Una piccola shot nata sotto la doccia per ringraziare chi ieri mi ha dato una mano a stare su di morale. Chi non potrò dimenticare mai, nemmeno se vivessi per sempre.
La canzone è “Il mare d’inverno” di Enrico Ruggeri... buona lettura!!!
Cara Sconosciuta
Il mare d’inverno
Il mare d’inverno
È solo un film in bianco e nero
visto alla tv
E verso l’interno
Qualche nuvola dal cielo che si
butta giù
L’automobile
rossa si fermò poco oltre il segnale del divieto di balneazione.
La
bandiera rossa, costantemente alzata in quella stagione, sventolava senza
sosta, sferzata da un vento gelido e insistente, fiera, pur nella piena coscienza
della propria inutilità. Nessuno avrebbe mai osato bagnarsi nell’oceano con
quelle temperature.
I suoi
bordi, slabbrati e lacerati dalle intemperie, così come il suo colore sbiadito
erano chiari segni che il pezzetto di stoffa non era alla sua prima stagione.
Forse
in estate l’avrebbero sostituito con una nuova bandiera di un rosso vivido e
con gli orli cuciti alla perfezione. E lei? Lei sarebbe stata semplicemente
buttata via, come tutte le cose vecchie.
Scendendo
dalla macchina, Kate Beckett sentì di essere particolarmente solidale con quel
piccolo scampolo di tessuto rossiccio. Era esattamente come lei, innamorata di
un mare che presto l’avrebbe rigettata via.
Come
ogni anno.
Come
ogni estate.
O,
forse, ci avrebbe pensato il vento dicembrino a portarla via con sé.
La
bandiera era più fortunata.
Il
suo, di vento, se n’era andato di nuovo, in compagnia di una bandiera più bella
e vivace di lei.
Una
bandiera nuova nuova della quale si sarebbe stancato
in un attimo.
E poi?
Poi sarebbe tornato da lei, come ogni anno, e lei lo avrebbe aspettato,
consciamente o meno, perché era lui, l’uragano Castle, l’unico vento dal quale
lei potesse lasciarsi trasportare.
Scuotendo
lentamente il capo, la donna si avviò sulla sabbia morbida della spiaggia, fino
a raggiungere il bagnasciuga.
In
silenzio, si sedette, lasciando che le onde, calme e gentili, le lambissero i
piedi, bene al caldo negli stivali.
Il
cielo covava tempesta e il colore scuro delle nuvole, riflesso dall’acqua,
stonava in modo stridente con le chiazze di neve che ancora macchiavano il
terreno qua e là.
Sembrava
irreale... niente di più che un paesaggio ripreso da una vecchia cinepresa
dalla pellicola in bianco e nero. Tutto il resto erano sfumature di grigi.
Chiudendo
gli occhi, Kate inalò per qualche istante la brezza oceanica con il suo buon
profumo di salsedine.
Lentamente,
appoggiando i palmi delle mani sulla sabbia, tornò a rivolgere al cielo il suo
sguardo di smeraldo, scoprendo davanti a sé uno spettacolo senza pari.
Le
nuvole più scure, cariche d’acqua, parevano essere così basse da poter toccare
la superficie increspata del mare.
Sembrava
un bacio... un bacio di estrema tenerezza tra due mondi destinati a non
incontrarsi mai.
Fu un
sorriso esausto quello che le piegò verso l’alto gli angoli della bocca.
Strano
come tutto, quel giorno, sembrasse parlare di lei e Castle.
Sabbia bagnata
Una lettera che il vento sta
portando via
Puntini invisibili rincorsi dai cani
Parabole stanche di vecchi gabbiani
E io che rimango qui solo
A cercare un caffè
I
tavolini del bar erano sempre esattamente uguali a loro stessi, ogni singolo
anno, ogni volta che li vedeva. Se non fosse stato per la stoffa colorata degli
ombrelloni e per i bordi di plastica delle sedie, che ogni anno diventavano
sempre più grigi, avrebbe davvero potuto sembrare che il tempo, in quel piccolo
angolo di mondo, si fosse fermato.
