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Autore: 68Keira68    24/05/2011    3 recensioni
Non ti accadrà niente, io ti posso giurare che non sarai mai più sola per davvero. Attraversa il varco e sarai protetta."... Volevo scoprire la verità e se il mio destino era dietro quella sfera, l’avrei afferrato senza altre esitazioni. Chiusi gli occhi e feci un respiro profondo, dopodiché avanzai decisa all’interno del varco. Una ragazza con speciali e unici poteri magici cerca di vivere la sua esistenza nel nostro mondo, sentendosi perennemente isolata ed emarginata a causa delle sue capacità, finché un giorno le voci di due figure sconosciute, un leone e una donna, la invitano ad entrare nel loro mondo per non sentirsi più sola e per scoprire la verità che le era stata nascosta da sempre. La giovane accetta senza sapere le enormi conseguenze che avrà il suo gesto su tutti gli abitanti di Narnia, primo tra tutti il re Peter Pevensie, che incontra in circostanze burrascose ma con il quale instaurerà un legame dolce quanto pericoloso. In una Narnia già in lotta con il tiranno di Telmar, un nuovo male, proveniente direttamente dagli incubi più reconditi di ogni abitante magico, tornerà dal suo limbo più potente e assetato di vendetta che mai. NB: La storia segue gli eventi del secondo film e ci sono tutti i personaggi, anche se i principali sono Peter, Caspian, un nuovo personaggio e una vecchia conoscenza^^
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Aslan, Caspian, Jadis, Peter Pevensie
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciao carissime/i!!!!!! Ok, lo so, sono in mostruoso ritardo, però per farmi perdonare vi informo che ho già scritto l'epilogo e che quindi lo posterò a breve, poichè mi sembrava corretto pubblicare l'ultimo cappy e l'epilogo a poca distanza l'uno dall'altro. Sob, l'ultimo cappy. Alla fine è arrivato, se penso che le prime righe di questa storia sono state scritte in una lontana afosa serata di agosto del 2009 e ora siamo a maggio del 2011, mi sembra incredibile di essere davvero giunta alla parola "fine". Due anni sono tanti e le cose che sono successe sono ancora di più, cose che cambiano una persona (si spera in meglio) e di conseguenza anche il modo di scrivere, come credo vi sarete accorti. L'altro giorno stavo rileggendo i primissimi capitoli e quasi dubitavo di essere stata io l'autrice! Ma basta con i sentimentalismi, vi farò già penare con il contenuto del cappy, non occorre che vi torturi anche con l'angolo dell'autrice! E poi c'è ancora l'epilogo da pubblicare, quindi non pensate che dopo questo 22° cap vi sarete liberati di me, ho ancora le ultime pagine con la quale disturbarvi XD!!! 
Parlando di questo capitolo, come il precedente parte esattamente da dove si è concluso il ventunesimo, ovvero con Peter che dice a Cathy che il loro tempo è scaduto. Immagino abbiate tutti capito a cosa si riferisca, ma quindi come si comporteranno le nostre due coppie di piccioncini? Vi confesserò che il finale non lo avevo in mente chiaro come la maggior parte degli eventi della storia, ero indecisa tra il caro e dolce happy ending e un finale più poetico ma malinconico, indecisione che è durata fino all'ultimo e che è stata difficile da prendere. Spero che alla fine abbia fatto la scelta giusta e che la conclusione della storia vi piaccia :-) dopo tutta la pazienza che avete avuto nel seguirmi per questi lunghi ventidue capitoli, il minimo che vi devo è concludere la storia senza farvi venire la voglia di tirarmi pomodori e ortaggi vari! Fatemi quindi sapere cosa ne pensate e tenetevi pronti per l'epilogo, il quale sa.,le ultime righe che pubblicherò per questa storia, ve lo prometto XD! 

Ringraziamenti:

Bex: ciao carissima! Lo so, sono stata crudele a lasciare la storia con quell’affermazione di Peter però in mia difesa posso dire che credevo di metterci molto meno ad aggiornare, davvero! Adesso però che finalmente sono riuscita a postare spero di farmi perdonare con il contenuto del capitolo ! Sono felicissima che lo scorso cap ti sia paiciuto e che ti abbiano sorpreso le rivelazioni fatte da Aslan, le avevo in testa da tanto e non vedevo l’ora di scriverle, quindi sono contenta che siano state apprezzate, grazie mille!! Dunque premetto che il finale del secondo film a me non è piaciuto per niente neanche a me. Ero convinta che sarebbero rimasti tutti e quattro a Narnia e quando hanno comunicato il contrario credo di essermi fatta uscire un sonoro “no!” nonostante fossi al cinema XD! Però anche se l’idea dell’happy ending è molto bella o anche un debole per i finali magari più tristi ma poetici, quindi ero divisa tra queste due possibilità. Per ora non aggiungo altro, ti lascio il piacere (o almeno spero sia così XD) di scoprire cosa ho scelto leggendo! Non vedo l’ora di sapere cosa ne pensi, ti mando un grande bacio e ancora grazie per la tua recensione!!

Dahylia: ciao bella^^! Come potrei annoiarmi nel leggere la tua recensione? L'unica cosa che posso dirti è grazie mille per aver recensito lo scorso cap e per averlo apprezzato!!!!!!!!!!!!! La scena dell'incoronazione di Caspian è nata proprio perchè anche io avevo notato quel particolare nel film, un secondo prima stava combattendo contro Telmar e l'attimo dopo aveva la corona in testa O.o, però poi ho pensato che molto probabilmente ci aveva pensato Aslan a incoronarlo legittimamente ^^. La parte della festa è una delle mie preferite quindi sono felicissma che ti sia piaciuta e che tu sia riuscita a immaginarti bene la scena**, come anche la parte con Aslan, trattare personaggi di simile spessore non è molto facile, avevo paura di non aver reso bene l'aria di potenza e saggezza che emanava, quindi grazie per avermi rassicurata :-) Si, la magia Rossa rappresenta idealmente l'amore in contrapposizione all'egoismo ma anche più pragramaticamente il fuoco in opposizione al ghiaccio :-) Però, Jadis figlia di un gigante e della prima moglie di Adamo, alla faccia di avere parenti importanti XD! Thanks for the information :-) Anche io nel film ci sono rimasta malissimo quando i sovrani se ne sono andati, caspita, dopo tutto quello che avevano fatto, dopo tutte le fatiche compiute per quel regno, perchè mai Aslan ha dovuto rimandarli a casa senza la possibilità di ritornare per Peter e Su? L'ho trovata un'enorme ingiustizia! Sono andata comunque poi a vedere il terzo film, ma proprio come hai detto tu, senza Peter e Susan sembrava mancasse qualcosa, non era più lo stesso...:-(! Tuttavia capisco che i Pevensie non essendo originari di Narnai dovevano comunque imparare a vivere anche nel loro mondo, a Londra, problema che, essendo la storia tratta da Narnia 2, ho dovuto affrontare anche io in questo cappy. Come lo avrò risolto? XD sono sadica, lo so! Però spero tanto che il finale ti piaccia, sono curiosa di sapere cosa ne pensi! Ti mando un bacione e grazie ancora per la recensione:-)!
Ps: bello come significato
Niji_Shoku no Yume, molto poetico :-) però adesso giusto per non smentirmi devo chiederti il significato del tuo nuovo nickname! Di primo achito ti direi che mi ricorda il nome di qualche divinità greca o qualche ninfa, come Dafne, sono fuori strada o ci ho azzeccato? :-)

Freddy Barnes: Ciao caraaa! Grazie per aver recensito e per il tuo entusiasmo, davvero grazie^^! Sono felice che come mi sono immaginta l'incoronazione di Caspian ti sia piaciuto, e che sia riuscita a trasmettere la gioia dei personaggi nell'apprendere che finalmente la guerra era finita perchè avevo un sacco di dubbi su quale fosse il modo migliore per rendere quella parte. XD mi sa che hai ragione, la piccola Lucy dietro quel faccino tenero potrebbe nascondere un animo sadico, per esempio verso la fine del secondo film, quando è sul ponte con Aslan, tira fuori con aria angelica il pugnale sorridendo come se niente fosse...mah qua mi sa che dovrebbero stare molto attenti hihihihihii!!!!!!!! Sono felicissima che la storia su Suavitas ti sia piaciuta, l'avevo pensata da tanto e non vedevo l'ora di scriverla e sapere cosa ne pensavate!!!! Anche io sono triste che qst sia l'ultimo cappy, però mi consolo sapendo che ho ancora l'epilogo da pubblicare, gli addii e le lacrime me le tengo tutte per quello (mi spiace ma non scamperete al sentimentalismo della sottoscritta!). Ti lascio alla lettura e spero di leggere presto la tua recensione per sapere se l'ultimo capitolo ti sia piaciuto o meno :-) grazie ancora, un bracio grandissimo!!!!!

sweetophelia: ciao bellissima! Grazie per aver recensito^^ Sono contenta che tu sia riuscita a immaginarti bene le varie scene :-) Si, la storia di Suavitas ha richiesto diverso tempo, però mi sono divertita tantissimo a costruirla passo per passo, il bello di scrivere dopotutto è proprio quello di creare una cosa dal nulla che segua la tua immaginazione :-) Cmq concordo con te sul fatto che nel nostro mondo una costituzione perfetta non potrà mai esserci, e nemmeno nel mondo di Narnia come dimostrano le continue guerre che dilaniano il regno. Tuttavia ho pensato che nella società dei maghi, essendo più evoluta sia dei narniani che anche dei terrestri, avendo tutti uguali diritti data l'assenza di classi nobili e povere e avendo capacità che forniscono a tutti le medesime possibilità, potesse essere almeno ipotizzabile il funzionamento di una costituzione utopica, quanto meno sulla carta :-) Si, le costellazioni sono state ispirate dai miti classici. Io frequento lo scientifico però ti confesso che anche io ho sempre avuto un debole per i miti greci e romani, se si pensa che loro, a differenza nostra, non avevano miti precedenti a cui rifarsi, sono davvero ammirabili per la quantità e la varietà delle storie che ci hanno tramandato! Spero che anche qst cappy ti piaccia, non vedo l'ora di sapere un tuo parere^^! un bacione!!!!

DreamWanderer: ciao tesoro!! Qui tutto bene, grazie, a parte gli ultimi compiti in classe di fine anno, ma mi consolo con il miraggio delle vacanze, il traguardo/mare è vicino XD!! Tu come stai? Spero che il periodo pieno all'uni sia passato, io già sclero alle superiori non oso pensare come sia all'università! Cara, davvero non è assolutamente un peso rispondere alla tua recensione, vi dedichi sempre tantissimo tempo ed è sempre così accurata e attenta che dare una risposta è davvero il minimo che possa fare! Grazie per avermi rassicurata su Jadis, sono sollevata nel constatare che la mia idea di un cattivo capace anche di provare altri sentimenti oltre l'odio sia condivisa! Cmq ho visto solo i film di Narnia :-), il che forse in qst caso è stato un bene così non avevo influenze di nessun genere è ho potuto spaziare con la fantasia :-)! Grazie anche per avermi tranquillizzata sul cappy basato prettamente sul film, temevo di risultare noiosa dato che la storia della battaglia era nota, sapere che non è risultato così è un sollievo! Sono felice che la scena dell'incoronazione sia piaciuta e che sia riuscita a far trasmettere il senso di felicità e di consapevolezza che la guerra fosse conclusa che provano i personaggi xkè avevo mille dubbi su cm rendere quelle emozioni! Il menzionare la corona di Cate mi sembrava doveroso, nella fiction non l'ho mai sottolineato particolarmente però anche lei è una sovrana volente o nolente e prima o poi dovrà farne i conti! La scena della preparazione al ballo è nata come sketch per alleggerire l'atmosfera che progressivamente, come fa intuire il titolo, va a incupirsi, e sono lieta che sia stata apprezzata :-) poi volevo far relazionare Cate anche con altri personaggi, motivo per cui il primo ballo lo fa con Caspian e non con Peter. Nella storia la faccio quasi sempre interagire con Peter, però ci tenevo a sottolineare che la nostra Cathy ha un ottimo rapporto con tutti i Pevensie e con il nuovo sovrano di Telmar, cosa che sottolineerò anche in qst cappy^^. Guarda, se ti può consolare mi sono sciolta anche io mentre la scrivevo, la scena del ballo tra Peter e Cathy **! Non che abbia scritto una scena tratta direttamente dai miei sogni romantici, eh, noooooo, sia mai XD!!!! Non ho saputo resistere alla tentazione di paragonarli a Romeo e Giulietta rubando (l'ennesima XD) frase di Shakespeare, specie se si considera la loro imminente separazione per causa di forza maggiori...! E poi, diciamocelo, Peter nei panni di Romeo secondo me ci sta benissimo <3!!!!!! Sono felice che tu abbia notato la parte scenografica del ballo, non lo ha fatto nessun altro! E anche che abbia apprezzato il mix di "passi, sguardi ed emozioni" tra i personaggi, così mi hai fatto capire che la scena era riuscita, thanks^^!!! Si la storia del Amatores lo inventata io :-), anche se, come immagino si sia capito, mi sono ispirata ai miti greci e alla loro lunga tradizione di amori finiti tragicamente per colpa degli dei o di incomprensioni, miti che tra l'altro adoro! Cmq avrà una piccola ripercussione nei pensieri della nostra bella Cathy, facendola riflettere sul tema dell'amore in qst cappy^^. Ti confesserò la mia ignoranza riguardo l'esistenza della Magia Rossa nella mitologia, l'idea mi era venuta più semplicemente solo per avere un altro tipo di magia che si contrapponesse a quella Bianca. La scelta del colore rosso per indicare la magia buona è nata perchè il rosso è idealmente il colore dell'amore, della carità e del fuoco, che si contrapponevano all'odio, all'egoismo e al ghiaccio :-) Probabilmente proprio perchè il colore rosso è associato di solito a queste cose ci saranno molte leggende con la Magia Rossa come protagonista, però qst è solo una mia supposizione :-) Sono davvero felicissimissima che la storia dello scisma tra i narniani e i maghi e la fondazione di Suavitas ti sia piaciuta^^ l'avevo in testa da tanto e non vedevo l'ora di scriverla e rimetterla al vostro giudizio! Non so come ringraziarti per i tuoi complimenti, mi fa davvero un'enorme piacere sapere che il mio racconto poteva addirittura essere davvero parte della storia del passato di Narnia :-) grazie davvero**! La rivelazione finale di Peter voleva creare suspance ovviamente, però mi dispiace di averci messo così tanto per aggiornare, volevo tenervi un poco con il fiato sospeso ma non così tanto, giuro! Spero di farmi perdonare con il contenuto del capitolo. L'ultimo capitolo, caspita, incredibile ma alla fine è giunto sul serio, credevo non sarei mai riuscita a scriverlo! Riprende esattamente dall'affermazione del nostro bel sovrano e poi.... sorpresa! Spero di leggere presto la tua recensione per sapere cosa ne pensi del finale di qst storia, come sai tengo tantissimo al tuo parere quindi spero che il cappy ti piaccia! Ci sarà ancora un epilogo che pubblicherò a breve (è già bello pronto ^^) però è una specie di bonus, (non è il termine giusto per definirlo ma non me ne vengono in mente altri) la parola fine viene scritta in qst dato che è qui che ogni cosa si decide, l'epilogo mostrerà solo le conseguenze delle scelte compiute dai nostri eroi in qst capitolo :-) Ti auguro una buona lettura e ancora grazie infinie per le tue recensioni, per il tuo entusiasmo e per i tantissimi e troppo buoni complimenti che mi hai fatto! Un bacio grande grande grande e a presto <3

Grazie mille anche a coloro che mi hanno aggiunta tra i preferiti e/o le seguite o anche a chi solo legge, grazie^^! Vi ricordo che qst è l'ultimo capitolo ma ci sarà ancora l'epilogo che vedrete pubblicato :-)

Vi auguro una buona lettura

kisskisses

68Keira68

witch

22_Promettimi che sarai felice 

 

 “Scaduto?” ripetei assottigliando lo sguardo nel tentativo di comprendere. “In che senso, cosa vuol dire?” scandii mentre un brutto presentimento iniziò a farsi strada dentro di me, anche se confuso, offuscato dall’enigmaticità della frase di Peter.

