How to save a
life?
“Bisogna amarsi
molto per suicidarsi.”
Albert Camus
“Questo è l’unico motivo per cui non possiamo lagnarci della vita:
essa non trattiene nessuno.”
Seneca
William Schuester si svegliò nel cuore della notte e
rigettò succhi gastrici per l’ennesima volta. Dal giorno prima aveva perso il
conto. Aveva rifiutato ogni tentativo di Emma di farlo mangiare, ed era rimasto
a casa a piangere per tutto il tempo. Tanto la scuola era chiusa per lutto. Era
stato lui a dover dare la notizia al Glee club, lui a chiamare i suoi genitori,
lui a trovarla in quella pozza di sangue ed acqua, dannandosi per non essere
subito corso da lei quando l’aveva chiamato. C’era qualcosa che non andava nella
sua voce, dura e decisa, mentre gli annunciava che avrebbe saltato le prove per
scrivere la canzone per le regionali.
“Può passare da me, più tardi? Le chiavi sono tra i cuscini del dondolo, sul
retro.”
Si erano dati un orario ed era finita lì. Ora lei non c’era più, e lui era solo
atterrito e distrutto nel profondo. Quando forte deve essere una persona, per
sopravvivere ai continui urti della vita? Lei non lo era stata abbastanza,
nonostante la sua ferrea forza di volontà che sempre aveva ammirato ed amato.
Non sapeva come andare avanti, senza di lei, ma doveva farlo per gli altri
ragazzi. Niente sarebbe stato più lo stesso.
***
Era solo un brutto scherzo, vero? A breve sarebbe
arrivata a casa sua, come una trottola, con quei suoi orribili vestitini e
l’avrebbe travolto con uno dei suoi interminabili monologhi volti a convincerlo
che doveva tornare al McKinley, oppure che avrebbe dovuto aiutarla a
riconquistare Finn, o meglio ancora, che entrambe le canzoni per le Regionali
dovessero essere effettivamente interpretate da lei. Non poteva avergli davvero
fatto questo. Kurt Hummel era seduto per terra, tra schegge taglienti di vetro,
il vetro della sua adorata postazione da toeletta. Non ricordava neanche cosa
vi avesse scagliato contro, sapeva solo che lei non sarebbe più tornata, che
non avrebbe più fatto parte della sua vita. Era passato così poco tempo da
quando aveva scoperto chi si nascondeva dietro l’irritante maschera di Rachel
Berry. La sua nemesi e la sua gemella. Avrebbe voluto stringere la presa e strapparla
da un destino che non poteva e non doveva avverarsi. Invece aveva pensato solo
a se stesso, senza cogliere i segnali. Nessuno si era preso la briga di scavare
più a fondo, ed ora l’avevano persa per sempre. La stella più luminosa e
promettente che avesse mai conosciuto nella sua miserabile e breve vita si era
spenta per sempre. In maniera plateale, ed al contempo silenziosa, come ogni
singolo istante della sua vita.
***
Il mobile degli alcolici di sua madre era vuoto per
metà. Ad intervalli brevi e regolari, Noah Puckerman era uscito dalla sua
stanza, sempre più brillo ad ogni bottiglia che si era scolato, e non aveva
intenzione di smettere. Come aveva potuto, quella piccola arrogante, lasciarlo
solo e abbandonarlo alla sua insulsa esistenza? Non era lei a ripetergli , nei
momenti in cui avrebbe voluto mollare tutto, che far parte di qualcosa di
speciali rende speciali? Senza di lei, nulla era più speciale. I colori, i
sapori, gli odori avevano perso ogni singolo significato. Quindi tanto valeva
affogare nell’alcool e smettere di pensare, almeno per un po’. Quante bottiglie
ci sarebbero volute, prima di dimenticare il suo profumo, la sua voce, i suoi
baci? Forse avrebbe fatto meglio a trovarsi un lavoro, così avrebbe avuto soldi
a sufficienza per stordirsi ogni giorno quel tanto che bastava per rivivere
solo i momenti splendidi che gli aveva regalato al sua sexy principessina
ebreo-americana.
***
Era stata meschina, e lo sapeva. Cattiva con lei
fino all’inverosimile. Ma lo era stata tante volte. Non aveva motivo di
sentirsi in colpa per quell’irritante nasona che ogni volta riusciva allo
stesso tempo a farla sentire a suo agio ed estremamente inadeguata. Rachel
aveva il potere speciale di mandarla ai pazzi, buttando già il muro di certezze
dietro cui si era barricata e facendole scoprire un mondo nuovo, privo di
preconcetti, invidie, diseguaglianza. Ma Quinn Fabrey si sentiva ancora
inferiore. Le bastava sentirla cantare per venire trascinata verso
quell’ingombrante personalità. No, lei non era fatta per la vita di periferia,
doveva andarsene da lì e lasciare che la biondina risplendesse tra quelli che
per la Berry sarebbero stati solo scarti di vita. Non doveva sentirsi in colpa.
