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Autore: Alchimista    07/06/2011    1 recensioni
Tremore. Tutto il suo corpo era scosso da un sottile tremore, di quelli che un distratto – un superficiale – avrebbe potuto benissimo scambiare per freddo; e dopotutto il cielo continuava a bagnare la terra con le sue lacrime e il freddo provava ad intaccare il corpo una volta forte dell’uomo, tanto che una simile osservazione sarebbe potuta essere credibile.
Storia classificatasi seconda al contest "La Sombra del Viento" indetto da Laudica_2204 e giudicato da NonnaPapera!
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Maes Hughes, Riza Hawkeye, Roy Mustang
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sentire il Silenzio ridere.

 

Ascoltandolo, mi venne in mente che in quel momento

l'unica cosa in grado di darmi qualche soddisfazione sarebbe stata

dare fuoco al mondo intero e bruciarci dentro anch'io. (...)

come se mi avesse letto nel pensiero, sorrise mostrando i denti e annuì. 
«Io posso aiutarla, amico mio.»

 

 

 

Tremore. Tutto il suo corpo era scosso da un sottile tremore, di quelli che un distratto – un superficiale – avrebbe potuto benissimo scambiare per freddo; e dopotutto il cielo continuava a bagnare la terra con le sue lacrime e il freddo provava ad intaccare il corpo una volta forte dell’uomo, tanto che una simile osservazione sarebbe potuta essere credibile.

Ma lui avrebbe capito senza aver bisogno di un secondo sguardo. Lui avrebbe saputo ogni cosa solo sfiorando con i proprio occhi, per un istante, il corpo tremante dell’alchimista.

Lui… che non c’era più. Lui che non sarebbe mai più tornato.

E ancora lo scuotevano fremiti, fremiti che nulla avevano a che fare col freddo o con la pioggia che continuava a bagnarlo, che erano solo il normale risultato di tutto il dolore che si costringeva a tener dentro, che l’orgoglio non gli permetteva di esprimere.

Si fermò. Alla fine le gambe si erano bloccate: avevano corso per minuti e minuti, come a voler far perdere le proprie tracce nella fuga da quel dolore che instancabilmente lo seguiva ed ora, con uno slancio di buonsenso, portavano il corpo dell’alchimista al riparo da quella che rischiava di diventare una vera tempesta.

La testa era finalmente al coperto, all’interno di una vecchia fabbrica abbandonata.

Gli occhi neri dell’alchimista scrutarono con poca voglia il posto in cui erano capitati e quasi ironici notarono la stessa desolazione che ora albergava nel cuore dell’uomo, quasi si fosse materializzata in quella struttura abbandonata a se stessa. L’erba che circondava la struttura era rada, a ciuffi che qua e là tentavano di nascondere la trascuratezza del posto senza far altro, invece, che accentuarla; la struttura imponente e monocromatica dava un’opprimente sensazione di solitudine, come un gigante buono ma troppo diverso per poter vivere in compagnia di qualcuno.

Roy si sedette con le spalle contro un muro ingrigito dal tempo. L’orologio d’argento scivolò fuori dalla tasca provocando un rumore metallico, ampliato dal vuoto dell’ambiente, che attirò l’attenzione del colonnello. Lo prese tra le mani, rigirandolo con improvvisa e meticolosa attenzione, quasi fosse la prima volta che lo guardasse o stesse cercando qualcosa in particolare.

Invece, quello che cercava era un semplice perché. Perché si trovava in quelle condizioni? Perché se n’era andato? Perché Maes? Cosa aveva scoperto?

Non riusciva ancora a capacitarsi del fatto che non ci fosse più, del fatto che non lo avrebbe mai più avuto al suo fianco. Si sentiva lacerato, distrutto, come un palazzo che si sbriciola dalle fondamenta venendo giù in una sola volta, senza alcun preavviso. Più ci pensava più sentiva il fiato mancargli e i polmoni inspirare a vuoto; poi il campo visivo si appannò improvvisamente e Mustang seppe che, alla fine, anche lui aveva ceduto. Per giorni si era nutrito di vendetta e di rancore, aveva indagato senza sosta, aveva maledetto gli dei ed il destino ed era finanche arrivato a gridare contro quel compagno che aveva perso, contro il fatto che non gli avesse detto nulla, che se ne fosse andato in silenzio, senza farsi salutare.

