel crudele sentimento
doveva
restare fuori dalla nostra bolla di sapone, che nonostante la sua
fragilità era
riuscita a resistere alla nostra discussione. Avevo soffiato con
sufficiente
energia per proteggerla, ma soprattutto aveva soffiato anche Peter,
desideroso
quanto me di godere di quell’ultima notte che ci era concessa
senza essere
turbati da brutti pensieri, dimenticandoli l’uno nelle labbra
dell’altro.
Ci sarebbe stato tempo per
piangere. Ci sarebbe stato tempo per crogiolarsi nei ricordi. Sarebbero
stati
la mia unica compagnia in lunghe serate rannicchiata in un grande letto
vuoto.
Più avanti, nei giorni, nei mesi, negli anni successivi. Non
certo quella
notte.
La consapevolezza che
quell’incanto non sarebbe durato che poche ore si perse nelle
lenzuola blu
mare. Quello che temevo era il futuro, ma esso non era ancora giunto.
Attualmente c’era il presente. Un meraviglioso presente in
cui intendevo
smarrirmi.
Al momento l’unica cosa
di
cui si volevano riempire i miei occhi era la visione dei suoi
lineamenti
angelici e del suo petto marmoreo e caldo sotto il mio tocco.
L’unica cosa
sopra la quale la mia mente voleva soffermarsi era la sensazione di
essere sua.
Unicamente e semplicemente sua, come le sue mani mi ricordavano
disegnando
complicati arabaschi sulla mia pelle improvvisamente ardente. Mani
delicate, ma
che non si risparmiavano così come le sue labbra morbide
eppure passionali come
fuoco.
Il mondo esterno si
distrusse. Peter era il mio mondo. I suoi occhi, il mio cielo. Il suo
petto, la
mia terra. Il suo respiro, caldo sulla mia spalla e leggermente
affannato, il
mio vento. La sua voce, roca e profonda mentre sussurrava il mio nome,
l’unica
e la più bella melodia dell’universo. Le sue mani,
raggi di sole che mi
riscaldavano percorrendomi.
Per quella notte, c’era
solo
Peter.
*
“CHE COSA?”
La voce squillante di Lucy
riempì indignata la stanza.
“Non starete parlando sul
serio spero” si accodò Edmund, scoccanto
un’occhiata allibita al fratello
maggiore.
Peter lanciò uno sguardo
d’aiuto a Susan. Di solito era lei quella che sapeva da che
verso prendere i
fratelli.
Susan alzò le mani in
segno
di calma e avanzò di un passo. “Ci abbiamo
riflettuto a lungo e questa è la
scelta più giusta, credeteci” cercò di
convincerli.
Lucy la guardò scettica,
alzando un sopraciglio. “Come puoi parlare così?
Secondo te abbandonare Narnia
per sempre è una scelta giusta?”
“Di certo non lo
è
abbandonare voi due!” ribatté Peter. La sua voce
era stanca. Si era svegliato
presto quella mattina, sapendo di dover adempiere a quello spiacevole
compito.
Aveva rimandato fino all’ultimo, ma prima a poi quella
discussione la doveva
affrontare. Occorreva pur dire a Edmund e a Lucy che dovevano lasciare
Narnia.
Di nuovo.
“Ma non sarebbe mica un
addio. Solo un arrivederci” strillò la bimba
picata.
Peter si massaggiò le
tempie. La voce acuta di Lucy gli avrebbe senz’altro fatto
venire il mal di testa.
“Si ma a tempo
indeterminato. Potreste tornare tra un mese ma anche tra dieci anni, e
io non
ho alcuna intezione di farvi partire da soli senza sapere quando
potrò
rivedervi. Siamo una famiglia e le famiglie restano unite.”
Intervenne Susan,
cercando di essere abbastanza risoluta da porre fine al discorso.
Speranza vana.
“No, le famiglie si
contraddistinguono perché si vogliono bene, non
perché restano ottusamente
appiccicate anche a rischio della propria
felicità!” affermò la più
piccola dei
Pevensie, alzando ostinatamente lo sguardo sulla sorella, lasciando
quest’ultima interdetta per la veemenza delle sue parole.
“Cosa vuoi
dire?”
“Lo sai perfettamente
Peter.” Si intromise Edmund. “Io e Lucy non abbiamo
scelta, dobbiamo tornare,
ma sapendo che rivedremo ancora Narnia lo accettiamo di buon grado. Per
te e
Susan è diverso. Potete scegliere dove vivere e state
facendo la scelta
sbagliata.”
“Non vi
lascerò partire…”
incominciò a ribattere il biondo, iniziando a scaldarsi per
l’insistenza dei
fratelli minori. Possibile che non capissero quanto costava loro quella
decisione? Dovevano anche mettersi loro due a complicare le cose?
Edmund però lo
interruppe,
alzando il tono di voce. “Tu e Susan volete restare a Narnia.
È chiaro ed è
giusto così. Amate questa terra e vi sentireste in colpa per
il resto della
vita se aveste la consapevolezza di averla nuovamente privata di un re,
di non
aver adempito ai vostri doveri nei suoi confronti.” Disse,
inchiodando il
ragazzo di fronte a sé con lo sguardo più fermo e
sicuro che Peter gli avesse
mai visto
“Senza contare che
entrambi
lascereste indietro molto più che un regno. Non avete
pensato a Caspian e a
Cathrine? A come si sentiranno? E a come vi sentirete voi senza di
loro, senza
vederli mai più? Tornando a Londra vi condannate
all’infelicità” rincarò Lucy,
la voce un poco più bassa di prima ma non meno coinvolta.
Susan e Peter si scambiarono
uno sguardo affranto. Sapevano che tutto quello che i fratelli avevano
detto
era terribilmente vero.
Oh, se lo sapevano…
Alla sola idea di deludere
ancora il loro popolo, quel popolo che li aveva accolti, acclamati e
che tanta
fiducia aveva nei loro sovrani, Peter si sentiva come un ladro che
fuggiva
furtivamente dal suo compito. E il pensiero di Cathrine…
quello lo faceva semplicemente
morire.
Ma cosa poteva fare? Aveva
dei doveri anche nei confronti della sua famiglia. Non
l’avrebbe divisa, non
l’avrebbe lasciata sola. In più Edmund e Lucy non
avevano considerato che anche
l’idea di non rivedere più loro due gli straziava
il cuore. Erano i suoi
fratelli più piccoli, erano vissuti sempre insieme, sempre
presenti gli uni per
gli altri, supportandosi nei momenti di difficoltà e
condividendo gioia e
dolore. Come poteva separarsi da loro? Erano come una parte di lui.
Si sentì stringere il
braccio da una mano piccola e calda. Abbassò di poco gli
occhi e un paio di
grandi iridi castane gli sorrisero.
“Peter, tu e Susan siete
i
fratelli migliori del mondo, vi siete sempre presi cura di me e di
Edmund, ma
non dovete sacrificare l’intera vostra esistenza per noi.
Credi che noi
potremmo davvero vivere contenti sapendo che voi avete rinunciato alla
vostra
felicità per seguirci?” gli disse, prendendo il
discorso con più calma. “Tu e
Susan dovete restare qui. Questa è la cosa più
giusta.” ripeté convinta “Qui
siete davvero indispensabili, il popolo ha bisogno di voi e voi di lui.
Tu in
particolare, dato che soffri se non salvi la vita di qualcuno durante
la
settimana.” Peter abbozzò un sorriso mentre
portava con una carezza una ciocca
castana dietro l’orecchio della sorellina “Qui
sarete felici. Vi costruireste
una vostra vita. Una vita passate nella terra che adorate, a svolgere i
doveri
che più vi convengono. Ma soprattutto una vita insieme alla
persona che amate.
