Sentire il Silenzio ridere. ≈
Ascoltandolo, mi venne
in mente che in quel momento
l'unica cosa in grado
di darmi qualche soddisfazione sarebbe stata
dare fuoco al mondo
intero e bruciarci dentro anch'io. (...)
come se mi avesse letto
nel pensiero, sorrise mostrando i denti e annuì.
«Io posso aiutarla, amico mio.»
Tremore. Tutto il suo corpo era scosso da un sottile tremore,
di quelli che un distratto – un superficiale – avrebbe potuto benissimo
scambiare per freddo; e dopotutto il cielo continuava a bagnare la terra con le
sue lacrime e il freddo provava ad intaccare il corpo una volta forte
dell’uomo, tanto che una simile osservazione sarebbe potuta essere credibile.
Ma lui
avrebbe capito senza aver bisogno di un secondo sguardo. Lui avrebbe saputo ogni cosa solo sfiorando con i proprio occhi,
per un istante, il corpo tremante dell’alchimista.
Lui… che non c’era più. Lui che non sarebbe mai più tornato.
E ancora lo scuotevano fremiti, fremiti che nulla
avevano a che fare col freddo o con la pioggia che continuava a bagnarlo, che
erano solo il normale risultato di tutto il dolore che si costringeva a tener
dentro, che l’orgoglio non gli permetteva di esprimere.
Si fermò. Alla fine le gambe si erano bloccate: avevano
corso per minuti e minuti, come a voler far perdere le proprie tracce nella
fuga da quel dolore che instancabilmente lo seguiva ed ora, con uno slancio di
buonsenso, portavano il corpo dell’alchimista al riparo da quella che rischiava
di diventare una vera tempesta.
La testa era finalmente al coperto, all’interno di una
vecchia fabbrica abbandonata.
Gli occhi neri dell’alchimista scrutarono con poca
voglia il posto in cui erano capitati e quasi ironici notarono la stessa
desolazione che ora albergava nel cuore dell’uomo, quasi si fosse
materializzata in quella struttura abbandonata a se stessa. L’erba che circondava
la struttura era rada, a ciuffi che qua e là tentavano di nascondere la
trascuratezza del posto senza far altro, invece, che accentuarla; la struttura
imponente e monocromatica dava un’opprimente sensazione di solitudine, come un
gigante buono ma troppo diverso per poter vivere in compagnia di qualcuno.
Roy si sedette con le spalle contro un muro ingrigito dal tempo. L’orologio
d’argento scivolò fuori dalla tasca provocando un rumore metallico, ampliato
dal vuoto dell’ambiente, che attirò l’attenzione del colonnello. Lo prese tra
le mani, rigirandolo con improvvisa e meticolosa attenzione, quasi fosse la
prima volta che lo guardasse o stesse cercando qualcosa in particolare.
Invece, quello che cercava era un semplice perché.
Perché si trovava in quelle condizioni? Perché se n’era andato? Perché Maes? Cosa
aveva scoperto?
Non riusciva ancora a capacitarsi del fatto che non ci
fosse più, del fatto che non lo avrebbe mai più avuto al suo fianco. Si sentiva
lacerato, distrutto, come un palazzo che si sbriciola dalle fondamenta venendo
giù in una sola volta, senza alcun preavviso. Più ci pensava più sentiva il
fiato mancargli e i polmoni inspirare a vuoto; poi il campo visivo si appannò
improvvisamente e Mustang seppe che, alla fine, anche lui aveva ceduto. Per
giorni si era nutrito di vendetta e di rancore, aveva indagato senza sosta,
aveva maledetto gli dei ed il destino ed era finanche arrivato a gridare contro
quel compagno che aveva perso, contro il fatto che non gli avesse detto nulla,
che se ne fosse andato in silenzio, senza farsi salutare.
La sua anima si era logorata, consumata in pochissimo
tempo mostrando una fragilità che nessuno avrebbe mai attribuito ad una persona
come Roy Mustang, l’alchimista di fuoco. Le lacrime
ora rigavano senza alcun pudore il suo viso pallido e più scendevano più
aumentava in lui il desiderio di piangere, di sfogarsi senza curarsi di cosa
avrebbero pensato i suoi sottoposti - o Riza - se l’avessero visto; senza curarsi più di nulla.
C’era solo dolore.
Guardò ancora il suo orologio d’argento. Alchimia… in
quel luogo sperduto gli venne da chiedersi disperatamente a cosa diavolo
servisse l’alchimia. Aveva ucciso con l’alchimia e torturato; aveva distrutto ed
incendiato: ricordava solo azioni simili, solo azioni volte a far del male,
nient’altro.
La sua vita era solo questo.
A pensarci bene non aveva usato l’alchimia per
nessun’altro scopo; eppure il compito principale di quell’arte non era forse
sempre stato quello di aiutare la gente? E lui, invece, cosa aveva fatto?