La sua anima si era logorata, consumata in pochissimo tempo mostrando una fragilità che nessuno avrebbe mai attribuito ad una persona come Roy Mustang, l’alchimista di fuoco. Le lacrime ora rigavano senza alcun pudore il suo viso pallido e più scendevano più aumentava in lui il desiderio di piangere, di sfogarsi senza curarsi di cosa avrebbero pensato i suoi sottoposti - o Riza - se l’avessero visto; senza curarsi più di nulla.

C’era solo dolore.

Guardò ancora il suo orologio d’argento. Alchimia… in quel luogo sperduto gli venne da chiedersi disperatamente a cosa diavolo servisse l’alchimia. Aveva ucciso con l’alchimia e torturato; aveva distrutto ed incendiato: ricordava solo azioni simili, solo azioni volte a far del male, nient’altro.

La sua vita era solo questo.

A pensarci bene non aveva usato l’alchimia per nessun’altro scopo; eppure il compito principale di quell’arte non era forse sempre stato quello di aiutare la gente? E lui, invece, cosa aveva fatto?

Il suo fuoco aveva sterminato un intero popolo per qualcosa che neanche conosceva, il suo unico lavoro fin’ora era stato quello di macchina della morte e non si era posto più domande di tanto su quello che stava facendo – erano ordini e come tali andavano rispettati.

Aveva giurato a se stesso che sarebbe diventato Comandante Supremo così da impedire che altri uomini eseguissero ordini simili, ma ora che fine aveva fatto quel proposito?

Maes aveva promesso di essere al suo fianco, come suo sottoposto, per appoggiarlo e sostenerlo, ma dov’era ora lui? Dove il suo sostegno?

Non c’era più nulla. Nulla aveva più senso. Mustang si sentiva completamente abbattuto, aveva superato anche la soglia di distruzione che aveva provato al ritorno dalla guerra d’Ishbar, quando i suoi occhi d’assassino, riflessi allo specchio, lo avevano persuaso a farla finita. Allora c’era stato Hughes a tirarlo su ogni volta che era inciampato… ora si sentiva completamente solo, pieno di mostri del passato pronti a divorarlo.

Adesso sembrava davvero molto facile farla finita: uno schiocco di dita e le scintille sarebbero nate dal nulla. In quel momento avrebbe voluto semplicemente farlo, dare fuoco a se stesso e a tutto il mondo, eliminando ogni impurità, ogni cosa si nascondesse in quel mare di lerciume che poi era la vita.

“Facile, non ti pare, Roy? Eppure non mi sei mai sembrato uno di quelli che sceglie la via più facile… mi sbaglio?”

L’alchimista di fuoco alzò di scatto la testa, mentre quelle parole ancora si disperdevano nell’aria fredda della mattina. Di fronte a lui, nell’impeccabile divisa blu, c’era Hughes con un sorrisetto sbilenco ed un aria da saggio filosofo che poco gli si addiceva.

«Maes…» ebbe solo la forza di pronunciare, senza staccare gli occhi dalla figura dell’amico per paura che potesse svanire.

“Potresti dar fuoco a tutto, Roy. Sarebbe davvero facile: niente più dolore per te, niente più impicci per resto del mondo. Ma chi ci guadagnerebbe? Tu non di certo, credimi”

C’era una sorta di velata accusa in quelle parole: l’alchimista avvertì una punta di rammarico che, involontariamente, gli fece stringere il cuore. Doveva credergli? Credere davvero che, per quanto fosse assurdo ed impossibile, Maes fosse lì?

“Non costa nulla illudersi, di tanto in tanto, amico mio…” fu la sagace risposta del Tenente Colonnello, ormai Generale di Brigata.

«Quindi ho davvero toccato il fondo stavolta, non è così? Arrivare ad avere allucinazioni è una cosa che non credevo possibile» si commiserò Roy, pungente.

“Arrivare a progettare seriamente il suicidio è una cosa che non credevo possibile” lo corresse con tono duro Hughes.