Il ragazzo prese un altro respiro e parve trovare la forza per rialzare i suoi zaffiri sul mio viso. “Vuol dire che dobbiamo andare via da Narnia, Cathy. Io e i miei fratelli dobbiamo tornare a Londra.”

Mi ritrassi, come colpita da uno schiaffo. Mossi la testa a scatti, piccoli, nervosi, negatori del significato di quella frase. D’un colpo compresi il perché dell’urgenza nel suo bacio. Aveva bisogno di sentirmi vicina a sé perché sapeva che il tempo che ci restava da condividere era contato.

Perché se ne sarebbe andato. Sarebbe tornato a Londra.

“No!” quasi urlai, incapace di accettare ciò che mi diceva. Anche l’ultimo residuo dell’euforia provata prima scivolò via da me, lontana e irraggiungibile.

“Cathy…” Peter tentò di prendermi il viso tra le mani ma io mi allontanai, scattando in piedi.

“No, no, no” ripetei più volte, camminando a ritroso finché non fui bloccata dalla balconata. “Perché? Perché lo dice Aslan? Che diritto ha lui di decidere chi deve restare e chi deve rimanere?” gridai. Contro Peter, contro Aslan, contro il cielo stesso che ci era testimone, mentre sentivo l’ira montare dentro il mio petto con foga.

Il re mi si avvicinò cauto, un’espressione affranta a dipingergli il volto, in netto contrasto con la mia rabbia.

Ero adirata e incredula. Come poteva permettersi Aslan di cacciarli via da Narnia, specie ora che avevano appena rischiato la vita per salvarla di nuovo? Cosa pensava, che potesse chiamarli a suo piacimento, farli mettere in gioco la loro esistenza e poi, come ricompensa per la loro vittoria, buttarli fuori dal loro regno? Ero ingiusto, non potevo accettarlo e la rassegnazione che vedevo dipinta sul volto di Peter non faceva che aggravare la situazione.

“Cathy, non è così semplice, fammi spiegare” tentò di calmarmi.

“Non c’è niente da spiegare. Voi non dovete andarvene solo perché lui lo ordina. Avete tutto il diritto di restare, il popolo stesso vi vuole.” obiettai sbattendo i palmi delle mani contro il marmo della balaustra per la frustrazione. “Io ti voglio” aggiunsi con un tono più basso.

Peter appoggiò le sue mani sulle mie intrappolandomi tra il parapetto e il suo corpo, cercando così di costringermi a sentirlo.

“Aslan non ci ha ordinato di andarcene. Ci ha posto dinanzi ad una scelta” precisò.

Strinsi gli occhi confusa, invitandolo a proseguire anche se sentivo ancora la rabbia schiumare.

“Ci ha fatto presente che nessuno può vivere sospeso tra due mondi, ognuno deve avere un mondo di appartenenza e viverci, rispettando le leggi della natura. A me, Susan, Edmund e Lucy è stata data la possibilità di vivere per qualche tempo in due mondi diversi per imparare a conoscere meglio noi stessi e per apprendere tutto ciò che serve per condurre la nostra esistenza, ma adesso che io e Susan ci avviamo all’età adulta e abbiamo imparato tutto quello che potevamo da entrambe le realtà, dobbiamo decidere in che mondo vivere.”

Corrucciai la fronte, certa di aver compreso male. “Quindi è una scelta vostra quella di tornare a Londra?” chiesi conferma.

Peter annuì, lasciandomi estrefatta.

Per un lungo e intenso minuto l’unica cosa di cui fui cosciente fu il ronzio sempre più acuto che mi riempiva le orecchie, riportandomi l’eco delle sue parole e di ciò che significavano. Poi il mio respiro si fece affannoso, i battiti cardiaci si affrettarono e dal petto sentii esplodere una nuova ondata di rabbia, insieme ad un’immensa delusione. Era lui che voleva andarsene dal suo regno, dalla sua gente! Dopo tutte le parole spese ad esplicare il senso di appartenenza che sentiva verso Narnia, l’amore che provava per il suo popolo, decideva di voltargli le spalle. E decideva di voltarle anche a me. Se ne stava andando senza rifletterci due volte, abbandonandomi, dimostrando come tutto quello che mi avesse detto, non fosse altro che polvere al vento.

Sentii un groppo in gola e i miei occhi si fecero lucidi. Non poteva essere vero, non potevo crederci. Non volevo crederci.

Puntai entrambe le mani sul suo petto con forza cercando di distanziarlo. Desideravo allontanarmi da lui, mi sembrava di soffocare, avevo bisogno di spazio per prendere fiato e urlare finché i miei polmoni avessero retto per sfogarmi. Peter però mi si oppose, afferrandomi per i polsi.

“Lasciami, tanto è questo quello che vuoi fare, ora o poi non fa differenza” gli sputai con acrimonia, fulminandolo con lo sguardo, mentre cercavo di svincolarmi dalla sua presa. Il ragazzo mi lasciò andare ed io cominciai a colpirlo al petto con i pugni, riversando in essi l’ira che mi aveva invasa. Inutile dire quanto i miei sforzi furono vani. Nonostante la mia buona volontà Peter non si fece minimamente male, parando ogni colpo senza però cercare di fermarmi, consapevole forse più di me di quanto avessi bisogno di sfogarmi. Solo quando smisi, affaticata più dai miei sentimenti che dallo sforzo fisico, mi riafferrò i polsi e si avvicinò ancora, bloccandomi definitivamente contro la balaustra con il suo peso.

“Non è come pensi tu, non voglio lasciarti, fammi finire” mi supplicò con quella sua voce soffice che con ben altre parole mi aveva conquistata.

I miei occhi lampeggiarono. “Ah no? È come sarebbe, sentiamo! Perché l’unica interpretazione possibile mi sembra quella che vuoi lasciarmi, nonostante tutte quelle…” tutte quelle promesse e meravigliose frasi che mi hai regalato, avrei voluto continuare, ma le parole mi morirono in gola.

Avvertivo la delusione e il dolore pronte a travolgermi come un’onda anomala, anche se cercavo di tenerle a bada. Non volevo farmi dominare da loro, non se volevo scaricare addosso a Peter tutta la mia più che giustificata rabbia.

Mi tenne i polsi con una sola mano, liberandosi l’altra per portarmela sotto il mento, delicato ma fermo.

“Ti amo. E tutto quello che ti ho detto è assolutamente vero.” Disse, intuendo come sempre i miei pensieri senza che dovessi esplicarli. “Non hai idea di quanto stia soffrendo per questa scelta, ma non posso fare altrimenti” proseguì con una fermezza tale da far vacillare la mia posizione.

“Spiegati” gli imposi, fissandolo duramente.

Peter mi sfiorò una guancia, sperando di addolcire il mio sguardo, ma resistetti alla morbidezza della sua mano, non piegandomi. Il biondo sospirò vedendo fallito il suo piccolo tentativo e cominciò a parlare.

“Edmund e Lucy devono tornare a Londra perché hanno ancora da imparare qualcosa nel nostro mondo. Poi torneranno a Narnia un’ultima volta e infine dovranno anche loro scegliere dove vivere”. Qualcosa cominciò a delucidarsi oltre la coltre di delusione, prima che Peter continuasse. “Se io e Susan decidessimo di restare a Narnia, dovremmo separarci da Edmund e Lucy, dovremmo lasciarli soli. Senza contare che non sappiamo quando tornerebbero a Narnia. Potrebbero volerci mesi come anni. O addirittura secoli e noi non li rivedremmo mai più”. La nebbia si fece più rada, il mio sguardo vacillò. “Non posso lasciare Ed e Lucy da soli. Sono ancora piccoli, e specie ora che papà non c’è più hanno bisogno di me e Susan.” Prese un respiro profondo prima di proseguire. “Vorrei restare a Narnia con tutto il cuore, lo sai, ma ho dei doveri verso la mia famiglia che devono venire prima dei miei desideri.”

Tutta l’energia alimentata dalla rabbia mi lasciò, scacciata da quella spiegazione così dannatamente logica e comprensibile. Mi sentii debole, stanca, perfetta preda del dolore che avevo cercato di allontanare, e stupida per essere saltata a conclusioni affrettate e non aver avuto fiducia in Peter. Poggiai la mia fronte sul suo petto come fossi priva di forze, spossata dai troppi sentimenti che mi avevano animata in poco tempo, e mi abbandonai al lento ritmo del suo respiro e allo scorrere delle mie lacrime che insensibili alla mia volontà avevano preso a scorrere. Lacrime di desolazione, suscitate dal senso di impotenza che la schiacciante ineluttabilità della sua partenza mi faceva provare. Lacrime che erano anticamera del dolore che mi avrebbe presto sommersa.

Ora capivo. Ero stata avventata a lanciargli quelle accuse. Peter mi amava e stava soffrendo per la scelta che aveva fatto. Ma, come aveva detto lui, non poteva fare altrimenti. Non poteva abbandonare Edmund e Lucy, lui era il fratello maggiore, la loro guida, il loro sostegno. Sarei stata un’egoista a chiedergli di restare per me rinunciando alla sua famiglia, alle persone con la quale aveva condiviso tutta la sua vita. Erano i suoi fratelli. Non avevo nemmeno il diritto di essere arrabbiata con lui. Semmai, l’unica persona con la quale potevo prendermela era il destino, che beffardo, nonostante tutte le difficoltà che avevamo dovuto superare, non voleva lasciarci in pace, deciso a privarci della felicità che finalmente avevamo sperato di godere.

“Capisco” mormorai flebile, condividendo la sua rassegnazione ora che conoscevo la situazione. Il ragazzo non poteva opporsi a quella scelta, ora comprendevo. Non si poteva lottare contro ciò che era giusto e necessario.

Peter mi passò le braccia attorno alle spalle e mi strinse forte, affondando il viso nei miei capelli. “Non hai idea di come mi senta, di quanto mi sia costata questa decisione. Non avrei mai pensato di dover di nuovo andarmene, di abbandonare questa terra. Ma ho degli obblighi verso la mia famiglia prima che con me stesso. Devo tornare con loro, tornare a casa. E poi non riesco a lasciarli andare da soli, non potrei.” Confessò, cullandomi con un dolce movimento. “Ma non posso nemmeno lasciare te” aggiunse poi.

Mi scostai un poco per guardarlo negli occhi, afflitta dalla consapevolezza di quanto i suoi desideri fossero inconciliabili con i suoi propositi. “Neanche io voglio che tu te ne vada, credo sia chiaro”.

“Ma il fatto che debba lasciare Narnia non vuol dire che debba lasciare anche te.” Insinuò enigmatico.

La mia espressione era simile ad un grande punto interrogativo. “Non ti seguo” ammisi.

Peter mi prese per le spalle e accostò il suo viso serio al mio. “Potresti attraversare il varco anche tu, tornare a Londra con noi” mi propose, un lampo di speranza negli occhi azzurri.

Restai interdetta dalla sua proposta inaspettata. Tornare a Londra. Da quando ero arrivata a Narnia non avevo mai pensato ad un mio eventuale ritorno in Inghilterra, ma non avevo nemmeno considerato l’idea di avere una vita in quel luogo incantato. Gli eventi si erano susseguiti l’un l’altro prendendo il sopravvento, in una girandola continua di scoperte e imprevisti che mi avevano impedito di fare progetti a lungo termine, limitandomi a vivere un giorno alla volta. Non avevo nemmeno considerato che prima o poi avrei dovuto decidere. Ma ora che la scelta mi veniva posta dinanzi, qual era la mia risposta? Tornare o restare? Poi mi ricordai un piccolo dettaglio.

“Se anche attraversassi il varco, saremmo comunque separati dai sessant’anni che distanziano la tua Londra dalla mia” gli feci notare. La mia Londra. Mi resi conto subito di come quel pronome possessivo stonasse sulle mie labbra se riferito a quella città. Londra non era mai stata mia, non l’avevo mai sentita come tale. Tra quelle residenze vittoriane e prati ben curati ero sempre stata un corpo estranio inserito a forza, un’anomalia tenuta nascosta per il quieto vivere comune. Mia era un aggettivo accostabile a ben altro paese. Mia potevo avvicinarlo al nome Narnia, luogo dove ero nata e che mi aveva accolta a braccia aperta appena vi ero tornata. Sarei potuta tornare alla solitudine di una realtà a me ostile? La risposta era semplice quanto certa. No.

“Potremmo chiedere ad Aslan di trasportarti nel nostro tempo, non credo sarebbe un problema per lui.” risolse pronto il biondo, dando prova di aver già pensato all’ostacolo.

Questo cambiava le carte in tavola. La domanda diveniva un’altra. Restare o tornare con Peter? Avrei continuato a subire una realtà ostile, ma non più da sola. Dopotutto una persona che mi amasse e che mi conoscesse interamente non era ciò che più mi era mancato in Inghilterra? Non era anche per l’assenza di questa ipotetica figura amica che non avevo esitato ad attraversare il varco che mi aveva condotta a Narnia? Quel “no” pensato con tanta fermezza vacillò.

 “E dove vivrei? Nella tua Londra non ho una casa, né un lavoro, né niente. Sarei una ragazzina venuta fuori dal nulla” obiettai prendendo tempo.

Peter si illuminò, già lieto di non vedermi rifiutare la sua proposta di primo achito. “Potresti vivere con me e i miei fratelli per qualche tempo e finire la scuola con noi. Poi potremmo andare a vivere io e te in una casa nostra appena saremmo indipendenti, massimo nel giro di due anni. Insieme potremmo costruirci una nostra vita nella mia Londra. Non sarà magica come un’esistenza a Narnia, ma sarebbe comunque una vita insieme.” Proseguì, illustrandomi un’idea sulla quale probabilmente aveva lavorato tutta la sera. Il suo tono era però cauto, a discapito del fervore che gli animava le iridi zaffiro. Sapeva che quanto mi stava chiedendo era tanto, forse troppo, che quello delineato da lui era un progetto grande e avventato, basato su castelli di carta costruiti sulla terra dell’immaginazione.

Presi un respiro profondo e abbassai lo sguardo, non sapendo cosa dire, cosa pensare. L’unica mia consapevolezza era che la scelta postami davanti sarebbe stata la più importante di tutta la mia vita. Una consapevolezza schiacciante, il cui solo risultato era quello di mandarmi ancora più in confusione.

Peter mi accarezzò una guancia con dolcezza, come se con quel solo gesto potesse mettere in ordine il caos che regnava nella mia mente. “So che è una decisione difficile. Si tratta del tuo futuro e non ti chiedo di rispondermi subito. Voglio solo che tu rifletta attentamente su questa possibilità.”

“È l’unico modo per restare insieme” mormorai, il capo ancora chino, come appesantito dalle troppe riflessioni.

“Si” concordò “ma il prezzo è alto, lo so bene. Probabilmente troppo alto, ma questo lo devi decidere tu. Sappi solo che mi atterrò a qualsiasi cosa tu scelga e che se decidessi di restare a Narnia non metterò in dubbio il tuo amore per me. So perfettamente cosa rappresenti questa terra per te, cosa vi hai trovato e quanto ti sarebbe difficile riprendere una vita normale a Londra.”

A quelle parole alzai gli occhi, nuovamente lucidi. Ancora una volta metteva ogni decisione nelle mie mani. Mi dava libero arbitrio a patto che scegliessi ciò che mi avrebbe reso felice. Ma come potevo decidere tra la persona con cui volevo vivere, Peter, e il mondo che mi permetteva di vivere come strega, la vera me stessa?

“Noi partiamo domattina. Hai tutta la notte per decidere.” Concluse infine.

Il tono sofferente della sua voce commentava ogni cosa per entrambi.

Sentii le lacrime sul punto di scendere ancora, ma Peter, accortosene, scongiurò il pericolo. Mi prese di nuovo il mento e mi alzò il viso per baciarmi. Passionale, tormentato, bisognoso, urgente, dolce e malinconico. Un bacio che esprimeva il nostro desiderio di voler restare insieme e il dolore sordo che ci provocava anche solo l’idea di dividerci.

Passandogli le mani dietro la nuca, lo attirai maggiormente a me, anche se dubitavo ci fosse ancora spazio a dividerci. Sentiii le sue dita infilarsi tra i miei ricci, giocandoci, tirandoli con delicatezza, procurandomi piccoli brividi lungo la spina dorsale.

