Titolo: 30 Mai - Souvenir de toi
Fandom: Axis Powers
Hetalia
Rating: verde
Personaggi: Francis Bonnefoy (Francia), Jeanne (RP Jeanne D'Arc), Antonio
Fernandez Carriedo (Spagna), Arthur Kirkland (Inghilterra)
Pairing: Francia/Jeanne,
Francis/Spagna, Francia/Inghilterra
Riassunto: Il 30 maggio è una data
importante per Francis, si tratta del giorno in cui ha perso l'amore della sua vita, che mai dimenticherà e che
resterà per sempre nel suo cuore nonostante il passare degli anni e il mutare dei sentimenti.
Disclaimer: Hetalia e tutti i personaggi appartengono a Hidekaz Himaruya.
Note: Non ho la presunzione di scrivere qualcosa con il personaggio reale e storico di
Jeann D'Arc, non me ne sentirei mai all'altezza. Qui Jeanne è solo la vecchia fidanzata di Francis a cui si
è accennato delle altre shot. Volevo mostrare l'evoluzione dei sentimenti nel tempo, non sono certa di esserci
riuscita ma spero comunque che il risultato sia apprezzabile. ^^
Ispiratrice della prima parte: Our last summer degli Abba.
Ispiratrice della
seconda parte: In
tango di In-Grid
Terza parte nata dalla mia fantasia angst... -_-
Scritta per GinkoKite che ci teneva particolarmente a leggerla oggi e a lei dedicata.
Beta: GinkoKite
Yuki Delleran
Era l’inizio di una nuova estate, quando le giornate, ormai più lunghe,
iniziavano a scaldarsi notevolmente e il sole abbagliante riverberava limpido sulle acque della Senna. La città
vibrava di vita che si risvegliava, cespugli e arbusti in piena fioritura punteggiavano di colore gli angoli delle vie,
diffondendo nelle strade il loro profumo.
Quella avrebbe dovuto essere la loro estate, nulla sembrava poter
intaccare la serenità di quei giorni trascorsi in allegria, mentre le preoccupazioni per il futuro apparivano
lontane anni luce.
Lei era un fiore forte e gentile, dotata di un’energia all’apparenza inesauribile,
ed era bella. Di una bellezza luminosa di cui Francis si era innamorato all’istante e che avrebbe continuato ad
amare incondizionatamente per tutta la vita. Il tempo trascorso insieme sembrava volare e non era mai abbastanza. Per
un ragazzo appena ventenne e pieno di gioia di vivere era incredibilmente gratificante poter mostrare con orgoglio la
propria città. Lei era sempre vissuta lì eppure conosceva così poco del mondo. Avida di
sapere e di scoperte sempre nuove e meravigliose, pendeva dalle sue labbra e lo fissava con occhi sgranati e brillanti
mentre passeggiavano lungo il fiume e lui le illustrava la storia del luogo. Mentre seguivano i percorsi per turisti,
così ovvi per Francis eppure così entusiasmanti per lei, spesso aveva dovuto trattenerla sorridendo
delle sue esclamazioni estasiate. Il panorama dall’ultimo piano della Tour Eifell l’aveva lasciata
incredula per la sua bellezza: gli Champs Élysées si mostravano in tutto il loro verde splendore, la
città intera si stendeva ai loro piedi e nulla a parte una misera rete sembrava separarli
dall’immensità del cielo.
«Mi sembra di volare! » aveva esclamato lei entusiasta.
Francis aveva riso e le aveva promesso che un giorno l’avrebbe portata ancora più vicino a
quel cielo tanto simile ai suoi occhi.
Camminare nei presso di Notre Dame era un piacere irrinunciabile mentre
ammirava le sue gote arrossire nella luce calda del tramonto, la stessa luce che, specchiandosi sulla facciata di marmo,
regalava allo spettatore attento mille riflessi cangianti di rosa, arancio e rosso acceso, fino alle sfumare
nell’indaco e nel violetto della sera. Ogni giorno era come osservare un quadro sempre diverso per cogliere,
come Monet nelle sue “Cattedrali”, ogni minimo gioco di luce e ombra. Lei amava perdersi nella
contemplazione di quello spettacolo e Francis amava perdersi nella contemplazione della sua espressione rapita.
Ogni sera la portava in un ristorante diverso, voleva che lei potesse vedere il meglio della sua città, il lato
scintillante di Parigi che tutto il mondo invidiava, e ogni sera si stupiva di quanto il suo sorriso si illuminasse sia
davanti ad un locale di lusso che alla prospettiva di un semplice pic-nic in un parco.