Avete trovato l’amore qui a Narnia e se ve lo lascerete
scappare lo
rimpiangerete per tutta la vita, ne sono certa. Ed io non posso
permettere che
ciò accada, non per una motivazione così
sciocca.”
“La famiglia è
una
motivazione sciocca secondo te?” chiese retorico il biondo
interrompendola.
Lucy sbuffò irritata.
“Noi
saremo sempre una famiglia, la distanza non distrugge un legame
profondo come
il nostro.” Lo rimbeccò “E poi sono
certa che non sarebbe una lunga lontananza.
Aslan non lo permetterebbe, lo conosci, non ci lascerebbe divisi. Poco
tempo ed
io ed Edmund saremo tornati. E tutti insieme potremmo vivere a
Narnia” concluse
con un sorriso volto ad infondere fiducia nei fratelli maggiori.
“Sul serio, non potete
chiudere le porte ai vostri desideri per una scusa simile. Io e Lucy
siamo
cresciuti. A Londra ce la caveremo benissimo, non abbiamo
più bisogno della
vostra protezione, e Aslan è d’accordo con noi o
non vi avrebbe nemmeno messo
nella condizione di scegliere. Qualche tempo e poi saremo di nuovo
uniti.”
Aggiunse Edmund cercando di farli ragionare.
Peter sospirò e
cercò aiuto
nella sorella. Vide nel suo viso la stessa indecisione che albergava
nel suo.
Guardò allora la piccola
Lucy, ancora teneramente stretta al suo braccio, e vi scorse, oltre la
convinzione per la sua causa, il dispiacere per la loro eventuale
separazione,
anche se era certa che sarebbe stata breve. Lo stesso lo scorse negli
occhi
scuri di Edmund.
Anche loro avrebbero
sofferto nel dividersi, come lui. Poteva dunque lasciarli andare a
farli patire
una sofferenza che avrebbe potuto evitare?
“Quest’inutile
discussione è
andata avanti fin troppo a lungo. La decisione è
già stata presa. Tra qualche
ore partiremo tutti e quattro.” Decretò, sperando
che non si accorgessero di
come la sicurezza che mostrava fosse in realtà simulata.
Edmund sospirò, irritato
e
desolato al contempo per la testardaggine del fratello. Lucy lo
guardò affranta
e scosse la testa, ma non osò ribattere niente. Aveva
tentato tutto il
possibile.
Susan si avvicinò al
biondo
e gli sorrise mesta, triste, comunicandogli di essere
d’accordo, ma che, come
lui, ne doleva.
Aveva fatto davvero la
scelta giusta? Aveva passato la serata precedente ad auto convincersi.
Aveva
convinto Cathrine e aveva cercato di dirlo in maniera convinta anche ad
Edmund
e Lucy. Loro però erano riusciti a far crollare la certezza
che si era con
tanta fatica costruito. Le cose che avevano detto, le affermazioni su
Aslan,
sulla loro indipendenza, sulla loro felicità, sui loro
diritti e i loro doveri,
ogni cosa metteva in discussione la sua scelta.
E se fosse rimasto? Cosa
sarebbe accaduto?
L’immagine della sua
Cathy,
con i capelli arruffati e il sorriso che gli regalava ogni mattina
quando si
svegliava, gli riempì la mente. Avrebbe vissuto con lei,
ogni giorno si sarebbe
destato con lei tra le braccia e si sarebbe addormentato al suono del
battito
del cuore della giovane contro il suo petto. Avrebbe potuto provvedere
al
benessere del suo popolo. Riprendere il governo da dove lo aveva
interrotto
milletrecento anni fa e riportare Narnia al suo splendore originale.
Proteggerla da eventuali invasori o da qualsiasi cosa avesse osato
minacciarla.
Ma Lucy e Edmund sarebbero
stati soli a Londra. Loro due affermavano di essere capaci di badare a
se
stessi, ma ai loro occhi erano ancora così innocenti,
così inesperti del mondo.
Lucy si intrufolava ancora nel suo letto quando la sera il tuono di un
temporale la spaventava mentre Edmund era nell’adolescenza,
un’età difficile
dove si ha bisogno di una persona più grande accanto, capace
di guidarti, di
essere un modello. Poteva lasciarli in balia di loro stessi? Per quanto
tempo
poi? In cuor suo sapeva che Lucy aveva ragione su Aslan. Non avrebbe
acconsentito ad una lunga lontananza. Ma qual era il concetto di
“lunga” per
una creatura immortale?
Non poteva rischiare di
scoprirlo. Doveva partire. Anche se…
*
I raggi del sole inondavano il
corridoio, sostituendo la fioca luce delle torcie accese fino a qualche
ora
prima. Quei dannati e crudeli raggi che segnavano l’inizio
del giorno. Di quel giorno. Il
giorno della partenza
dei Pevensie.
Il mio infantile desiderio
che la notte -quella meravigliosa notte che avrei ricordato per sempre-
appena
trascorsa durasse in eterno, non si era avverato ovviamente. La luna
era
calata, e il suo posto era stato preso dal cerchio di fuoco che aveva
svegliato
me e Peter, ancora teneramente abbracciati.
Il giovane biondo a
malincuore aveva lasciato il letto per dirigersi verso la camera del
fratello
minore, dove mi stavo dirigendo. Gli aspettava un compito gravoso,
quello di
informare Edmund e Lucy della loro imminente partenza, annuncio
rimandato più a
lungo possibile per far godere a pieno la serata precedente ai due
ragazzi
senza nefaste notizie.
Dinanzi alla porta del
stanza di Edmund trovai Caspian. Il giovane mi accolse con un sorriso
triste,
desolato, che ricambiai con un cenno.
“Credi possiamo
entrare?” mi
rivolsi a lui.
“Penso abbiano finito.
È
un’ora buona che stanno parlando e
ormai…” la sua voce si incrinò,
lasciando la
frase in sospeso.
Gli strinsi il braccio,
facendogli capire che gli ero vicina, che lo capivo. Caspian mi
guardò in viso
e colse il significato del mio gesto, quale scelta alla fine avessi
fatto. Solo
quella avrebbe motivato
l’ombra nelle
mie iridi.
“Hai deciso di
restare”
constatò. Il tono era modulato per sembrare neutrale, ma
riuscii a sentire una
traccia di sollievo. Evidentemente l’idea di non venire
abbandonato proprio da
tutti non poteva che fargli piacere. Potevo comprenderlo anche in
questo. Io
per prima ero felice di sapere che almeno un amico sarebbe rimasto al
mio
fianco, che non sarei stata completamente sola.
“Se
c’è una camera per
me in questo bel
castello…” accennai
cercando di scherzare per alleggerire l’argomento.
“Tutte quelle che
vuoi” mi
rispose sincero.
Gli sorrisi grata,
dopodiché
mi feci forze per girare la maniglia. In quelle ultime
ventiquattr’ore aprire
le porte era diventato un compito incredibilmente faticoso.
Quattro paia d’occhi si
voltarono verso di noi, sorpresi di vederci. Era evidente che il nostro
ingresso aveva interrotto una discussione ancora in corso.
Imbarazzata abbassai lo
sguardo sulle mie mani intrecciandole nervosamente, sentendomi
un’intrusa in
quella che era una chiara riunione familiare.
“Ehm”
cominciò Caspian, a
disagio quanto me “Io volevo solo avvisarvi che è
tutto pronto. Il popolo e
Aslan vi stanno aspettando nella piazza per il commiato” li
informò diligente.
