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Autore: Nhora    05/06/2011    6 recensioni
Avevo imparato a scrivere piccoli pezzi di canzoni ultimante, sfruttavo la rabbia e l'incapacità di esprimermi per aprirmi attraverso delle piccole parole.
I piccoli tentativi non furono un granché, anzi, quasi patetici risultavano.
C'era poco scavo, poca finezza.
Era tutto troppo gridato. Ma più avanti, iniziarono a nascere pezzi buoni, o almeno così mi sembrava.
Tutto questo portò solo benefici.
Iniziai a scoprire dettagli su di me, sulle vera me.
Andando incontro al cambiamento radicale.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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everybodyhurts

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Rewind

 








Everybody Hurts some days 
It’s okay to be afraid 
Everybody hurts 
Everybody screams 
Everybody feels this way 
And it’s okaY

Everybody hurts- A.L.

 

 

 

Feci schioccare la lingua, annoiata, osservando lo smalto azzurro che ricopriva le mie unghie.

Kelly continuava a parlare, ma ne io, ne Shona, la stavamo ascoltando.

La bionda stava commentando il modo in cui era vestita Mia Calsberg, troppo antiquata a detta sua.

Ma non le davo retta, ero troppo occupata a pensare all'annuncio che avevo visto la mattina scorsa.

Bieber in concerto a Toronto.

Era tornato.

E la cosa non mi piaceva affatto.

O forse si.

Soffocai una risatina.

Volevo fargliela pagare.

Ma lentamente.

Doveva soffrire.

Tanto.

Le scuse non sarebbero servite a nulla.

Non sarebbe stato in grado di capire quello che avevo provato io per colpa sua,o meglio della sua infantilità e stupidità.

L'avrebbe provato sulla sua pelle.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tre anni prima.

Stratfor- Ontario.

Canada.

 

 

 

 

 

 

 

Si stava avvicinando novembre, pioveva.

Mi ero svegliata da poco, ma non volevo alzarmi, non ancora.

Il piumone mi avvolgeva, morbido e caldo; ed il mio corpo, ormai intorpidito, non aveva alcuna intenzione di separarsi da esso.

Il letto era il mio rifugio felice, la mia casa.

Nessuno mi disturbava, giudicava o derideva.

Solo silenzio e un torpore invitante.

Peccato che la magia durava solo di notte, lasciando che il giorno insieme ai suoi alleati mi facessero desiderare subito di sparire.

Morsi il cuscino per trattenere quelle lacrime di frustrazione che desideravano ormai da troppo uscire.

Scostai un paio di capelli dal viso, ormai caldo e arrossato.

Osservai il soffitto, bianco e lindo.

Il mio respiro da affannoso si stava sempre di più stabilizzando, fino a diventare regolare.

Decisi che era ora di alzarmi, mamma non c'era, come al solito d'altronde, e se non mi sarei mossa, sarei arrivata decisamente in ritardo.

Con uno sbuffo, scostai il piumone, facendo scivolare pigramente, le gambe al di fuori del letto.

Mi alzai, e con un passo cadenzante mi diressi in cucina, scendendo le scale.

La colazione era pronta sul tavolo.

Almeno mamma si era preoccupata di qualcosa la sera prima.

Rovesciai la scatola di cereali dentro la tazza, sedendomi nello sgabello.

Iniziai a sgranocchiare quei deliziosi chicchi di cacao e biscotto, e ,con uno sguardo perso, iniziai a masticare.

Non volevo andare a scuola.

Mi sentivo debole, e non avevo alcuna intenzione di essere presa di mira anche oggi.

Sospirai.

Non era ora di farsi queste paranoie mentali.

Dovevo farcela.

Essere forte.

 

Salii in camera e mi infilai una felpa nera e larga, insieme ad un normalissimo paio di jeans.

Mi guardai allo specchio.

Ed ecco le miei insicurezze riaffiorare.

Non ero per niente una bella ragazza.

La mia pelle cadaverica era cosparsa di imperfezioni, non ero magra, ed ero si e no alta un metro meno un succo di frutta.

