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Autore: _hurricane    25/05/2011    4 recensioni
Era tutto il giorno che le campane suonavano. Il loro rumore assordante mi impediva quasi di pensare, il che era strano per me, che non avevo fatto altro che pensare da quando ero venuto al mondo, in un giorno di pioggia. Watari mi aveva detto così: aveva detto che pioveva, in modo fastidioso ed incessante. Proprio come il giorno in cui sono morto.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: L
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era tutto il giorno che le campane suonavano. Il loro rumore assordante mi impediva quasi di pensare, il che era strano per me, che non avevo fatto altro che pensare da quando ero venuto al mondo, in un giorno di pioggia. Watari mi aveva detto così: aveva detto che pioveva, in modo fastidioso ed incessante. Proprio come il giorno in cui sono morto.

Non saprei dire se fosse più insistente il suono delle campane nella mia testa o quello delle gocce di pioggia sulla pelle.
O forse, quello insopportabile di bambini urlanti intorno a me, sepolti nei miei ricordi.
Eppure, c'era un pensiero che nessuno di questi rumori era riuscito a soffocare: la convinzione di avere ragione.
Oh si, io avevo ragione, su tutto.
E se c'è un rimpianto che ho, è quello di non aver vissuto abbastanza da poterlo provare.
Ricordo che continuavo a guardare quel numero, il 13, sperando di trovare nelle increspature di quella strana calligrafia non-umana la risposta che mi mancava. Sapevo che l'unico modo per ottenerla era mettere alla prova quella regola, e sapevo anche che avrei ricevuto risposte negative e riluttanti - non che la cosa mi interessasse. E sapevo che sarei morto presto, solo non così presto.
Così presto da non poter dire ad alta voce di avere ragione.

Era da un pò che quello shinigami bianco mi guardava in modo strano, come se mi volesse studiare. Beh, a dirla tutta ero più che abituato ad essere guardato in quel modo: quasi tutte le persone - poche, in effetti - che mi avevano visto almeno una volta lo avevano fatto. Tutte, tranne Watari. Nessuna però sapeva il mio nome, nè aveva la possibilità di scoprirlo semplicemente guardandomi in faccia. Mi sentivo quasi derubato, scoperto, a causa di quell'occhio giallo ed inquietante che mi osservava. Inoltre, gli shinigami per logica non avrebbero dovuto esistere, e tanto bastava per infastidirmi.
"Voglio provare il quaderno" dissi indicandolo con il mio cucchiaio da dessert, consapevole del caos che la mia proposta avrebbe generato. Davvero non capivano quanto fosse importante? Nessuno di loro sentiva il bisogno bruciante, quasi lacerante, di arrivare alla verità a qualsiasi costo?

Ad un tratto, tutto intorno a me diventò rosso, ma non avevo ancora capito. Capii che doveva essere successo qualcosa a Watari, e che lo shinigami bianco doveva sicuramente saperne qualcosa. Ma pensavo che, almeno, mi avrebbe ucciso guardandomi negli occhi. L'avrei preferito di gran lunga.
Capii soltanto quando sentii una fitta al petto, secca e precisa, come un tonfo sordo proveniente da dentro di me. Mentre cadevo verso il basso, feci una rapida serie di previsioni: probabilmente mi si sarebbe spaccata la testa in due, cadendo a peso morto in quel modo.
Sentii un corpo sotto di me attutire la caduta, e voci sommesse intorno che però non riesco più a ricordare.
Ricordo solo che era tutto rosso: quel colore si rifletteva nelle pupille nere di Light, che mi guardava con un'espressione indecifrabile sul viso. Innumerevoli volte avevo frugato dentro quei due impenetrabili occhi, sperando di trovare un accenno di incertezza, un tentennamento.
Anche il suono delle campane intanto si era tinto di rosso - sempre che un suono possa davvero assumere un colore.
Anche la neve, che cadeva a fiocchi leggeri il giorno in cui Watari mi aveva accolto alla Wammy's House.

Fu una strana sensazione: la fitta al petto era svanita, ma era il respiro a mancare.
Mi sembrò di essere sospeso dentro un'acqua non trasparente.
Poi Light cambiò espressione: le sue pupille si rimpicciolirono, e il contorno degli occhi si assottigliò, facendoli sembrare due piccole fessure nere. Le labbra, prima impassibili, si allungarono in un sorriso compiaciuto. Dubito seriamente che lo abbia fatto per farmi un favore, anzi sono più che certo che non sia così, ma gliene sono grato comunque.

Perchè potei dire addio al mondo sapendo di avere ragione.
   
 
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