“Grazie, arriviamo
subito”
gli rispose Peter, lanciando un’occhiata ai fratelli per
cogliere eventuali
obiezioni.
Per il
commiato.
Sentii il respiro mancarmi,
mentre il fantasma di quello che avevo temuto da ieri sera diventava un
fatto
reale e concreto. Un fatto immediato.
Tra poco sarebbero partiti
ed io non li avrei mai più visti. Il corpetto si fece
stretto, l’aria pareva
essere stata risucchiata via dalla stanza. Avrebbero attraversato il
portale,
andando a Londra, lontano da qui.
No, non potevo farcela a
vederli andarsene. Era troppo.
Sperando che avrebbero
capito, mi schiarii la voce richiamando la loro attenzione.
“Ragazzi, scusatemi ma
non
credo di riuscire a vedervi attraversare il portale. Non ce la
faccio.” Ammisi
con un sussurro fioco, come se fosse una fatica immane pronunciare
quelle poche
parole. “Vi dispiace se vi saluto qui?” supplicai,
respirando affannosamente
per soffocare il pianto che sentivo ormai prossimo.
I loro occhi, lucidi come i
miei, mi accarezzarono con dolcezza e compassione, capendomi.
“Ma certo Cate, non
dovevi
nemmeno scusarti”
Edmund mi si avvicinò
per
primo abbracciandomi forte. “Stammi bene, mi
raccomando.” Mormorò
accarezzandomi una guancia al pari di un vero fratello. “Ti
auguro una vita
piena di felicità, te la meriti”.
Ecco, come fa una persona a
trattenersi dal piangere, pur con tutti i buoni presupposti di questo e
dell’altro mondo, se poi un amico ti dona un addio del
genere? Non era dunque
colpa mia e della mai debolezza se la prima lacrima scappò
dal mio controllo.
“Grazie Ed, abbi cura di
te
anche tu. E soprattutto controlla che Peter non si cacci nei guai
perfavore”
aggiunsi a suo unico beneficio.
Edmund accennò ad una
lieve
risata alla quale mi unii, anche se avevo iniziato a tirare su con il
naso,
ricercando un minimo di “self-control” che pareva
avermi abbandonata.
Mi si accostò poi la
piccola
Lucy. Dai suoi occhi colmi di lacrime constatai a come avesse
già rinunciato al
ritegno al contrario di me. I suoi grandi occhi castani mi guardarono
con un
mare di tristezza prima di gettarmi le braccia al collo.
“Mi mancherai
tantissimo”
bisbigliò, singhiozzando.
“Non quanto tu mancherai
a
me” ribattei, mentre un seconda lacrima scivolava lungo la
guancia.
“Però noi due
ci rivedremo
vero? Aslan ha detto che io ed Edmund torneremo”
balbettò.
La sua voce era piena di
speranza, una speranza alla quale mi aggrappai anche io. Sapevo che le
possibilità di rivederci nella sua terza visita a Narnia
erano poche, ma non
potevo biasimarmi per accendermi una piccola luce per alleviare la
nostra pena,
per questo dissi: “Lo spero tanto. Sappi che vi
penserò ogni giorno finchè non
tornerete. Ti voglio bene.”
La bimba aumentò la
stretta
prima di scioglierla. Con un’espressione mesta e intenerita
le asciugai le
lacrime che le solcavano il dolce viso a forma di cuore, poi le posai
un bacio
sulla fronte, pregando silenziosamente che le nostre speranze si
avverassero.
Avrei dato qualsiasi cosa per poter rivedere quella ragazzina, che
alternava in
maniera adorabile comportamenti infantili e saggezza da adulti, e che
per me
era diventata praticamente una sorella minore. Dire che le volevo bene
era stato
riduttivo, ma sapevo che lei conosceva e condivideva i miei sentimenti.
Con un’ultima carezza, mi
allontanai da lei per dirigermi verso Susan. La ragazza era
l’unica Pevensie
con la quale avevo avuto a che ridire. Era stata la più
diffidente per la mia
natura di strega, la più propensa a vedere in me anche un
asso nella manica da
usare contro Telmar e la più arrabbiata per la mia unione
con Jadis. Avevamo
urlato, avevamo litigato, ma alla fine eravamo riuscite a comprenderci
e a
volerci bene. Tanto che ora l’unica cosa che mi veniva in
mente guardandola non
erano le sfuriate e i disaccordi, bensì che avrei perso una
cara amica.
Un’amica con la quale avevo lottato fianco a fianco nei
momenti difficili,
un’amica che si era aperta rivelandomi i suoi sentimenti
sedute su un prato in
un caldo pomeriggio.
Senza tentennare
l’abbracciai, e subito fui ricambiata.
“Sei una delle persone
più
determinate e caparbie che abbia mai conosciuto e ti ammiro per questo.
Non
perdere mai la tua forza, mi raccomando” le confidai quello
che pensavo di lei.
“Tu invece non perdere
mai
la tua bontà e il tuo altruismo, per i quali non
smetterò mai di ringraziarti”
ricambiò, sincera. Nella voce c’era
l’evidente segno che stava cercando di
mantenere la calma e non commuoversi come avevamo fatto io e sua
sorella. Avrei
dovuto aspettarmelo. Tuttavia dubitavo sarebbe riuscita a mantenere il
controllo fino all’ultimo. Era al limite, glielo si leggeva
nell’espressione
trattenuta del volto. Avrei voluto dirle che se si fosse lasciata
andare
nessuno glielo avrebbe sottolineato, ma rinunciai. Avrebbe giurato il
contrario
fino a negare l’evidenza.
Rimaneva ora solo una
persona. L’avevo lasciata appositamente per ultima, sperando
che salutando gli
altri mi sarei preparata al definitivo addio anche da lui. Purtroppo
però
quando posai il mio sguardo sul suo viso, le lacrime che salirono ai
miei occhi
mi illustrarono come non sarei stata preparata a quel distacco nemmeno
se
avessi salutato ogni abitante di Narnia.
“Noi iniziamo ad andare.
Ti
aspettiamo nella piazza Peter” propose Susan tempestiva.
Mentre i tre Pevensie e
Caspian uscivano dalla stanza, ringraziai mentalmente la ragazza per
aver
compreso la nostra situazione e averci regalato un momento di privacy.
L’ultimo.
Iniziavo a vedere la sua
immagine sfocata a causa delle lacrime, ma non passò il
tempo di un singhiozzo
che sentii le sue braccia avvolgermi, calde e accoglienti, come tante
volte
avevano fatto.
Affondai il viso nel suo
petto, riempiendomi i polmoni del suo profumo fresco, sperando
scioccamente che
potessi conservarne un poco per quando lui non ci fosse più
stato.
“Oh Cathy”
mormorò Peter
poggiato con la guancia sul mio capo, mentre immergeva una mano tra i
miei
boccoli. “Non piangere, ti prego” mi
supplicò con voce addolorata.
Svelta, con il dorso della mano
asciugai le goccie che avevano iniziato a cadere, sapendo che vedermi
così gli
avrebbe solo straziato di più il cuore. Dovevo cercare di
farmi forza, non
potevo permettere che fosse Peter a farsela per entrambi. Ma era tutto
così
doloroso. Avevo la sensazione di avere una spada affilata puntata sul
cuore,
pronta ad affondare nel mio petto appena le fatidiche parole di congedo
fossero
state pronunciate. Una sensazione che avevo già sentito la
prima volta che
temevo non avrei più rivisto Peter, quando gli avevo detto
“addio” per andare
da Jadis, ma non per questo meno dolorosa.
