Anime & Manga > Captain Tsubasa
Segui la storia  |       
Autore: berlinene    05/06/2011    4 recensioni
Il seguito di "Un'altra possibilità"(ma non è fondamentale averla letta!): Yasu torna in Giappone come suggeritole da Katagiri per chiarire con Ken, ma affrontare il passato non è mai indolore e non sempre le cose vanno come si vorrebbe...
Prosegue e si conclude questo "E se" del Diario...
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Danny Mellow/Takeshi Sawada, Ed Warner/Ken Wakashimazu, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Il Diario di Irene Price genera storie'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Eccoci qua, incredibile ma trovo il tempo per aggiornare... Siccome nelle varie stesure e correzioni ho cambiato mooolte volte i tempi verbali, spero di non averne scazzato qualcuno, a dispetto delle millemila riletture! Nel caso, grazie per volermelo segnalare. Grazie.


Parte II cap 2

“Non sarei mai dovuta tornare” singhiozza. Distoglie lo sguardo da Ken e da Takeshi che gli siede accanto e, appoggiandosi al braccio del fratello, si lascia condurre in stanza. Tornare alla villa di Nankatsu è un pensiero tutt’altro che consolante.

Il tavolo dentro il gazebo era coperto da una finissima tovaglia di lino, semplice ma di gusto, sopra, un vaso con dei fiori freschi e un vassoio di muffin caldi, che spargevano un odore delizioso, abbastanza intenso da vincere quello del giardino. In piena primavera, il parco attorno a villa Wakabayashi era uno spettacolo sontuoso e i ciliegi in fiore sulla collina completavano il quadretto.
“Se mai mi sposerò” avevo detto una volta a Nanny, “sarà qui, in primavera”.
Sono pronta a scommettere che la mia tata abbia pensato a quello mentre ornava la tavola: aveva persino sparso a bella posta petali di ciliegio nel gazebo. Si ricordava sempre tutto e, infatti, sulla tavola fumavano un perfetto tè verde giapponese per Ken e tè inglese e latte per me. E, naturalmente, i muffin al cioccolato, la segreta passione occidentale di Ken: era capace di mangiarsene anche quattro a colazione!
Eppure, quel pomeriggio, non li stava degnando di uno sguardo, già da alcuni minuti girava pensoso il cucchiaino nel tè che, tuttavia, non aveva zuccherato.
Appena arrivato, ci eravamo scambiati un saluto formale, poi si era lasciato prendere per mano e guidare verso il gazebo. Le sue bella dita affusolate rimasero quasi inerti fra le mie. Si era seduto e si era guardato attorno, quindi aveva detto con un sorriso forzato: “è bellissimo, qui”. Mi sono limitata ad annuire e servire il tè, dimenticando di fare una buona metà delle cose che sua madre, a suo tempo, mi aveva insegnato.
Al matrimonio di Sanae e Tsubasa ci eravamo promessi di organizzare un incontro e ora era arrivato il momento. Una parte di me non aveva mai smesso di sperare che Ken si gettasse ai miei piedi chiedendomi scusa, ma sapevo che non era venuto a fare quello. Ma neanche credevo volesse “solo spiegare” come diceva Genzo. In realtà, Ken quel giorno doveva dirmi una cosa enorme e terribile e, col senno di poi, ho capito benissimo il suo imbarazzo.
Ma in quel gazebo io ero solo curiosa, all’inizio.
Alla fine, invece, credo, gridai, perché Nanny e metà della servitù accorsero preoccupati. Nanny mi prese per mano e mi portò nella mia stanza, mentre il maggiordomo, fermo ma gentile, accompagnava Ken all’uscita. L’inflessibile Karate Keeper piangeva a vite tagliata e continuava a ripetere che gli dispiaceva e che avrebbe voluto risparmiarmi tutto quel dolore, e che per sempre sarei rimasta per lui l’unica e la sola…
Ma niente di quello che diceva poteva più tangermi, non dopo che mi aveva confessato di essersi scoperto omosessuale.
E di stare insieme a Takeshi Sawada.