Il suo fuoco aveva sterminato un intero popolo per
qualcosa che neanche conosceva, il suo unico lavoro fin’ora
era stato quello di macchina della morte e non si era posto più domande di
tanto su quello che stava facendo – erano ordini e come tali andavano
rispettati.
Aveva giurato a se stesso che sarebbe diventato
Comandante Supremo così da impedire che altri uomini eseguissero ordini simili,
ma ora che fine aveva fatto quel proposito?
Maes aveva promesso di essere al suo fianco, come suo sottoposto, per
appoggiarlo e sostenerlo, ma dov’era ora lui? Dove il suo sostegno?
Non c’era più nulla. Nulla aveva più senso. Mustang si
sentiva completamente abbattuto, aveva superato anche la soglia di distruzione
che aveva provato al ritorno dalla guerra d’Ishbar,
quando i suoi occhi d’assassino, riflessi allo specchio, lo avevano persuaso a
farla finita. Allora c’era stato Hughes a tirarlo su ogni volta che era
inciampato… ora si sentiva completamente solo, pieno di mostri del passato
pronti a divorarlo.
Adesso sembrava davvero molto facile farla finita: uno
schiocco di dita e le scintille sarebbero nate dal nulla. In quel momento
avrebbe voluto semplicemente farlo, dare fuoco a se stesso e a tutto il mondo,
eliminando ogni impurità, ogni cosa si nascondesse in quel mare di lerciume che
poi era la vita.
“Facile,
non ti pare, Roy? Eppure non mi sei mai sembrato uno
di quelli che sceglie la via più facile… mi sbaglio?”
L’alchimista di fuoco alzò di scatto la testa, mentre
quelle parole ancora si disperdevano nell’aria fredda della mattina. Di fronte
a lui, nell’impeccabile divisa blu, c’era Hughes con un sorrisetto sbilenco ed
un aria da saggio filosofo che poco gli si addiceva.
«Maes…» ebbe solo la forza
di pronunciare, senza staccare gli occhi dalla figura dell’amico per paura che
potesse svanire.
“Potresti
dar fuoco a tutto, Roy. Sarebbe davvero facile:
niente più dolore per te, niente più impicci per resto del mondo. Ma chi ci
guadagnerebbe? Tu non di certo, credimi”
C’era una sorta di velata accusa in quelle parole:
l’alchimista avvertì una punta di rammarico che, involontariamente, gli fece
stringere il cuore. Doveva credergli? Credere davvero che, per quanto fosse
assurdo ed impossibile, Maes fosse lì?
“Non costa
nulla illudersi, di tanto in tanto, amico mio…” fu la sagace risposta del Tenente Colonnello, ormai
Generale di Brigata.
«Quindi ho davvero toccato il fondo stavolta, non è
così? Arrivare ad avere allucinazioni è una cosa che non credevo possibile» si
commiserò Roy, pungente.
“Arrivare a
progettare seriamente il suicidio è una cosa che non credevo possibile” lo corresse con tono duro Hughes.
«Ho pensato a cose peggiori, amico mio. Ho pensato, ad
esempio, a come riportarti indietro» confessò Mustang senza pudore, guardando
l’altro negli occhi.
Fu strano, inaspettato, vedere come l’intensità degli
occhi di Maes cambiasse rapidamente al sentire
quell’assurdo proposito, quasi quel fantasma fosse realmente l’uomo che gli era
stato a fianco per cos’ tanto tempo e che Roy ancora
non voleva decidersi a lasciar andare.
“Possibile
che tu non abbia imparato nulla, dopo tutto questo tempo?” scosse la testa il fantasma “Quei due fratelli non ti hanno insegnato proprio niente?”
Mustang alzò le spalle, ma c’era solo rassegnazione in
quel gesto.
«Che vuoi farci? Ho capito che gli alchimisti sono
degli esseri proprio stupidi… Ed io non faccio eccezione, anzi…»
Maes sbuffò.
“Anche io
non sono riuscito a farti imparare molto, quindi…” continuò a rammaricarsi, stavolta senza essere duro:
nella sua voce c’era solo tristezza.
«Avresti dovuto ripetermi le tue sagge massime una volta di più» lo accusò senza forza il Colonnello
abbassando gli occhi.
Un silenzio improvviso invase l’aria con una rapidità
assoluta e quelle parole dal sapore di piccola, assurda vendetta rimbalzarono
nell’ambiente vuoto fino a disperdersi lentamente. Nessuno dei due ora poteva guardare
negli occhi l’altro, ma entrambi avevano le guance bagnate la lacrime.
“Il più
delle volte non siamo noi a stabilire quando andarcene, Roy…” spiegò il fantasma con voce ferma.