Presa dall’agitazione
suscitata dalla consapevolezza sempre più opprimente che il
nostro tempo stava
per scadere, mi aggrappai al colletto della camicia del ragazzo per
avvicinare il
suo viso al mio.
“Ascolta, voglio che tu
mi
prometta due cose”.
Peter poggiò la sua mano
destra sulla mia e con l’altra mi accarezzò il
viso. “Tutto quello che vuoi”
sussurrò, colpito dalla mia improvvisa foga.
“Promettimi
che…” la mia
voce, rotta da un pianto che cercavo di trattenere, tremava, rendendomi
arduo
il compito di dire ciò che dovevo. “che sarai
felice. Che ti farai una
splendida vita che non ti farà rimpiangere le tue
scelte”.
Scorsi un guizzò di
sorpresa
nel suo sguardo, subito sostituita da un’ombra di
tentennamento. Sapevo che la
mia era una richiesta difficile, ma volevo essere sicura che Peter
avesse una
vita lieta, che si costruisse un’esistenza appagante, con un
casa e una
famiglia.
“Promettimelo”
lo pregai
ancora.
Il biondo sospirò
afflitto
prima di bisbigliare “te lo prometto”.
Accennai ad un sorriso di
sollievo. La sua
sarebbe stata una vita
di cui purtroppo non avrei potuto far parte, ma almeno volevo fosse
felice,
come Peter si meritava. Era una consapevolezza che mi avrebbe aiutata a
superare la separazione.
“E che” la mia
voce questa
volta si abbassò, imbarazzata e timorosa di ciò
che stavo per chiedere, come i
miei occhi, improvvisamente molto interessati ai risvolti della sua
camicia
“ogni tanto, penserai a me. Che non dimenticherai quello che
c’è stato tra
noi”.
Sentii la stretta sulla mia
mano aumentare. “Cathy, come puoi anche solo ipotizzare che
non sarai più nei
miei pensieri?” ribatté quasi offeso. Prendendomi
il mento tra l’indice e il
pollice mi alzò il viso. “Credo non
passerà un singolo secondo senza che tu sia
la regina dei miei pensieri, come potrei dimenticarti? Sei la mia
stella,
ricordi?” affermò, serio e convinto.
La frase mi sciolse il
cuore, ma nonostante ciò scossi la testa, contrariata.
“Non è questo
che voglio.
Non puoi vivere con il mio ricordo sempre in testa e sperare di andare
avanti
con una nuova vita.” Gli poggiai il palmo della mano sulla
guancia. “Il passato
è passato, non può convivere con il presente e io
farò parte del passato.
Quello che ti chiedo è solo di tirarlo fuori ogni tanto da
un recondito
cassetto e di ripensare al mio volto con un sorriso, unicamente
questo.”
Precisai, sperando che mi capisse.
Peter sospirò e mi
strinse
al suo petto, la sua mano sul mio capo, senza aggiungere altro. Mi
presi la
licenza di considerare il suo silenzio come un si, anche se dentro di
me
pensavo che se fosse stato lui a farmi una richiesta simile non avrei
mai
potuto acconsentire.
Come avrei potuto non
pensarlo quotidianamente? Come potevo non provare nostalgia di quelle
calde
braccia che ora mi cullavano, facendomi sentire protetta?
La spada cominciò a
bucarmi
la pelle, come crudele ammonitrice.
“Ora promettimi tu una
cosa”
mormorò. Era una mia impressione o anche la sua voce era
rotta come la mia?
“Giurami che non smetterai mai di risplendere come hai fatto
per me. Sei una
persona speciale, destinata a brillare nel cielo di Narnia proprio come
una
stella. Non smarrirti nel buio della nostalgia e del rimpianto, ma vivi
illuminando la vita altrui.” Alzai il viso dal suo petto, gli
occhi spalancati.
Solo lui avrebbe mai potuto dedicarmi una frase tanto meravigliosa,
esaltando
qualità visibili solo ai suoi occhi ma che pronunciate da
lui sembravano vere
anche a me. “So che farai del bene a questo popolo, tu e
Caspian lo guiderete
in quest’era di pace” concluse. I suoi zaffiri
bruciavano di passione e
convinzione per quello che stava dicendo, un fuoco che cercava
però di arginare
il mare di dolore che scorgevo nelle iridi.
Preda della commozione,
dell’amore e della tristezza, lo baciai, non sapendo come
altro ribattere a
parole così sentite. Ma non un bacio pieno di passione e
dolcezza come quelli
che ci eravamo scambiati la notte appena trascorsa, nella penombra
della nostra
camera. Le mie labbra erano bagnate da lacrime di amarezza riuscite
infine a
sfuggire al mio controllo, un sentimento che si univa alla desolazione
e al
dolore. Le nostro lingue portarono avanti la famigliare danza
lentamente, come
se avessero bisogno di tempo anche loro per salutarsi e volessero
ricordare
ogni dettaglio dell’altra.
Quando ci separammo, stavo
ormai piangendo senza freni.
Peter mi guardò
intensamente. Aveva i lineamenti rigidi, tesi nell’evidente
tentativo di
mantenere un certo contengno, ma vidi nei suoi occhi tormento ed
afflizione.
Insieme ad una schiacciante consapevolezza.
“Devo andare”
bisbigliò a
suo malgrado con voce strozzata. Mi accarezzò con languore
straziante la
guancia rigata.
Dimentica di ogni ritegno,
tirai su con il naso e singhiozzando iniziai a scuotere la testa in un
infantile gesto di rifiuto. Avevo provato ad abituarmi
all’idea del distacco
nelle ultime ventiquattro ore, avevo cercato di autoconvincermi che era
la
scelta più giusta, avevo fatto presente a me stessa che ero
sopravvissuta al
primo addio che gli avevo dato, ma niente avrebbe potuto prepararmi
sufficientemente per quel momento, niente me lo avrebbe fatto accettare
completamente o me lo avrebbe fatto affrontare senza soffrire.
“Cathy” mi
richiamò, usando
il suo tono vellutato che mi fece chiudere gli occhi.
Mi costrinsi a fare dei
respiri profondi, facendo uscire l’aria dalla labbra con un
lieve tremolio.
Devi
essere forte, devi essere forte. Mi ripetevo come un mantra. Dovevo
lasciarlo andare,
non potevo trattenerlo lì con la forza.
Cercando di farmi sostenere
da una forza che in realtà non avevo, alzai le palpebre. Il
momento era giunto.
“Addio Peter”
La mia voce, un sussurro
tremulo che si disperdeva nell’aria satura di pianto.
Il ragazzo mi sfiorò le
labbra con le sue. Un’ultima volta.
“Addio mia
Cathy”
Un sussurro lieve eppure
abbastanza forte da spingere l’elsa della spada dentro il mio
petto.
Dei passi pesanti, oppressi
dalla mole di emozioni che sostengono, la porta che si chiuse e poi il
silenzio. Un silenzio capace di urlare più forte del rumore
la mia condanna. Se
n’era andato.
La lama affilata raggiunse
definitivamente il mio cuore. La sentii trafiggerlo con un colpo
deciso,
spietata. Inutilmente le mie mani corsero al petto, come se potessero
lenire
quel dolore interno con la loro sola presenza.
Di nuovo in poco tempo i
miei polmoni bruciarono per l’improvvisa mancanza
d’aria. Mi guardai attorno,
boccheggiando. Le quattro pareti divennero opprimenti, le vedevo
venirmi
incontro minacciando di schiacciarmi.