 Yasu si sente la mente completamente vuota, mentre raccoglie le sue poche cose in una busta. Le tremano le mani. “È la stanchezza” dice, mentendo a se stessa e a suo fratello che la guarda preoccupata.
“Forse dovresti restare e farti visitare” le suggerisce lui, la voce ferma come sempre, ma dolce come non mai.
Yasu nota la stessa identica sfumatura in quella di Munemasa Katagiri che intanto si è materializzato sulla soglia, annunciando che una macchina li aspettava giù.
“La ringrazio signor Katagiri” dice Genzo, formale, accennando un inchino. “Potevamo prendere un taxi, non vorremmo creare alcun disturbo…”
“Nessun disturbo… Genzo” dice l’uomo, dandogli una pacca sulla spalla. “E poi dovreste ringraziare la Federazione, che vi ha messo a disposizione la macchina!”. Quindi si avvicina a Yasu per prenderle la busta dalle mani. La guarda preoccupato, le mette una mano sula spalla poi, arrossendo, si decide ad abbracciarla. Si stupisce della forza con cui lei lo stringe a sua volta.
“Vedrai che si concluderà tutto per il meglio…” le sussurra, “adesso devi solo pensare a riposarti. Fra qualche giorno, se vuoi, ti vengo a trovare a Nankatsu, ok?”
Yasu annuisce debolmente, avrebbe voluto ringraziarlo per tutto quello che stava facendo e sopportando per lei, ma proprio in quel momento, dei passettini leggeri risuonano per il corridoio e ancora prima che la figura esile di Takeshi Sawada si affacci, Yasu sapeva che era lui. Conosce bene quel modo di camminare. Li ha sentiti mille volte, quei passettini, lungo il corridoio del dormitorio del Toho. Ogni volta che trascorrevano la serata a vedere un film dell’orrore, puntualmente, la notte, lui bussava alla sua stanza e poi dormivano insieme…
“Ya-chan” per un attimo crede che anche quel richiamo venga dai suoi ricordi. Invece, Takeshi ha appena parlato. E ora si morde le labbra, pentito.
Un’espressione seria è dipinta sul visetto pallido, mentre dice atono: “Ha chiesto di te, Yasuko”.
Per un attimo pensa che sarebbe semplicemente svenuta. Poi, però, le immagini davanti ai suoi occhi tornano nitide e le gambe - meraviglia!- si muovono. Evita accuratamente lo sguardo delle altre tre persone presenti nella stanza, perché ognuna di loro, per motivi diversi, avrebbe tentato di fermarla.
Invece le gambe, di nuovo forti, la portano in due ampie falcate fino al corridoio, lungo il quale si mettono a correre. Quei pochi metri bastano a farle venire il fiatone e deve appoggiarsi un attimo alla porta, per aspettare che il mondo smetta di girarle attorno, prima di entrare.
Una volta nella stanza si ferma ad alcuni metri dal letto. Ken ha gli occhi chiusi, la testa reclinata su di un lato, i capelli umidi di sudore sul volto pallido. Bello. Da far male. Dorme, forse non l’ha vista… può ancora andarsene, a Nankatsu o, magari, dall’altra parte del mondo. Si volta e mette la mano sulla maniglia.
“Piccolina mia” la voce è flebile e arrochita, ma il cuore di Yasu la riconosce subito e perde un battito.
“Non volevo disturbarti” mormora lei, facendo uno sforzo immane per controllarsi.
“Ho chiesto io di vederti”.
“Perché”.
“Avvicinati”.
Yasu si avvicina al letto stiracchiando un sorriso, le mani rigidamente dietro la schiena.
“Mi hanno detto che questa è roba tua” dice serio, alzando debolmente la mano per indicare la sacca di sangue appesa là sopra.
“Sì, pare fosse l’ultima risorsa…” fa lei, in tono apparentemente serio.
“Davvero?” chiede lui preoccupato.
“Sì. Hanno detto che se non ci riesce il sangue Wakabayashi a trasformarti in un portiere decente, non ci sono davvero speranze…” dichiara lei soffocando le risa.
“’fanculo” risponde Ken, ma, a sua volta, non riesce a trattenere una risata, che però gli scatena un forte attacco di tosse.
“Oddio, scusa… volevo solo sdrammatizzare un po’…” si giustifica lei, porgendogli un bicchiere d’acqua.