«Oh, Francis,
è così bello! » esclamava. «Mi basta sapere che tu sei qui e che hai preparato questa
cena con le tue mani per rendere questa serata indimenticabile. E poi la tua cucina è la migliore del mondo,
dovresti fare lo chef! »
Francis avrebbe voluto viziarla, coccolarla, farne una regina, ma lei non glielo
avrebbe mai permesso. Era troppo testarda per accettare di vivere nella bambagia, quel lato ribelle che Francis tanto
adorava non chiedeva protezione ma invocava la vita, in ogni sua sfaccettatura.
Lei era un fiore forte e gentile e
quella avrebbe dovuto essere la loro estate, senza rimpianti, senza preoccupazioni, un inno alla libertà che
ogni giovane della loro età giustamente desiderava.
Per questo quando l’aveva stretta per
l’ultima volta in quel freddo letto d’ospedale durante quella giornata di fine maggio, Francis aveva
tentato con tutto sé stesso di non piangere. Lei lo aveva sfiorato dolcemente mormorando con
l’ultimo filo di voce di cantarle ancora “La vie en rose” e lui l’aveva accontentata
finché non aveva sentito la stretta cedere, la mano ricadere inerte sulle lenzuola, le ciglia abbassarsi per
sempre. Solo allora Francis aveva permesso alla sua voce di spezzarsi in singhiozzi.
Lei era un fiore forte e
gentile, ma immensamente fragile e lui le giurò che non avrebbe mai più amato nessuna allo stesso
modo.
«Adieu, mon petit fleur, adieu, mon amour perdu. Adieu, ma Jeanne.
»
*-*-*-*-*-*-*-*-*-*
DUE ANNI DOPO
Ogni inizio estate era una riscoperta, una rinascita, ma quell’anno per
Antonio, si trattava di un nuovo inizio nel vero senso della parola. Aveva una casa, un lavoro e un amico che gli aveva
permesso di rimanere a New York. Beh, definire Francis semplicemente un amico era riduttivo, così come
definirlo un amante era altamente inesatto, anche se tra loro era iniziato tutto proprio in quel modo. Antonio sentiva il
legame con lui stringersi ogni giorno di più superando ogni fastidiosa definizione o forse, più
semplicemente, era lui a sentirsi assurdamente romantico nei confronti della persona a cui doveva così tanto.
Probabilmente quell’idea, a Francis, non era più passata nemmeno per l’anticamera del
cervello dopo quella loro prima notte.
«Che sciocchezza! » si disse ridendo suo malgrado di
sé stesso mentre rientrava a casa dopo la chiusura del bar.
Erano entrambi dei Don Giovanni,
avrebbero dovuto passare il tempo a confrontare le rispettive conquiste, altro che deliri romantici! Era deciso, quella
sera l’avrebbe passata raccontando e facendosi raccontare da Francis delle passate fiamme.
Purtroppo,
più il tempo passava, più le sue intenzioni andavano in fumo: era quasi notte e del suo coinquilino
nessuna traccia. Antonio aveva ingannato il tempo preparando la cena, nonostante fosse consapevole che uno chef
come Francis difficilmente avrebbe apprezzato i suoi limiti culinari, ma quando aveva visto che l’ora si stava
facendo eccessivamente tarda, si era risolto a telefonare al ristorante, preoccupato. Gli aveva risposto il
capocameriere che lo aveva liquidato con poche, sbrigative parole.
«Oggi è il 30 maggio e il 30
maggio lo chef non viene mai al lavoro, quindi lo stai cercando nel posto sbagliato. »
Il 30 maggio.
Antonio si diede mille volte dello stupido. Lui sapeva bene cosa significasse quella data per Francis, glielo aveva
raccontato lui stesso quella mattina neanche troppo lontana. Lo sapeva e, invece di stare vicino al suo amico, si era
perso in quegli stupidi ragionamenti superficiali.