Dovevo andarmene da quella
camera.
Cercando di concentrarmi
riuscii a radunare le forze che le lacrime non avevano ancora
prosciugato. Con
una notevole fatica mi materializzai nelle scuderie di Telmar,
lì dove riposava
uno dei pochi amici che mi restavano.
“Fulmine!”
Con un nitrito il cavallo
rispose al mio richiamo, avvicinandosi sorpreso dalla mia visita.
“Cathrine, non dovresti
essere
nella piazza per il Com…” incominciò ad
apostrofarmi, ma si interruppe quando
mi guardò in viso. Arretrò con il muso. La mia
espressione era così stravolta
da destare quasi spavento? Probabilmente si.
“Cate, posso fare
qualcosa?”
mi domandò cambiando nettamente la direzione del discorso.
Gli fui grata per non avermi
chiesto perché piagevo. Avevo contato sulla sua intelligenza
da equino magico
per non dover dare spiegazioni.
“Portami alla
spiaggia per favore” lo pregai con
un fil di voce. Non occorreva specificare quale, ero certa avrebbe
capito.
Avevo bisogno di
allontanarmi da quel castello, da Telmar, da tutti. Avevo bisogno di
stare sola
per metabolizzare quella ferita che mi aveva aperto il cuore. E avevo
bisogno
di farlo nell’unico posto in cui avrei sentito la sua
presenza sempre.
La nostra spiaggia.
Ma per quanto la voglia di
raggiungerla più in fretta possibile fosse tanta, ero
consapevole che non sarei
riuscita a smaterializzarmi così lontano nelle mie
condizioni. Per compiere un
viaggio del genere magicamente occorreva una grande concentrazione, e
al
momento la mia era impegnata a tenere malamente insieme i cocci della
mia anima
devastata.
Fortunatamente, Fulmine
accettò immediatamente di offrirmi il suo aiuto senza
aggiungere un’altra
parola e al galoppo attraversammo il ponte immettendoci nel bosco. Sul
suo
dorso, saldamente aggrappata alle redini, non mi restava altro che
sperare che
il vento che mi sferzava il viso, assieme alle lacrime si portasse via
al meno
una minima parte del dolore che mi trafiggeva.
*
Quando
sono per sempre, gli addii dovrebbero essere
rapidi. Lord
Byron docet. Un saluto,
una stretta di mano e ci si avvia per la propria strada, senza voltarsi
indietro. Semplice e lineare. Eppure perché al giovane re
biondo pareva
un’impresa impossibile allontanarsi dalla propria gente?
L’annuncio della loro
partenza imminente da parte del Re Supremo aveva sollevato veementi
proteste da
parte delle creature di Narnia, radunate nella piazza sottostante al
terrazzino
dove si trovavano i Pevensie, Aslan e Caspian. Proteste che Peter non
era
riuscito a non accogliere con una punta di orgoglio e soddisfazione,
nonostante
la tristezza del viaggio. Erano la riprova che il popolo li amava e che
li
volevano come sovrani quanto i Pevensie volevano continuare a guidarli
e
assicurarsi il loro benestare.
Purtroppo però non
sarebbero
bastate per impedire il loro ritorno in Inghilterra.
La
decisione ormai è presa. Si ripetè per la
millesima volta.
Facendosi forza, avanzò
di
un passo verso la folla, le mani alzate intente a istigare la calma.
“Popolo di Narnia,
è stato
un onore per i miei fratelli e me governarvi fintanto che ci
è stato concesso.
Purtroppo per noi è tempo di andarcene, ma nonostante la
pena sia grande, trovo
confronto nel sapere di lasciarvi in ottime mani” con lo
sguardo si rivolse a
Caspian, in piedi alla sua destra. “Re Caspian
saprà guidarvi in questa nuova
era di pace, assicurandovi la prosperità che vi siete
guadagnati duramente”.
Detto questo si avvicinò al giovane sovrano, il quale lo
fissava grato delle
parole pronunciate dal maggiore dei Pevensie. Peter gli tese la mano,
afferrata
prontamente da Caspian in una stretta forte. Solo un’occhiata
e una presa sulla
spalla. Nient’altro, ma bastava per trasmettere tutto
ciò che doveva essere
detto. Si erano trovati in disaccordo su molti punti, c’era
stato antagonismo
ed erano arrivati persino a minacciarsi l’un
l’altro, ma alla fine avevano
imparato a conoscersi, a rispettarsi e, senza nemmeno che se ne
rendessero
conto, a fare affidamento durante le battaglie o nella quiete della
quotidianità. Erano diventati amici.
Appena il giovane biondo si
fece da parte, fu il turno di Edmund e Lucy di prendere congedo dal ex
principe. Il saluto di Edmund fu simile a quello del fratello. Una
stretta di
mano, poche ma sentite frasi di commiato. Diverso fu invece quello
della bimba.
I suoi occhi, lucidi da quando si era separata da Cathrine, avevano
ripreso a
lacrimare sulla spalla del ragazzo quando questo si era chinato per
abbracciarla.
Lord Byron aveva ragione.
Gli addii avrebbero dovuto essere brevi. Estenderli con parole e
abbracci
prolungava solo la lenta agonia del separarsi. Eppure il definitivo
distacco
spaventava al punto da preferire allungare il commiato. Pur di
procrastinare
anche di poco quell’ineluttabile evento, si era disposti a
sopportare quella
pena. Gli addii avrebbero dovuto essere brevi, era vero, ma Lord Byron
non
doveva aver tenuto conto dell’indole prettamente masochista
dell’animo umano.
Come conferma delle sue
riflessioni, Peter scorse il viso di Susan mentre si apprestava ad
avvicinarsi
a Caspian. Colpito vide i grandi occhi castani della sorella,
solitamente
imperturbabili, lucidi e pronti al pianto. Probabilmente seguire il
consiglio
del poeta inglese, limitarsi ad un cenno di saluto e scappare lontano
da quel
luogo, le avrebbe risparmiato le lacrime che sarebbero certamente
sgorgate
durante il bacio d’addio che si stavano per dare. Ma Peter
ben sapeva che per
nulla al mondo la ragazza avrebbe rinunciato a quell’ultimo
bacio, anche se
aveva il velenoso sapore della separazione.
Peter avrebbe voluto
lasciare a Susan e a Caspian la stessa privacy che era stata concessa a
lui e a
Cathrine, purtroppo però non poteva allontanare un centinaio
di persone e
lasciare la piazza a loro. L’unica cosa fattibile era che
lui, Edmund e Lucy
cominciassero ad avviarsi verso il portale. Almeno Susan avrebbe potuto
separarsi da Caspian senza essere sotto lo sguardo più
interessato e vicino dei
fratelli.
Con un cenno del capo
richiamò l’attenzione di questi ultimi,
intimandoli a seguirlo. Solo dieci
passi lo separavano dal portale spazio-temporale, aperto dividendo
magicamente
il tronco di un albero in due parti dal Grande Felino, che lo avrebbe
riportato
a Londra. Casa sua. Molto, molto lontano da quel luogo meraviglioso.
Un luogo che aveva sentito
suo dal primo momento. Che aveva imparato a conoscere e ad apprezzare
al punto
da considerare più normali gli animali parlanti che quelli
muti di Londra.
Nove passi.
Inspirò a fondo,
chiudendo
un’istante gli occhi. L’aria stessa in quel luogo
sembrava essere più pulita,
satura del profumo dei fiori e della magia. Niente a che vedere con lo
smog e i
fumi che rendevano Londra inquinata e grigia.
Otto passi.