I miei capelli, per quanto cercassi di acconciarli in una maniera carina, erano crespi e di un colore che assomigliava al manto di un topo morto.

L'unica cosa che mi confortava del mio corpo erano i miei occhi, di un acceso verde,  che sfortunatamente erano coperti da uno scomodo paio d'occhiali.

Mi morsi le labbra, ogni giorno era sempre più difficile.

Tutta colpa sua, e della sua stupida immaturità.

 

 

 

 

 

-Alex! Siamo qui!-  Una ragazza con delle codine bionde attirò la mia attenzione.

Mi avvicinai verso di lei e la sua amica, Shona.

-Ehi ragazze- Salutai flebilmente.

-Tutto okay?- Indagò la bruna.

Abbassai lo sguardo, - Solito -. Ammisi.

Stettimo tutte e tre in silenzio, avviandoci in cortile, sotto un portico.

Ci sedemmo su una panchina ghiacciata.

E, non sapendo cosa fare, osservai le mie amiche.

Quella più vicina a me, Kelly, o meglio Kelly Joehnson, bionda e slanciata, indossava un paio di jeans bianchi, e una maglia con uno scollo a "v" azzurra. Le donava molto quel colore, le si intonava ai suoi bellissimi occhi blu.

Mentre l'altra ragazza, Shona Mc' Flower dimostrava dodici anni anziché quattordici.

Bassa, esile e bruna. Portava con noncuranza un paio di jeans strappati neri e una camicetta con un maglioncino bianco.

- Oggi che giorno è? - Mi chiese Kelly, distogliendomi dalle mie analisi.

-Giovedì-. Risposi confusa. -Perchè?-

-Non è ancora arrivato, di solito è sempre seduto li con Matt e Ryan...-. Disse alludendo al mio amico numero uno.

Ovviamente ero ironica.

Era riferita a colui che aveva iniziato a rovinarmi la vita.

Justin Bieber. O Justin Drew Bieber.

Così è più poetico, vero?

Già, peccato che nella mia storia non c'è niente del genere.

Al massimo, i colpi di scena che potete gustare, sono quante volte ho vinto contro mio fratello all'x-box; che ripensandoci potrebbe essere anche una cosa interessante da sapere.

No, non è vero. Deve essere una cosa alquanto noiosa.

Ritornando a Bieber, mi ricordo che un anno fa ero innamorata persa di lui, semplicemente perchè non lo conoscevo di persona.

Gran parte di ciò che sapevo era basato su notizie di seconda mano, le qualità positive, dico.

Quelle negative ho avuto il piacere di provarle sulla mia pelle poco tempo dopo.

Ripensandoci, una delle caratteristiche di Justin era quella di sorridere e inclinare a sinistra la testa, sempre, con le ragazze.

Era una di quelle cose che una volta che te ne accorgi, non puoi più fare a meno di notare.

Jenna Oliver, per esempio. Si vestiva sempre di nero. I pantaloni neri. O le scarpe nere. Una camicetta nera. Se si trattava di una giacca nera, e quella era l'unica cosa nera che indossa in quel momento, se la teneva addosso tutto il giorno.
Lo stesso valeva per Michael Rennert. Ogni volta che alzava la mano per dire qualcosa, o per fare una domanda, iniziava sempre con "allora".

Del genere:

-Oliver?

-Allora, se gli atomi sono formati da...

-Oliver?

- Allora, a me viene settantadue virgola novecentootto.

-Oliver?

-Allora, posso uscire?

Dicevo sul serio. Sempre.

Quindi, origliare commenti su Justin era diventata una cosa del genere.

E come vi stavo dicendo, non era che lo conoscessi bene, ma ogni volta che sentivo pronunciare il suo nome drizzavo subito le orecchie.

Chissà, forse speravo di sentire qualcosa -qualunque cosa - di succoso sul suo conto.

Magari quale genere di ragazze gli piacevano, o se era simpatico, carino e gentile come si raccontava.

