Questa storia è stata ispirata al romanzo "Another Note" di Nisioisin. La maggioranza dei personaggi non mi appartiene.
Avevo
infranto le regole.
Ero eccitatissimo e senza nemmeno rendermene conto cominciai a
correre. Io, il primo della The Wammy's House, io che ero amato da
tutti gli insegnanti per essere sempre calmo e al mio posto, senza
aver mai mostrato la seppur minima voglia di infrangere le regole,
l'avevo appena fatto e non mi sentivo minimamente in colpa.
Però non
avrei potuto tornare nella mia stanza con quel quaderno lasciandolo
in balia dei miei due compagni... Sarebbero stati capaci di
distruggerlo in pochi minuti. Volevo leggerlo, ma non potevo farlo
lì. Dove? Mi fermai un attimo e mi guardai intorno. La casa
era
davvero enorme quando non c'era nessuno in giro. Mi voltai e
cominciai a camminare in direzione opposta alla mia stanza. Ripassai
di fronte alla scala, ma non salii. Andando sempre dritto arrivai
fino in fondo alla sala. Lì c'era una porta che conoscevo
già, dato
che spesso ci passavo davanti, ma non mi ci soffermavo e non l'avevo
mai aperta. Piano spinsi la maniglia e la aprii. Come avevo supposto,
dato che nessuno ci aveva mai messo piede, si trattava di uno
sgabuzzino. Cercai la luce con la mano e poi vi entrai.
Finalmente
al sicuro, almeno
per un po'.
Avevo
tra le mani il diario
di B e ciò mi procurava una certa emozione. Il diario di un
assassino.
Lo
accarezzai con le dita
quasi con affetto e poi mi decisi ad aprirlo.
Potei
immediatamente notare
che la scrittura era ordinata in modo quasi maniacale e che non c'era
il minimo segno di cancellatura. Significava che era così
attento da
non aver fatto nemmeno un errore scrivendo? Davvero da pazzo.
Questo
che hai tra le mani è il diario dell'assassino BB di Los
Angeles. Hai
paura, mio caro lettore? Non
ho la più pallida idea di chi tu sia, dato che in questo
momento non
sono nella condizione di sapere che fine faranno i miei averi dopo la
mia morte. Forse
tu credi di trovare il diario di un pazzo, di un malvagio assassino
che ha ucciso persone senza un motivo logico, uno di quelli che prova
piacere nel provocare morte, ma ti sbagli di grosso. Credo
che per farti capire cosa voglio dire dovrò raccontarti la
mia
storia, senza tralasciare nulla, nessun dettaglio dev'essere celato. A
partire dal mio nome. Ebbene puoi chiamarmi Beyond Birthday dato che
non ricordo come mi chiamarono i miei genitori. Te
lo starai chiedendo: “Come puoi non ricordare il tuo
nome?”.
Allora partiamo dall'inizio, tornerò molto indietro, a
quando sono
nato. Quando
aprii gli occhi per la prima volta guardavo il mondo in maniera
diversa dagli altri. Osservavo deliziato quei simboletti che
danzavano davanti ai miei occhi, sulle teste delle persone. Credevo
che tutti potessero vederli e mi piaceva osservarli. Erano innocui
simboli con forme diverse per ogni persona. I
miei genitori erano orgogliosi di me e mi volevano bene, mi davano
tutto l'affetto di cui avevo bisogno, facevano ogni cosa per me e mi
elogiavano decantando la mia intelligenza con i loro amici. Non
ricordo nulla del mio periodo da neonato se non che ero felice,
semplicemente felice.
Pensai
che la storiella era
fin troppo allegra per un bambino simile, possibile? Ora ero
più
curioso che mai e senza aspettare ancora mi gettai di nuovo su quelle
righe.
Certo,
mi piacerebbe fermarmi qui dicendo che passai una bella vita come
tutti i bambini, ma i miei problemi cominciarono quando dovetti
uscire di casa da solo, senza i miei genitori che erano sempre stati
con me, per andare a scuola. Mi parlavano bene della scuola. Dicevano
che era un posto dove avrei fatto tante amicizie e avrei imparato
tante cose e a me andava bene. A volte mi dicevano che avrei dovuto
fare il sacrificio di svegliarmi sempre presto, ma volevo farlo
ugualmente, perché volevo vedere altre persone, altri
bambini come
quelli che vedevo alla TV. Il
giorno arrivò. Mi
svegliarono davvero presto come avevano detto, e mi prepararono
facendo attenzione a ogni minimo dettaglio del mio aspetto, a partire
dal vestiario. Mio padre scherzava dicendo che sarebbe iniziata la
mia tortura e mia madre lo riprendeva dicendo di non spaventarmi, ma
era impossibile provare paura in un clima così leggero ed
ilare. Uscii
assaporando l'aria fresca del mattino, e presto raggiunsi la scuola.