Senza perdere altro tempo, si vestì e infilò le
scarpe, precipitandosi fuori di casa: sicuramente Francis era nascosto da qualche parte a deprimersi da solo, doveva
trovarlo e portarlo a casa prima che combinasse qualche sciocchezza. Il problema era dove cercarlo. Non ne aveva la
più pallida idea e di certo non poteva chiederlo a Gilbert, il simpatico tedesco che da poche settimane si era
trasferito nell’appartamento di fronte al loro. Stavano legando bene, ma di certo non ancora abbastanza
perché Francis gli confidasse una cosa tanto intima. Mentre chiamava un taxi, Antonio rifletté sui
pochi indizi che il racconto forniva riguardo ai luoghi frequentati con la ragazza: torri, posti alti vicino al cielo,
cattedrali al tramonto, fiumi che attraversavano la città… Fiumi, certo! Colpito da
un’illuminazione, diede indicazioni al tassista sperando di arrivare il più in fretta possibile.
Esattamente come Antonio aveva immaginato, il fiume era più facilmente raggiungibile
della cima di un grattacielo o di una cattedrale europea. Più difficoltoso era stato scendere lungo
l’argine sovrastato dall’immenso ponte autostradale, ma alla fine i suoi sforzi erano stati premiati.
Francis sedeva nel punto più vicino all’acqua, un completo nero indosso, che si perdeva nelle ombre
della sera, e una rosa bianca tra le mani. Nella scarsa illuminazione fornita da alcuni lampioni era appena distinguibile il
suo sguardo perso sulle acque scure. Di tanto in tanto staccava un petalo candido e lo lasciava cadere nella corrente
lenta e placida del grande fiume, mormorando parole incomprensibili tra le quali Antonio distinse a fatica
“mon petit fleur” e “mon amour”.
Lo spagnolo si
avvicinò lentamente, certo ormai che la sua presenza fosse stata notata, e gli posò una mano sulla
spalla.
«Stai bene? » mormorò sedendosi accanto a lui.
Per tutta risposta Francis
sollevò appena lo sguardo lucido, lasciò cadere definitivamente la rosa nelle acque buie e
circondò con le braccia le spalle di Antonio, nascondendo il volto nell’incavo del suo collo.
«Antoine…» sussurrò, il fiato caldo che sapeva di lacrime a diretto
contatto con la sua pelle. «Antoine…»
«Sì? »
Erano sussurri che parlavano di bisogno di calore, di vicinanza, di sostegno, e Antonio ricambiò
l’abbraccio più che disposto a dare tutto il conforto che poteva. Per questo non si stupì
quando il francese cercò le sue labbra con una brama quasi disperata. Antonio non si limitò a subire
quel bacio ma rispose con trasporto, sperando che l’amico cogliesse quello che stava tentando di trasmettere.
«Sono qui. » dicevano le sue mani che accarezzavano la schiena di Francis. «Sono qui,
non ti lascio. Anche se lei non c’è più, non sei da solo. »
La situazione
iniziò a farsi più complicata quando si trovò sdraiato sull’erba mentre Francis tentava,
con movimenti più impacciati del solito, di slacciargli la camicia, le labbra che già gli tormentavano il
collo.
«Tu la sens? La passion? » ripeteva mentre il respiro di Antonio si faceva via
via più pesante. «Donne-moi ton coeur et je te séduira. »
Si stava
decisamente lasciando prendere un po’ troppo la mano, scordando che erano all’aperto e soprattutto
le circostanze in cui si trovavano. Se avesse affermato di non apprezzare quelle attenzioni, Antonio sarebbe stato un
gran bugiardo ma, allo stesso tempo, era troppo onesto con sé stesso per non capire che tutto stava
avvenendo nei tempi e nei modi sbagliati.
«Francis, por favor…» tentò
di blandirlo con scarsa convinzione.
«A volte penso al passato, a tutto quello che ho perso. »
rispose il giovane, la voce soffocata dalla pelle di Antonio e dalla stoffa della camicia. «Altre volte penso al
futuro e a tutto quello che non avrò mai…»
«Non ha importanza… non ha
importanza…» mormorò lo spagnolo soffocando un gemito provocatogli un morso improvviso.
«Quando penso al presente desidero solo stringere qualcuno tra le braccia in questo modo. »
Quelle parole fecero capire ad Antonio che, in un momento del genere, lui o qualcun altro non avrebbe fatto
differenza. Francis voleva solo qualcuno che gli permettesse di smettere di pensare, di ricordare.
Ricambiò l’abbraccio con affetto, mentre già la passione iniziava a scemare. C’era
qualcosa che solo lui, a differenza di un qualunque amante occasionale, poteva dargli.