Certo, prima di essere presa di mira da lui.

Dopo che iniziò a divertirsi con me, nel senso di essere derisa ed essermi fatta affibbiare una marea  di nomignoli cretini, posso assicurarvi che Justin Bieber, o si, come volete voi: Justin Drew Bieber, è il più grande coglione che io abbia avuto il piacere , no meglio, dispiacere, di incontrare.

Shona tossicchiò, -Dicevi?- Aggiunse riferita alla bionda, guardando oltre le mie spalle.

Kelly arrossì, portandosi nervosamente una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

Bene, ora la mia tortura personale sarebbe iniziata.

Io mi irrigidii, e mi misi il cappuccio della felpa in testa, cercando di non dare troppo nell'occhio.

Non ero in vena delle sue provocazioni oggi.

Puntai gli occhi su di lui.

Era li, con il suo amichetto Ryan a giocare con il telefonino, che non era poi nemmeno l'ultimo modello.

Rideva e scherzava, ed ogni tanto spostava il suo stupido ciuffetto da una parte, muovendo la testa, per non farlo finire sugli occhi.

A confronto di molte persone il mio istinto nei suoi capelli era quello di fargli prendere fuoco, anzichè accarezzarlo fino allo sfinimento come aveva scritto Wendy Obsurb nella porta di un bagno.

Nonostante questo indossava una felpa grigia con una scritta bianca, a me molto conosciuta, in totale di felpe credevo ne avesse due, massimo tre.

Justin era un ragazzo molto particolare.

Non era ricco, forse il contrario.

Abitava due case dopo la mia, in un piccolo appartamento.

Sua mamma l'avevo vista solo una volta, l'anno prima; quando era venuta a parlare con un professore per una marachella che aveva fatto.

Era molto bella, ma anche molto stanca.

Sempre riferita a Justin; era amato e conosciuto da tutti.

Le ragazze erano attratte molto da lui e i ragazzi gli portavano molto rispetto, nonostante scherzassero in continuazione.

Shona mi diede una spinta.

Scossi la testa, riprendendomi dai miei pensieri.

-Che c'è? -

-Sta venendo qua- Sussurrò tesa.

Mi portai le mani al viso, no, no, per favore.

-Salve ragazze-.

Fantastico.

-Ehi Ryan!-. Squittì Kelly.

-Ehi Palla di pelo, non si saluta?- Disse Justin riferendosi a me, e sorridendomi divertito.

Stetti in silenzio.

-Che c'è? Sei anche sorda?-. Mi schernì.

Abbassai lo sguardo ed ingoiai le lacrime.

- Si? Allora sei messa proprio bene, cessa ambulante-.

Una lacrima iniziò a scendere lungo la guancia.

-Justin-. Intervenne Ryan. -Ora è meglio se andiamo, Alice e Mia ci stanno aspettando-.

Per tutta risposta lui scosse le spalle e se ne andò.

Bastardo.

Mi alzai velocemente, furiosa.

-Alex...- Intervenne Shona, alzandosi anche lei e appoggiando una mano sulla mia spalla.

-Lasciami in pace-. Dissi, scansandola ed incamminandomi in bagno.

Dove avrei trascorso tutta la mattinata.

 

 

 

Ero chiusa da più di un'ora dentro un orrendo bagno.

Ero accovacciata sull'angolo del muro, con le ginocchie strette al petto, e la testa premuta sopra di esse.

Sinceramente non lo capivo.

Insomma con tutte le altre era così...carino.

Le salutava, le aiutava nei compiti o le teneva aperta la porta.

Cosa avevo io che non andavo?

Solo perchè non ero una bella ragazza non ero degna di essere trattata con rispetto?

E se si, cosa potevo fare?

Niente.

Dovevo aspettare che la tortura finisse, finire le medie per poi andare alle superiori, magari in una scuola lontana anni e luce dalla sua.

Justin. Justin. Justin.

E pensare che una volta mi piacevi.

Si, mi piacevi.