Lo amavo così tanto. Era stato il primo alla quale avevo aperto il mio cuore, la mia anima. Il primo che mi aveva conosciuta veramente, che era riuscito a farmi avere fiducia nell’amore e nell’amicizia. Perché il fato ancora minacciava la felicità che avremmo potuto raggiungere solo insieme? La sola idea che quel bacio potesse essere l’ultimo mi era insopportabile. Non riuscivo nemmeno ad immaginarmi senza Peter.

Le mani del ragazzo scesero giù tracciando linee immaginarie sulla mia schiena. Le sue labbra si scostarono dalle mie, avventurandosi lungo la mandibola, poi sul collo, costringendomi a reclinare indietro il capo. Avrei potuto vivere anni e anni senza le sue mani gentili che mi accarezzavano? Senza il soffio caldo del suo respiro sulla mia pelle? Non lo sapevo. Ma non sapevo nemmeno se la loro presenza sarebbe bastata per farmi tornare a nascondermi da una città basata su preconcetti limitati che fornivano la difinizione di “normale”, una definizione che mi escludeva e che mi avrebbe sempre fatta sentire diversa.

 

*

 

Aria. Pura, fresca, liberatoria aria. La respirò a pieni polmoni, beandosi della sensazione dell’ossigeno che gli penetrava nei tessuti rinvigorendoli. Si concentrò sul diaframma che si alzava e abbassava a ritmo controllato una, due, tre volte. Presto però il giovane re di Telmar si rese conto che per quante volte potesse ripetere quel movimento, il suo apparato respiratorio non avrebbe esplulso i pensieri nefasti che gli ronzavano in testa assieme all’anidride carbonica. Quelli sarebbero rimasti nella sua mente per tutta la notte e molto tempo ancora per tormentarlo, per ricordargli con quali esatte parole aveva rinunciato per sempre alla persona che amava…

“Ti amo, e per questo non ti chiederò mai di scegliere tra me e la tua famiglia, né di comportarti diversamente da ciò che ritieni giusto e se la tua decisione è quella di andartene la accetterò. Sappi però che ti amerò ancora dopo che te ne sarai andata e che probabilmente non smetterò mai di farlo.”

Parole posate, scelte con cura dopo i lunghi minuti di silenzio che erano seguiti all’annuncio inaspettato e devastante di Susan Pevensie. Un annuncio che aveva informato il giovane sovrano dell’imminente partenza della ragazza. E della sua impossibilità a tornare in un ipotetico futuro.

Imporsi il silenzio per darsi il tempo di riflettere e agire secondo la ragione e non l’istinto gli era costato tutta la sua forza di volontà. Il primo impulso alle parole “Devo andarmene” della giovane era stato quello di afferarla per le spalle e scuoterla finché non avesse cambiato idea. Sapeva che avrebbe anche potuto arrivare a supplicarla di non tornare nella sua città, facendo leva sul rapporto che in quelle settimane erano faticosamente riusciti a costruirsi e dipingendo il futuro che avrebbero potuto condividere. Fortunatamente però una voce interiore era intervenuta in tempo per fermarlo, costringendolo a pensare alle conseguenze che si sarebbero susseguite a quella reazione. Tralasciando che tentare di far cambiare idea a Susan, in particolare se l’idea riguardava un dovere da compiere, era come pregare la pioggia di non cadere, ossia inutile, esibirsi in una scenata simile avrebbe avuto come unico risultato, oltre quello di apparire ridicolo e infantile, quello di farla soffrire. O meglio, farla dolere più di quello che già stava patendo. Perché la decisione di andarsene la stava facendo soffrire, glielo aveva letto nei lineamenti del suo bel viso a cuore, che inutilmente aveva cercato di irrigidire nella posa che assumeva quando si comportava da regina, come se volesse già mettere una distanza tra lei e Caspian per prepararsi per gradi alla definitiva separazione, ma che inevitabilmente si erano sciolti in una smorfia dolente alla prima carezza comprensiva del ragazzo. Una carezza significante che Caspian aveva capito quanto Susan stesse pagando la scelta di partire, quanto desiderasse restare a Narnia, con il suo popolo e con lui. Ma per quanto potesse agognare di non partire, Susan Pevensie non si sarebbe mai sottratta ad un suo dovere, specie se era nei contronti della sua famiglia.

Caspian tirò un calcio a vuoto, sfogando la frustrazione sulle pietre del ciottolato del cortile dove stava camminando.

Dannazione a lei e al suo smisurato senso del dovere!

Quel senso del dovere che l’aveva resa la regina più grande che Narnia avesse mai avuto, che le aveva dato la forza per compiere scelte difficili per il suo popolo, che la caratterizzava e le dava quella particolare luce negli occhi che Caspian tanto amava. Ma che ora la stava privando della sua felicità, aprendole la porta ad una vita di rimpianti. La stessa porta che il re vedeva dinanzi a sé. Amava quella testarda, splendida e dolce ragazza che lo aveva stregato prima con la sua forza d’animo, poi con la tenerezza e l’insicurezza che si celavano dietro ad essa, e la sola idea di non vederla mai più gli straziava il cuore. Aveva sperato che sconfitto Miraz e riavuto il regno, ogni cosa sarebbe andata per il verso giusto, secondo i suoi desideri, e il primo tra tutti era stato proprio quello di condividere i giorni futuri con la regina di Narnia e del suo cuore. Ora quel sogno, prima a portata di mano, aveva messo le ali e si era allontanato sino a diventare irraggiungibile. Era volato via. A Londra, per la precisione. La città dove la sua Susan sarebbe tornata per non andarsene mai più, come aveva decretato Aslan.

Era profondamente ingiusto. Perché non potevano restare?

Ingiusto e insensato. Perché lasciare Narnia nuovamente senza re visto cosa era accaduto l’ultima volta?

Ingiusto, insensato e crudele. Perché il destino doveva separare delle persone che si amavano o che si volevano semplicemente bene?

Purtroppo però oltre ad essere ingiusto, insensato e crudele, era deciso. I Pevensie non avrebbero cambiato idea, la scelta era stata fatta. L’unica cosa che Caspian poteva fare ora era accettarlo e sperare che con il tempo il ricordo del dolce sorriso di Susan da doloroso divenisse agro-dolce fino a tenero, e nel mentre vivere la propria vita cercando di essere un sovrano capace almeno un decimo di quanto lo era stata lei. E augurarle di raggiungere la felicità anche nel loro lontano e strano mondo.

Alzò lo sguardo al cielo blu e prese un altro respiro. L’aria fresca della notte era ristorativa, portatrice del quieto silenzio che dominava in quelle ore del giorno. Si fermò, dopo aver percorso l’intero cortile del palazzo quasi senza accorgersene, immerso com’era nelle sue elucubrazioni. Il ragazzo constatò con piacere come camminare sotto le stelle aveva anche quella volta sortito un effetto benefico come in passato. Si sentiva molto più calmo di quando aveva abbandonato la sua camera lasciandosi alle spalle Susan. In quel momento aveva la mente in sobbuglio e lo stomaco contratto per le troppe emozioni. Ora, anche se il dolore sordo per l’imminente separazione restava, sentiva di poter provare a sopportarlo, di poterlo controllare e cercare di godersi così le ultime ore che gli restavano accanto alla sua amata.

Stava quasi per tornare indietro quando il profilo di una giovane donna delineato da un raggio di luna catturò la sua attenzione. Sorrise mesto riconoscendo la persona seduta sull’erba con la schiena appoggiata ad una delle quercie sul fondo del cortile. Avrebbe dovuto aspettarsi di trovare anche lei lì, in preda a pensieri simili ai suoi. Erano nella stessa situazione in fin dei conti.

Proprio per condividere il peso di quel destino simile il re le si avvicinò, sperando di recare sollievo a se stesso e magari di alleviare le pene a lei.

 

Ero assolutamente certa che nessun studioso letterario o insegnante avrebbero mai potuto trovare parole adatte per descrivere quanto dilaniante fosse essere vittime di un dubbio amletico. L’unico modo per comprendere i sentimenti del povero principe di Danimarca era provarli in prima persona, e anche se la mia domanda era diversa dal suo ormai proverbiale “essere o non essere?”, ero sicura che fosse di uguale portata.

Restare o tornare? Narnia o Peter? La magia o una vita normale?

Mi presi la testa tra le mani, poggiando i gomiti sulle ginocchia. Odiavo essere in dubbio. Già non sopportavo quando nel frigorifero trovavo più di due tipi di yogurt tra cui scegliere, figurarsi trovare ad affrontare una decisione simile. Ma cosa avevo fatto di male nella mia vita? In fin dei conti non avevo chiesto tanto, solo delle risposte e delle persone sincere attorno a me, era forse la luna? O forse questo era il prezzo da pagare per aver ottenuto la realizzazione del mio desiderio. A ben pensarci tutti i sogni che avevo quando avevo attraversato il varco si erano realizzati. Avevo trovato l’affetto di amici veri, l’amore di un ragazzo semplicemente perfetto e un’identità. La mia missione a Narnia era teoricamente conclusa. Sarei quindi potuta tornare a Londra e archiviare l’esperienza fatta in quel magico mondo?

Ne dubitavo. Quell’avventura iniziata quasi per caso si era spinta troppo oltre per essere messa da parte con facilità. Io non ero una semplice visitatrice come i Pevensie, quel viaggio mi aveva messa a parte di una rivelazione non trascurabile. Io non ero ospite di Narnia, gentilmente accolta perché adempisse al suo incarico. Io ero un suo abitante, ne facevo parte. E questo senso di appartenenza non poteva essere ignorato.

Dovevo quindi restare? Il bel volto di Peter mi apparve talmente nitido da farmi male al cuore. Lo avevo allontanato recandomi nel cortile interno per avere tempo per riflettere da sola, ma la sua immagine mi compariva dinanzi agli occhi talmente spesso che era come averlo accanto.

Preda dello sconforto, sospirai facendo scivolare lo sguardo sull’erba fresca per la notte, finché non notai un gruppetto di foglie radunate in un angolo accanto al muretto in pietra che delimitava il prato. Distrattamente alzai una mano, liberando un leggero flusso di magia atto a sollevarle. Le feci avvicinare e le tramutai in candide margherite. Con le dita imitai il giro di un vortice e i fiori seguirono il comando circondandomi, provocando un lieve soffio d’aria. Le margherite crearono una sfera con me al centro e presto la mia mente di ricordò di un’altra sfera magica, fatta di goccie d’acqua cristallizzate, che aveva inglobato me e Peter. Una meravigliosa sfera ferma a mezz’aria attraverso la quale i raggi del sole erano filtrati dando vita ai colori dell’arcobaleno, complici e spettatori del primo bacio tra il giovane e me, un bacio che aveva sugellato un “ti amo” atteso e sincero. Il ricordo era talmente vivo che mi parve quasi di poter sentire la morbidezza delle sue labbra sulle mie quando esitanti si erano appoggiate per la prima volta.

Con un altro sospiro cercai di riscuotermi. Di certo certe reminiscenze non erano d’aiuto in quel frangente. Solo allora notai cosa avevo incosciamente creato con i fiori. Strabuzzai gli occhi, incredula di dove potesse arrivare il subconscio, e il mio sguardo fu ricambiato da quello di Peter. O meglio dall’immagine del volto di Peter che ero riuscita a ricreare servendomi dei petali delle margherite. Dovevo complimentarmi con me stessa poiché la somiglianza era impressionante, il suo viso mi sorrideva a mezz’aria esattamente come avrebbe fatto l’originale, al contempo però avrei voluto prendermi a testate. Potevo scegliere di andarmene con i suoi bei lineamenti davanti?

Per giustizia decisi di creare accanto, con dei fili d’erba mutati in altre margherite, il castello di mia madre l’ultima volta che lo avevo visto, ovvero privo di ghiaccio, assumendolo come simbolo di Narnia.

Bene, ora potevo ripropormi la domanda con anche un ausilio visivo. Restare o tornare?

Guardai il castello. Se restavo, mi aspettava una vita da Strega Rossa. Non avrei mai dovuto nascondere i miei poteri, al contrario sarei sempre stata apprezzata per essi. Avrei potuto aiutare Narnia e i suoi abitanti ad avviarsi in quella nuova era di pace. Quella terra mi aveva donato tanto e io ero consapevole del fatto che avrei potuto ricambiare il favore. Sarei stata conosciuta per le mie capacità e avrei avuto una mia identità. Sarei sempre stata Cathrine, la potente Strega Rossa che aveva risvegliato Narnia. E mi sarei sentita a casa.

Il quadro dipinto mi riempiva il cuore di orgoglio e speranza. Una vita passata ad esaltare la mia magia, a sfruttarla per il bene comune e non a nasconderla, a considerarla una maledizione, era stato il mio sogno più grande per tutta l’infanzia e l’adolescenza. Prima però che arrivasse Peter.

Il mio sguardo guizzò verso le angeliche fattezze del giovane. Lui mi aveva fatto conoscere l’amore, cambiando nettamente le mie priorità. Se prima ero certa che non dover temere la mia magia mi sarebbe bastato per raggiungere la felicità, ora ero sicura del contrario. Non potevo essere completamente felice se Peter non era al mio fianco. Era come se il ragazzo mi completasse, se fosse una tessera essenziale del puzzle della mia vita. Ma che vita mi attendeva nella Londra post guerra assieme al biondo?

Potresti vivere con me e i miei fratelli per qualche tempo e finire la scuola con noi.

Vivere con lui, nella sua casa, e frequentare la sua scuola. Riprendere un’esistenza non molto diversa da quella che conducevo nella Londra del duemila. La differenza più sostanziale probabilmente stava nell’uso delle divise scolastiche.

Poi potremmo andare a vivere io e te in una casa nostra appena saremmo indipendenti, massimo nel giro di due anni.

Due anni. Tra due anni avrei compiuto diciannove anni. Nella mia Londra mi sarei iscritta all’università, avrei partecipato alla maggior parte dei festini del campus dove avrei conosciuto un ragazzo con il quale avere una storia importante che sarebbe certamente naufragata entro tre anni, e poi mi sarei avviata nel mondo del lavoro. Rimboccandomi le maniche avrei potuto affiancare mio padre nei suoi viaggi all’estero, sarei diventata una valida manager, una brava imprenditrice. Sarei divenuta una persona indipendente, con un ottimo stipendio, una bella casa. Una persona che non doveva rendere conto a nessuno, che poteva disporre liberamente della propria vita perché ne era l’unica padrona e perché sapeva perfettamente come viverla. Con ironia mi resi conto di come queste ultime considerazioni potessero essere fatte anche per la mia ipotetica vita a Narnia. Il “lavoro” che mi attendeva in quel regno magico era di natura ben diversa ma mi avrebbe condotto alla stessa enorme libertà.

Potevo accostarle anche alla mia esistenza possibile nella Londra di Peter? A diciannove anni saremmo andati a vivere io e lui in una casa notra. Peter non pensava all’università, ma ad un’altra continuazione. Quel “vivere io e te in una casa nostra” nel 1948 implicava una condizione ben precisa. Il matrimonio. Peter voleva sposarmi. Non me lo aveva chiesto esplicitamente, ma era sottointeso in quella frase. Tra due anni ci saremmo sposati e ci saremmo trasferiti in una casa nostra.

Se pochi mesi addietro mi avrebbe chiesto se potevo prendere in considerazione l’idea di sposarmi così presto probabilmente avrei riso, negando energicamente anche la più remota possibilità. Ora però, guardando quel viso che mi fissava con dolcezza, la parola matrimonio non assumeva quel significato imperioso e pauroso che gli avevo attribuito. Non sembrava una gabbia di responsabilità che da sempre mi intimoriva, bensì solo un modo più solenne per dire “ti amo”. Dopotutto gli avevo ripetuto mille volte che sarei stata sua per sempre, la promessa che avrei fatto all’altare sarebbe stata solo una conferma. E poi, sarebbe stato così terribile svegliarsi ogni mattina con tra le sue calde e accoglienti braccia?

Insieme potremmo costruirci una nostra vita nella mia Londra. Non sarà magica come un’esistenza a Narnia, ma sarebbe comunque una vita insieme.

