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Autore: Yuki Delleran    30/05/2011    1 recensioni
Una raccolta di one-shot AU in cui i personaggi di Hetalia vivono le loro vite in una New York in stile "Friends", dove le storie si intrecciano, le amicizie nascono e le passioni si alternano tra gli inquilini del condominio dell'amministratore Francis.
[coppie citate: FraGna, FrUk, Spamano, Prungheria etc...]
cap. 8 "One of the boys" (young!Ungheria/young!Prussia)
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: 30 Mai - Souvenir de toi
Fandom: Axis Powers Hetalia
Rating: verde
Personaggi: Francis Bonnefoy (Francia), Jeanne (RP Jeanne D'Arc), Antonio Fernandez Carriedo (Spagna), Arthur Kirkland (Inghilterra)
Pairing: Francia/Jeanne, Francis/Spagna, Francia/Inghilterra
Riassunto: Il 30 maggio è una data importante per Francis, si tratta del giorno in cui ha perso l'amore della sua vita, che mai dimenticherà e che resterà per sempre nel suo cuore nonostante il passare degli anni e il mutare dei sentimenti.
Disclaimer:  Hetalia e tutti i personaggi appartengono a Hidekaz Himaruya.
Note: Non ho la presunzione di scrivere qualcosa con il personaggio reale e storico di Jeann D'Arc, non me ne sentirei mai all'altezza. Qui Jeanne è solo la vecchia fidanzata di Francis a cui si è accennato delle altre shot. Volevo mostrare l'evoluzione dei sentimenti nel tempo, non sono certa di esserci riuscita ma spero comunque che il risultato sia apprezzabile. ^^
Ispiratrice della prima parte: Our last summer degli Abba.
Ispiratrice della seconda parte: In tango di In-Grid
Terza parte nata dalla mia fantasia angst... -_-
Scritta per GinkoKite che ci teneva particolarmente a leggerla oggi e a lei dedicata.
Beta: GinkoKite



 

 

di
Yuki Delleran

Era l’inizio di una nuova estate, quando le giornate, ormai più lunghe, iniziavano a scaldarsi notevolmente e il sole abbagliante riverberava limpido sulle acque della Senna. La città vibrava di vita che si risvegliava, cespugli e arbusti in piena fioritura punteggiavano di colore gli angoli delle vie, diffondendo nelle strade il loro profumo.
Quella avrebbe dovuto essere la loro estate, nulla sembrava poter intaccare la serenità di quei giorni trascorsi in allegria, mentre le preoccupazioni per il futuro apparivano lontane anni luce.
Lei era un fiore forte e gentile, dotata di un’energia all’apparenza inesauribile, ed era bella. Di una bellezza luminosa di cui Francis si era innamorato all’istante e che avrebbe continuato ad amare incondizionatamente per tutta la vita. Il tempo trascorso insieme sembrava volare e non era mai abbastanza. Per un ragazzo appena ventenne e pieno di gioia di vivere era incredibilmente gratificante poter mostrare con orgoglio la propria città. Lei era sempre vissuta lì eppure conosceva così poco del mondo. Avida di sapere e di scoperte sempre nuove e meravigliose, pendeva dalle sue labbra e lo fissava con occhi sgranati e brillanti mentre passeggiavano lungo il fiume e lui le illustrava la storia del luogo. Mentre seguivano i percorsi per turisti, così ovvi per Francis eppure così entusiasmanti per lei, spesso aveva dovuto trattenerla sorridendo delle sue esclamazioni estasiate. Il panorama dall’ultimo piano della Tour Eifell l’aveva lasciata incredula per la sua bellezza: gli Champs Élysées si mostravano in tutto il loro verde splendore, la città intera si stendeva ai loro piedi e nulla a parte una misera rete sembrava separarli dall’immensità del cielo.
«Mi sembra di volare! » aveva esclamato lei entusiasta.
Francis aveva riso e le aveva promesso che un giorno l’avrebbe portata ancora più vicino a quel cielo tanto simile ai suoi occhi.
Camminare nei presso di Notre Dame era un piacere irrinunciabile mentre ammirava le sue gote arrossire nella luce calda del tramonto, la stessa luce che, specchiandosi sulla facciata di marmo, regalava allo spettatore attento mille riflessi cangianti di rosa, arancio e rosso acceso, fino alle sfumare nell’indaco e nel violetto della sera. Ogni giorno era come osservare un quadro sempre diverso per cogliere, come Monet nelle sue “Cattedrali”, ogni minimo gioco di luce e ombra. Lei amava perdersi nella contemplazione di quello spettacolo e Francis amava perdersi nella contemplazione della sua espressione rapita.
Ogni sera la portava in un ristorante diverso, voleva che lei potesse vedere il meglio della sua città, il lato scintillante di Parigi che tutto il mondo invidiava, e ogni sera si stupiva di quanto il suo sorriso si illuminasse sia davanti ad un locale di lusso che alla prospettiva di un semplice pic-nic in un parco.
«Oh, Francis, è così bello! » esclamava. «Mi basta sapere che tu sei qui e che hai preparato questa cena con le tue mani per rendere questa serata indimenticabile. E poi la tua cucina è la migliore del mondo, dovresti fare lo chef! »
Francis avrebbe voluto viziarla, coccolarla, farne una regina, ma lei non glielo avrebbe mai permesso. Era troppo testarda per accettare di vivere nella bambagia, quel lato ribelle che Francis tanto adorava non chiedeva protezione ma invocava la vita, in ogni sua sfaccettatura.
Lei era un fiore forte e gentile e quella avrebbe dovuto essere la loro estate, senza rimpianti, senza preoccupazioni, un inno alla libertà che ogni giovane della loro età giustamente desiderava.
Per questo quando l’aveva stretta per l’ultima volta in quel freddo letto d’ospedale durante quella giornata di fine maggio, Francis aveva tentato con tutto sé stesso di non piangere. Lei lo aveva sfiorato dolcemente mormorando con l’ultimo filo di voce di cantarle ancora “La vie en rose” e lui l’aveva accontentata finché non aveva sentito la stretta cedere, la mano ricadere inerte sulle lenzuola, le ciglia abbassarsi per sempre. Solo allora Francis aveva permesso alla sua voce di spezzarsi in singhiozzi.
Lei era un fiore forte e gentile, ma immensamente fragile e lui le giurò che non avrebbe mai più amato nessuna allo stesso modo.
«Adieu, mon petit fleur, adieu, mon amour perdu. Adieu, ma Jeanne. »