«Io ci
sarò sempre quando avrai bisogno, perché sono tuo amico. » gli sussurrò ad un
orecchio mentre accennava ad alzarsi. «Coraggio, andiamo a casa. »
Quella notte Francis si
addormentò tra le braccia di Antonio, cullato dalle carezze gentili dell’amico e da una nostalgica ninna
nanna spagnola.
*-*-*-*-*-*-*-*-*-*
TRE ANNI DOPO
Era una di quelle mattine in cui il profumo dei tigli si diffondeva nell’aria
avvolgendo ogni cosa denso come melassa. La primavera stava gradualmente lasciando il posto ad un’estate
che si preannunciava più calda del previsto. Arthur aprì gli occhi forse disturbato dalla luce che
filtrava attraverso le tende socchiuse, accompagnata dalla debole brezza che le faceva ondeggiare. Il suo sguardo si
spostò subito sul letto accanto al suo, stupendosi di trovarlo vuoto.
Ricordava perfettamente le
proteste di Francis la sera prima quando aveva insistito per prendere una camera doppia semplice mentre lui avrebbe
voluto una matrimoniale. Una matrimoniale lui e Francis, che assurdità! Come assurdo era quell’intero
viaggio che gli era piombato tra capo e collo per decisione irrevocabile del francese. Arthur si era trovato a dover
anticipare le ferie perché Francis doveva assolutamente portarlo a Parigi per presentarlo ad una persona. A
nulla erano valse le sue opposizioni e le sue richieste di spiegazioni: l’aereo era già stato prenotato.
E ora, dopo tutte quelle insistenze, osava non farsi trovare in camera al risveglio. Arthur non sapeva se sentirsi
indignato per essere stato abbandonato a sé stesso in terra straniera o essere sollevato che non lo vedesse
così arruffato di primo mattino.
Solo dopo la doccia recuperò la lucidità necessaria per
notare il biglietto sul comodino.
“Eri così bello
mentre dormivi che non ho avuto il coraggio di svegliarti. Ti aspetto nella hall, preparati come si deve per un incontro
importante.
Bisous.
Francis”
Brontolando e commentando
seccamente la propria presupposta bellezza, Arthur finì di prepararsi indossando uno di quei sobri completi
che non mancavano mai nella sua valigia. Abbinò alla camicia azzurro pallido una cravatta di seta blu e dei
pantaloni del medesimo colore. Nel dubbio sul tempo della giornata, finì per portare sottobraccio anche la
giacca abbinata, sentendosi come se stesse per andare ad una riunione a Wallstreet. Chissà chi doveva
presentargli Francis di così importante? Forse il suo bizzarro padre dai mille matrimoni? Non riusciva proprio
ad immaginarlo.
Trovò il compagno nel salone dell’hotel, intento a bere un caffè. Aveva
un’aria assorta, notò prima di avvicinarsi, e vestiva completamente di nero, cosa strana per un tipo
come Francis. Sul tavolo, accanto alla tazzina, era posata una rosa bianca appena sbocciata. Viste le premesse, a quel
punto era molto improbabile che la persona che dovevano incontrare fosse il padre di Francis.
Senza dire una
parola, Arthur si sedette di fronte a lui e ordinò un tè. Il francese lo sbirciò di sottecchi ma
non spezzò quello strano silenzio. Solo dopo aver finito la propria tazza, Arthur alzò lo sguardo su di
lui.
«Hai dormito bene, Arthùr? » si sentì chiedere con la consueta
leggerezza, anche se il sorriso che gli veniva rivolto era più spento del solito.
Si limitò quindi ad
un’occhiata obliqua e ad un’alzata di spalle.
«Come un sasso. Ero troppo stanco per il
viaggio per rendermi conto di quanto fossero scomodi i materassi francesi. »
La solita risposta burbera
e bisbetica per non mostrare all’altro che iniziava a preoccuparsi.
Francis l’accolse, come
sempre, con un sorriso condiscendente.
Il tragitto in taxi non fu particolarmente lungo,
ma li portò fuori città, lontano dal traffico delle strade principali, in una zona immersa nel verde. Si
fermarono davanti a quello che sembrava il cancello di un giardino privato e Francis pregò Arthur di
attenderlo all’ingresso qualche minuto poi sarebbe tornato a prenderlo. Dopo una mezz’ora buona,
l’inglese perse definitivamente la pazienza e la voglia di gironzolare nei dintorni, quindi varcò a passo
di carica il cancello deciso più che mai a scoprire cosa diavolo stesse succedendo e il motivo di quel viaggio
oltreoceano.