Inizialmente ero intimorito da tutti quei volti sconosciuti, alcuni
bambini già si conoscevano e si chiamavano per nome. Sotto
esortazione dei miei genitori mi avviai verso un bambino, uno
qualsiasi che aveva il simbolo della mia classe appuntato al petto, e
poi cominciammo a parlare per fare amicizia. I
bambini sono creature molto semplici, non hanno pregiudizi a meno che
non gli vengano imposti. Però stranamente quel bambino
notò
immediatamente che c'era qualcosa che non andava. All'improvviso
additò il mio viso e cominciò a urlare:
“Hai gli occhi rossi,
come un cattivo!”. Io non capivo. Mi avevano detto che gli
occhi
possono essere di vari colori e io stesso ne avevo visti tanti nei
disegni, nelle foto... perché i miei erano
“cattivi”? Suonò
la campana e dovetti entrare. Ora avevo più paura e temevo
che mi
avrebbero giudicato, per cui tenni i miei occhi bassi per nascondere
quel colore. I
giorni passavano in fretta, imparavo sempre più cose
lasciando di
stucco i miei insegnanti per la mia intelligenza, e presto nessuno
fece più caso ai miei occhi. Nessuno oltre me. Nel
momento in cui imparai a leggere, scrivere e a contare mi resi conto
che i simboli potevano essere visti solo da me ed erano lettere,
parole, nomi e sotto ancora numeri che diminuivano lentamente, come
un conto alla rovescia.
Feci
una pausa nella
lettura. Sembrava più un romanzo fantasy che un diario,
avrei dovuto
credere a tutte queste cose?
Inizialmente
credevo che quei numeri fossero senza senso, ma capii presto che non
era così. Un giorno mi trovavo in macchina con mia madre per
andare
a trovare una sua amica che abitava in periferia. Ricordo ancora che
vidi un uomo correre. Il suo numero era particolarmente basso, molto
vicino allo 0. Era inseguito, sembrava impazzito dalla paura.
Immediatamente dietro un altro uomo con una pistola in mano. La
puntò, la caricò e sparò. Il bersaglio
fu colpito esattamente
nello stesso istante in cui i suoi numeri si annullarono e nel giro
di un secondo sparirono insieme al suo nome. Ero terrorizzato, quei
numeri erano quanto restava ancora da vivere ad una persona? Avrei
saputo in anticipo tutte le morti che sarebbero avvenute intorno a
me? Fui
colto da una grande paura, non riuscii a guardare le persone in
faccia per un po', ma decisi di non dire nulla a nessuno sui miei
occhi. Era un segreto pericoloso, e come segreto doveva rimanere
tale. Imparai
a leggere quei numeri, che erano diversi da quelli usati dagli umani. Per
quei numeri il tempo scorreva in maniera diversa da quello misurato
da noi, forse i miei occhi appartenevano a una creatura non umana? Me
lo chiedevo e mi chiedevo anche come potevo avere proprio io questa
capacità. Intanto
il tempo tiranno passava in fretta ed è inutile, caro
lettore, che
io stia qui a raccontarti ogni dettaglio della mia vita scolastica,
delle mie capacità che a volte ero fiero di possedere, che
altre
temevo. Poteva
essere divertente osservare, quasi spiare, le persone sconosciute,
scoprire nuovi nomi solamente uscendo di casa, ma ancora non mi ero
reso conto di quanto potesse essere orribile un potere simile.
All'improvviso
sussultai. Un
rumore secco mi aveva distratto dalla mia lettura. Probabilmente la
sveglia era arrivata e non mi avevano trovato nella mia stanza.
Anche
se a malincuore,
dovetti richiudere il quadernetto e lasciarlo su uno scaffale della
piccola libreria di metallo che avevo alla mia sinistra, sicuro che
nessuno lo avrebbe preso lì.
Uscii
da quel luogo angusto
e mi vidi correre incontro alcuni compagni, che con il loro vociare
insistente mi chiedevano dove ero stato, o mi dicevano che avevo
fatto preoccupare tutti, compresi gli adulti.
Li
tranquillizzai
rispondendo che mi ero solo svegliato in anticipo, ma non avevo fatto
nulla di rilevante, se non passeggiare un po'.