Voci di protesta che a gran
voce urlavano il suo nome giungevano ancora alle orecchie di Peter. Il
popolo
lo reclamava. Il suo popolo gli
stava
chiedendo di restare. Questa volta non lo avrebbe lasciato
completamente in
balia di se stesso, Caspian avrebbe salvaguardato il benessere dei suoi
sudditi, ma il giovane era comunque prima re di Telmar, non di Narnia.
Lui,
Peter, era il re di Narnia, un re che per la seconda volta abbandonava
la gente
che aveva riposto fiducia in lui, persone che gli avevano affidato la
loro
esistenza, che lo volevano. Poteva davvero piantarli in asso? E lui
sarebbe
stato capace di convivere con il rimorso di non aver adempito ai suoi
doveri
verso le creature di Narnia? Senza sapere se realmente sarebbero
riusciti a
godersi la meritata pace senza che essa venisse turbata da agenti
esterni?
Sette passi.
Si lanciò un ultimo
sguardo
attorno, cercando di imprimersi nella memoria tutto ciò che
vedeva. Alla sua
sinistra, postura dritta e pugno chiuso sul cuore, sostavano il
valoroso Ripicì
e il minotauro Morris. Due creature magiche, appartenenti a libri di
fiabe,
teoricamente inesistenti, nelle quali però Peter aveva
sentito la fedeltà e
l’amicizia più vere e presenti che in qualunque
uomo o donna del suo mondo. In
quel luogo aveva trovato degli amici leali ai quali aveva
più volte affidato la
sua vita senza esitare. Dubitava che sarebbe riuscito a stringere
legami così
profondi una volta tornato a casa.
Sei passi.
Casa. Per tutto quel tempo
aveva ribadito a se stesso che Londra era casa sua e che quindi era
giusto
tornarci. Ma il termine “casa” dopotutto non
indicava un concetto relativo? Chi
aveva decretato che la propria “casa” era il luogo
in cui si nasceva? “Casa”
non era il posto dove si desiderava stare? Nella quale ci si sentiva a
proprio
agio come se si fosse una parte integrante di esso? Dove si era voluti
e amati?
Il posto in cui si voleva vivere? Era proprio Londra
“casa” sua?
Cinque passi.
Cosa avrebbe fatto una volta
tornato in Inghilterra? Avrebbe proseguito gli studi e poi trovato un
lavoro.
Forse, dopo qualche anno, sarebbe anche riuscito a costruirsi una casa
tutta
sua. Ma sarebbe davvero stato felice? C’era stato un tempo,
molti anni prima
quando mondi come Narnia esistevano solo nelle sue fantasie, dove era
riuscito
a immaginarsi come membro rispettabile della comunità
inglese. Gli sarebbe
piaciuto entrare nell’esercito, avere una carriera militare,
sapere che con le
proprie azioni poteva riuscire a salvare la vita di altre persone. Ma
ora,
consapevole che il mondo di Londra non era l’unico esistente,
quel futuro che
appena quindicenne si era dipinto per lui era svanito, sostituito da
altre
aspirazioni, altri sogni. Aveva combattuto in groppa a grifoni e
unicorni,
guidato un esercito di nani arcieri e centauri spadaccini, aveva
amministrato
un regno per vent’anni, provvedendo alla sua
prosperità. Aveva ricostruito una
civiltà riportandola alla pace e allo splendore. Sarebbe
riuscito ad
abbandonare tutto questo, ad abbandonare il suo regno e la
consapevolezza di
poter fare tangibilmente del bene, per Londra? Dove il suo raggio
d’azione era
talmente limitato da dubitare che avrebbe realmente potuto rendersi
utile a
qualcuno? Sarebbe riuscito a vivere come una persona qualunque in una
realtà
piatta e banale?
Quattro passi.
L’ultimo anno passato in
quella città era stato un inferno, inutile negarlo. Aveva
sofferto la mancanza
della sua gente, ne aveva fatto quasi una malattia. Si era sentito
impotente e
insignificante, come se avesse avuto le mani legate per tutto il tempo.
Non era
riuscito a vivere in quella comunità perché non
se ne sentiva più parte. Si era
sentito un estranio tra coloro che una volta erano i suoi concittadini.
Con gli
anni sarebbe riuscito a riadattarsi, a trovare il suo posto in quel
mondo?
Tre passi.
A Londra però
c’erano i suoi
fratelli. Edmund e Lucy erano costretti a tornare, non poteva lasciarli
da soli
con il rischio di non rivederli mai più. Ma davvero non li
avrebbe più rivisti?
In cuor suo sapeva che quello che la piccola gli aveva detto era vero.
Aslan
non avrebbe mai acconsentito a tenerli separati a lungo. Ma comunque
per
qualche tempo avrebbero vissuto distanti. Si rendeva conto che entrambi
stavano
crescendo. Edmund era un giovane uomo, aveva acquisito
un’invidiabile sicurezza
di sé e sarebbe certamente stato in grado di prendersi cura
della sorella.
Mentre Lucy si stava avviando ad essere una splendida ragazza, senza
contare
che possedeva una saggezza di cui pochi potevano vantare anche in
età più adulta.
Ormai erano piccoli e indifesi solo ai suoi occhi, eppure separarsene
era
davvero difficile, il senso di protezione che aveva sempre avvertito
nei loro
confronti era smisurato e quasi impossibile da mettere da parte. Ma se
li
avesse seguiti per non separarsi da loro solo per qualche tempo avrebbe
davvero
condannato all’infelicità lui e Susan come i
fratelli minori avevano fermamente
sostenuto? La durata della separazione, se si aveva fede nella buona
indole di
Aslan, si prospettava breve, molto più dell’eterna
infelicità che sarebbe
derivata dall’allontanamento da quel mondo magico…
Due passi.
…e da Cathrine. Aveva
proibito a se stesso di soffermarsi su quel pensiero fintanto si fosse
trovato
a Narnia. Voleva mostrarsi forte davanti al suo popolo durante la sua
ultima
apparizione, proposito irrealizzabile se avesse pensato al congedo
preso dalla
ragazza. Separarsi da lei era stata l’azione più
difficile della sua vita.
L’amava e le aveva giurato che sarebbero restati insieme.
Infrangere quella
promessa e allontanarsi da ciò che illuminava la sua
esistenza era stato come
strapparsi il cuore dal petto. Dal momento in cui le sue braccia aveva
sciolto
la presa da quell’esile e caldo corpo, aveva avvertito un
vuoto, un senso di
apatia quasi paralizzante. Non era dolore, quello sarebbe giunto una
volta
metabolizzato l’avvenimento. Era semplicemente una
sconcertante assenza di
emozioni. Come se fossero state risucchiate via da lui da
quell’ultimo bacio a
fior di labbra che aveva dato alla sua stella. Sarebbe riuscito a
vivere senza
di lei? Le aveva promesso che sarebbe stato felice, che si sarebbe
ricostruito
una vita, eppure era convinto che non avrebbe potuto dividere la sua
esistenza
con nessun’altra ragazza oltre la sua Cathy. Quella ragazzina
che aveva trovato
sperduta nel bosco, animata da un fuoco e una grinta insospettabili da
quel suo
visino ingenuo, gli era entrata dentro quasi come un veleno,
prendendosi la sua
anima e la sua mente. Non sarebbe mai riuscito a disintossicarsi. Ma a
tormentarlo maggiormente era chiedersi se Cathrine invece ci sarebbe
riuscita. Quando
le aveva detto addio, aveva letto un dolore e un tormento insostenibile
nei
suoi grandi occhi azzurri. Il suo viso, di solito capace di illuminare
tutto
ciò che le era attorno, era spento, pallido, privo di
speranza. Una vista che
lo aveva ucciso. Aveva condannato anche lei
all’infelicità, un’altra persona
che si aggiungeva alla lunga lista di infelici che aveva creato con la
sua
scelta. Possibile che un decisione che portava tanto dolore fosse
realmente
quella giusta? Che avesse sbagliato, accecato da uno smisurato e non
necessario
senso del dovere che gli aveva impedito di giudicare oggettivamente la
situazione credendo che rinunciare alla propria felicità
fosse inevitabile per
percorrere la stada corretta?