*-*-*-*-*-*-*-*-*-*

DUE ANNI DOPO

Ogni inizio estate era una riscoperta, una rinascita, ma quell’anno per Antonio, si trattava di un nuovo inizio nel vero senso della parola. Aveva una casa, un lavoro e un amico che gli aveva permesso di rimanere a New York. Beh, definire Francis semplicemente un amico era riduttivo, così come definirlo un amante era altamente inesatto, anche se tra loro era iniziato tutto proprio in quel modo. Antonio sentiva il legame con lui stringersi ogni giorno di più superando ogni fastidiosa definizione o forse, più semplicemente, era lui a sentirsi assurdamente romantico nei confronti della persona a cui doveva così tanto. Probabilmente quell’idea, a Francis, non era più passata nemmeno per l’anticamera del cervello dopo quella loro prima notte.
«Che sciocchezza! » si disse ridendo suo malgrado di sé stesso mentre rientrava a casa dopo la chiusura del bar.
Erano entrambi dei Don Giovanni, avrebbero dovuto passare il tempo a confrontare le rispettive conquiste, altro che deliri romantici! Era deciso, quella sera l’avrebbe passata raccontando e facendosi raccontare da Francis delle passate fiamme.
Purtroppo, più il tempo passava, più le sue intenzioni andavano in fumo: era quasi notte e del suo coinquilino nessuna traccia. Antonio aveva ingannato il tempo preparando la cena, nonostante fosse consapevole che uno chef come Francis difficilmente avrebbe apprezzato i suoi limiti culinari, ma quando aveva visto che l’ora si stava facendo eccessivamente tarda, si era risolto a telefonare al ristorante, preoccupato. Gli aveva risposto il capocameriere che lo aveva liquidato con poche, sbrigative parole.
«Oggi è il 30 maggio e il 30 maggio lo chef non viene mai al lavoro, quindi lo stai cercando nel posto sbagliato. »
Il 30 maggio.
Antonio si diede mille volte dello stupido. Lui sapeva bene cosa significasse quella data per Francis, glielo aveva raccontato lui stesso quella mattina neanche troppo lontana. Lo sapeva e, invece di stare vicino al suo amico, si era perso in quegli stupidi ragionamenti superficiali.
Senza perdere altro tempo, si vestì e infilò le scarpe, precipitandosi fuori di casa: sicuramente Francis era nascosto da qualche parte a deprimersi da solo, doveva trovarlo e portarlo a casa prima che combinasse qualche sciocchezza. Il problema era dove cercarlo. Non ne aveva la più pallida idea e di certo non poteva chiederlo a Gilbert, il simpatico tedesco che da poche settimane si era trasferito nell’appartamento di fronte al loro. Stavano legando bene, ma di certo non ancora abbastanza perché Francis gli confidasse una cosa tanto intima. Mentre chiamava un taxi, Antonio rifletté sui pochi indizi che il racconto forniva riguardo ai luoghi frequentati con la ragazza: torri, posti alti vicino al cielo, cattedrali al tramonto, fiumi che attraversavano la città… Fiumi, certo! Colpito da un’illuminazione, diede indicazioni al tassista sperando di arrivare il più in fretta possibile.