Con
lo sguardo salutai lo
sgabuzzino e poi tornai nella mia stanza dove trovai un Mello
nervosissimo, che non perse nemmeno questa occasione per insultarmi:
“Ehi! Dove sei finito, nanerottolo albino?”.
Probabilmente ora
era infuriato con me dato che avevo fatto preoccupare tutti
impedendogli di dormire.
Anche
con lui utilizzai la
stessa scusa che avevo usato con gli altri miei compagni, ma non
diede segno di crederci: “Il placido e tenero Near che se ne
va a
spasso? Sì, scusa plausibile per gli altri, ma non per me.
Forse hai
infranto le regole per un volta e ovviamente cerchi di
nasconderlo?”.
Mello
è sempre stato molto
intuitivo, e probabilmente sarebbe stato il primo se non fosse stato
per il suo più grande difetto: l'impulsività.
Non
replicai per non
rischiare di tradirmi con il tono della voce, ma non riuscii a
trattenermi dal fare una domanda: “Mello, Matt... Cosa sapete
di
B?”. Entrambi tentennarono di fronte a una domanda simile. Fu
Matt a rispondermi: “Che domanda strana da parte tua,
comunque non ci
sono belle storie sul suo conto. Dicono che è stato la
pecora nera
della casa, che all'improvviso abbia cominciato ad uccidere persone a
Los Angeles e che fosse tanto malvagio da aver ucciso la sua
fidanzata quando era qui nella casa. Poi è fuggito...
È un mostro
sanguinario, come può aver fatto cose simili?! Se lo avessi
incontrato ne sarei stato alla larga, non ci avrei nemmeno pensato un
secondo di più.”. Mello stette qualche attimo in
silenzio a
riflettere e poi parlò: “Mi hanno raccontato che
è
stato il
peggiore qui e che persino personaggi come Watari ne avevano paura.
Certo che però è strano che uno simile sia
diventato di punto in
bianco un assassino, no? Forse c'è qualcosa dietro e non
voglio fare
come voi sciocchi che credete alla prima cosa che vi raccontano. E poi
non esiste nemmeno una stanza dove è stato. Magari non
è nemmeno
mai esistito in questo luogo...”. Mello si alzò
annoiato e si
diresse nel suo angolo preferito della stanza, dove teneva le sue
cianfrusaglie. Scavò un po' e ne tirò fuori un
grande pezzo di
cioccolato fondente.
La
stanza di B, l'avevo
visitata, ma di certo non potevo dirlo a un soggetto simile: in un
attimo di ira sarebbe stato capace di spifferarlo agli adulti e di
farmi punire anche abbastanza pesantemente.
Eppure
io non avrei mai
fatto lo stesso con lui.
Matt
si era lasciato
innervosire dalle parole del compagno: “Ehi Mello, non siamo
mica
sciocchi. Finché non hai la prova materiale che quello
lì non sia
mai stato qui non puoi accusare chi crede di sì. Poi
è una leggenda
che gira da prima del nostro arrivo nell'istituto, forse da prima che
nascessimo, quindi non può essere negato con tanta
sicurezza.
Sinceramente io ci credo e credo anche che se quell'essere è
stato
arrestato un motivo c'è di sicuro, quindi non mi interessa
chi sia o
cosa abbia fatto: ha ucciso delle persone che nemmeno conosceva, per
me è da rinchiudere!”.
Credevo
anche io alle parole
di Matt, ma stranamente avevo la sensazione di essere dal lato del
torto. Senza rendermene conto avevo cominciato a sviluppare quasi un
affetto nei confronti di quel quaderno e una certa simpatia per il
suo proprietario, forse era solo curiosità di sapere che
cosa gli
era accaduto davvero? In effetti se la storia non fosse stata reale
non ci sarebbe stato motivo di nascondere il quadernetto, ma
perché
non distruggerlo a questo punto? Forse era sfuggito alla
sorveglianza? O forse ritenevano che sarebbe stato irrispettoso
distruggere così l'ultimo resto di un genio come B? Authoress' words Ed eccomi qui col mio secondo capitolo. Avverto che
la storia da qui in poi diventerà molto triste, quindi non
vi aspettate troppa allegria. Inoltre credo di essere scesa qualitativamente dal
primo capitolo, ma aspetto la vostra opinione per saperlo, dato che
sono molto autocritica... Grazie mille per essere arrivati qui ancora!
Continuerò ad aggiornare ogni domenica, quindi ci rivedremo
tra una settimana! Bye-bye! Any
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