Dunque se fossi partita con Peter mi sarei certamente sposata a diciannove anni. E poi? Secondo il ragazzo potevamo costruirci una “nostra vita”, ma cosa intendeva di preciso? Nella mia Londra sarei diventata una manager, a Naria una Strega capace di aiutare la popolazione, ma nella sua?

Lui, giovane aitante e intelligente, avrebbe di certo avuto le strade spalancate. Avvocato, dottore, militare, avrebbe potuto diventare qualsiasi cosa avesse voluto. Ma quale sarebbe stato il mio ruolo in una società a me sconosciuta e ancora restia ad aprire le porte al gentil sesso? Un’immagine di me con una candida camicetta abbottonata sino al collo, indaffarata tra la cucina e il salotto, frastornata dai capricci di un bimbo, mi attanagliò lo stomaco. Non ci voleva uno storico per capire che i ruoli preponderanti per le donne nella seconda metà del novecento restavano quelli di moglie e madre. Ovviamente c’erano le operaie, le insegnanti, le sarte e altri impieghi simili, ma tutti erano comunque alterego di una moglie immersa nella biancheria da pulire o da bambini da curare una volta timbrato il cartellino.

Di certo sarebbe stata una vita insieme. Avrei tenuto in ordine la casa, avrei cucinato, forse sarei riuscita a trovarmi un piccolo impiego, e poi avrei aspettato che Peter tornasse a casa dal lavoro. Non sarei stata la grande manager Cathrine Icepower, né la potente Strega Rossa Cathrine, bensì la signora Pevensie. In un mondo completamente diverso dal mio eccetto per la diffidenza verso la magia. In un mondo dove non conoscevo nessuno a parte Peter, al quale mi sarei certamente aggrappata in quanto unico appiglio in un mare di novità. In un mondo dove le parole indipendenza e libertà si svuotavano del loro allettante significato. Come potevo essere autonoma in una società a me estranea? Come potevo costruirmi una mia identità se non potevo far uscire né la strega né l’Icepower? Come potevo essere libera di disporre della mia vita se dipendevo totalmente da Peter?

Una vita insieme. Peter aveva basato quel futuro sul nostro amore, ma sarebbe bastato a farci felici? Forse per lui lo sarebbe stato. La vita che avevo raffigurato era dopotutto la vita tipo di un ragazzo della seconda metà del novecento. Ma io?

“Disturbo?”

Mi girai sorpresa verso la voce inaspettata e mi ritrovai accanto al neo incoronato re di Telmar.

“Accomodati” lo invitai indicandogli la mia destra. La luce della luna era fioca ma bastò per notare l’espressione buia e rassegnata del ragazzo. Evidentemente Susan doveva averlo informato sulle ultime novità.

“Qualcosa mi dice che siamo tormentati dagli stessi pensieri” commentò accenando con il capo alla riproduzione del viso di Peter con le margherite e confermando la mia intuizione.

“Credo anch’io”. Sorridendo mesta, con un gesto della mano distrussi le due composizioni facendo cadere i petali a terra.  

“Tu...tu come stai?” abbozzai. I suoi occhi, resi d’argento dai raggi lunari, erano spenti, rassegnati, dolenti. Non mi piaceva vederlo in questo stato, specie dopo averlo ammirato pieno di vita e forza solo poche ore prima, ed ero del parere che esprimere quei sentimenti ad alta voce lo avrebbe aiutato, come se farli uscire dalla sua bocca li avrebbe fatti uscire anche un poco dal suo cuore.

Caspian sorrise amaro, fissando i petali bianchi sull’erba. “Male e purtroppo dubito ci sia qualcosa che si possa fare per star meglio.” La rassegnazione nella sua voce mi appesantì il cuore. Lui, sempre così speranzoso e vivace, pareva ora svuotato dei buoni sentimenti con i quali aveva sempre vissuto. “Ma immagino non te lo debba spiegare. Se c’è qualcuno che possa capire come mi sento quella sei proprio tu” proseguì.

Annuii e gli strinsi forte il braccio come a sottolineare le sue parole. Era vero, il suo dolore era eco del mio. Il mio animo era attanagliato però anche da un altro sentimento che il moro non sapeva, il dubbio.

“Credo di si. Tuttavia le nostre situazioni non sono completamente uguali” insinuai.

Caspian aggrottò le scure sopraciglia. “Ovvero?”.

“Ovvero Peter mi ha chiesto di andare con lui nella sua Londra” lo misi a parte.

“Ah.”

Due lettere. Due piccole e semplici lettere che però se accostate rendevano bene lo stupore dipinto sul suo viso. Caspian alzò il mento al cielo, annuì come rivolto a se stesso e per diversi minuti vidi il suo sguardo assorto nei suoi pensieri. Seguii la traiettoria dei suoi occhi con un sospiro e  cercai di immaginarmi il filo dei suoi ragionamenti per non tornare a perdermi nei miei.

“Non avevo considerato questa eventualità, sai?” disse infine, facilitandomi il compito che mi era prefissa.

“Nemmeno io” sbuffai.

“E cosa credi di fare?”

Domanda scontata. Peccato che la risposta non lo fosse altrettanto.

Alzai le spalle e presi un profondo respiro prima di rantolare un rassegnato “Non ne ho la benché minima idea”.

Caspian mi passò un braccio attorno alle spalle per attrarmi a sé e io volentieri poggiai la testa sulla sua spalla. Prima del suo arrivo non mi ero resa conto che avevo bisogno di una persona che mi stesse vicina, con la quale confidarmi e che mi capisse. Un amico. E Caspian era la persona più adatta poiché oltre ad essermi sentimentalmente vicino data la nostra simile situazione, era anche l’unico tra i miei amici a non essere imparentato con l’oggetto dei miei problemi e con il quale quindi potevo parlare liberamente, senza temere influenze o complicazioni varie.

“Tu cosa faresti se fossi al mio posto?” gli chiesi a bruciapelo.

“Se Susan mi avesse chiesto di partire?” il suo petto si alzò e abbassò lentamente con anche la mia mano appoggiata sopra. “Non è una risposta facile. Di primo achito, con il cuore, ti direi che la seguirei subito ovunque, anche in capo al mondo, ma riflettendoci…” lasciò in sospeso la frase, prendendosi tempo per pensare.

Lo aspettai paziente, conscia di quanto complicata fosse la mia richiesta. Io era tutta la serata che ci ragionavo su…

Alzai gli occhi al cielo, cercando la costellazione che mi aveva indicato Aslan. Dopo poco riusciia a localizzarla. Quattro stelle brillavano alla mia destra, ora come da millenni sotto il nome di Costellazione degli Amatores. Mi ricordai la triste storia ad esse legate, i quattro amanti uccisi dal loro stesso sentimento, divisi in vita e uniti solo nella morte. Di certo quei ragazzi avevano agito d’istinto, con il cuore, come aveva detto Caspian, ma se si fossero presi più tempo per pensare? I due amanti appartenenti al popolo delle ninfe si sarebbe suicidati per seguire i loro compagni ugualmente o avrebbero optato per continuare a vivere, portando con sé il ricordo degli amanti e sperando un giorno di tornare ad essere felici? E cosa sarebbe stato più giusto per loro? Seguire il cuore, qualunque sia la strada a cui porti ma rispettando un sentimento puro, o ascoltare la ragione e fare la scelta migliore per se stessi? L’opzione migliore sarebbe quella che vede cuore e ragione indicare la stessa via, ma quando ciò non era possibile cosa bisognava scegliere?

“Temo che…” riprese il moro, riottenendo la mia attenzione “nonostante ami Susan più di me stesso, non potrei mai lasciare il mio popolo. Sono il suo re, ho dei doveri ben precisi verso esso” affermò serio. “E poi” aggiunse posando il suo sguardo reso argento dalla luna “non credo riuscirei a vivere in un mondo tanto diverso dal mio. Non ho mai visto Londra ma da quel poco che mi hanno raccontato so che non è un luogo per me. Ho bisogno di vivere in un posto che possa chiamare casa, e l’unica casa che conosco è Telmar” concluse.

Mi morsi il labbro annuendo con il capo per dirgli che avevo compreso la sua posizione. “Quindi l’amore non basta?” domandai esprimendo ad alta voce uno dei quesiti che avevo posto a me stessa prima.

Caspian accennò ad un sorriso amaro e distolse lo sguardo verso un punto non definito del cortile, cercando le parole giuste. “L’amore è necessario per renderci completamente felici, ma non è l’unico ingrediente di cui una persona ha bisogno per sentirsi bene. È brutto da dire ma non si può vivere di solo amore, è una visione molto romantica ma poco realistica. Un uomo o una donna hanno bisogno di sentirsi bene con se stessi, realizzati come individui e di un posto che sentono come loro in cui vivere, per esempio. A Londra sono convinto che non potrei avere niente di ciò quindi, anche se sarebbe una scelta sofferta e rimpiangerei Susan probabilmente per anni e anni, deciderei di restare. Sarebbe la scelta più ragionevole”.

Caspian avrebbe ascoltato la ragione. Pur amando immensamente Susan, avrebbe scelto di vivere a Narnia perché era la scelta più ragionevole. La scelta che con maggiore probabilità gli avrebbe assicurato una media felicità e un futuro.

Ammiravo molto la determinazione che aveva avuto nel fornirmi la risposta. Caspian sapeva cosa lo avrebbe reso pià felice, cosa era meglio per lui, e lo aveva espresso in maniera limpida e incontrovertibile. Che il giovane re avesse ragione? Forse davvero l’amore non bastava…

“Capisco” dissi soltanto. Avrei voluto aggiungere altro ma se avessi iniziato ad esprimere ad alta voce tutte le mie considerazioni e idee probabilmente non sarebbero bastati due giorni. Sperai che intuisse almeno una minima parte dei miei pensieri.

Evidentemente le mie speranze non dovevano essere mal riposte perché Caspian aumentò la presa sulle mie spalle e avvicinò il suo viso al mio orecchio.

“Questo però è solo il mio parere. Io resterei, ma un’altra persona avrebbe potuto dirti che sarebbe partito senza esitare, felice magari di lasciarsi Narnia alle spalle per un’avventura.” Riprese con tono leggermente più concitato. “Non lasciarti influenzare dal mio discorso poiché solo tu puoi decidere cosa ti renderebbe più felice.”

Mi massaggiai le tempie con la mano destra, sospirando. “È una parola. Come faccio a sapere cosa mi farebbe felice?” chiesi frustrata. Ma cosa pensava che mi fossi chiesta durante le ultime quattro ore? Se preferivo i dolci di Narnia o quelli di Londra?

Il giovane poggiò la testa sul tronco dell’albero, riflettendo. “Pensa a cosa ti fa sentire appagata. L’assenza di cosa ti farebbe mancare l’aria? Senza cosa ti sentiresti incompleta, insofferente, perennemente in attesa di un cambiamento per migliorare la tua vita?”

La domanda mi lasciò interdetta. Non l’avevo mai messa in termini così espliciti, ma forse solo affrontanre un interrogativo così diretto poteva aiutarmi a trovare una risposta utile. L’assenza di cosa mi farebbe mancare l’aria?

“Nessuno ti ha mai detto che quando vuoi regali vere e proprie perle di saggezza?” gli dissi, cercando di smorzare l’atmosfera appesantita da quei discorsi.

Funzionò poiché mi giunse presto la risata smorzata di Caspian. “Custodiscile bene perché le dono solo a pochi eletti” stette al gioco.

“Tranquillo, io e quelle perle abbiamo tutta una nottata davanti per stare assieme a riflettere” gli assicurai sarcastica.

Il giovane mi diede un bacio tra i capelli. “Sarà meglio che ti lasci allora.” Mi disse prima di alzarsi agile da terra. “Spero tu riesca a capire quale sia la scelta migliore per te” mi augurò. Gli sorrisi, intenerita dalla brillante sincerità che vedevo nei suoi occhi. Era proprio un bravo ragazzo, mi aveva ascoltata e mi era stato vicino senza nemmeno che glielo chiedessi, di sua iniziativa.

Il giovane fece per andarsene poi però parve ripensarci e si volse nuovamente verso di me. “Cate, ascolta, volevo ancora solo dirti che se decidessi di restare, mi piacerebbe che tu potessi considerare Telmar e questo castello come casa tua. Sai, una mano per governare un regno così grande fa sempre comodo” propose, cercando di nascondere un lieve imbarazzo  con l’umorismo.

Il mio petto si scaldò per la sua dimostrazione di amicizia. Avevo sbagliato, non era un bravo ragazzo, era un ragazzo d’oro. Ma soprattutto, era davvero un caro, caro amico.

“Grazia Caspian” mormorai commossa e ricevetti in cambio il sorriso aperto e sincero del giovane, prima che si voltasse di nuovo e si inoltrasse nell’oscurità del cortile.

 

*

 

Era una bella porta. In mogano, intarsiata con un motivo di foglie d’acanto, con un maniglia in ottone diligentemente lucidato. Mi sarebbe seriamente dispiaciuto se avesse preso fuoco a causa dell’intensità con la quale la stavo fissando. Purtroppo però, nonostante stessi cercando di impormi di girare quella dannata maniglia e farla finita, erano dieci minuti che i miei occhi non si staccavano dal motivo del fogliame, dimostrandomi come preferivano guardare quello invece del viso della persona che mi attendeva al di là della porta.

Non fare la stupida, hai preso una decisione? Bene, ora entri a testa alta e la difendi. Così si comportano le persone indipendenti. Predicai a me stessa cercando di simulare una fermezza che in realtà non possedevo.

Presi un bel respiro e concentrai tutte le mie forze sul complicato compito di alzare la mano destra. Con lentezza riuscii ad appoggiarla alla maniglia e a far stringere le dita attorno a quel tubicino di freddo metallo. Un altro sospiro, una lieve pressione. L’uscio si dischiuse.

Inutile dire come avrei preferito immettermi in un antro di minotauri inferociti. Almeno mi sarei difesa senza preoccuparmi di ferire i miei avversari.

“Ti aspettavo” mi salutò una voce un po’ roca, di chi sta per addormentarsi.

Mi volsi verso il letto alla mia sinistra. Illuminato solo dall’argentea luce lunare che gli rendeva il petto nudo quasi marmoreo, c’era un ragazzo sdraiato comodamente sul piumone blu cobalto. Le braccia dietro la testa, un gamba leggermente inclinata, Peter mi sorrise invitandomi con lo sguardo ad avvicinarmi.

Se voleva lasciarmi senza parole togliendosi la maglietta ci era pienamente riuscito. Non era la prima circostanza in cui potevo ammirare i suoi pettorali, eppure ogni volta rimanevo incantata dalla loro perfezione.

Anche se il primo istinto era quello di tuffarmi tra le sue braccia, gli feci cenno di attendere ancora un po’. Mi diressi verso il paravento posto sulla parete opposta a quella della porta, un semplice pannello in rigida stoffa scura, da utilizzare come camerino, come avevo visto in numerosi film in costume. Dietro il paravento c’era un comodino con la biancheria per la notte, gentilmente fatta comprare da Caspian per noi. Aprii il primo dei tre cassetti e tirai fuori una camicia da notte in seta leggera. La appoggiai sopra il mobiletto e mi accinsi a districare l’intrigo di nodi e cordini che tenevano il vestito attaccato al mio busto. Con una punta d’orgoglio notai quanto mi fossi impratichita nella sottile e delicata arte di togliermi una di quelle trappole di tessuto. Il vestito mi scivolò addosso cadendo con un piccolo tonfo sordo. Ripresi la camicia da notte e la indossai. Il morbido tessuto mi accarezzò il corpo coprendomelo e modellandosi su esso. Controllai il risultato nello specchio intero, posizionato alla sinistra del comodino. Arricciai le labbra compiaciuta. Chiunque l’avesse scelta aveva un ottimo gusto. Era di buona fattura ma semplice, priva di pizzi o merletti, l’unico suo vezzo stava nello scollo a cuore. Era in stile impero e da sotto il seno partiva una lunga gonna che evidenziava le mie forme ad ogni movimento. Il rosso dei miei capelli risaltava sul colore bianco latte della seta, tonalità che mi ricordava i vestiti delle sacerdotesse dei templi romani.