Avevo preso una bella sbandata per te.

Ma poi tu hai rovinato tutto.

Hai iniziato ad offendermi pesantemente, chiudermi dentro sgabuzzini, tagliarmi i vestiti.

Una lacrima scivolò sulla mia guancia.

Me l'asciugai con il dorso della mano, tirando su con il naso.

Dovevo reagire, fare qualcosa. Ma cosa?

 

 

 

Ero a casa quando arrivò quella telefonata.

-Pronto?- Chiesi.

-Ehi, ehm,  Alex-. Mi soffocai con la mia stessa saliva.

- Ryan?- Chiesi incredula.

-Ehm, ehi!-. Disse imbarazzato.

Qui la cosa mi puzzava.

Centrava Justin. Ne ero sicura.

-Dimmi-. Lo invitai a farsi avanti, sulla difensiva.

-Mh, niente, volevo chiederti se oggi pomeriggio verso le cinque sei libera...-.

Spalancai gli occhi.

-Mi stai prendendo in giro?-.

Stette in silenzio. -N..no. Perchè dovrei?-

Già, perchè doveva?

-No, n..niente-.

-Bene, allora ti va?-. Disse con maggiore sicurezza.

-Veramente...-.

-Andiamo Alex! Ti divertirai! Te lo prometto.- Era rassicurante la sua voce.

-Okay-. Mi arresi.

-Fantastico, allora a dopo, ci troviamo da Forbett's-.

Non feci in tempo a rispondere che già aveva chiuso la conversazione.

 

Era la prima volta che ci andavo, intendo da Forbett's.

Già, cosa alquanto patetica visto che ci andavano tutti quelli della mia scuola, è il posto più trendy dove andare in questo buco di città.

Ma, a quanto ne sapevo io, nessuno ci entrava da solo.

Ai miei occhi, Forbett's aveva un che di magico. Di misterioso.

Dalle storie che avevo sentito dire, sembrava che li succedesse di tutto.

Il suo primo anno in città, Alan Standall ha fatto la sua prima scazzotata proprio davanti all'ingresso di Forbett's. Ce l'aveva raccontato a me e Shona, Kelly, una dei tanti testimoni.

Courtney Crimsen ha sperimentato la sua prima palpata sotto al reggiseno proprio li, mente si baciava con un tizio in mezzo ai flipper.

Con tutte le storie che giravano, era come se da Forbett's fossero disposti a chiudere un occhio su tutto, pur du riempire coni e griglie di hamburger. Così ero curiosa di andarci, ma non da sola.

Non volevo certo passare da sfigata.

Almeno non più di quello che mi considerava la gente.

Ryan Butler mi aveva offerto la scusa di cui avevo bisogno. Ed è capitato "casualmente" che fossi libera.

Libera, ma non cretina.

Ero infatti un po' diffidente. Sospettosa. Non tanto di Ryan, o forse sì, ma dei suoi amici, o meglio Justin.

Bieber amava prendermi per il culo. Chi mi garantiva che quello non sarebbe stato un altro dei suoi stupidi, cretini e idioti altri passatempi?

Perchè mi sarei dovuta fidare di un suo amico?

Perchè?

Perchè era esattamente quello il mio obiettivo. Volevo che gli altri si fidassero di me, nonostante tutte le prese per il culo o le dicerie idiote che si dicevano sul mio conto. O meglio, che imparassero a conoscermi.

A conoscere non quello che credevano di sapere su di me. Ma la vera me.  Volevo che si spingessero oltre queste stupide apparenze.  E se desideravo che gli altri si comportassero così nei miei confronti, dovevo fare lo stesso con loro, giusto?

Così sono entrata da Forbett's e ho preso posto al bancone, non ordinando subito.

Mi sedetti ed aspettai.

Aspettai ancora un altro po'.

Iniziai, curiosa, ad origliare le conversazione di quelli seduti vicino a me.

Nulla di interessante.

Diedi un occhiata all'orologio a parete che era appeso al muro, quanto più aspettavo - e questo è vero - tanto più si muovevano lentamente le lancette.