“È che ho… la gola… secca” balbetta lui, tossendo.
Yasu gli avvicina un bicchiere alle labbra sostenendogli la testa, e lo aiuta a bere qualche sorso d’acqua.
Calmata la tosse, Ken si distende: sembra spossato.
Silenzio.
Il ragazzo tenta di tirarsi su ma, con una smorfia di dolore, desiste.
“Ehilà, piano” sorride Yasu, sollecita, attivando il dispositivo per far alzare il letto. “Meglio?” chiede, una volta trovata la posizione che le sembra migliore.
Ken annuisce debolmente. “Peggio che dopo essere stati investiti da un camion” mormora, sorridendo a fatica. “E lo dico per esperienza”.
“O forse sei tu che sei invecchiato” ridacchia Yasu, prendendogli distrattamente una mano.
Lui risponde a quella stretta con tutta la forza che ha e la guarda negli occhi, improvvisamente serio.
“Avrò bisogno di te”.
Per un lunghissimo attimo, Yasu spera che sia successo davvero come in quei film, in cui uno batte la testa e si scorda un pezzo del passato. Desidera intensamente che Ken l’abbia battuta abbastanza forte da cancellare quegli ultimi, dolorosissimi mesi.
Ma la testa, riflette, non l’aveva battuta affatto.
“…anche Takeshi dice…” Yasu si è persa tutto il discorso del ragazzo, ma a quel nome sussulta. Si alza di scatto, serrando le labbra. Il primo istinto è stato di urlare che quel nome non lo vuole sentire e che lei se ne andava, per sempre, addio. Ma si volta e lo vede così pallido e indifeso e nei suoi occhi c’è… affetto, amore, e lei non riesce a sopportarlo. Si morde la lingua, fa un lungo sospiro e sforzandosi di sorridere dice: “Avrai tante persone che si prenderanno cura di te, vedrai”.
“Ma non tu”.
Ancora un sospiro, ancora trattiene la voce e le lacrime. Il “no” in risposta giunge strozzato. “Lasciami andare” lo prega infine.
“Lo pensi anche tu, no, che non è tutto da buttare… che ci sono state cose belle fra noi… e che non dobbiamo-”
“Ma non lo vedi?” le lacrime infine prorompono e anche la voce, finalmente, si libera in un grido. “Finisce sempre che qualcuno si fa male! E io non voglio! Quelle cose belle, ce le terremo sempre nel cuore ma noi… evidentemente il Giappone non è abbastanza grande per noi… anzi, ripensandoci, non c’è più alcun noi”.
Il volto di Ken si fa, se possibile, più pallido e il suo respiro affannoso. Le macchine a cui è collegato cominciano a suonare.
“Ke-chan” preoccupata, Yasu torna al suo fianco.
Gli prende la mano e lui apre gli occhi, mentre il respiro si acquieta. E’ lui stesso a fare cenno all’infermiera sopraggiunta che è tutto ok.
Yasu sorride e tira un sospiro di sollievo, accarezzandogli i capelli. “Non fare lo stupido come al tuo solito…”
“Yasu…” mormora.
“Non ti affaticare, se hai qualcosa da dirmi, lo farai poi. Adesso ti lascio riposare…”
“Allora non andrai via…”
La ragazza ha un attimo di esitazione.
“Ascoltami ti prego… se te ne vai… c’è qualcosa che devo dirti, prima”.
Yasu si siede di nuovo, in ascolto.
“Perdonami per tutto il male che ti ho fatto. Se avessi potuto evitartelo… proprio a te, che amo più di ogni altra cosa ma, sfortunatamente… non nel modo che vorresti”.
Assapora di nuovo quelle parole, come fossero le prime ciliegie della stagione, forse un po’ aspre, ma buone e… attese. Poi gli rammenta: “Me lo avevi, già detto, ricordi? Prima di…”
“Sì ma con tutto quello che è successo stasera…”
“Tranquillo. Non dimentico delle parole che aspetto di sentire da mesi”.
“E io da mesi desideravo dirtele… ma ora basta. Non parlerò più, Mi limiterò ad ascoltare. Raccontami del tuo nuovo amore”.

Ora capite perchè fra gli addetti ai lavori questa FF è nota come "La TraGGedia"... Dite la verità, da me non ve l'aspettavate XD
A presto e grazie a tutti!!!
   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Captain Tsubasa / Vai alla pagina dell'autore: berlinene