Un passo.
Si voltò indietro, in
direzione della sorella. Susan si era separata da Caspian e li stava
seguendo.
Il suo volto riluceva della sofferenza che provava, eco di quella di
Peter.
Negli occhi, il filo dei pensieri del fratello maggiore.
Bastò uno sguardo tra
loro per comunicarsi ciò che dovevano.
La decisione era stata presa.
*
Con le braccia rannicchiate
al petto, come se con quel gesto infantile potessi trattenere i
molteplici
sentimenti che provavo ed evitare che esplodessero distruggendomi,
sedevo sulla
sabbia fine, poco distante dalle onde che indolenti si infrangevano
sulla battigia.
La gola bruciava, incapace di sopportare oltre il pianto che ora
proseguiva
sommesso. Le lacrime scivolavano giù a ritmo costante dai
miei occhi, fissi
sull’orizzonte. Desideravo smarrirmi nella vista splendida
del mare che si
univa con il cielo azzurro in un punto lontano, come se la mia
coscienza
potesse perdersi in quell’infinità.
Cercavo di non pensare. Mi
imponevo di non pensare. Se lo avessi fatto,
l’enormità della consapevolezza di
ciò che era successo mi avrebbe travolta con la forza di uno
tsunami. Non
pensare invece mi permetteva di far cullare la mia mente dal dolce
sciabordio
delle onde di quel mare calmo.
Quanto tempo era passato da
quando, fuggendo dalla realtà tra gli arbusti che celavano
la grotta, ero
giunta nella mia piccola oasi di pace, in quel piccolo
angolo di paradiso? Pochi minuti, ore? Non mi interessava.
Fuori da quella spiaggia non c’era niente ad attendermi, solo
un mondo che in
ogni cosa mi urlava l’assenza di Peter. Quel piccolo anfratto
invece mi parlava
di lui, lo sentivo vicino a me, e poco importava che fosse solo una
mera
illusione di una persona distrutta. Per me quella spiaggia tratteneva
il suo
ricordo. Nel colore del mare, riuscivo a scorgere la sfumatura degli
occhi di
Peter, la loro profondità mentre giurava di amarmi. Nei
raggi del sole, i
riflessi dorati dei suoi capelli, fini come i granelli di sabbia che
sentivo
scorrere tra le mie dita. Negli alberi e nelle roccie che cingevano la
baia, le
braccia del ragazzo che mi circondavano teneramente con la promessa di
proteggermi. Il vento tiepido, oltre all’odore della
salsedine, mi portava
invece l’eco della sua voce morbida mentre mi
diceva…
“Sapevo di trovarti
qui”
Il tempo parve fermarsi,
timoroso di rompere un incanto improvviso e ignoto con il suo incedere
continuo.
Il dolore mi aveva forse condotta alla pazzia totalmente? Il mio
desiderio di
averlo vicino era tanto grande da indurre la mia mente a sentire il
suono della
sua voce? Doveva essere così. L’alternativa era
facilmente verificabile.
Sarebbe bastato ruotare la testa di poco verso la mia destra, nella
direzione
in cui il suono mi era giunto. Ma se si fosse rivelata sbagliata, la
delusione
mi avrebbe dato il colpo di grazia.
“Se fossi partita tu,
avrei
cercato un luogo che mi parlasse di
te, e quale posto migliore di questo, dove per la prima volta ho
compreso
seriamente di amarti?”
Era troppo forte per essere
il flebile sussurro del vento. Troppo reale per essere il parto della
mia mente
addolorata.
Con il cuore in gola, mi
voltai lentamente. La mia bocca si spalancò di incredula
meraviglia quando i
miei occhi, sbarrati e lucidi, si posarono sulla figura
dell’ultima persona che
credevo di rivedere e dell’unica che avrei voluto accanto per
sempre. Peter,
retto in piedi, con le mani poggiate sui fianchi, mi sorrideva con la
felicità
di un bambino nel giorno di Natale davanti al regalo che più
aveva atteso.
All’improvviso il tempo
tornò a scorrere e sentii le mie energie, prima esaurite nel
languore dello
sconforto, tornare a pompare insieme al mio sangue. Corrergli incontro
e
gettarmi tra le sue braccia ansiose fu questione solo di
un’istante.
Ridendo di pura gioia, Peter
poggiò le sue mani sui miei fianchi e sfruttando il mio
stesso slancio mi alzò
in aria, facendomi volteggiare. Sentivo la pressione delle sue mani
bruciare
come fuoco, il suo odore di bosco e muschio inebriarmi di nuovo. Vedevo
ogni
sfumatura del color zaffiro delle sue iridi o dei riflessi dorati dei
suoi
capelli. Avvertivo la sua presenza con una forza quasi schiacciante,
come se
qualcuno avesse sviluppato i miei sensi prima ottenebrati.
Stupore, gioia, confusione,
felicità, tutto si agitò in una girandola di
sentimenti che culminarono quando
le mie labbra si posarono sulle sue, riprendendosi la pace che
l’ “addio”
pronunciato poche ore prima le aveva tolto. Fu come riunire due tessere
di un
puzzle, mi sentivo di nuovo completa, traboccante di vita, piena di
emozioni e di
voglia di provarle.
Peter era con me. Il mondo
poteva ricominciare a girare.
Il bisogno di ossigeno mi
costrinse a interrompere il bacio. Lo guardai, gli occhi colmi di
felicità
quanto le dita lo erano di tenerezza mentre sfioravano le sue labbra
ancora
umide. Avevo tante domande, una più importante
dell’altra, eppure quando parlai
l’unica frase che uscì fu
un’affermazione. Semplice, forse scontata, ma per me
era di vitale importanza ribadirla ad alta voce ora che il destino mi
aveva
dato la possibilità di farlo.
“Ti amo”
Un sorriso sghembo si
dipinse sul suo bel viso. “Perché credi che io sia
qui se non perché ti amo
anch’io?” rispose, sfregando lieve il suo naso
contro il mio.
Lo baciai ancora, come a
confermare la sua reale presenza su quella spiaggia, scongiurando il
pericolo
che si trattasse di un miraggio.
Non riuscivo a credere fosse
lì, che fossi tra le sue braccia. Gli avevo detto addio, il
mio cuore si stava
rassegnando ad abbandonare la sensazione di battere quel dolce
sentimento
chiamato amore, eppure Peter era lì. Gli avevo detto addio
perché il destino
sembrava avesse deciso che le nostre strade dovevano essere separate,
perché i
nostri doveri e le nostre necessità non convergevano, eppure
Peter era lì. Se
fosse stato un sogno, volentieri non mi sarei mai più
svegliata, ma il brivido
che la sua mano, che morbida mi accarezzava il viso, mi procurava, mi
dava la
certezza che quella fosse la realtà. Una realtà
che non mi faceva più paura
perché invece di presentarsi deserta e dolorosa era
traboccante di speranza e
amore.
Perché Peter era
lì con me.
