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Autore: Cara_Sconosciuta    01/06/2011    9 recensioni
Stava piangendo.
Per lui, probabilmente.
O, forse, era troppo superbo pensare di poter suscitare le lacrime di una donna del genere.
Di una cosa soltanto Richard Castle era sicuro: non avrebbe lasciato che continuasse a piangere da sola
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una piccola shot nata sotto la doccia per ringraziare chi ieri mi ha dato una mano a stare su di morale. Chi non potrò dimenticare mai, nemmeno se vivessi per sempre.

La canzone è “Il mare d’inverno” di Enrico Ruggeri... buona lettura!!!

Cara Sconosciuta

 

Il mare d’inverno

Il mare d’inverno

È solo un film in bianco e nero visto alla tv

E verso l’interno

Qualche nuvola dal cielo che si butta giù

 

L’automobile rossa si fermò poco oltre il segnale del divieto di balneazione.

La bandiera rossa, costantemente alzata in quella stagione, sventolava senza sosta, sferzata da un vento gelido e insistente, fiera, pur nella piena coscienza della propria inutilità. Nessuno avrebbe mai osato bagnarsi nell’oceano con quelle temperature.

I suoi bordi, slabbrati e lacerati dalle intemperie, così come il suo colore sbiadito erano chiari segni che il pezzetto di stoffa non era alla sua prima stagione.

Forse in estate l’avrebbero sostituito con una nuova bandiera di un rosso vivido e con gli orli cuciti alla perfezione. E lei? Lei sarebbe stata semplicemente buttata via, come tutte le cose vecchie.

Scendendo dalla macchina, Kate Beckett sentì di essere particolarmente solidale con quel piccolo scampolo di tessuto rossiccio. Era esattamente come lei, innamorata di un mare che presto l’avrebbe rigettata via.

Come ogni anno.

Come ogni estate.

O, forse, ci avrebbe pensato il vento dicembrino a portarla via con sé.

La bandiera era più fortunata.

Il suo, di vento, se n’era andato di nuovo, in compagnia di una bandiera più bella e vivace di lei.

Una bandiera nuova nuova della quale si sarebbe stancato in un attimo.

E poi? Poi sarebbe tornato da lei, come ogni anno, e lei lo avrebbe aspettato, consciamente o meno, perché era lui, l’uragano Castle, l’unico vento dal quale lei potesse lasciarsi trasportare.

Scuotendo lentamente il capo, la donna si avviò sulla sabbia morbida della spiaggia, fino a raggiungere il bagnasciuga.

In silenzio, si sedette, lasciando che le onde, calme e gentili, le lambissero i piedi, bene al caldo negli stivali.

Il cielo covava tempesta e il colore scuro delle nuvole, riflesso dall’acqua, stonava in modo stridente con le chiazze di neve che ancora macchiavano il terreno qua e là.

Sembrava irreale... niente di più che un paesaggio ripreso da una vecchia cinepresa dalla pellicola in bianco e nero. Tutto il resto erano sfumature di grigi.

Chiudendo gli occhi, Kate inalò per qualche istante la brezza oceanica con il suo buon profumo di salsedine.

Lentamente, appoggiando i palmi delle mani sulla sabbia, tornò a rivolgere al cielo il suo sguardo di smeraldo, scoprendo davanti a sé uno spettacolo senza pari.

Le nuvole più scure, cariche d’acqua, parevano essere così basse da poter toccare la superficie increspata del mare.

Sembrava un bacio... un bacio di estrema tenerezza tra due mondi destinati a non incontrarsi mai.

Fu un sorriso esausto quello che le piegò verso l’alto gli angoli della bocca.

Strano come tutto, quel giorno, sembrasse parlare di lei e Castle.

 

Sabbia bagnata

Una lettera che il vento sta portando via

Puntini invisibili rincorsi dai cani

Parabole stanche di vecchi gabbiani

E io che rimango qui solo

A cercare un caffè

 

I tavolini del bar erano sempre esattamente uguali a loro stessi, ogni singolo anno, ogni volta che li vedeva. Se non fosse stato per la stoffa colorata degli ombrelloni e per i bordi di plastica delle sedie, che ogni anno diventavano sempre più grigi, avrebbe davvero potuto sembrare che il tempo, in quel piccolo angolo di mondo, si fosse fermato.