«Ho pensato a cose peggiori, amico mio. Ho pensato, ad esempio, a come riportarti indietro» confessò Mustang senza pudore, guardando l’altro negli occhi.

Fu strano, inaspettato, vedere come l’intensità degli occhi di Maes cambiasse rapidamente al sentire quell’assurdo proposito, quasi quel fantasma fosse realmente l’uomo che gli era stato a fianco per cos’ tanto tempo e che Roy ancora non voleva decidersi a lasciar andare.

“Possibile che tu non abbia imparato nulla, dopo tutto questo tempo?” scosse la testa il fantasma “Quei due fratelli non ti hanno insegnato proprio niente?”

Mustang alzò le spalle, ma c’era solo rassegnazione in quel gesto.

«Che vuoi farci? Ho capito che gli alchimisti sono degli esseri proprio stupidi… Ed io non faccio eccezione, anzi…»

Maes sbuffò.

“Anche io non sono riuscito a farti imparare molto, quindi…” continuò a rammaricarsi, stavolta senza essere duro: nella sua voce c’era solo tristezza.

«Avresti dovuto ripetermi le tue sagge massime una volta di più» lo accusò senza forza il Colonnello abbassando gli occhi.

Un silenzio improvviso invase l’aria con una rapidità assoluta e quelle parole dal sapore di piccola, assurda vendetta rimbalzarono nell’ambiente vuoto fino a disperdersi lentamente. Nessuno dei due ora poteva guardare negli occhi l’altro, ma entrambi avevano le guance bagnate la lacrime.

“Il più delle volte non siamo noi a stabilire quando andarcene, Roy…” spiegò il fantasma con voce ferma.

«Eppure, forse, avrei potuto fare qualcosa per impedirlo, avrei dovuto conoscere quello su cui stavi indagando, aiutarti, piuttosto che starmene fermo… Quello che più mi fa male è il fatto di non aver saputo nulla, se non a giochi fatti e anche ora brancolo nel buio, senza sapere che cosa fare…»

“Hai intenzione di arrenderti, forse?” e quasi sembrò una sfida appena lanciata.

Allora, solo allora, Mustang alzò di scatto gli occhi colpendo quelli del compagno.

«Non l’ho mai fatto» si difese determinato.

“Ah! Ora comincio ad intravedere il vecchio Roy Mustang! Ascolta: non c’era nulla che tu potessi fare per impedire quello che è successo, devi accettarlo. Puoi, però, fare adesso qualcosa di altrettanto importante: sta accanto alla mia famiglia e veglia su di loro – ne avranno bisogno; ma soprattutto cerca la verità, a qualunque costo, Roy – ci sono in ballo cose più grandi di quanto immagini”.

La forza, la determinazione e la passione che animarono gli occhi di Maes in quelle parole furono un pugno nello stomaco dell’alchimista di fuoco. Sentiva che quel - seppur fittizio - dialogo stava per concludersi e lui, invece, avrebbe voluto che non finisse mai: in quel momento si era reso conto che con Hughes era fuggita via anche tutta la sua forza, che lasciarlo andare per sempre sarebbe equivalso a cadere senza potersi più rialzare.

In fondo Maes era l’unico che lo conosceva fin nel profondo, che aveva visto tutta la sua debolezza e non ne aveva fatto arma contro di lui; i loro occhi erano mutati e diventati quelli di assassini insieme, mentre si snodava l’orrore della guerra di turno… Il solo pensiero che alla prossima – perché ce ne sarebbero di certo state tante altre – sarebbe stato solo gli bloccava la gola in un nodo devastante.

“Lasciami andare Roy… In fondo, non sei più così solo – dovresti averlo capito anche tu…” lo pregò con un sorriso Maes, ma il Colonnello non riuscì a rispondergli: una nuova voce lo bloccò, facendolo voltare.

«Colonnello?! Colonnello Mustang?!»

Riza - il tenente Hawkeye - lo stava cercando ed infine era giunta anche in quel luogo sperduto. Roy si rivoltò verso l’amico per provare a smentire una qualsiasi allusione – volontaria o meno – fosse presente nelle ultime parole dell’amico, quando si rese conto di essere di nuovo solo. Soltanto poche parole, che recavano la sua voce, aleggiavano ancora nell’aria.