Di sicuro l’indomani mattina avrebbero scoperto che era stata tutta una messinscena,
una delle sue tante, bastarde, macchinazioni per farsi notare. Si, sicuramente
la ragazza sarebbe spuntata a scuola come se niente fosse, o avrebbe aspettato
il suo finto funerale per farlo. Doveva essere così. Quinn ingollò l’ennesima
pillola, cercando di ignorare la fastidiosa sensazione che il suo cervello
continuasse ad inventare bugie, bugie dietro le quali si era sempre nascosta.
Era
arrivato il momento. Aveva calcolato ogni passo che l’avrebbe portata a quello
che considerava un gesto inevitabile. Dopo aver pianto per l’ennesima volta,
scrivendo quello che riteneva un eccellente testo, si era calmata ed aveva
afferrato un nuovo foglio. Risoluta, l’aveva riempito per metà, l’aveva piegato
in quattro e messo da parte. Aveva controllato l’orario e si era alzata,
tranquilla. Dopo essersi spogliata, le rimaneva solo di prendere dei Sali alla
lavanda e riempire la vasca di acqua calda. Aveva raccolto una lametta usata
per una qualche rivisitazione teatrale strappalacrime di un vecchio musical a
cui aveva partecipato e si era immersa nell’acqua, in intimo. Mancava ancora
un’ora e mezza all’arrivo del prof, e quella era l’unica nota dolente. Non
avrebbe voluto che fosse toccato a lui trovarla, ma era l’unico modo. Prese un
profondo respiro e spinse la lama nella carne del polso. Urlò. Dell’acqua
schizzo fuori dalla vasca, mentre le gambe cedevano al dolore. Strinse i denti
e lacerò decisa la pelle della coscia, mentre la vasca si tingeva di un rosso
brillante. Ai suoi stessi occhi, stanchi ed asciutti, quella scena era
orripilante ed allo stesso tempo gloriosa. Rachel Berry moriva col sorriso
sulle labbra.
Finn Hudson era raggomitolato sul letto, scosso da
violenti singhiozzi. Al diavolo l’essere uomini. La donna della sua vita non
c’era più. Non lo avrebbe più abbracciato, non gli avrebbe più sorriso,
parlato, dedicato una canzone…che schifo di vita poteva mai essere quella? Di
sicuro, non una in cui avrebbe voluto vivere. Sentì bussare alla sua porta.
-Tesoro, è ora di andare.- sua madre aprì delicatamente la porta, vestita di
nero, avvicinandosi al figlio.
-Ti aiuto io, è tutto apposto.- lo prese per le spalle e lo fece sedere sul
letto. Era come una marionetta nelle sue mani. Il volto sbattuto, gli occhi
rossi, la barba che già gli solleticava le guance, ispida. La madre lo vestì,
lo rasò e lo pettinò, come quando era piccolo. Provò una stretta al cuore, le
sembrava un vegetale. Non avrebbe mai voluto che suo figlio passasse tutto
quello che aveva provato anche lei, ma il destino sembrava pronto a ripetersi.
Era addolorata, adorava Rachel ed adorava come aveva dato nuova vita a suo
figlio. Era diventata come la bambina che non aveva mai potuto avere, l’amava
già come se fosse sua nuora. Perché questo sperava ed era convinta che fosse il
loro destino. Un destino reciso alla base, nel più brutale dei modi.
La funzione era finita, ora stavano portando la
bara, semplice, al cimitero ebraico. I genitori ed i parenti più stretti
trasportavano la bara, in un lungo corteo silenzioso. Quella morte aveva
lasciato tutti allibiti, se non assolutamente scioccati. Ognuno con un’espressione
diversa, tutti con la tristezza nel cuore. Quando finalmente seppellirono la
bara, il glee al completo si strinse attorno ai papà ed alla mamma di Rachel.
Il loro era un pianto ininterrotto, soffocato, urlato, sentito. Era stato tutto
così strano, particolare. Il velo sul suo volto, la strana omelia, le strane
usanze ebree avevano lasciato il gruppo scosso. Rendeva tutto più reale.
Mercedes aveva avuto un mancamento, ed ora riposava stordita nella macchina del
professore. Sam si fece coraggio, asciugandosi una lacrima, e si mosse verso un
punto in cui tutti potessero vederlo. Diede in due colpetti di tosse per
attirare l’attenzione.
-Non vorremmo interrompere questo momento d’angoscia e dolore, ma vorremmo dare
il nostro ultimo saluto ad una cara amica, che lascia un enorme vuoto nelle
nostre esistenze. Rach, ti abbiamo voluto bene.- singhiozzò, prima di
riportarsi in mezzo al gruppo e prendere le mani di non sapeva neanche quali
compagni. Erano solo una famiglia ferita. Intonarono una canzone, a cappella,
le voci insicure e tremanti.