Chissà se a Peter piacerà…

Era un vestito casto, niente a che fare con la provocante e a volte anche volgare lingerie che avevo visto sfoggiata nei negozi del ventunesimo secolo dato che l’unica parte anatomica scoperta erano le braccia, eppure nella sua sobria eleganza, nella leggerezza del tessuto, nel suo adattarsi al mio corpo, mi faceva sentire bella.

Uscita dal riparo del paravento, il brillio malizioso negli occhi del mio re risposero alla mia domanda. Si, gli piaceva.

Senza farmi pregare ulteriormente mi avvinai al letto sorridendogli fintemente ingenua, mettendo momentaneamente da parte le ansie che mi avevano trattenuta dietro la porta. Con dolcezza gli accarezzai una guancia con il dorso della mano, facendolo scorrere dalla tempia fino alla mascella. Peter alzò lentamente il busto mettendosi a sedere, mi afferrò per la vita con il braccio sinistro e mi fece scivolare sulle sue ginocchia. I nostri nasi si sfiorarono, i miei occhi color ghiaccio si scontrarono con un cielo primaverile. Il tempo di un respiro e sentii la dolce pressione delle sue labbra sulle mie. La mia bocca si dischiuse obbediente per accogliere la sua lingua ansiosa di incominciare con la mia la loro ancestrale danza. Le mie mani si poggiarono sulla sua mascella, traendolo maggiormente a me, mentre Peter mi spingeva all’indietro, facendo adagiare la mia schiena sul morbido materasso, senza interrompere il bacio. Per non aggravarmi del suo peso, si sosteneva con il braccio sinistro, lasciando però la mano destra libera di percorrermi il fianco e poi giù fino alla coscia con lente carezze.

Solo quando il pressante bisogno d’ossigeno ci impose di respirare, ci separammo.

Alzai le palpebre e contemplai la vista del viso di Peter, distante dal mio di pochi centimetri. Con i lineamenti rilassati, le labbra ancora umide e socchiuse per prendere fiato, un ciuffo d’oro ribelle sulla fronte, era semplicemente perfetto. Non avrei cambiato una virgola del suo volto come del suo carattere. Mi persi in quel quieto mare che erano le sue iridi. Non c’era traccia del tormento scorto in precedenza, evidentemente doveva averlo relegato in qualche cantuccio della sua mente per permettergli di godersi a pieno l’attimo che mi aveva appena regalato. Il mio di sguardo invece si adombrò all’istante rendendomi conto che presto sarei stata io a riportare vivo quel sentimento nel cuore di Peter.

Il giovane parve accorgersi del mio cambiamento perché scosse la testa in una muta domanda.

Aprii le labbra istintivamente per rispondergli, ma la voce si perse nel desiderio di preservare la tranquillità perfetta che aleggiava nell’aria. Sdraiata sul soffice letto, immersa nella calma notturna, l’unica cosa di cui volevo essere cosciente era la presenza del corpo di Peter sopra il mio, del calore che mi trasmetteva, del profumo fresco che emanava. Sapevo che era una pace racchiusa in una bolla di sapone circondata dagli aghi della realtà, ma avrei voluto essere tanto forte da soffiare in eterno per allonare la sfera dalle punte acuminate. Purtroppo però non potevo.

“Peter, io…” il mio sussurro si interruppe. Come potevo dirgli quello che dovevo? Le parole erano dolorose come scaglie di vetro contro la gola.

Il ragazzo però sfoderò un sorriso comprensivo, in contrasto con la pena dipinta sul mio viso.

“Hai deciso” mi venne incontro.

Annuii con il capo, incapace di proferir parola.

“E hai scelto di restare” concluse.

Distolsi lo sguardo dalla sua persona, sentendomi una traditrice, anche se nella sua voce non c’era traccia d’accusa. Anzi, non c’era traccia d’alcun sentimento, la sua sembrava una semplice constatazione.

Sentii le sue dita correre sotto il mio mento e riportarmelo nella sua direzione.

Con timore mi azzardai a guardarlo. L’assenza di tormento che mi aspettavo nei suoi occhi mi colpì. Vi albergava invece una consapevolezza che mi lasciò interdetta. Come se avesse sempre saputo che non sarei andata con lui.

Sentii il mio cuore stringersi. Significava che considerava il mio amore così flebile da non prendere nemmeno in considerazione l’idea di tornare a Londra per lui? No, non poteva pensarlo. Dovevo fargli capire la mia posizione, i miei motivi.

 “Peter, mi dispiace. Io ti amo, non hai idea di quanto ti ami” cominciai, ma il giovane mi zittì poggiando leggero due dita sulle mie labbra.

“Lo so, Cathy, lo so. Ma so anche che non è una scelta facile quella di lasciare Narnia, specie per te. Ti capisco.” mi interruppe.

Scossi prepotentemente la testa. “No che non capisci” obiettai in un sussurro. Il nostro tono di voce era lieve, come se entrambi temessimo di disturbare la quiete che ci avvolgeva come una coperta. “Non ho preferito Narnia a te, non ho scelto tra due mondi, ma tra due possibili Cathrine” gli spiegai.

Peter aggrottò le sopraciglia. “D’accordo, non ti seguo” ammise.

Gli scostai una ciocca ribelle da davanti alla fronte e accennai ad un sorriso mesto. “Ho provato ad immaginare che persona sarei diventata a Narnia e a Londra.” Premisi. “A Narnia sarei la giovane strega rossa, apprezzata e utile con la sua magia, ma soprattutto qui so qual è il mio posto, so come viverci e questo mi fa sentire indipendente e sicura di me.” Dissi con voce bassa “Nella tua Londra invece sarei un pesce fuor d’acqua, costretto a nascondere le sue capacità, destinato a non essere apprezzato né conosciuto, incapace di trovare un suo ruolo e dipenderei in tutto e per tutto da te. E questa è un’immagine di me che non mi piace.”

“Ma staremo insieme io e te, potremmo costruirci una famiglia” provò, anche se gli leggevo in faccia che sapeva quanto debole fosse il suo tentativo.

“Lo so, e non hai idea di come mi piacerebbe. Ma non nella tua Londra. Nella mia sarei ancora riuscita a trovare un mio posto. Nel duemila le strade per le giovani donne sono numerose, al pari di quelle degli uomini, avrei trovato la mia via, ma nella tua città sarei unicamente la signora Pevensie, priva di qualsiasi indipendenza. Mi spiace ma non posso vivere così, non posso dipendere totalmente da qualcuno, è un’idea che mi spaventa, anche se quel qualcuno saresti tu.”

“Perché?” mi chiese soltanto. Fui sollevata nel sentire solo voglia di chiarimento nella sua voce e non acrimonia.

“Perché perderei la cosa più importante”

“Ovvero?”

L’assenza di cosa mi farebbe mancare l’aria?

“La mia libertà” gli risposi, semplice, diretta. “Allontanandomi da te probabilmente mi precludo l’unica cosa che renderebbe la mia vita felice, ma senza essa so che non riuscirei a vivere né felicemente né infelicemene.”

Peter si morse il labbro, assimilando le mie parole. Restai immobile, aspettando una sua reazione, una parola, un gesto. Qualsiasi cosa mi facesse capire cosa stesse pensando. Solo quando mosse le labbra permettei al mio diaframma di alzarsi nuovamente.

“Capisco” mormorò. “E approvo la tua scelta”.

Trassi un sospiro di sollievo. “Davvero?” chiesi conferma quasi incredula. Speravo non si arrabbiasse o si adombrasse, ma di certo non immaginavo di ottenere persino la sua approvazione.

Peter abbozzò un sorriso malinconico. “Egoisticamente avrei voluto tu venissi con me, ma sono contento che tu abbia trovato la tua strada, anche se è diversa dalla mia. Quando ti ho vista la prima volta eri un pulcino smarrito. Non sapevi chi eri, dove andare, con chi… Ora invece davanti a me ho una donna forte, che sa cosa vuole e che è riuscita a trovare il suo posto nel mondo. E io non posso che essere fiero e contento per te, mia fulgida stella.” 

Sentii gli occhi farsi lucidi. “Oh Peter…” balbettai, le labbra tremanti.

“Shh” mi intimò scuotendo la testa e sfiorandomi teneramente. “Ora basta, per favore. Domattina, i raggi del sole ci illumineranno due strade diverse, ma ora la luna rischiara un’unica via ed io intendo percorrerla con te per tanto che le stelle saranno in cielo” mi sfiorò le labbra con un bacio. “Voglio sentirti vicina a me finché posso.” Sussurrò con voce bassa e suadente.

Gli presi il viso tra le mani e lo trassi a me per sottolineare quanto concordassi con le sue parole. Dentro di me il dolore stava per aprire una voragine  che solo con molta difficoltà e molto tempo sarei riuscita a rimarginare, ma per il momento quel crudele sentimento doveva restare fuori dalla nostra bolla di sapone, che nonostante la sua fragilità era riuscita a resistere alla nostra discussione. Avevo soffiato con sufficiente energia per proteggerla, ma soprattutto aveva soffiato anche Peter, desideroso quanto me di godere di quell’ultima notte che ci era concessa senza essere turbati da brutti pensieri, dimenticandoli l’uno nelle labbra dell’altro.

Ci sarebbe stato tempo per piangere. Ci sarebbe stato tempo per crogiolarsi nei ricordi. Sarebbero stati la mia unica compagnia in lunghe serate rannicchiata in un grande letto vuoto. Più avanti, nei giorni, nei mesi, negli anni successivi. Non certo quella notte.

La consapevolezza che quell’incanto non sarebbe durato che poche ore si perse nelle lenzuola blu mare. Quello che temevo era il futuro, ma esso non era ancora giunto. Attualmente c’era il presente. Un meraviglioso presente in cui intendevo smarrirmi.

Al momento l’unica cosa di cui si volevano riempire i miei occhi era la visione dei suoi lineamenti angelici e del suo petto marmoreo e caldo sotto il mio tocco. L’unica cosa sopra la quale la mia mente voleva soffermarsi era la sensazione di essere sua. Unicamente e semplicemente sua, come le sue mani mi ricordavano disegnando complicati arabaschi sulla mia pelle improvvisamente ardente. Mani delicate, ma che non si risparmiavano così come le sue labbra morbide eppure passionali come fuoco.

Il mondo esterno si distrusse. Peter era il mio mondo. I suoi occhi, il mio cielo. Il suo petto, la mia terra. Il suo respiro, caldo sulla mia spalla e leggermente affannato, il mio vento. La sua voce, roca e profonda mentre sussurrava il mio nome, l’unica e la più bella melodia dell’universo. Le sue mani, raggi di sole che mi riscaldavano percorrendomi.

Per quella notte, c’era solo Peter.

 

*

 

“CHE COSA?”

La voce squillante di Lucy riempì indignata la stanza.

“Non starete parlando sul serio spero” si accodò Edmund, scoccanto un’occhiata allibita al fratello maggiore.

Peter lanciò uno sguardo d’aiuto a Susan. Di solito era lei quella che sapeva da che verso prendere i fratelli.

Susan alzò le mani in segno di calma e avanzò di un passo. “Ci abbiamo riflettuto a lungo e questa è la scelta più giusta, credeteci” cercò di convincerli.

Lucy la guardò scettica, alzando un sopraciglio. “Come puoi parlare così? Secondo te abbandonare Narnia per sempre è una scelta giusta?”

“Di certo non lo è abbandonare voi due!” ribatté Peter. La sua voce era stanca. Si era svegliato presto quella mattina, sapendo di dover adempiere a quello spiacevole compito. Aveva rimandato fino all’ultimo, ma prima a poi quella discussione la doveva affrontare. Occorreva pur dire a Edmund e a Lucy che dovevano lasciare Narnia. Di nuovo.

“Ma non sarebbe mica un addio. Solo un arrivederci” strillò la bimba picata.

Peter si massaggiò le tempie. La voce acuta di Lucy gli avrebbe senz’altro fatto venire il mal di testa.

“Si ma a tempo indeterminato. Potreste tornare tra un mese ma anche tra dieci anni, e io non ho alcuna intezione di farvi partire da soli senza sapere quando potrò rivedervi. Siamo una famiglia e le famiglie restano unite.” Intervenne Susan, cercando di essere abbastanza risoluta da porre fine al discorso.

Speranza vana.

“No, le famiglie si contraddistinguono perché si vogliono bene, non perché restano ottusamente appiccicate anche a rischio della propria felicità!” affermò la più piccola dei Pevensie, alzando ostinatamente lo sguardo sulla sorella, lasciando quest’ultima interdetta per la veemenza delle sue parole.

“Cosa vuoi dire?”

“Lo sai perfettamente Peter.” Si intromise Edmund. “Io e Lucy non abbiamo scelta, dobbiamo tornare, ma sapendo che rivedremo ancora Narnia lo accettiamo di buon grado. Per te e Susan è diverso. Potete scegliere dove vivere e state facendo la scelta sbagliata.”

“Non vi lascerò partire…” incominciò a ribattere il biondo, iniziando a scaldarsi per l’insistenza dei fratelli minori. Possibile che non capissero quanto costava loro quella decisione? Dovevano anche mettersi loro due a complicare le cose?

Edmund però lo interruppe, alzando il tono di voce. “Tu e Susan volete restare a Narnia. È chiaro ed è giusto così. Amate questa terra e vi sentireste in colpa per il resto della vita se aveste la consapevolezza di averla nuovamente privata di un re, di non aver adempito ai vostri doveri nei suoi confronti.” Disse, inchiodando il ragazzo di fronte a sé con lo sguardo più fermo e sicuro che Peter gli avesse mai visto

“Senza contare che entrambi lascereste indietro molto più che un regno. Non avete pensato a Caspian e a Cathrine? A come si sentiranno? E a come vi sentirete voi senza di loro, senza vederli mai più? Tornando a Londra vi condannate all’infelicità” rincarò Lucy, la voce un poco più bassa di prima ma non meno coinvolta.

Susan e Peter si scambiarono uno sguardo affranto. Sapevano che tutto quello che i fratelli avevano detto era terribilmente vero.

Oh, se lo sapevano…

Alla sola idea di deludere ancora il loro popolo, quel popolo che li aveva accolti, acclamati e che tanta fiducia aveva nei loro sovrani, Peter si sentiva come un ladro che fuggiva furtivamente dal suo compito. E il pensiero di Cathrine… quello lo faceva semplicemente morire.

Ma cosa poteva fare? Aveva dei doveri anche nei confronti della sua famiglia. Non l’avrebbe divisa, non l’avrebbe lasciata sola. In più Edmund e Lucy non avevano considerato che anche l’idea di non rivedere più loro due gli straziava il cuore. Erano i suoi fratelli più piccoli, erano vissuti sempre insieme, sempre presenti gli uni per gli altri, supportandosi nei momenti di difficoltà e condividendo gioia e dolore. Come poteva separarsi da loro? Erano come una parte di lui.

Si sentì stringere il braccio da una mano piccola e calda. Abbassò di poco gli occhi e un paio di grandi iridi castane gli sorrisero.

“Peter, tu e Susan siete i fratelli migliori del mondo, vi siete sempre presi cura di me e di Edmund, ma non dovete sacrificare l’intera vostra esistenza per noi. Credi che noi potremmo davvero vivere contenti sapendo che voi avete rinunciato alla vostra felicità per seguirci?” gli disse, prendendo il discorso con più calma. “Tu e Susan dovete restare qui. Questa è la cosa più giusta.” ripeté convinta “Qui siete davvero indispensabili, il popolo ha bisogno di voi e voi di lui. Tu in particolare, dato che soffri se non salvi la vita di qualcuno durante la settimana.” Peter abbozzò un sorriso mentre portava con una carezza una ciocca castana dietro l’orecchio della sorellina “Qui sarete felici. Vi costruireste una vostra vita. Una vita passate nella terra che adorate, a svolgere i doveri che più vi convengono. Ma soprattutto una vita insieme alla persona che amate. Avete trovato l’amore qui a Narnia e se ve lo lascerete scappare lo rimpiangerete per tutta la vita, ne sono certa. Ed io non posso permettere che ciò accada, non per una motivazione così sciocca.”

“La famiglia è una motivazione sciocca secondo te?” chiese retorico il biondo interrompendola.