Richard
Castle sorrise, lanciando un’occhiata affettuosa a Donald, il proprietario,
che, ingobbito dagli anni e dal lavoro, passava un panno umido sulla macchina
del caffè con la delicatezza di un padre.
Il
caffè più buono degli Hamptons era servito in un baretto nascosto e
semisconosciuto che pareva tirare avanti per miracolo o clemenza divina in cui
Donald faceva da cassiere, cameriere, barman e uomo delle pulizie, sempre sotto
l’occhio vigile di sua moglie Annabelle, che lo guardava, sorridente e materna,
da una cornice d’argento appesa alla parete dietro al bancone.
Nessuno
l’aveva mai rubata, né nessuno l’avrebbe mai fatto, tanto era il rispetto che
quel piccolo uomo gobbo incuteva.
Era
uno che aveva combattuto contro la vita, Donald. Aveva combattuto, aveva perso,
e ora accettava la sconfitta con stoica fierezza.
In
nessun luogo scrivere era facile e meraviglioso come lì.
Sospirando,
lo scrittore si tolse le scarpe e le calze, affondando i piedi nella sabbia
umida e fredda.
Un
piacevole brivido gli corse su lungo la schiena.
“Farebbe
meglio a venire dentro.” Lo redarguì Donald, posando sul tavolo una tazzina di caffè
e una microscopica zuccheriera.
Castle
scosse il capo, fissando lo sguardo sull’orizzonte color piombo.
“Più
tardi, Donald, grazie...”
L’anziano
inarcò le sopracciglia.
“Le si
staccheranno gli alluci, un giorno o l’altro!”
Brontolando,
l’uomo rientrò nel casotto che costituiva il locale, lasciando Castle seduto al
freddo con uno strano sorriso in volto.
Lontano,
vicino al bagnasciuga, due piccoli cani rincorrevano senza sosta un grosso
crostaceo bianco, un granchio, probabilmente.
Tre
gabbiani dall’aria stanca disegnavano ampi e placidi cerchi sulle nuvole
grigie.
Una
donna sedeva vicino al mare, il cappuccio rosso tirato per bene sopra alla
testa, tutto il peso appoggiato sulle mani, dietro alla schiena.
L’uomo
inalò quell’aria salubre a pieni polmoni ed estrasse dalla tasca dei pantaloni
una busta un po’sgualcita.
Con un’espressione
a metà tra un sorriso e una smorfia, ne estrasse un foglio ripiegato in quattro
e un biglietto aereo per Venezia.
La
lettera che Meredith gli aveva scritto, sciorinando una serie di almeno venti
buoni motivi per cui avrebbero dovuto tornare insieme.
Il
primo era Alexis.
L’ultimo
era una vacanza in Italia in un hotel veneziano super lussuoso completamente
spesato.
E dire
che stava quasi per cascarci.
All’aeroporto
si era accorto dell’immensa idiozia che stava per commettere.
Dopotutto,
Alexis sarebbe stata bene da sola con sua madre, una volta ogni tanto, e a lui
un po’di solitudine non avrebbe fatto male.
O,
almeno, così la pensava fino a poche ore prima, quando aveva visto la donna che
ora sedeva a pochi metri da lui.
Aveva
pensato ad un’allucinazione, sulle prime, una specie di sogno ad occhi aperti.
Quando
aveva capito che era davvero lei, però, non aveva perso nemmeno un secondo a
chiedersi cosa ci facesse la stakanovista Kate Beckett negli Hamptons.
Con un
sorriso vero, questa volta, ripose tutto nella busta e, con due strappi secchi,
la divise in quattro, lasciando che il vento ne portasse via i frammenti.
Il mare d’inverno
È un concetto che il pensiero non
considera
È poco moderno
È qualcosa che nessuno mai desidera
Alberghi chiusi
Manifesti già sbiaditi di pubblicità
Macchine tracciano solchi su strade
Dove la pioggia d’estate non cade
E io che non riesco nemmeno a
parlare con me
Mentre
considerava, tra sé, quanto vuota e desolata fosse quella località in inverno,
un pezzo di carta portato dal vento si impigliò tra i suoi capelli, appena
lasciati scoperti dal cappuccio della felpa, che era scivolato giù.