Richard Castle sorrise, lanciando un’occhiata affettuosa a Donald, il proprietario, che, ingobbito dagli anni e dal lavoro, passava un panno umido sulla macchina del caffè con la delicatezza di un padre.

Il caffè più buono degli Hamptons era servito in un baretto nascosto e semisconosciuto che pareva tirare avanti per miracolo o clemenza divina in cui Donald faceva da cassiere, cameriere, barman e uomo delle pulizie, sempre sotto l’occhio vigile di sua moglie Annabelle, che lo guardava, sorridente e materna, da una cornice d’argento appesa alla parete dietro al bancone.

Nessuno l’aveva mai rubata, né nessuno l’avrebbe mai fatto, tanto era il rispetto che quel piccolo uomo gobbo incuteva.

Era uno che aveva combattuto contro la vita, Donald. Aveva combattuto, aveva perso, e ora accettava la sconfitta con stoica fierezza.

In nessun luogo scrivere era facile e meraviglioso come lì.

Sospirando, lo scrittore si tolse le scarpe e le calze, affondando i piedi nella sabbia umida e fredda.

Un piacevole brivido gli corse su lungo la schiena.

“Farebbe meglio a venire dentro.” Lo redarguì Donald, posando sul tavolo una tazzina di caffè e una microscopica zuccheriera.

Castle scosse il capo, fissando lo sguardo sull’orizzonte color piombo.

“Più tardi, Donald, grazie...”

L’anziano inarcò le sopracciglia.

“Le si staccheranno gli alluci, un giorno o l’altro!”

Brontolando, l’uomo rientrò nel casotto che costituiva il locale, lasciando Castle seduto al freddo con uno strano sorriso in volto.

Lontano, vicino al bagnasciuga, due piccoli cani rincorrevano senza sosta un grosso crostaceo bianco, un granchio, probabilmente.

Tre gabbiani dall’aria stanca disegnavano ampi e placidi cerchi sulle nuvole grigie.

Una donna sedeva vicino al mare, il cappuccio rosso tirato per bene sopra alla testa, tutto il peso appoggiato sulle mani, dietro alla schiena.

L’uomo inalò quell’aria salubre a pieni polmoni ed estrasse dalla tasca dei pantaloni una busta un po’sgualcita.

Con un’espressione a metà tra un sorriso e una smorfia, ne estrasse un foglio ripiegato in quattro e un biglietto aereo per Venezia.

La lettera che Meredith gli aveva scritto, sciorinando una serie di almeno venti buoni motivi per cui avrebbero dovuto tornare insieme.

Il primo era Alexis.

L’ultimo era una vacanza in Italia in un hotel veneziano super lussuoso completamente spesato.

E dire che stava quasi per cascarci.

All’aeroporto si era accorto dell’immensa idiozia che stava per commettere.

Dopotutto, Alexis sarebbe stata bene da sola con sua madre, una volta ogni tanto, e a lui un po’di solitudine non avrebbe fatto male.

O, almeno, così la pensava fino a poche ore prima, quando aveva visto la donna che ora sedeva a pochi metri da lui.

Aveva pensato ad un’allucinazione, sulle prime, una specie di sogno ad occhi aperti.

Quando aveva capito che era davvero lei, però, non aveva perso nemmeno un secondo a chiedersi cosa ci facesse la stakanovista Kate Beckett negli Hamptons.

Con un sorriso vero, questa volta, ripose tutto nella busta e, con due strappi secchi, la divise in quattro, lasciando che il vento ne portasse via i frammenti.

 

Il mare d’inverno

È un concetto che il pensiero non considera

È poco moderno

È qualcosa che nessuno mai desidera

Alberghi chiusi

Manifesti già sbiaditi di pubblicità

Macchine tracciano solchi su strade

Dove la pioggia d’estate non cade

E io che non riesco nemmeno a parlare con me

 

Mentre considerava, tra sé, quanto vuota e desolata fosse quella località in inverno, un pezzo di carta portato dal vento si impigliò tra i suoi capelli, appena lasciati scoperti dal cappuccio della felpa, che era scivolato giù.