Lucy sbuffò irritata. “Noi saremo sempre una famiglia, la distanza non distrugge un legame profondo come il nostro.” Lo rimbeccò “E poi sono certa che non sarebbe una lunga lontananza. Aslan non lo permetterebbe, lo conosci, non ci lascerebbe divisi. Poco tempo ed io ed Edmund saremo tornati. E tutti insieme potremmo vivere a Narnia” concluse con un sorriso volto ad infondere fiducia nei fratelli maggiori.

“Sul serio, non potete chiudere le porte ai vostri desideri per una scusa simile. Io e Lucy siamo cresciuti. A Londra ce la caveremo benissimo, non abbiamo più bisogno della vostra protezione, e Aslan è d’accordo con noi o non vi avrebbe nemmeno messo nella condizione di scegliere. Qualche tempo e poi saremo di nuovo uniti.” Aggiunse Edmund cercando di farli ragionare.

Peter sospirò e cercò aiuto nella sorella. Vide nel suo viso la stessa indecisione che albergava nel suo.

Guardò allora la piccola Lucy, ancora teneramente stretta al suo braccio, e vi scorse, oltre la convinzione per la sua causa, il dispiacere per la loro eventuale separazione, anche se era certa che sarebbe stata breve. Lo stesso lo scorse negli occhi scuri di Edmund.

Anche loro avrebbero sofferto nel dividersi, come lui. Poteva dunque lasciarli andare a farli patire una sofferenza che avrebbe potuto evitare?

“Quest’inutile discussione è andata avanti fin troppo a lungo. La decisione è già stata presa. Tra qualche ore partiremo tutti e quattro.” Decretò, sperando che non si accorgessero di come la sicurezza che mostrava fosse in realtà simulata.

Edmund sospirò, irritato e desolato al contempo per la testardaggine del fratello. Lucy lo guardò affranta e scosse la testa, ma non osò ribattere niente. Aveva tentato tutto il possibile.

Susan si avvicinò al biondo e gli sorrise mesta, triste, comunicandogli di essere d’accordo, ma che, come lui, ne doleva.

Aveva fatto davvero la scelta giusta? Aveva passato la serata precedente ad auto convincersi. Aveva convinto Cathrine e aveva cercato di dirlo in maniera convinta anche ad Edmund e Lucy. Loro però erano riusciti a far crollare la certezza che si era con tanta fatica costruito. Le cose che avevano detto, le affermazioni su Aslan, sulla loro indipendenza, sulla loro felicità, sui loro diritti e i loro doveri, ogni cosa metteva in discussione la sua scelta.

E se fosse rimasto? Cosa sarebbe accaduto?

L’immagine della sua Cathy, con i capelli arruffati e il sorriso che gli regalava ogni mattina quando si svegliava, gli riempì la mente. Avrebbe vissuto con lei, ogni giorno si sarebbe destato con lei tra le braccia e si sarebbe addormentato al suono del battito del cuore della giovane contro il suo petto. Avrebbe potuto provvedere al benessere del suo popolo. Riprendere il governo da dove lo aveva interrotto milletrecento anni fa e riportare Narnia al suo splendore originale. Proteggerla da eventuali invasori o da qualsiasi cosa avesse osato minacciarla.

Ma Lucy e Edmund sarebbero stati soli a Londra. Loro due affermavano di essere capaci di badare a se stessi, ma ai loro occhi erano ancora così innocenti, così inesperti del mondo. Lucy si intrufolava ancora nel suo letto quando la sera il tuono di un temporale la spaventava mentre Edmund era nell’adolescenza, un’età difficile dove si ha bisogno di una persona più grande accanto, capace di guidarti, di essere un modello. Poteva lasciarli in balia di loro stessi? Per quanto tempo poi? In cuor suo sapeva che Lucy aveva ragione su Aslan. Non avrebbe acconsentito ad una lunga lontananza. Ma qual era il concetto di “lunga” per una creatura immortale?

Non poteva rischiare di scoprirlo. Doveva partire. Anche se…

 

*

 

I raggi del sole inondavano il corridoio, sostituendo la fioca luce delle torcie accese fino a qualche ora prima. Quei dannati e crudeli raggi che segnavano l’inizio del giorno. Di quel giorno. Il giorno della partenza dei Pevensie.

Il mio infantile desiderio che la notte -quella meravigliosa notte che avrei ricordato per sempre- appena trascorsa durasse in eterno, non si era avverato ovviamente. La luna era calata, e il suo posto era stato preso dal cerchio di fuoco che aveva svegliato me e Peter, ancora teneramente abbracciati.

Il giovane biondo a malincuore aveva lasciato il letto per dirigersi verso la camera del fratello minore, dove mi stavo dirigendo. Gli aspettava un compito gravoso, quello di informare Edmund e Lucy della loro imminente partenza, annuncio rimandato più a lungo possibile per far godere a pieno la serata precedente ai due ragazzi senza nefaste notizie.

Dinanzi alla porta del stanza di Edmund trovai Caspian. Il giovane mi accolse con un sorriso triste, desolato, che ricambiai con un cenno.

“Credi possiamo entrare?” mi rivolsi a lui.

“Penso abbiano finito. È un’ora buona che stanno parlando e ormai…” la sua voce si incrinò, lasciando la frase in sospeso.

Gli strinsi il braccio, facendogli capire che gli ero vicina, che lo capivo. Caspian mi guardò in viso e colse il significato del mio gesto, quale scelta alla fine avessi fatto. Solo quella avrebbe motivato l’ombra nelle mie iridi.

“Hai deciso di restare” constatò. Il tono era modulato per sembrare neutrale, ma riuscii a sentire una traccia di sollievo. Evidentemente l’idea di non venire abbandonato proprio da tutti non poteva che fargli piacere. Potevo comprenderlo anche in questo. Io per prima ero felice di sapere che almeno un amico sarebbe rimasto al mio fianco, che non sarei stata completamente sola.

“Se c’è una camera per me  in questo bel castello…” accennai cercando di scherzare per alleggerire l’argomento.

“Tutte quelle che vuoi” mi rispose sincero.

Gli sorrisi grata, dopodiché mi feci forze per girare la maniglia. In quelle ultime ventiquattr’ore aprire le porte era diventato un compito incredibilmente faticoso.

Quattro paia d’occhi si voltarono verso di noi, sorpresi di vederci. Era evidente che il nostro ingresso aveva interrotto una discussione ancora in corso.

Imbarazzata abbassai lo sguardo sulle mie mani intrecciandole nervosamente, sentendomi un’intrusa in quella che era una chiara riunione familiare.

“Ehm” cominciò Caspian, a disagio quanto me “Io volevo solo avvisarvi che è tutto pronto. Il popolo e Aslan vi stanno aspettando nella piazza per il commiato” li informò diligente.

“Grazie, arriviamo subito” gli rispose Peter, lanciando un’occhiata ai fratelli per cogliere eventuali obiezioni.

Per il commiato.

Sentii il respiro mancarmi, mentre il fantasma di quello che avevo temuto da ieri sera diventava un fatto reale e concreto. Un fatto immediato.

Tra poco sarebbero partiti ed io non li avrei mai più visti. Il corpetto si fece stretto, l’aria pareva essere stata risucchiata via dalla stanza. Avrebbero attraversato il portale, andando a Londra, lontano da qui.

No, non potevo farcela a vederli andarsene. Era troppo.

Sperando che avrebbero capito, mi schiarii la voce richiamando la loro attenzione.

“Ragazzi, scusatemi ma non credo di riuscire a vedervi attraversare il portale. Non ce la faccio.” Ammisi con un sussurro fioco, come se fosse una fatica immane pronunciare quelle poche parole. “Vi dispiace se vi saluto qui?” supplicai, respirando affannosamente per soffocare il pianto che sentivo ormai prossimo.

I loro occhi, lucidi come i miei, mi accarezzarono con dolcezza e compassione, capendomi.

“Ma certo Cate, non dovevi nemmeno scusarti”

Edmund mi si avvicinò per primo abbracciandomi forte. “Stammi bene, mi raccomando.” Mormorò accarezzandomi una guancia al pari di un vero fratello. “Ti auguro una vita piena di felicità, te la meriti”.

Ecco, come fa una persona a trattenersi dal piangere, pur con tutti i buoni presupposti di questo e dell’altro mondo, se poi un amico ti dona un addio del genere? Non era dunque colpa mia e della mai debolezza se la prima lacrima scappò dal mio controllo.

“Grazie Ed, abbi cura di te anche tu. E soprattutto controlla che Peter non si cacci nei guai perfavore” aggiunsi a suo unico beneficio.

Edmund accennò ad una lieve risata alla quale mi unii, anche se avevo iniziato a tirare su con il naso, ricercando un minimo di “self-control” che pareva avermi abbandonata.

Mi si accostò poi la piccola Lucy. Dai suoi occhi colmi di lacrime constatai a come avesse già rinunciato al ritegno al contrario di me. I suoi grandi occhi castani mi guardarono con un mare di tristezza prima di gettarmi le braccia al collo.

“Mi mancherai tantissimo” bisbigliò, singhiozzando.

“Non quanto tu mancherai a me” ribattei, mentre un seconda lacrima scivolava lungo la guancia.

“Però noi due ci rivedremo vero? Aslan ha detto che io ed Edmund torneremo” balbettò.

La sua voce era piena di speranza, una speranza alla quale mi aggrappai anche io. Sapevo che le possibilità di rivederci nella sua terza visita a Narnia erano poche, ma non potevo biasimarmi per accendermi una piccola luce per alleviare la nostra pena, per questo dissi: “Lo spero tanto. Sappi che vi penserò ogni giorno finchè non tornerete. Ti voglio bene.”

La bimba aumentò la stretta prima di scioglierla. Con un’espressione mesta e intenerita le asciugai le lacrime che le solcavano il dolce viso a forma di cuore, poi le posai un bacio sulla fronte, pregando silenziosamente che le nostre speranze si avverassero. Avrei dato qualsiasi cosa per poter rivedere quella ragazzina, che alternava in maniera adorabile comportamenti infantili e saggezza da adulti, e che per me era diventata praticamente una sorella minore. Dire che le volevo bene era stato riduttivo, ma sapevo che lei conosceva e condivideva i miei sentimenti.

Con un’ultima carezza, mi allontanai da lei per dirigermi verso Susan. La ragazza era l’unica Pevensie con la quale avevo avuto a che ridire. Era stata la più diffidente per la mia natura di strega, la più propensa a vedere in me anche un asso nella manica da usare contro Telmar e la più arrabbiata per la mia unione con Jadis. Avevamo urlato, avevamo litigato, ma alla fine eravamo riuscite a comprenderci e a volerci bene. Tanto che ora l’unica cosa che mi veniva in mente guardandola non erano le sfuriate e i disaccordi, bensì che avrei perso una cara amica. Un’amica con la quale avevo lottato fianco a fianco nei momenti difficili, un’amica che si era aperta rivelandomi i suoi sentimenti sedute su un prato in un caldo pomeriggio.

Senza tentennare l’abbracciai, e subito fui ricambiata.

“Sei una delle persone più determinate e caparbie che abbia mai conosciuto e ti ammiro per questo. Non perdere mai la tua forza, mi raccomando” le confidai quello che pensavo di lei.

“Tu invece non perdere mai la tua bontà e il tuo altruismo, per i quali non smetterò mai di ringraziarti” ricambiò, sincera. Nella voce c’era l’evidente segno che stava cercando di mantenere la calma e non commuoversi come avevamo fatto io e sua sorella. Avrei dovuto aspettarmelo. Tuttavia dubitavo sarebbe riuscita a mantenere il controllo fino all’ultimo. Era al limite, glielo si leggeva nell’espressione trattenuta del volto. Avrei voluto dirle che se si fosse lasciata andare nessuno glielo avrebbe sottolineato, ma rinunciai. Avrebbe giurato il contrario fino a negare l’evidenza.

Rimaneva ora solo una persona. L’avevo lasciata appositamente per ultima, sperando che salutando gli altri mi sarei preparata al definitivo addio anche da lui. Purtroppo però quando posai il mio sguardo sul suo viso, le lacrime che salirono ai miei occhi mi illustrarono come non sarei stata preparata a quel distacco nemmeno se avessi salutato ogni abitante di Narnia.

“Noi iniziamo ad andare. Ti aspettiamo nella piazza Peter” propose Susan tempestiva.

Mentre i tre Pevensie e Caspian uscivano dalla stanza, ringraziai mentalmente la ragazza per aver compreso la nostra situazione e averci regalato un momento di privacy. L’ultimo.

Iniziavo a vedere la sua immagine sfocata a causa delle lacrime, ma non passò il tempo di un singhiozzo che sentii le sue braccia avvolgermi, calde e accoglienti, come tante volte avevano fatto.

Affondai il viso nel suo petto, riempiendomi i polmoni del suo profumo fresco, sperando scioccamente che potessi conservarne un poco per quando lui non ci fosse più stato.

“Oh Cathy” mormorò Peter poggiato con la guancia sul mio capo, mentre immergeva una mano tra i miei boccoli. “Non piangere, ti prego” mi supplicò con voce addolorata.

Svelta, con il dorso della mano asciugai le goccie che avevano iniziato a cadere, sapendo che vedermi così gli avrebbe solo straziato di più il cuore. Dovevo cercare di farmi forza, non potevo permettere che fosse Peter a farsela per entrambi. Ma era tutto così doloroso. Avevo la sensazione di avere una spada affilata puntata sul cuore, pronta ad affondare nel mio petto appena le fatidiche parole di congedo fossero state pronunciate. Una sensazione che avevo già sentito la prima volta che temevo non avrei più rivisto Peter, quando gli avevo detto “addio” per andare da Jadis, ma non per questo meno dolorosa.

Presa dall’agitazione suscitata dalla consapevolezza sempre più opprimente che il nostro tempo stava per scadere, mi aggrappai al colletto della camicia del ragazzo per avvicinare il suo viso al mio.

“Ascolta, voglio che tu mi prometta due cose”.

Peter poggiò la sua mano destra sulla mia e con l’altra mi accarezzò il viso. “Tutto quello che vuoi” sussurrò, colpito dalla mia improvvisa foga.

“Promettimi che…” la mia voce, rotta da un pianto che cercavo di trattenere, tremava, rendendomi arduo il compito di dire ciò che dovevo. “che sarai felice. Che ti farai una splendida vita che non ti farà rimpiangere le tue scelte”.

Scorsi un guizzò di sorpresa nel suo sguardo, subito sostituita da un’ombra di tentennamento. Sapevo che la mia era una richiesta difficile, ma volevo essere sicura che Peter avesse una vita lieta, che si costruisse un’esistenza appagante, con un casa e una famiglia.

“Promettimelo” lo pregai ancora.

Il biondo sospirò afflitto prima di bisbigliare “te lo prometto”.

Accennai ad un sorriso di sollievo.  La sua sarebbe stata una vita di cui purtroppo non avrei potuto far parte, ma almeno volevo fosse felice, come Peter si meritava. Era una consapevolezza che mi avrebbe aiutata a superare la separazione.

“E che” la mia voce questa volta si abbassò, imbarazzata e timorosa di ciò che stavo per chiedere, come i miei occhi, improvvisamente molto interessati ai risvolti della sua camicia “ogni tanto, penserai a me. Che non dimenticherai quello che c’è stato tra noi”.

Sentii la stretta sulla mia mano aumentare. “Cathy, come puoi anche solo ipotizzare che non sarai più nei miei pensieri?” ribatté quasi offeso. Prendendomi il mento tra l’indice e il pollice mi alzò il viso. “Credo non passerà un singolo secondo senza che tu sia la regina dei miei pensieri, come potrei dimenticarti? Sei la mia stella, ricordi?” affermò, serio e convinto.

La frase mi sciolse il cuore, ma nonostante ciò scossi la testa, contrariata.

“Non è questo che voglio. Non puoi vivere con il mio ricordo sempre in testa e sperare di andare avanti con una nuova vita.” Gli poggiai il palmo della mano sulla guancia. “Il passato è passato, non può convivere con il presente e io farò parte del passato. Quello che ti chiedo è solo di tirarlo fuori ogni tanto da un recondito cassetto e di ripensare al mio volto con un sorriso, unicamente questo.” Precisai, sperando che mi capisse.