Lo
prese in mano e riconobbe al volo la consistenza appena rigida dei biglietti
aerei.
Il
nome dell’aeroporto di partenza era incompleto.
La
destinazione era Venezia.
Venezia...
Una città
tra terra e mare, in bilico nel tempo e nello spazio.
Così l’aveva
definita Castle, prima di dirle che ci sarebbe andato nelle vacanze natalizie.
Con
Meredith.
Una
strana coincidenza quel cartoncino, nulla da dire.
Ma non
si sarebbe lasciata abbattere.
Risoluta,
strinse il pezzetto di carta tra le dita, incapace di lasciarlo volare via, e
ritornò a guardare l’oceano.
Nessuno
andava al mare in inverno, era un dato di fatto, tanto meno alla vigilia di
Natale.
Non
poteva biasimare i turisti, comunque... a parte le luminarie appese per le
strade, non c’era niente di vivo in quel posto. Gli hotel vuoti reclamizzavano
già le tariffe estive, come se tutto l’anno, negli Hamptons, fosse vissuto in
funzione di quell’unica stagione.
I
manifesti pubblicitari mostravano famiglie in barca, allegre e sorridenti,
rigorosamente in costume da bagno, cappello e occhiali da sole.
Su un
altro cartellone, poco lontano da lei, al margine della spiaggia, una modella
sottile come un giungo faceva bella mostra della propria abbronzatura,
invitando chiunque la vedesse ad acquistare una protezione solare che garantiva
una pelle sana e bella.
Sembravano
quasi prendersi gioco delle poche persone infreddolite che passavano per
strada, intente negli ultimi acquisti natalizi.
Una
goccia le bagnò lo zigomo destro, assumendo quasi le sembianze di una grossa
lacrima.
La
donna sorrise, mentre la pioggia iniziava a cadere, rimbalzando sulla
carrozzeria della sua auto.
Chissà
come se la cavavano con la pioggia gli abitanti di quelle isole soleggiate.
Le
sarebbe piaciuto vivere lì, anche se la folla molesta e grigia di New York le
sarebbe decisamente mancata parecchio.
Era
più facile vivere a New York, con quel trambusto che impediva così facilmente
di pensare.
Lì c’era
pace, c’era silenzio... e parlare con se stessi era una tentazione troppo
forte.
La
delusione e l’amore nei confronti di un uomo che le era entrato a viva forza
sotto la pelle erano impossibili da ignorare e non piangere diventava troppo difficile.
D’altra
parte, le lacrime non erano che gocce di pioggia un po’più salate... e poi,
almeno il cielo le avrebbe tenuto compagnia.
Katherine
Beckett detestava piangere da sola a tal punto da aver dimenticato che fosse
possibile.
Mare mare
Qui non viene mai nessuno a
trascinarmi via
Mare mare
Qui non viene mai nessuno a farci
compagnia
In
silenzio, Richard Castle si alzò dalla sedia ingrigita del bar e depositò sul
tavolo un biglietto accartocciato da dieci dollari.
Il
caffè costava meno di un quarto di quella cifra, ma non gli importava.
La sua
bella musa era venuta a prenderlo, pur senza rendersene conto.
Era
successo molto tempo prima, quasi tre anni, a dire il vero, quando per la prima
volta aveva collaborato con lei.
Quando
Nikki Heat aveva visto la luce.
Aveva
raccolto i suoi pezzi sparsi qua e là e il suo cuore troppo confusionario e li
aveva riuniti in un solo posto, facendo di lui un uomo migliore.
E lui
le aveva fatto male.
Avvicinandosi
notò che le spalle della detective si alzavano e abbassavano ripetutamente.
Stava
piangendo.
Per
lui, probabilmente.
O,
forse, era troppo superbo pensare di poter suscitare le lacrime di una donna
del genere.
Di una
cosa soltanto Richard Castle era sicuro: non avrebbe lasciato che continuasse a
piangere da sola.