Where
did I go wrong, I lost a friend
Somewhere along in the bitterness
And I would have stayed up with you all night
Had I known how to save a life
Let him know that you know best
Cause after all you do know best
Try to slip past his defense
Without granting innocence
Lay down a list of what is wrong
The things you've told him all along
And pray to God he hears you
And pray to God he hears you
Where
did I go wrong, I lost a friend
Somewhere along in the bitterness
And I would have stayed up with you all night
Had I known how to save a life
As
he begins to raise his voice
You lower yours and grant him one last choice
Drive until you lose the road
Or break with the ones you've followed
He will do one of two things
He will admit to everything
Or he'll say he's just not the same
And you'll begin to wonder why you came
How to save a life? Come avrebbero potuto salvare la sua
vita? Non lo sapevano, ma quella domanda li avrebbe torturati per il resto dei
loro anni.
Con mano tremante, Emma tirò fuori dalla tasca due
fogli. Nel primo era contenuta una versione di Geti t right, le lettere
sbaffate evidenziavano i versi in cui aveva pianto di più. Nell’altra, c’era
una lettera per il glee, che Rachel aveva indirizzato a lei. Prese coraggio ed
entrò nell’aula. L’accolse il silenzio, e solo uno sguardo, quello di Will.
Tutti gli altri ragazzi erano persi nei loro pensieri, mogi, muti. In quella
scuola sembrava non esserci più musica, da quando era spirata, quasi due
settimane prima. Schuester le si avvicinò, titubante, mettendole una mano sulla
spalla. Sapeva perché era lì, anche se lei non aveva voluto leggergli il
contenuto della lettera. Si schiarì la voce e li guardò uno ad uno,
accertandosi di avere la loro attenzione e facendo un cenno a Will, così che si
sedesse accanto ai suoi alunni.
-Siete arenati, ragazzi. Arenati in uno sconforto che, so per certo, neanche il
tempo vi porterà via. Dovrete pazientare ancora un po’, ma c’è una vostra cara
amica che non è ancora decisa a lasciarvi andare.- sorrise tristemente, aprendo
quel foglio che era stata l’unica a toccare, dopo la prematura scomparsa di
Rachel. Cercando la giusta intonazione, superò l’iniziale imbarazzo di tutti
quegli occhi addosso e lesse ad alta voce, cercando istintivamente di
ricacciare le lacrime.
“Lo so, ho parlato tanto con voi, davanti a voi,
intorno a voi, così tanto da farvi venire gli incubi.
Voglio solo mantenere viva la mia presenza, anche dopo che me ne sarò andata.
Sono sempre la solita egocentrica, alla fin fine.
Anche questo mio ultimo gesto lo sottolinea.
Non pensate a quello che avreste potuto fare in modo diverso, non lasciate che
la fine di una piccola vita blocchi il percorso che il vostro talento sta
creando per voi.
Credo molto nelle vostre possibilità, e so che sarete magnifici alle Regionali
ed alle Nazionali, anche senza di me.
Questa è una mia scelta personale, forse sconsiderata, ma definitivamente la
più sensata per me.
Sono stanca di ciò che sono, perché da sola non sono nulla.
Avervi accanto mi ha dimostrato quanto importante possa essere una vera
famiglia, dei veri amici, e sono tremendamente desolata di non potervelo
dimostrare in modo diverso.
Tenetevi stretti gli uni agli altri, lasciatevi alle spalle quelle che possiamo
considerare come marachelle giovanili, amatevi come non ho potuto amarvi io.
Sarà il più bel regalo che potrete fare a me, e spero anche a voi stessi.
Professore, non so come chiederle scusa per ciò che ha dovuto vedere, non
volevo, ma lei è la persona più forte che conosca.
Per quanto sia stata stupida, sgradevole, pazza, indelicata, sappia che l’ho
amata tanto.
Come padre, come fratello, come amico.
Si prenda sempre cura dei suoi alunni, e di se stesso, se lo merita.
Perdonate gli ultimi vaneggiamenti di una povera cantante con smania di
protagonismo, tutto questo era solo per dirvi che sarete sempre con me, e spero
che vorrete tenermi sempre con voi.
Anche come irritante, megalomane nasona ebrea, ma non lasciate che il mio
ricordo vi lasci.
Almeno, non nei vostri cuori.
Con tutto l’affetto che ho.
Rachel Berry *”
Ok, lo so, non sono normale. Ho questa storia in
testa da diverse settimane, per la precisione, da quando ho visto un video “fan
made” sullo stesso tema. Non voglio dire altro, se non che questo capitolo è
per la mia splendida penguinpesce.
Ah, ecco, si, so che non sarà il massimo come one shot, ma volevo provarci. In
effetti, leggendo la lettera ad alta voce, ho pianto, più per l’idea che per
cosa avevo scritto. Spero vi piaccia, mi scuso per eventuali orrori di ortografia/battitua
e vi saluto.
BascioCascio
Vevve