Esattamente come Antonio aveva immaginato, il fiume era più facilmente raggiungibile della cima di un grattacielo o di una cattedrale europea. Più difficoltoso era stato scendere lungo l’argine sovrastato dall’immenso ponte autostradale, ma alla fine i suoi sforzi erano stati premiati. Francis sedeva nel punto più vicino all’acqua, un completo nero indosso, che si perdeva nelle ombre della sera, e una rosa bianca tra le mani. Nella scarsa illuminazione fornita da alcuni lampioni era appena distinguibile il suo sguardo perso sulle acque scure. Di tanto in tanto staccava un petalo candido e lo lasciava cadere nella corrente lenta e placida del grande fiume, mormorando parole incomprensibili tra le quali Antonio distinse a fatica “mon petit fleur” e “mon amour”.
Lo spagnolo si avvicinò lentamente, certo ormai che la sua presenza fosse stata notata, e gli posò una mano sulla spalla.
«Stai bene? » mormorò sedendosi accanto a lui.
Per tutta risposta Francis sollevò appena lo sguardo lucido, lasciò cadere definitivamente la rosa nelle acque buie e circondò con le braccia le spalle di Antonio, nascondendo il volto nell’incavo del suo collo.
«Antoine…» sussurrò, il fiato caldo che sapeva di lacrime a diretto contatto con la sua pelle. «Antoine…»
«Sì? »
Erano sussurri che parlavano di bisogno di calore, di vicinanza, di sostegno, e Antonio ricambiò l’abbraccio più che disposto a dare tutto il conforto che poteva. Per questo non si stupì quando il francese cercò le sue labbra con una brama quasi disperata. Antonio non si limitò a subire quel bacio ma rispose con trasporto, sperando che l’amico cogliesse quello che stava tentando di trasmettere.
«Sono qui. » dicevano le sue mani che accarezzavano la schiena di Francis. «Sono qui, non ti lascio. Anche se lei non c’è più, non sei da solo. »
La situazione iniziò a farsi più complicata quando si trovò sdraiato sull’erba mentre Francis tentava, con movimenti più impacciati del solito, di slacciargli la camicia, le labbra che già gli tormentavano il collo.
«Tu la sens? La passion? » ripeteva mentre il respiro di Antonio si faceva via via più pesante. «Donne-moi ton coeur et je te séduira. »
Si stava decisamente lasciando prendere un po’ troppo la mano, scordando che erano all’aperto e soprattutto le circostanze in cui si trovavano. Se avesse affermato di non apprezzare quelle attenzioni, Antonio sarebbe stato un gran bugiardo ma, allo stesso tempo, era troppo onesto con sé stesso per non capire che tutto stava avvenendo nei tempi e nei modi sbagliati.
«Francis, por favor…» tentò di blandirlo con scarsa convinzione.
«A volte penso al passato, a tutto quello che ho perso. » rispose il giovane, la voce soffocata dalla pelle di Antonio e dalla stoffa della camicia. «Altre volte penso al futuro e a tutto quello che non avrò mai…»
«Non ha importanza… non ha importanza…» mormorò lo spagnolo soffocando un gemito provocatogli un morso improvviso.
«Quando penso al presente desidero solo stringere qualcuno tra le braccia in questo modo. »
Quelle parole fecero capire ad Antonio che, in un momento del genere, lui o qualcun altro non avrebbe fatto differenza. Francis voleva solo qualcuno che gli permettesse di smettere di pensare, di ricordare.
Ricambiò l’abbraccio con affetto, mentre già la passione iniziava a scemare. C’era qualcosa che solo lui, a differenza di un qualunque amante occasionale, poteva dargli.
«Io ci sarò sempre quando avrai bisogno, perché sono tuo amico. » gli sussurrò ad un orecchio mentre accennava ad alzarsi. «Coraggio, andiamo a casa. »
Quella notte Francis si addormentò tra le braccia di Antonio, cullato dalle carezze gentili dell’amico e da una nostalgica ninna nanna spagnola.

