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Autore: dreamer_is    01/06/2011    1 recensioni
Diceva Aristotele che la Poesia era tra le forme d’arte la migliore, poiché rappresentava le cose non per com’erano, ma per come avrebbero -o sarebbero- dovuto andare.
Dunque eccomi qui, a scrivere cosa sarebbe accaduto se tutto fosse andato secondo i miei sogni, non secondo la realtà.
E forse ho anche uno scopo, liberarmi di queste visioni melliflue che mi assediano la testa, così mi lasceranno andare.
O forse perché spero ancora che la fantasia e i sogni si confondano e una dolce e generosa fata esaudisca i miei desideri.
Forse.
O forse spero solo che l’ultimo Cavallo di legno contenga la fiamma letale che m’incendi totalmente e mi distrugga per davvero.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Scusate per quel capitolaccio…avevo postato la bozza e non quello giusto…sono una frana. U.ù
Ad ogni modo, i capitoli avranno cadenza settimanale per ora, attendo cali un po’ di stress…
Smetto di vaneggiare e vi lascio leggere…

 

Capitolo Secondo. Nubi viola.

 
 
Se potessi librarmi nel viola,
abbandonerei il mio corpo
su questo letto feroce,
riempito di acqua salata
e calde braccia,
che trattengono ciò che di visibile
resta di me.
E forse tornerei indietro.
Forse semplicemente
Volerei via.
Lontano.
Per riuscire a dimenticare te.
 
Pioveva, come oggi.
Ricordo di aver osservato sconsolata il vento violento e la pioggia, che percuotevano i vetri come se volessero sfondarli, sperando che avrebbero cessato il loro sfogo prima che uscissi di lì.
E ricordo di aver avuto un crampo di paura quando il primo fulmine squarciò il grigio nebbioso.
Erano le tre del pomeriggio e l’aula era artificialmente illuminata dalle luci al neon.
Luca chiese di poter spegnere le luci, nel suo inglese smozzicato. M’infastidì un po’ quella richiesta: avrei preferito vedere limpidamente il foglio steso davanti a me su cui si stava articolando la lettera a un ipotetico english friend.
Ma degli altri tre coraggiosi studenti venuti al corso, nessuno obiettò.
Era seduto dietro di me.
Non gradivo la compagnia altrui quando si trattava di concentrarsi sullo studio, sulla preparazione di un esame che sembrava aver assorbito ogni mia energia.
L’inglese freddo, anche un po’ tagliente, ostile …non mi sarebbe dispiaciuto essere influenzata da quella lingua, anzi, avrei tanto desiderato essere natia di quella terra piovosa, anche se odiavo l’umidità.
Improvvisamente, non ricordai come si traducesse desiderio in inglese. Ero cosciente di quanto fosse stupida come parola, consapevole di averla ascoltata anche in troppe canzoni, ma non riuscivo che a pensare ad un suono molto dolce.
Poi un frammento di carta volò sul mio banco.
Lo ignorai, fingendo di voler terminare la frase…Wish. Lo ricordai immediatamente.
Poi lo aprii, incuriosita.
“Ma come siamo calorose, oggi: la pioggia è molto più affettuosa.”
Mi punse un po’, quell’osservazione, poi appallottolai il biglietto e lo lasciai al bordo del quaderno.
Dopo aver scritto altri tre, articolati periodi, arrivò un brandello di gomma sulla mia spalla.
Lo ignorai.
Al quinto, qualcosa mi sfiorò i capelli, leggerissimo.
Un brivido mi attraversò la schiena con una potenza disarmante.
Ma lo ignorai, o finsi di farlo, e continuai la lettera.
Ma lui non lo fece.
Carezzò di nuovo i miei capelli, sciogliendo lentamente la tensione che mi aveva permesso di non interessarmi a lui fino a quel momento.
Finii la lettera con una firma leggermente tremante, poi la consegnai e uscii dall’aula, non avevo il coraggio di riprendere il mio posto. Avrei voluto insultarlo, anche se quelle carezze erano estremamente piacevoli.
Passeggiai lungo il corridoio, arrivai alla grande finestra, da cui non  riuscivo ad intravedere nulla, se non lo spesso muro di pioggia.
Dopo qualche istante udii dei passi dirigersi verso di me.
Poi la sua presenza mi oltrepassò, verso i bagni.
Sospirai di sollievo, tornai in classe, la lezione era quasi terminata.
Raccogliendo lo zaino, mi preparai mentalmente ad affrontare il viaggio di ritorno e tornare in casa completamente zuppa.
Ma non avevo considerato Luca, nei miei piani.
Uscii da scuola e lo vidi sotto un ombrello azzurro, con una sigaretta tra le dita. Mi chiesi come avesse fatto a superarmi senza che me ne fossi accorta e, sbuffando, sporsi la testa sotto la pioggia. Addio piastra accuratamente passata.
“Ma non hai un ombrello?”la sua voce giunse, un wish avverato.
“No, non qui” mi voltai, sorridendo. “Non credevo che il sole ci avrebbe abbandonati.”
Mi invitò sotto il suo, avvicinandosi, ma lo allontanai, notando il nauseante odore di tabacco sotto la plastica. Ricordai improvvisamente il ragazzo del quinto, che mi aveva deluso anche lui in quel modo, o almeno simile: aveva fumato una canna durante la ricreazione. Avevo strappato ogni verso scritto per lui.
Non meritava più l’aggettivo perfetto.
Mi guardò dubbioso, poi mi chiese se il fumo mi infastidisse. E spense la sigaretta appena accesa perché non poteva avere sulla coscienza una polmonite.
Arrossii violentemente quando avvolse il suo braccio caldo attorno le mie spalle già zuppe, quell’odore terribile, aveva già smesso di contrariarmi.
Parlammo di musica durante il tragitto verso casa mia.
Quando giungemmo al portone, il mio cuore aveva il ritmo di un rullo di tamburi, le mani che cercavano le chiavi, erano la membrana percossa. Aprii il portone e mi voltai per ringraziarlo.
Mi sorrise e poi se ne andò.
Allora mi accorsi di quanto rovente potesse essere il cioccolato.
  
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