Bastarono pochi passi per rendersi conto che quello non era affatto un giardino e Arthur fu
costretto a rivedere le proprie intenzioni: quello che stava attraversando era un cimitero.
Rallentò
sensibilmente l’andatura per non disturbare altri eventuali, invisibili visitatori, fino a fermarsi del tutto quando
gli giunse la voce di Francis. Dal punto in cui si trovava non poteva vedere con chi stesse parlando, un’alta
siepe gli copriva la visuale, ma le parole lo raggiungevano chiaramente.
«… e poi è un gran
brontolone. Davvero, non hai idea, sembra che lamentarsi sia il suo sport preferito. Tutto il contrario di te, mon
amour. Lavora in borsa quindi è un tipo molto preciso, pignolo al limite della paranoia, ed è un cuoco
terribile, senza contare che è inglese, tutto un programma…»
Arthur
s’irrigidì, ormai certo che stesse parlando, o meglio sparlando, di lui.
«Ha già
avuto un ragazzo ma non si lascia toccare nemmeno con un dito, sapessi che pazienza ci vuole,
però…»
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso: brontolone, pignolo, paranoico,
cuoco terribile, inglese, frigido… Per quanto Francis aveva intenzione di continuare ad insultarlo?
Lo aveva portato lì solo per elencargli i suoi difetti? E poi che diavolo significava quel “mon
amour”?
Già dimentico del luogo in cui si trovava, aggirò la siepe con espressione
tempestosa, pronto a dare battaglia.
«What the hell are you sayin…»
iniziò, ma il sorriso sereno e per nulla scomposto che Francis gli rivolse gli fece morire le parole in gola.
Il giovane mosse un passo in avanti e lo prese per mano.
«… Però è la persona
che amo. » disse mentre lo sguardo confuso di Arthur saettava alle sue spalle.
Non era una persona
quella con cui stava parlando, ma una lapide di lucido marmo bianco. Bastò una sola parola incisa su quella
pietra per chiarirgli ogni cosa: Jeanne, l’eterno amore di Francis a cui la rosa bianca posata sul terreno era
dedicata. Arthur iniziò a sentirsi a disagio.
Venne condotto davanti alla tomba, mentre il francese
continuava a tenergli con delicatezza la mano. Non lo guardava, ma teneva lo sguardo fisso sulla foto della giovane
fanciulla che sorrideva con calore. Era davvero bella.
«Nonostante i suoi difetti, anzi forse proprio per
quelli, non posso fare a meno di lui. » continuò Francis. «Perché sotto la scorza
nasconde l’animo più sensibile che io abbia mai visto. Si preoccupa per me anche se è troppo
timido per dimostrarlo e sa riscaldarmi il cuore come nessuno riusciva a fare da anni. Sono certo che sareste andati
d’accordo, ti sarebbe piaciuto, mon petit fleur. Ringrazio il cielo di avermi fatto incontrare una persona
così meravigliosa e non importa quanto tempo dovrò aspettare, resterò al suo fianco per
sempre, perché lui è la persona che ho scelto. »
Davanti ad una confessione tanto
accorata, Arthur abbassò gli occhi, sopraffatto dall’atmosfera solenne del momento. Lui non aveva
fatto proprio niente per meritare tanta devozione, anzi aveva tentato in ogni modo di allontanarlo. Provava vergogna
per il nervosismo e la punta di gelosia di poco prima e soggezione nei confronti della foto che gli sorrideva dalla
lapide. Si chinò in avanti e la sfiorò con la punta delle dita della mano libera.
«Sono
onorato di fare la tua conoscenza. » mormorò. «Non ho la presunzione di prendere il tuo
posto, non vorrei mai farlo e so che non è possibile, ma se questo scapestrato ha deciso di volermi vicino
temo di non poter fare altro che assecondarlo…»
Una leggera stretta sulle dita e Arthur si
trovò le braccia di Francis a circondargli la vita, le labbra che sfioravano delicatamente le sue.
«Merci, Arthùr. » gli mormorò all’orecchio mentre gli rivolgeva
un sorriso sereno. «Anche lei sarà più tranquilla ora che ci sei tu. »
Quasi a
sottolineare quelle parole, si levò un debole alito di vento che li avvolse nel profumo dolce dei tigli misto a
quello della rosa e un unico raggio di sole fece risplendere la cornice dorata attorno al volto della ragazza che li
osservava con un sorriso benevolo.