*-*-*-*-*-*-*-*-*-*

TRE ANNI DOPO

Era una di quelle mattine in cui il profumo dei tigli si diffondeva nell’aria avvolgendo ogni cosa denso come melassa. La primavera stava gradualmente lasciando il posto ad un’estate che si preannunciava più calda del previsto. Arthur aprì gli occhi forse disturbato dalla luce che filtrava attraverso le tende socchiuse, accompagnata dalla debole brezza che le faceva ondeggiare. Il suo sguardo si spostò subito sul letto accanto al suo, stupendosi di trovarlo vuoto.
Ricordava perfettamente le proteste di Francis la sera prima quando aveva insistito per prendere una camera doppia semplice mentre lui avrebbe voluto una matrimoniale. Una matrimoniale lui e Francis, che assurdità! Come assurdo era quell’intero viaggio che gli era piombato tra capo e collo per decisione irrevocabile del francese. Arthur si era trovato a dover anticipare le ferie perché Francis doveva assolutamente portarlo a Parigi per presentarlo ad una persona. A nulla erano valse le sue opposizioni e le sue richieste di spiegazioni: l’aereo era già stato prenotato.
E ora, dopo tutte quelle insistenze, osava non farsi trovare in camera al risveglio. Arthur non sapeva se sentirsi indignato per essere stato abbandonato a sé stesso in terra straniera o essere sollevato che non lo vedesse così arruffato di primo mattino.
Solo dopo la doccia recuperò la lucidità necessaria per notare il biglietto sul comodino.
“Eri così bello mentre dormivi che non ho avuto il coraggio di svegliarti. Ti aspetto nella hall, preparati come si deve per un incontro importante.
Bisous.

Francis” 
 

Brontolando e commentando seccamente la propria presupposta bellezza, Arthur finì di prepararsi indossando uno di quei sobri completi che non mancavano mai nella sua valigia. Abbinò alla camicia azzurro pallido una cravatta di seta blu e dei pantaloni del medesimo colore. Nel dubbio sul tempo della giornata, finì per portare sottobraccio anche la giacca abbinata, sentendosi come se stesse per andare ad una riunione a Wallstreet. Chissà chi doveva presentargli Francis di così importante? Forse il suo bizzarro padre dai mille matrimoni? Non riusciva proprio ad immaginarlo.
Trovò il compagno nel salone dell’hotel, intento a bere un caffè. Aveva un’aria assorta, notò prima di avvicinarsi, e vestiva completamente di nero, cosa strana per un tipo come Francis. Sul tavolo, accanto alla tazzina, era posata una rosa bianca appena sbocciata. Viste le premesse, a quel punto era molto improbabile che la persona che dovevano incontrare fosse il padre di Francis.
Senza dire una parola, Arthur si sedette di fronte a lui e ordinò un tè. Il francese lo sbirciò di sottecchi ma non spezzò quello strano silenzio. Solo dopo aver finito la propria tazza, Arthur alzò lo sguardo su di lui.
«Hai dormito bene, Arthùr? » si sentì chiedere con la consueta leggerezza, anche se il sorriso che gli veniva rivolto era più spento del solito.
Si limitò quindi ad un’occhiata obliqua e ad un’alzata di spalle.
«Come un sasso. Ero troppo stanco per il viaggio per rendermi conto di quanto fossero scomodi i materassi francesi. »
La solita risposta burbera e bisbetica per non mostrare all’altro che iniziava a preoccuparsi.
Francis l’accolse, come sempre, con un sorriso condiscendente.