Dopo quindici minuti ordinai un frappé. Quindici minuti sono dieci in più di quelli che la più lenta delle persone può metterci da scuola al farnett's.

Qualcuno...mi stava dando buca, forse.

Poi, continuai ad aspettare, giusto il tempo che ci voleva per finire il frappé. Passati trenta minuti, mi aiutai con il cucchiaino per finire più in fretta il liquido.

Mi aveva ufficialmente dato buca.

Ed io come una cretina ci ero abboccata.

Brava Alex.

Complimenti.

Pagai ed uscii di fretta dal locale.

 

Il telefono iniziò a squillare.

Ero ancora davanti al locale quando risposi.

-Pronto?-.

-Ehi bellezza-.

Un brivido gelido mi attraversò la schiena.

-Che vuoi?-

-Divertita all'appuntamento con mister invisibile?-

Le lacrime mi bloccarono la gola.

-Ehi? Il gatto ti ha mangiato la lingua?-. Justin rise.

-Perchè?- Sussurrai.

-Cosa?-. Chiese preso in contropiede.

-Perchè mi fai questo?-. Chiesi flebile.

-Oh. Per divertirmi, che domande!- Aggiunse divertito.

-Perchè io?-.

-Ma ti sei vista? Insomma! Sei quella più

 facile con cui divertirsi-.

-In...in che senso?-

-Sei inguardabile-.

E detto questo non risposi, chiusi il telefono direttamente buttandolo sotto una macchina che passava.

Mossa alquanto cretina.

E ora il taxi chi lo chiamava?

 

Vi piacerebbe poter leggere nella mente altrui?

Certo. Tutti risponderebbero di si, o sbaglio?

Ma avete pensato alle conseguenze di questo atto.

Per esempio, cosa succederebbe se anche gli altri potessero leggere  nella vostra mente?  Se potessero farlo...in questo istante?

Se uno potesse leggere nella mente di un altro, vedrebbe fumetti reali, mescolati a fumetti completamente assurdi. E non avrebbe modo di distinguere gli uni dagli altri. Roba da impazzire.

Cos'è vero?

Cos'è falso?

Miliardi di idee, ma che significherebbero?

Era questo  quello che mi piaceva della musica, o meglio, dei testi delle canzoni.

Magari, più erano astratti, meglio erano.

Tipo che non si sapeva mai bene di cosa stava parlando il compositore. Magari ne avevi una vaga idea, ma non ne potevi essere certa.

Ogni parola, accuratamente scelta, può aver un miliardo di significati diversi. E' forse un'allegoria - un simbolo - per qualcos'altro?

Faceva forse parte di un'ampia, e più segreta, metafora?

Avevo imparato a scrivere piccoli pezzi di canzoni ultimante, sfruttavo la rabbia e l'incapacità di esprimermi per aprirmi attraverso delle piccole parole.

I piccoli tentativi non  furono un granché, anzi, quasi patetici risultavano.

C'era poco scavo, poca finezza.

Era tutto troppo gridato. Ma più avanti, iniziarono a nascere pezzi buoni, o almeno così mi sembrava.

Tutto questo portò solo benefici.

Iniziai a scoprire dettagli su di me, sulle vera me.

E questo mi portò al cambiamento.

Potrò smettere di comporre quando non vorrò più conoscermi così profondamente.

Come una canzone che ti fa piangere e tu non hai più voglia di ascoltarla, puoi schiacciare stop e finirla lì, no?

Ma non puoi sfuggire da te stesso.

Non puoi decidere di smettere di vederti.

O di spegnere il rumore che hai in testa.

 

 

 

 

Al'Notes:

 

 

 

Ehilà.

Salve a tutte, sono nuova di questo "settore".

Spero la storia vi intrighi e di ricevere una buona cifra di recensioni, visto che mi sono impegnata molto. È.é

Nonostante tutto, spero davvero che vi sia piaciuto questo capitolo.

 

Un bacio.

A.

  
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