“Porta il mio sorriso a Glacier ed il mio bacio ad Elicia

Mustang si trovò a sorridere triste nella stanza che, in realtà, era sempre stata vuota. Alla fine avrebbe dovuto accettarlo per forza, giusto? Ora, però, gli occhi ancora lucidi recavano una luce che non avevano mai avuto prima… il dolore, a volte, insegna più di quanto faccia qualsiasi altra cosa e anche lui l’aveva capito.

«Non cambierai mai, eh Maes?» sussurrò al vuoto.

«Colonnello! Eccola finalmente! Con chi parla?»

Roy si voltò verso la sua sottoposta e le sorrise lieve, un gesto che non aveva mai fatto e che lasciò interdetta la ragazza.

«Con la mia testa, immagino»

«Signore, è sicuro di sentirsi bene?» provò quella avvicinandosi.

«Sì, Tenente: sto bene. Ora andiamo: sono certo che senza me riusciate a fare ben poco!» dichiarò tentando di mostrare la spavalderia di un tempo, ma con minor forza del solito tanto che Riza se ne rese tacitamente conto.

I due si incamminarono fuori da quel luogo desolato, ma Roy era certo che quella non sarebbe stata l’ultima volta che vi avrebbe messo piede: nonostante tutte le parole di conforto che Maes aveva sussurrato nella sua testa, sarebbe passato molto tempo prima di riuscire a rinunciare al silenzio che in quel posto custodiva la sua risata.   

 

 

 

 

 

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Sapete, non credevo che sarei riuscita a pubblicare questa storia! Ha partecipato a “La Sombra del Viento”, contest la cui giudicIA è improvvisamente sparita… e se non fosse stata per la carissima NonnaPapera! che ha fatto le sue veci, ancora oggi non avrei potuto pubblicarla.

Che dire? Credevo che Roy fosse OOC, ma la giudicIA mi ha – fortunatamente – smentito. Ai posteri ardua sentenza!

Intanto posto il giudizio.

 

Sentire il silenzio ridere 
Grammatica e lessico: 9 
Solo un piccolo errore di battitura a livello grammaticale null’altro da segnalare. Per quanto riguarda il lessico, devo dire che in alcuni passaggi ho fatto fatica a seguire la storia ( sono dovuta tornare sui mie passi per rileggere). Non saprei, per una storia così intima forse io avrei usato in alcuni punti un lessico meno altisonante, che a mio avviso porta il lettore a estraniarsi dai sentimenti di Roy. Però nel complesso è scritta molto bene. 
Originalità: 15 
Molto originale. Una storia del genere ( con questo tema) non l’avevo mai letta. Mi ha molto colpito la trama creata ed anche come hai saputo evidenziare delicatamente il rapporto di amicizia tra i due. 
Caratterizzazione dei personaggi: 15 
A me Roy non pare affatto OOC. Devo dire che per come la vedo io le tue paure in tal senso sono ingiustificate. Certamente lo descrivi in una situazione particolare, però riesci a giustificare le lacrime e quel suo crollo improvviso in modo decisamente realistico, perciò per come la vedo io Mustang è IC 
Consequenzialità causa effetto: 10 
Scorrevole e chiara nello svolgersi di tutta la vicenda 
Apprezzamento personale: 15 
Mi è piaciuta molto. Il tema trattato è particolare e l’introspezione di Roy è stata curata molto bene. L’utilizzo della frase e dell’immagine mi sono parsi appropriati e ben sviluppati. Una storia decisamente molto bella. 

Dunque, questo è quanto! La citazione assegnatami era quella usata come incipit della storia, l’immagine quella di una vecchia fabbrica.

È la seconda storia che pubblico in questo fandom (anche se quella prima “cosa” che ho pubblicato, tendo a dimenticarla). Spero sia stata gradita e ringrazio anticipatamente lettori, recensori, chi ricorderà o preferirà.

Alla prossima.

Un bacio.

 

Alchimista  ~ 

   
 
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