Il tragitto in taxi non fu particolarmente lungo, ma li portò fuori città, lontano dal traffico delle strade principali, in una zona immersa nel verde. Si fermarono davanti a quello che sembrava il cancello di un giardino privato e Francis pregò Arthur di attenderlo all’ingresso qualche minuto poi sarebbe tornato a prenderlo. Dopo una mezz’ora buona, l’inglese perse definitivamente la pazienza e la voglia di gironzolare nei dintorni, quindi varcò a passo di carica il cancello deciso più che mai a scoprire cosa diavolo stesse succedendo e il motivo di quel viaggio oltreoceano.
Bastarono pochi passi per rendersi conto che quello non era affatto un giardino e Arthur fu costretto a rivedere le proprie intenzioni: quello che stava attraversando era un cimitero.
Rallentò sensibilmente l’andatura per non disturbare altri eventuali, invisibili visitatori, fino a fermarsi del tutto quando gli giunse la voce di Francis. Dal punto in cui si trovava non poteva vedere con chi stesse parlando, un’alta siepe gli copriva la visuale, ma le parole lo raggiungevano chiaramente.
«… e poi è un gran brontolone. Davvero, non hai idea, sembra che lamentarsi sia il suo sport preferito. Tutto il contrario di te, mon amour. Lavora in borsa quindi è un tipo molto preciso, pignolo al limite della paranoia, ed è un cuoco terribile, senza contare che è inglese, tutto un programma…»
Arthur s’irrigidì, ormai certo che stesse parlando, o meglio sparlando, di lui.
«Ha già avuto un ragazzo ma non si lascia toccare nemmeno con un dito, sapessi che pazienza ci vuole, però…»
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso: brontolone, pignolo, paranoico, cuoco terribile, inglese, frigido… Per quanto Francis aveva intenzione di continuare ad insultarlo? Lo aveva portato lì solo per elencargli i suoi difetti? E poi che diavolo significava quel “mon amour”?
Già dimentico del luogo in cui si trovava, aggirò la siepe con espressione tempestosa, pronto a dare battaglia.
«What the hell are you sayin…» iniziò, ma il sorriso sereno e per nulla scomposto che Francis gli rivolse gli fece morire le parole in gola.
Il giovane mosse un passo in avanti e lo prese per mano.
«… Però è la persona che amo. » disse mentre lo sguardo confuso di Arthur saettava alle sue spalle.
Non era una persona quella con cui stava parlando, ma una lapide di lucido marmo bianco. Bastò una sola parola incisa su quella pietra per chiarirgli ogni cosa: Jeanne, l’eterno amore di Francis a cui la rosa bianca posata sul terreno era dedicata. Arthur iniziò a sentirsi a disagio.
Venne condotto davanti alla tomba, mentre il francese continuava a tenergli con delicatezza la mano. Non lo guardava, ma teneva lo sguardo fisso sulla foto della giovane fanciulla che sorrideva con calore. Era davvero bella.
«Nonostante i suoi difetti, anzi forse proprio per quelli, non posso fare a meno di lui. » continuò Francis. «Perché sotto la scorza nasconde l’animo più sensibile che io abbia mai visto. Si preoccupa per me anche se è troppo timido per dimostrarlo e sa riscaldarmi il cuore come nessuno riusciva a fare da anni. Sono certo che sareste andati d’accordo, ti sarebbe piaciuto, mon petit fleur. Ringrazio il cielo di avermi fatto incontrare una persona così meravigliosa e non importa quanto tempo dovrò aspettare, resterò al suo fianco per sempre, perché lui è la persona che ho scelto. »
Davanti ad una confessione tanto accorata, Arthur abbassò gli occhi, sopraffatto dall’atmosfera solenne del momento. Lui non aveva fatto proprio niente per meritare tanta devozione, anzi aveva tentato in ogni modo di allontanarlo. Provava vergogna per il nervosismo e la punta di gelosia di poco prima e soggezione nei confronti della foto che gli sorrideva dalla lapide. Si chinò in avanti e la sfiorò con la punta delle dita della mano libera.
«Sono onorato di fare la tua conoscenza. » mormorò. «Non ho la presunzione di prendere il tuo posto, non vorrei mai farlo e so che non è possibile, ma se questo scapestrato ha deciso di volermi vicino temo di non poter fare altro che assecondarlo…»
Una leggera stretta sulle dita e Arthur si trovò le braccia di Francis a circondargli la vita, le labbra che sfioravano delicatamente le sue.
«Merci, Arthùr. » gli mormorò all’orecchio mentre gli rivolgeva un sorriso sereno. «Anche lei sarà più tranquilla ora che ci sei tu. »
Quasi a sottolineare quelle parole, si levò un debole alito di vento che li avvolse nel profumo dolce dei tigli misto a quello della rosa e un unico raggio di sole fece risplendere la cornice dorata attorno al volto della ragazza che li osservava con un sorriso benevolo. 

   
 
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