Peter sospirò e mi strinse al suo petto, la sua mano sul mio capo, senza aggiungere altro. Mi presi la licenza di considerare il suo silenzio come un si, anche se dentro di me pensavo che se fosse stato lui a farmi una richiesta simile non avrei mai potuto acconsentire.

Come avrei potuto non pensarlo quotidianamente? Come potevo non provare nostalgia di quelle calde braccia che ora mi cullavano, facendomi sentire protetta?

La spada cominciò a bucarmi la pelle, come crudele ammonitrice.

“Ora promettimi tu una cosa” mormorò. Era una mia impressione o anche la sua voce era rotta come la mia? “Giurami che non smetterai mai di risplendere come hai fatto per me. Sei una persona speciale, destinata a brillare nel cielo di Narnia proprio come una stella. Non smarrirti nel buio della nostalgia e del rimpianto, ma vivi illuminando la vita altrui.” Alzai il viso dal suo petto, gli occhi spalancati. Solo lui avrebbe mai potuto dedicarmi una frase tanto meravigliosa, esaltando qualità visibili solo ai suoi occhi ma che pronunciate da lui sembravano vere anche a me. “So che farai del bene a questo popolo, tu e Caspian lo guiderete in quest’era di pace” concluse. I suoi zaffiri bruciavano di passione e convinzione per quello che stava dicendo, un fuoco che cercava però di arginare il mare di dolore che scorgevo nelle iridi.

Preda della commozione, dell’amore e della tristezza, lo baciai, non sapendo come altro ribattere a parole così sentite. Ma non un bacio pieno di passione e dolcezza come quelli che ci eravamo scambiati la notte appena trascorsa, nella penombra della nostra camera. Le mie labbra erano bagnate da lacrime di amarezza riuscite infine a sfuggire al mio controllo, un sentimento che si univa alla desolazione e al dolore. Le nostro lingue portarono avanti la famigliare danza lentamente, come se avessero bisogno di tempo anche loro per salutarsi e volessero ricordare ogni dettaglio dell’altra.

Quando ci separammo, stavo ormai piangendo senza freni.

Peter mi guardò intensamente. Aveva i lineamenti rigidi, tesi nell’evidente tentativo di mantenere un certo contengno, ma vidi nei suoi occhi tormento ed afflizione. Insieme ad una schiacciante consapevolezza.

“Devo andare” bisbigliò a suo malgrado con voce strozzata. Mi accarezzò con languore straziante la guancia rigata.

Dimentica di ogni ritegno, tirai su con il naso e singhiozzando iniziai a scuotere la testa in un infantile gesto di rifiuto. Avevo provato ad abituarmi all’idea del distacco nelle ultime ventiquattro ore, avevo cercato di autoconvincermi che era la scelta più giusta, avevo fatto presente a me stessa che ero sopravvissuta al primo addio che gli avevo dato, ma niente avrebbe potuto prepararmi sufficientemente per quel momento, niente me lo avrebbe fatto accettare completamente o me lo avrebbe fatto affrontare senza soffrire.

“Cathy” mi richiamò, usando il suo tono vellutato che mi fece chiudere gli occhi.

Mi costrinsi a fare dei respiri profondi, facendo uscire l’aria dalla labbra con un lieve tremolio.

Devi essere forte, devi essere forte. Mi ripetevo come un mantra. Dovevo lasciarlo andare, non potevo trattenerlo lì con la forza.

Cercando di farmi sostenere da una forza che in realtà non avevo, alzai le palpebre. Il momento era giunto.

“Addio Peter”

La mia voce, un sussurro tremulo che si disperdeva nell’aria satura di pianto.

Il ragazzo mi sfiorò le labbra con le sue. Un’ultima volta.

“Addio mia Cathy”

Un sussurro lieve eppure abbastanza forte da spingere l’elsa della spada dentro il mio petto.

Dei passi pesanti, oppressi dalla mole di emozioni che sostengono, la porta che si chiuse e poi il silenzio. Un silenzio capace di urlare più forte del rumore la mia condanna. Se n’era andato.

La lama affilata raggiunse definitivamente il mio cuore. La sentii trafiggerlo con un colpo deciso, spietata. Inutilmente le mie mani corsero al petto, come se potessero lenire quel dolore interno con la loro sola presenza.

Di nuovo in poco tempo i miei polmoni bruciarono per l’improvvisa mancanza d’aria. Mi guardai attorno, boccheggiando. Le quattro pareti divennero opprimenti, le vedevo venirmi incontro minacciando di schiacciarmi.

Dovevo andarmene da quella camera.

Cercando di concentrarmi riuscii a radunare le forze che le lacrime non avevano ancora prosciugato. Con una notevole fatica mi materializzai nelle scuderie di Telmar, lì dove riposava uno dei pochi amici che mi restavano.

“Fulmine!”

Con un nitrito il cavallo rispose al mio richiamo, avvicinandosi sorpreso dalla mia visita.

“Cathrine, non dovresti essere nella piazza per il Com…” incominciò ad apostrofarmi, ma si interruppe quando mi guardò in viso. Arretrò con il muso. La mia espressione era così stravolta da destare quasi spavento? Probabilmente si.

“Cate, posso fare qualcosa?” mi domandò cambiando nettamente la direzione del discorso.

Gli fui grata per non avermi chiesto perché piagevo. Avevo contato sulla sua intelligenza da equino magico per non dover dare spiegazioni.

“Portami alla spiaggia per favore” lo pregai con un fil di voce. Non occorreva specificare quale, ero certa avrebbe capito.

Avevo bisogno di allontanarmi da quel castello, da Telmar, da tutti. Avevo bisogno di stare sola per metabolizzare quella ferita che mi aveva aperto il cuore. E avevo bisogno di farlo nell’unico posto in cui avrei sentito la sua presenza sempre.

La nostra spiaggia.

Ma per quanto la voglia di raggiungerla più in fretta possibile fosse tanta, ero consapevole che non sarei riuscita a smaterializzarmi così lontano nelle mie condizioni. Per compiere un viaggio del genere magicamente occorreva una grande concentrazione, e al momento la mia era impegnata a tenere malamente insieme i cocci della mia anima devastata.

Fortunatamente, Fulmine accettò immediatamente di offrirmi il suo aiuto senza aggiungere un’altra parola e al galoppo attraversammo il ponte immettendoci nel bosco. Sul suo dorso, saldamente aggrappata alle redini, non mi restava altro che sperare che il vento che mi sferzava il viso, assieme alle lacrime si portasse via al meno una minima parte del dolore che mi trafiggeva.

 

*

 

Quando sono per sempre, gli addii dovrebbero essere rapidi. Lord Byron docet. Un saluto, una stretta di mano e ci si avvia per la propria strada, senza voltarsi indietro. Semplice e lineare. Eppure perché al giovane re biondo pareva un’impresa impossibile allontanarsi dalla propria gente?

L’annuncio della loro partenza imminente da parte del Re Supremo aveva sollevato veementi proteste da parte delle creature di Narnia, radunate nella piazza sottostante al terrazzino dove si trovavano i Pevensie, Aslan e Caspian. Proteste che Peter non era riuscito a non accogliere con una punta di orgoglio e soddisfazione, nonostante la tristezza del viaggio. Erano la riprova che il popolo li amava e che li volevano come sovrani quanto i Pevensie volevano continuare a guidarli e assicurarsi il loro benestare.

Purtroppo però non sarebbero bastate per impedire il loro ritorno in Inghilterra.

La decisione ormai è presa. Si ripetè per la millesima volta.

Facendosi forza, avanzò di un passo verso la folla, le mani alzate intente a istigare la calma.

“Popolo di Narnia, è stato un onore per i miei fratelli e me governarvi fintanto che ci è stato concesso. Purtroppo per noi è tempo di andarcene, ma nonostante la pena sia grande, trovo confronto nel sapere di lasciarvi in ottime mani” con lo sguardo si rivolse a Caspian, in piedi alla sua destra. “Re Caspian saprà guidarvi in questa nuova era di pace, assicurandovi la prosperità che vi siete guadagnati duramente”. Detto questo si avvicinò al giovane sovrano, il quale lo fissava grato delle parole pronunciate dal maggiore dei Pevensie. Peter gli tese la mano, afferrata prontamente da Caspian in una stretta forte. Solo un’occhiata e una presa sulla spalla. Nient’altro, ma bastava per trasmettere tutto ciò che doveva essere detto. Si erano trovati in disaccordo su molti punti, c’era stato antagonismo ed erano arrivati persino a minacciarsi l’un l’altro, ma alla fine avevano imparato a conoscersi, a rispettarsi e, senza nemmeno che se ne rendessero conto, a fare affidamento durante le battaglie o nella quiete della quotidianità. Erano diventati amici.

Appena il giovane biondo si fece da parte, fu il turno di Edmund e Lucy di prendere congedo dal ex principe. Il saluto di Edmund fu simile a quello del fratello. Una stretta di mano, poche ma sentite frasi di commiato. Diverso fu invece quello della bimba. I suoi occhi, lucidi da quando si era separata da Cathrine, avevano ripreso a lacrimare sulla spalla del ragazzo quando questo si era chinato per abbracciarla.

Lord Byron aveva ragione. Gli addii avrebbero dovuto essere brevi. Estenderli con parole e abbracci prolungava solo la lenta agonia del separarsi. Eppure il definitivo distacco spaventava al punto da preferire allungare il commiato. Pur di procrastinare anche di poco quell’ineluttabile evento, si era disposti a sopportare quella pena. Gli addii avrebbero dovuto essere brevi, era vero, ma Lord Byron non doveva aver tenuto conto dell’indole prettamente masochista dell’animo umano.

Come conferma delle sue riflessioni, Peter scorse il viso di Susan mentre si apprestava ad avvicinarsi a Caspian. Colpito vide i grandi occhi castani della sorella, solitamente imperturbabili, lucidi e pronti al pianto. Probabilmente seguire il consiglio del poeta inglese, limitarsi ad un cenno di saluto e scappare lontano da quel luogo, le avrebbe risparmiato le lacrime che sarebbero certamente sgorgate durante il bacio d’addio che si stavano per dare. Ma Peter ben sapeva che per nulla al mondo la ragazza avrebbe rinunciato a quell’ultimo bacio, anche se aveva il velenoso sapore della separazione.

Peter avrebbe voluto lasciare a Susan e a Caspian la stessa privacy che era stata concessa a lui e a Cathrine, purtroppo però non poteva allontanare un centinaio di persone e lasciare la piazza a loro. L’unica cosa fattibile era che lui, Edmund e Lucy cominciassero ad avviarsi verso il portale. Almeno Susan avrebbe potuto separarsi da Caspian senza essere sotto lo sguardo più interessato e vicino dei fratelli.

Con un cenno del capo richiamò l’attenzione di questi ultimi, intimandoli a seguirlo. Solo dieci passi lo separavano dal portale spazio-temporale, aperto dividendo magicamente il tronco di un albero in due parti dal Grande Felino, che lo avrebbe riportato a Londra. Casa sua. Molto, molto lontano da quel luogo meraviglioso.

Un luogo che aveva sentito suo dal primo momento. Che aveva imparato a conoscere e ad apprezzare al punto da considerare più normali gli animali parlanti che quelli muti di Londra.

Nove passi.

Inspirò a fondo, chiudendo un’istante gli occhi. L’aria stessa in quel luogo sembrava essere più pulita, satura del profumo dei fiori e della magia. Niente a che vedere con lo smog e i fumi che rendevano Londra inquinata e grigia.

Otto passi.

Voci di protesta che a gran voce urlavano il suo nome giungevano ancora alle orecchie di Peter. Il popolo lo reclamava. Il suo popolo gli stava chiedendo di restare. Questa volta non lo avrebbe lasciato completamente in balia di se stesso, Caspian avrebbe salvaguardato il benessere dei suoi sudditi, ma il giovane era comunque prima re di Telmar, non di Narnia. Lui, Peter, era il re di Narnia, un re che per la seconda volta abbandonava la gente che aveva riposto fiducia in lui, persone che gli avevano affidato la loro esistenza, che lo volevano. Poteva davvero piantarli in asso? E lui sarebbe stato capace di convivere con il rimorso di non aver adempito ai suoi doveri verso le creature di Narnia? Senza sapere se realmente sarebbero riusciti a godersi la meritata pace senza che essa venisse turbata da agenti esterni?

Sette passi.

Si lanciò un ultimo sguardo attorno, cercando di imprimersi nella memoria tutto ciò che vedeva. Alla sua sinistra, postura dritta e pugno chiuso sul cuore, sostavano il valoroso Ripicì e il minotauro Morris. Due creature magiche, appartenenti a libri di fiabe, teoricamente inesistenti, nelle quali però Peter aveva sentito la fedeltà e l’amicizia più vere e presenti che in qualunque uomo o donna del suo mondo. In quel luogo aveva trovato degli amici leali ai quali aveva più volte affidato la sua vita senza esitare. Dubitava che sarebbe riuscito a stringere legami così profondi una volta tornato a casa.

Sei passi.

Casa. Per tutto quel tempo aveva ribadito a se stesso che Londra era casa sua e che quindi era giusto tornarci. Ma il termine “casa” dopotutto non indicava un concetto relativo? Chi aveva decretato che la propria “casa” era il luogo in cui si nasceva? “Casa” non era il posto dove si desiderava stare? Nella quale ci si sentiva a proprio agio come se si fosse una parte integrante di esso? Dove si era voluti e amati? Il posto in cui si voleva vivere? Era proprio Londra “casa” sua?

Cinque passi.

Cosa avrebbe fatto una volta tornato in Inghilterra? Avrebbe proseguito gli studi e poi trovato un lavoro. Forse, dopo qualche anno, sarebbe anche riuscito a costruirsi una casa tutta sua. Ma sarebbe davvero stato felice? C’era stato un tempo, molti anni prima quando mondi come Narnia esistevano solo nelle sue fantasie, dove era riuscito a immaginarsi come membro rispettabile della comunità inglese. Gli sarebbe piaciuto entrare nell’esercito, avere una carriera militare, sapere che con le proprie azioni poteva riuscire a salvare la vita di altre persone. Ma ora, consapevole che il mondo di Londra non era l’unico esistente, quel futuro che appena quindicenne si era dipinto per lui era svanito, sostituito da altre aspirazioni, altri sogni. Aveva combattuto in groppa a grifoni e unicorni, guidato un esercito di nani arcieri e centauri spadaccini, aveva amministrato un regno per vent’anni, provvedendo alla sua prosperità. Aveva ricostruito una civiltà riportandola alla pace e allo splendore. Sarebbe riuscito ad abbandonare tutto questo, ad abbandonare il suo regno e la consapevolezza di poter fare tangibilmente del bene, per Londra? Dove il suo raggio d’azione era talmente limitato da dubitare che avrebbe realmente potuto rendersi utile a qualcuno? Sarebbe riuscito a vivere come una persona qualunque in una realtà piatta e banale?

Quattro passi.

L’ultimo anno passato in quella città era stato un inferno, inutile negarlo. Aveva sofferto la mancanza della sua gente, ne aveva fatto quasi una malattia. Si era sentito impotente e insignificante, come se avesse avuto le mani legate per tutto il tempo. Non era riuscito a vivere in quella comunità perché non se ne sentiva più parte. Si era sentito un estranio tra coloro che una volta erano i suoi concittadini. Con gli anni sarebbe riuscito a riadattarsi, a trovare il suo posto in quel mondo?

Tre passi.

A Londra però c’erano i suoi fratelli. Edmund e Lucy erano costretti a tornare, non poteva lasciarli da soli con il rischio di non rivederli mai più. Ma davvero non li avrebbe più rivisti? In cuor suo sapeva che quello che la piccola gli aveva detto era vero. Aslan non avrebbe mai acconsentito a tenerli separati a lungo. Ma comunque per qualche tempo avrebbero vissuto distanti. Si rendeva conto che entrambi stavano crescendo. Edmund era un giovane uomo, aveva acquisito un’invidiabile sicurezza di sé e sarebbe certamente stato in grado di prendersi cura della sorella. Mentre Lucy si stava avviando ad essere una splendida ragazza, senza contare che possedeva una saggezza di cui pochi potevano vantare anche in età più adulta. Ormai erano piccoli e indifesi solo ai suoi occhi, eppure separarsene era davvero difficile, il senso di protezione che aveva sempre avvertito nei loro confronti era smisurato e quasi impossibile da mettere da parte. Ma se li avesse seguiti per non separarsi da loro solo per qualche tempo avrebbe davvero condannato all’infelicità lui e Susan come i fratelli minori avevano fermamente sostenuto? La durata della separazione, se si aveva fede nella buona indole di Aslan, si prospettava breve, molto più dell’eterna infelicità che sarebbe derivata dall’allontanamento da quel mondo magico…

Due passi.