Incredibilmente, inspiegabilmente, meravigliosamente lì con
me.
“Ma
com’è possibile?”
mormorai, facendo scorrere i miei occhi sulla sua figura come se fosse
un’apparizione miracolosa, resa quasi divina dai raggi del
sole che definivano
i suoi contorni alle sue spalle.
“Ti ho promesso che sarei
stato felice, e io mantengo sempre le mie promesse” disse
solenne. Poi mi si
accostò all’orecchio come se dovesse svelarmi un
segreto. “Il problema, mia
Cathy, è che io posso essere felice solo se sono accanto a
te”.
A quelle parole sentii le
lacrime pungermi di nuovo, questa volta però per gioia, ma
le ricacciai
indietro, dimenticandole nelle tenerezza di un altro bacio.
“Ma Lucy ed Edmund, i
tuoi
doveri?” riuscii a impormi di chiedere.
Anche se mi vergognavo ad
ammetterlo, il mio interesse per quelle questioni al momento era pari
allo
zero, tuttavia una vocina interiore mi ricordò come forse
avrei dovuto evitare
di smarrirmi nella dolce sensazione che mi trasmettevano le sue labbra
e avere
notizie su aspetti più pratici. Tolta
quell’incombenza, sarei annegata nel mare
dei suoi occhi per non riemergerne mai più senza ulteriore
indugio.
“Loro sono partiti. Solo
Susan è rimasta qui” mi informò.
Una piccola parte della mia
mente registrò che a Telmar dovevano esserci dunque altri
due giovani amanti
preda della mia felicità. Non potevo che esserne contenta,
Caspian e Susan meritavano
il loro lieto fine quanto noi.
“E li hai lasciati
andare?”
la mia voce suonò quasi sospettosa. Peter mi era parso
fermamente convinto a
non abbandonare i fratelli minori, cosa gli aveva fatto cambiare idea?
Il biondo annuì, e
dall’ombra che aleggiò sul suo viso compresi che
la decisione presa non era
stata tra le più semplici.
“Non avrei voluto
separarmi
da loro, ma è Narnia ad avere più bisogno di me,
almeno quanto io di questo
posto. Lucy ed Edmund se la caveranno, anche se faccio fatica ad
ammetterlo,
sono cresciuti e sono in gamba. E poi non sarà per molto,
Aslan ci ha promesso
che presto li farà tornare” spiegò.
Le sue parole erano concise,
ma lo conoscevo talmente bene che riuscivo a leggergli
l’enorme conflitto
interiore che aveva affrontato dal tormento che ancora sostava nelle
sue iridi.
Nonostante fosse indiscutibilmente felice di essere rimasto, si sentiva
in
colpa nei confronti di Edmund e Lucy. Credeva di averli abbandonati e
quindi di
essere venuto meno al suo ruolo di fratello maggiore, anche se in cuor
suo
sapeva che i due ragazzi non correvano alcun pericolo a Londra.
Gli presi il viso tra le mani
e appoggiai la mia fronte sulla sua, riempiendo il suo campo visivo.
“Staranno bene, vedrai. E
tra meno di quanto pensi saranno di nuovo qui con noi”
affermai venendo
incontro alle sue angoscie inespresse.
Il sorriso con cui mi
gratificò mi fece comprendere che la mia intuizione fosse
giusta.
“E quando verranno,
saranno
felici di vedere la loro Narnia splendente come ai tempi
d’oro, forse anche di
più, grazie alla tua guida e al tuo operato.”
Sfregai il mio naso con il suo e
gli diedi un bacio leggero. “Sei il re migliore che Narnia
abbia mai avuto,
dire che questo paese abbia bisogno di te è un
eufemismo.” Conclusi, rincarando
la dose con la speranza di acquietare almeno un poco le sue ansie.
Peter a quel punto sorrise
malizioso. Veloce, mi prese in braccio senza sforzo, permettendomi di
cingergli
il collo con le braccia. “Non quanto io ho bisogno di te.
Sarei stato perso a
Londra senza la mia piccola stella” mi sussurrò
all’orecchio, procurandomi un
brivido lungo la schiena.
“Non hai idea di come mi
senta
ora. Vederti qui, sapere che non te ne andrai… la tua stella
si stava già
spegnendo dopo solo pochi minuti che ci eravamo lasciati. Non speravo
di
sentirmi di nuovo così felice” gli confessai,
mostrandogli su un piatto
d’argento la mia debolezza, il mio bisogno di lui, senza
alcuna remora o
timore, perché sapevo di svelarli ad un osservatore attento
e premuroso.
“Ti assicuro Cathy che
finché avrò fiato in corpo, non ti
lascerò mai più, qualsiasi cosa succeda. La
separazione porta troppo dolore, e io non voglio infliggertene mai
più. Saremo
felici. Insieme, qui a Narnia, perché questo è il
nostro posto.” giurò,
prendendo la mia mano destra nella sua e mettendosela sul cuore.
Poi mi baciò di nuovo,
suggellando le sue parole, facendomi volteggiare tra le sue braccia
mentre
girava su se stesso.
Ero ebbra di gioia e la
consapevolezza che le affermazioni di Peter erano vere mi donava una
pace e una
serenità che credevo non sarei mai riuscita a raggiungere.
Ero appagata, in
armonia con me stessa, con il fato e con il mondo.
Non temevo più il
futuro. Al
contrario non vedevo l’ora di viverlo, un desiderio che non
avevo mai provato
quando nella mia camera a Londra temevo di essere condannata alla
solitudine e
all’incertezza o quando, sul freddo davanzale del palazzo di
Jadis, temevo di
dover scegliere tra mia madre e la persona che amavo. O ancora quando,
rannicchiata su una spiagga deserta, ero certa che il mio cuore avrebbe
provato
tanto dolore da divenire incapace di provare un altro sentimento.
Avevo sempre visto il mio
futuro nebuloso, perché nel mio presente c’erano
solo verità celate e certezze
instabili. Perché non ero consapevole di chi fossi e non
sapevo chi avrei avuto
accanto. Avevo così poca fiducia nel mio avvenire che senza
riflettere mi ero
gettata in quell’avventura dimostratasi ben presto
più grande di me, convinta
che qualsiasi cosa mi avesse portato sarebbe stato meglio di quello che
avevo,
poiché ciò che possedevo era solo
un’infinito senso di incompletezza. Una
scelta avventata, ma che si era dimostrata la migliore che potessi
prendere,
perché quel giorno che mi aveva vista correre disperata e
lacrimante ad Hyde
Park, totalmente senza speranza, mi aveva cambiato lo vita, donandomi
tutto ciò
che mi mancava e che da sempre avevo agognato.
Quella notte avevo gridato
al cielo una domanda precisa. Perché
sono
qui? Avevo chiesto alle stelle, supplicando di rispondermi.
Perché ero al
mondo con quei poteri, che scopo aveva la mia vita, chi si interessava
a me?
Ora avevo la risposta.
Possedevo quei poteri
perché
ero la figlia della più potente Strega Bianca mai vissuta a
Narnia e il mio
scopo era difendere con la mia magia quella terra che era la mia vera
casa. Ma
soprattutto ero al mondo per godere dell’amicizia di persone
sincere e buone, e
dell’amore di un ragazzo che mi aveva aperto il cuore,
dimostrandomi quanto
potessi avere da un sentimento tanto profondo ma finora represso.
Dopo anni passati a soffrire
un presente buio e temere un futuro incerto, ero felice di vivere in un
presente che aveva il sapore dolce della bocca di Peter con davanti un
futuro
illuminato dal suo amore e dalle mie nuove certezze.