Lo prese in mano e riconobbe al volo la consistenza appena rigida dei biglietti aerei.

Il nome dell’aeroporto di partenza era incompleto.

La destinazione era Venezia.

Venezia...

Una città tra terra e mare, in bilico nel tempo e nello spazio.

Così l’aveva definita Castle, prima di dirle che ci sarebbe andato nelle vacanze natalizie.

Con Meredith.

Una strana coincidenza quel cartoncino, nulla da dire.

Ma non si sarebbe lasciata abbattere.

Risoluta, strinse il pezzetto di carta tra le dita, incapace di lasciarlo volare via, e ritornò a guardare l’oceano.

Nessuno andava al mare in inverno, era un dato di fatto, tanto meno alla vigilia di Natale.

Non poteva biasimare i turisti, comunque... a parte le luminarie appese per le strade, non c’era niente di vivo in quel posto. Gli hotel vuoti reclamizzavano già le tariffe estive, come se tutto l’anno, negli Hamptons, fosse vissuto in funzione di quell’unica stagione.

I manifesti pubblicitari mostravano famiglie in barca, allegre e sorridenti, rigorosamente in costume da bagno, cappello e occhiali da sole.

Su un altro cartellone, poco lontano da lei, al margine della spiaggia, una modella sottile come un giungo faceva bella mostra della propria abbronzatura, invitando chiunque la vedesse ad acquistare una protezione solare che garantiva una pelle sana e bella.

Sembravano quasi prendersi gioco delle poche persone infreddolite che passavano per strada, intente negli ultimi acquisti natalizi.

Una goccia le bagnò lo zigomo destro, assumendo quasi le sembianze di una grossa lacrima.

La donna sorrise, mentre la pioggia iniziava a cadere, rimbalzando sulla carrozzeria della sua auto.

Chissà come se la cavavano con la pioggia gli abitanti di quelle isole soleggiate.

Le sarebbe piaciuto vivere lì, anche se la folla molesta e grigia di New York le sarebbe decisamente mancata parecchio.

Era più facile vivere a New York, con quel trambusto che impediva così facilmente di pensare.

Lì c’era pace, c’era silenzio... e parlare con se stessi era una tentazione troppo forte.

La delusione e l’amore nei confronti di un uomo che le era entrato a viva forza sotto la pelle erano impossibili da ignorare e non piangere diventava troppo difficile.

D’altra parte, le lacrime non erano che gocce di pioggia un po’più salate... e poi, almeno il cielo le avrebbe tenuto compagnia.

Katherine Beckett detestava piangere da sola a tal punto da aver dimenticato che fosse possibile.

 

Mare mare

Qui non viene mai nessuno a trascinarmi via

Mare mare

Qui non viene mai nessuno a farci compagnia

 

In silenzio, Richard Castle si alzò dalla sedia ingrigita del bar e depositò sul tavolo un biglietto accartocciato da dieci dollari.

Il caffè costava meno di un quarto di quella cifra, ma non gli importava.

La sua bella musa era venuta a prenderlo, pur senza rendersene conto.

Era successo molto tempo prima, quasi tre anni, a dire il vero, quando per la prima volta aveva collaborato con lei.

Quando Nikki Heat aveva visto la luce.

Aveva raccolto i suoi pezzi sparsi qua e là e il suo cuore troppo confusionario e li aveva riuniti in un solo posto, facendo di lui un uomo migliore.

E lui le aveva fatto male.

Avvicinandosi notò che le spalle della detective si alzavano e abbassavano ripetutamente.

Stava piangendo.

Per lui, probabilmente.

O, forse, era troppo superbo pensare di poter suscitare le lacrime di una donna del genere.

Di una cosa soltanto Richard Castle era sicuro: non avrebbe lasciato che continuasse a piangere da sola.

   
 
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