…e da Cathrine. Aveva proibito a se stesso di soffermarsi su quel pensiero fintanto si fosse trovato a Narnia. Voleva mostrarsi forte davanti al suo popolo durante la sua ultima apparizione, proposito irrealizzabile se avesse pensato al congedo preso dalla ragazza. Separarsi da lei era stata l’azione più difficile della sua vita. L’amava e le aveva giurato che sarebbero restati insieme. Infrangere quella promessa e allontanarsi da ciò che illuminava la sua esistenza era stato come strapparsi il cuore dal petto. Dal momento in cui le sue braccia aveva sciolto la presa da quell’esile e caldo corpo, aveva avvertito un vuoto, un senso di apatia quasi paralizzante. Non era dolore, quello sarebbe giunto una volta metabolizzato l’avvenimento. Era semplicemente una sconcertante assenza di emozioni. Come se fossero state risucchiate via da lui da quell’ultimo bacio a fior di labbra che aveva dato alla sua stella. Sarebbe riuscito a vivere senza di lei? Le aveva promesso che sarebbe stato felice, che si sarebbe ricostruito una vita, eppure era convinto che non avrebbe potuto dividere la sua esistenza con nessun’altra ragazza oltre la sua Cathy. Quella ragazzina che aveva trovato sperduta nel bosco, animata da un fuoco e una grinta insospettabili da quel suo visino ingenuo, gli era entrata dentro quasi come un veleno, prendendosi la sua anima e la sua mente. Non sarebbe mai riuscito a disintossicarsi. Ma a tormentarlo maggiormente era chiedersi se Cathrine invece ci sarebbe riuscita. Quando le aveva detto addio, aveva letto un dolore e un tormento insostenibile nei suoi grandi occhi azzurri. Il suo viso, di solito capace di illuminare tutto ciò che le era attorno, era spento, pallido, privo di speranza. Una vista che lo aveva ucciso. Aveva condannato anche lei all’infelicità, un’altra persona che si aggiungeva alla lunga lista di infelici che aveva creato con la sua scelta. Possibile che un decisione che portava tanto dolore fosse realmente quella giusta? Che avesse sbagliato, accecato da uno smisurato e non necessario senso del dovere che gli aveva impedito di giudicare oggettivamente la situazione credendo che rinunciare alla propria felicità fosse inevitabile per percorrere la stada corretta?

Un passo.

Si voltò indietro, in direzione della sorella. Susan si era separata da Caspian e li stava seguendo. Il suo volto riluceva della sofferenza che provava, eco di quella di Peter. Negli occhi, il filo dei pensieri del fratello maggiore. Bastò uno sguardo tra loro per comunicarsi ciò che dovevano.

La decisione era stata presa.

 

*

 

Con le braccia rannicchiate al petto, come se con quel gesto infantile potessi trattenere i molteplici sentimenti che provavo ed evitare che esplodessero distruggendomi, sedevo sulla sabbia fine, poco distante dalle onde che indolenti si infrangevano sulla battigia. La gola bruciava, incapace di sopportare oltre il pianto che ora proseguiva sommesso. Le lacrime scivolavano giù a ritmo costante dai miei occhi, fissi sull’orizzonte. Desideravo smarrirmi nella vista splendida del mare che si univa con il cielo azzurro in un punto lontano, come se la mia coscienza potesse perdersi in quell’infinità.

Cercavo di non pensare. Mi imponevo di non pensare. Se lo avessi fatto, l’enormità della consapevolezza di ciò che era successo mi avrebbe travolta con la forza di uno tsunami. Non pensare invece mi permetteva di far cullare la mia mente dal dolce sciabordio delle onde di quel mare calmo.

Quanto tempo era passato da quando, fuggendo dalla realtà tra gli arbusti che celavano la grotta, ero giunta nella mia piccola oasi di pace, in quel piccolo angolo di paradiso? Pochi minuti, ore? Non mi interessava. Fuori da quella spiaggia non c’era niente ad attendermi, solo un mondo che in ogni cosa mi urlava l’assenza di Peter. Quel piccolo anfratto invece mi parlava di lui, lo sentivo vicino a me, e poco importava che fosse solo una mera illusione di una persona distrutta. Per me quella spiaggia tratteneva il suo ricordo. Nel colore del mare, riuscivo a scorgere la sfumatura degli occhi di Peter, la loro profondità mentre giurava di amarmi. Nei raggi del sole, i riflessi dorati dei suoi capelli, fini come i granelli di sabbia che sentivo scorrere tra le mie dita. Negli alberi e nelle roccie che cingevano la baia, le braccia del ragazzo che mi circondavano teneramente con la promessa di proteggermi. Il vento tiepido, oltre all’odore della salsedine, mi portava invece l’eco della sua voce morbida mentre mi diceva…

“Sapevo di trovarti qui”

Il tempo parve fermarsi, timoroso di rompere un incanto improvviso e ignoto con il suo incedere continuo. Il dolore mi aveva forse condotta alla pazzia totalmente? Il mio desiderio di averlo vicino era tanto grande da indurre la mia mente a sentire il suono della sua voce? Doveva essere così. L’alternativa era facilmente verificabile. Sarebbe bastato ruotare la testa di poco verso la mia destra, nella direzione in cui il suono mi era giunto. Ma se si fosse rivelata sbagliata, la delusione mi avrebbe dato il colpo di grazia.

“Se fossi partita tu, avrei cercato un luogo che mi parlasse di te, e quale posto migliore di questo, dove per la prima volta ho compreso seriamente di amarti?”

Era troppo forte per essere il flebile sussurro del vento. Troppo reale per essere il parto della mia mente addolorata.

Con il cuore in gola, mi voltai lentamente. La mia bocca si spalancò di incredula meraviglia quando i miei occhi, sbarrati e lucidi, si posarono sulla figura dell’ultima persona che credevo di rivedere e dell’unica che avrei voluto accanto per sempre. Peter, retto in piedi, con le mani poggiate sui fianchi, mi sorrideva con la felicità di un bambino nel giorno di Natale davanti al regalo che più aveva atteso.

All’improvviso il tempo tornò a scorrere e sentii le mie energie, prima esaurite nel languore dello sconforto, tornare a pompare insieme al mio sangue. Corrergli incontro e gettarmi tra le sue braccia ansiose fu questione solo di un’istante.

Ridendo di pura gioia, Peter poggiò le sue mani sui miei fianchi e sfruttando il mio stesso slancio mi alzò in aria, facendomi volteggiare. Sentivo la pressione delle sue mani bruciare come fuoco, il suo odore di bosco e muschio inebriarmi di nuovo. Vedevo ogni sfumatura del color zaffiro delle sue iridi o dei riflessi dorati dei suoi capelli. Avvertivo la sua presenza con una forza quasi schiacciante, come se qualcuno avesse sviluppato i miei sensi prima ottenebrati.

Stupore, gioia, confusione, felicità, tutto si agitò in una girandola di sentimenti che culminarono quando le mie labbra si posarono sulle sue, riprendendosi la pace che l’ “addio” pronunciato poche ore prima le aveva tolto. Fu come riunire due tessere di un puzzle, mi sentivo di nuovo completa, traboccante di vita, piena di emozioni  e di voglia di provarle.

Peter era con me. Il mondo poteva ricominciare a girare.

Il bisogno di ossigeno mi costrinse a interrompere il bacio. Lo guardai, gli occhi colmi di felicità quanto le dita lo erano di tenerezza mentre sfioravano le sue labbra ancora umide. Avevo tante domande, una più importante dell’altra, eppure quando parlai l’unica frase che uscì fu un’affermazione. Semplice, forse scontata, ma per me era di vitale importanza ribadirla ad alta voce ora che il destino mi aveva dato la possibilità di farlo.

“Ti amo”

Un sorriso sghembo si dipinse sul suo bel viso. “Perché credi che io sia qui se non perché ti amo anch’io?” rispose, sfregando lieve il suo naso contro il mio.

Lo baciai ancora, come a confermare la sua reale presenza su quella spiaggia, scongiurando il pericolo che si trattasse di un miraggio.

Non riuscivo a credere fosse lì, che fossi tra le sue braccia. Gli avevo detto addio, il mio cuore si stava rassegnando ad abbandonare la sensazione di battere quel dolce sentimento chiamato amore, eppure Peter era lì. Gli avevo detto addio perché il destino sembrava avesse deciso che le nostre strade dovevano essere separate, perché i nostri doveri e le nostre necessità non convergevano, eppure Peter era lì. Se fosse stato un sogno, volentieri non mi sarei mai più svegliata, ma il brivido che la sua mano, che morbida mi accarezzava il viso, mi procurava, mi dava la certezza che quella fosse la realtà. Una realtà che non mi faceva più paura perché invece di presentarsi deserta e dolorosa era traboccante di speranza e amore.

Perché Peter era lì con me. Incredibilmente, inspiegabilmente, meravigliosamente lì con me.

“Ma com’è possibile?” mormorai, facendo scorrere i miei occhi sulla sua figura come se fosse un’apparizione miracolosa, resa quasi divina dai raggi del sole che definivano i suoi contorni alle sue spalle.

“Ti ho promesso che sarei stato felice, e io mantengo sempre le mie promesse” disse solenne. Poi mi si accostò all’orecchio come se dovesse svelarmi un segreto. “Il problema, mia Cathy, è che io posso essere felice solo se sono accanto a te”.

A quelle parole sentii le lacrime pungermi di nuovo, questa volta però per gioia, ma le ricacciai indietro, dimenticandole nelle tenerezza di un altro bacio.

“Ma Lucy ed Edmund, i tuoi doveri?” riuscii a impormi di chiedere.

Anche se mi vergognavo ad ammetterlo, il mio interesse per quelle questioni al momento era pari allo zero, tuttavia una vocina interiore mi ricordò come forse avrei dovuto evitare di smarrirmi nella dolce sensazione che mi trasmettevano le sue labbra e avere notizie su aspetti più pratici. Tolta quell’incombenza, sarei annegata nel mare dei suoi occhi per non riemergerne mai più senza ulteriore indugio.

“Loro sono partiti. Solo Susan è rimasta qui” mi informò.

Una piccola parte della mia mente registrò che a Telmar dovevano esserci dunque altri due giovani amanti preda della mia felicità. Non potevo che esserne contenta, Caspian e Susan meritavano il loro lieto fine quanto noi.

“E li hai lasciati andare?” la mia voce suonò quasi sospettosa. Peter mi era parso fermamente convinto a non abbandonare i fratelli minori, cosa gli aveva fatto cambiare idea?

Il biondo annuì, e dall’ombra che aleggiò sul suo viso compresi che la decisione presa non era stata tra le più semplici.

“Non avrei voluto separarmi da loro, ma è Narnia ad avere più bisogno di me, almeno quanto io di questo posto. Lucy ed Edmund se la caveranno, anche se faccio fatica ad ammetterlo, sono cresciuti e sono in gamba. E poi non sarà per molto, Aslan ci ha promesso che presto li farà tornare” spiegò.

Le sue parole erano concise, ma lo conoscevo talmente bene che riuscivo a leggergli l’enorme conflitto interiore che aveva affrontato dal tormento che ancora sostava nelle sue iridi. Nonostante fosse indiscutibilmente felice di essere rimasto, si sentiva in colpa nei confronti di Edmund e Lucy. Credeva di averli abbandonati e quindi di essere venuto meno al suo ruolo di fratello maggiore, anche se in cuor suo sapeva che i due ragazzi non correvano alcun pericolo a Londra.

Gli presi il viso tra le mani e appoggiai la mia fronte sulla sua, riempiendo il suo campo visivo.

“Staranno bene, vedrai. E tra meno di quanto pensi saranno di nuovo qui con noi” affermai venendo incontro alle sue angoscie inespresse.

Il sorriso con cui mi gratificò mi fece comprendere che la mia intuizione fosse giusta.

“E quando verranno, saranno felici di vedere la loro Narnia splendente come ai tempi d’oro, forse anche di più, grazie alla tua guida e al tuo operato.” Sfregai il mio naso con il suo e gli diedi un bacio leggero. “Sei il re migliore che Narnia abbia mai avuto, dire che questo paese abbia bisogno di te è un eufemismo.” Conclusi, rincarando la dose con la speranza di acquietare almeno un poco le sue ansie.

Peter a quel punto sorrise malizioso. Veloce, mi prese in braccio senza sforzo, permettendomi di cingergli il collo con le braccia. “Non quanto io ho bisogno di te. Sarei stato perso a Londra senza la mia piccola stella” mi sussurrò all’orecchio, procurandomi un brivido lungo la schiena.

“Non hai idea di come mi senta ora. Vederti qui, sapere che non te ne andrai… la tua stella si stava già spegnendo dopo solo pochi minuti che ci eravamo lasciati. Non speravo di sentirmi di nuovo così felice” gli confessai, mostrandogli su un piatto d’argento la mia debolezza, il mio bisogno di lui, senza alcuna remora o timore, perché sapevo di svelarli ad un osservatore attento e premuroso.

“Ti assicuro Cathy che finché avrò fiato in corpo, non ti lascerò mai più, qualsiasi cosa succeda. La separazione porta troppo dolore, e io non voglio infliggertene mai più. Saremo felici. Insieme, qui a Narnia, perché questo è il nostro posto.” giurò, prendendo la mia mano destra nella sua e mettendosela sul cuore.

Poi mi baciò di nuovo, suggellando le sue parole, facendomi volteggiare tra le sue braccia mentre girava su se stesso.

Ero ebbra di gioia e la consapevolezza che le affermazioni di Peter erano vere mi donava una pace e una serenità che credevo non sarei mai riuscita a raggiungere. Ero appagata, in armonia con me stessa, con il fato e con il mondo.

Non temevo più il futuro. Al contrario non vedevo l’ora di viverlo, un desiderio che non avevo mai provato quando nella mia camera a Londra temevo di essere condannata alla solitudine e all’incertezza o quando, sul freddo davanzale del palazzo di Jadis, temevo di dover scegliere tra mia madre e la persona che amavo. O ancora quando, rannicchiata su una spiagga deserta, ero certa che il mio cuore avrebbe provato tanto dolore da divenire incapace di provare un altro sentimento.

Avevo sempre visto il mio futuro nebuloso, perché nel mio presente c’erano solo verità celate e certezze instabili. Perché non ero consapevole di chi fossi e non sapevo chi avrei avuto accanto. Avevo così poca fiducia nel mio avvenire che senza riflettere mi ero gettata in quell’avventura dimostratasi ben presto più grande di me, convinta che qualsiasi cosa mi avesse portato sarebbe stato meglio di quello che avevo, poiché ciò che possedevo era solo un’infinito senso di incompletezza. Una scelta avventata, ma che si era dimostrata la migliore che potessi prendere, perché quel giorno che mi aveva vista correre disperata e lacrimante ad Hyde Park, totalmente senza speranza, mi aveva cambiato lo vita, donandomi tutto ciò che mi mancava e che da sempre avevo agognato.

Quella notte avevo gridato al cielo una domanda precisa. Perché sono qui? Avevo chiesto alle stelle, supplicando di rispondermi. Perché ero al mondo con quei poteri, che scopo aveva la mia vita, chi si interessava a me? Ora avevo la risposta.

Possedevo quei poteri perché ero la figlia della più potente Strega Bianca mai vissuta a Narnia e il mio scopo era difendere con la mia magia quella terra che era la mia vera casa. Ma soprattutto ero al mondo per godere dell’amicizia di persone sincere e buone, e dell’amore di un ragazzo che mi aveva aperto il cuore, dimostrandomi quanto potessi avere da un sentimento tanto profondo ma finora represso.

Dopo anni passati a soffrire un presente buio e temere un futuro incerto, ero felice di vivere in un presente che aveva il sapore dolce della bocca di Peter con davanti un futuro illuminato dal suo amore e dalle mie nuove certezze.

 

   
 
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