«Eppure, forse, avrei potuto fare qualcosa per
impedirlo, avrei dovuto conoscere quello su cui stavi indagando, aiutarti,
piuttosto che starmene fermo… Quello che più mi fa male è il fatto di non aver
saputo nulla, se non a giochi fatti e anche ora brancolo nel buio, senza sapere
che cosa fare…»
“Hai
intenzione di arrenderti, forse?” e quasi sembrò una sfida appena lanciata.
Allora, solo
allora, Mustang alzò di scatto gli occhi colpendo quelli del compagno.
«Non l’ho mai
fatto» si difese determinato.
“Ah! Ora
comincio ad intravedere il vecchio Roy Mustang!
Ascolta: non c’era nulla che tu potessi fare per impedire quello che è
successo, devi accettarlo. Puoi, però, fare
adesso qualcosa di altrettanto importante:
sta accanto alla mia famiglia e veglia su di loro – ne avranno bisogno; ma
soprattutto cerca la verità, a qualunque costo, Roy –
ci sono in ballo cose più grandi di quanto immagini”.
La forza, la determinazione e la passione che
animarono gli occhi di Maes in quelle parole furono
un pugno nello stomaco dell’alchimista di fuoco. Sentiva che quel - seppur
fittizio - dialogo stava per concludersi e lui, invece, avrebbe voluto che non
finisse mai: in quel momento si era reso conto che con Hughes era fuggita via
anche tutta la sua forza, che lasciarlo andare per sempre sarebbe equivalso a cadere senza potersi più rialzare.
In fondo Maes era l’unico
che lo conosceva fin nel profondo, che aveva visto tutta la sua debolezza e non ne aveva fatto arma contro di lui; i
loro occhi erano mutati e diventati quelli di assassini insieme, mentre si
snodava l’orrore della guerra di turno… Il solo pensiero che alla prossima –
perché ce ne sarebbero di certo state tante altre – sarebbe stato solo gli
bloccava la gola in un nodo devastante.
“Lasciami
andare Roy… In fondo, non sei più così solo –
dovresti averlo capito anche tu…” lo pregò con un sorriso Maes, ma il Colonnello
non riuscì a rispondergli: una nuova voce lo bloccò, facendolo voltare.
«Colonnello?! Colonnello Mustang?!»
Riza - il tenente Hawkeye - lo stava cercando ed
infine era giunta anche in quel luogo sperduto. Roy
si rivoltò verso l’amico per provare a smentire una qualsiasi allusione –
volontaria o meno – fosse presente nelle ultime parole dell’amico, quando si
rese conto di essere di nuovo solo. Soltanto poche parole, che recavano la sua voce, aleggiavano ancora nell’aria.
“Porta il
mio sorriso a Glacier ed il mio bacio ad Elicia”
Mustang si trovò a sorridere triste nella stanza che,
in realtà, era sempre stata vuota. Alla fine avrebbe dovuto accettarlo per
forza, giusto? Ora, però, gli occhi ancora lucidi recavano una luce che non
avevano mai avuto prima… il dolore, a volte, insegna più di quanto faccia
qualsiasi altra cosa e anche lui l’aveva capito.
«Non cambierai mai, eh Maes?»
sussurrò al vuoto.
«Colonnello! Eccola finalmente! Con chi parla?»
Roy si voltò verso la sua sottoposta e le sorrise lieve, un gesto che non
aveva mai fatto e che lasciò interdetta la ragazza.
«Con la mia testa, immagino»
«Signore, è sicuro di sentirsi bene?» provò quella
avvicinandosi.
«Sì, Tenente: sto bene. Ora andiamo: sono certo che
senza me riusciate a fare ben poco!» dichiarò tentando di mostrare la
spavalderia di un tempo, ma con minor forza del solito tanto che Riza se ne rese tacitamente conto.
I due si incamminarono fuori da quel luogo desolato,
ma Roy era certo che quella non sarebbe stata
l’ultima volta che vi avrebbe messo piede: nonostante tutte le parole di
conforto che Maes aveva sussurrato nella sua testa, sarebbe passato molto
tempo prima di riuscire a rinunciare al silenzio che in quel posto custodiva la
sua risata.
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Sapete, non
credevo che sarei riuscita a pubblicare questa storia! Ha partecipato a “La Sombra del Viento”, contest la cui giudicIA
è improvvisamente sparita… e se non fosse stata per la carissima NonnaPapera! che ha fatto le sue veci, ancora oggi
non avrei potuto pubblicarla.
Che dire?
Credevo che Roy fosse OOC, ma la giudicIA
mi ha – fortunatamente – smentito. Ai posteri ardua sentenza!
Intanto posto
il giudizio.
Sentire il silenzio ridere
Grammatica e lessico: 9
Solo un piccolo errore di battitura a livello
grammaticale null’altro da segnalare. Per quanto riguarda il lessico, devo dire
che in alcuni passaggi ho fatto fatica a seguire la storia ( sono dovuta
tornare sui mie passi per rileggere). Non saprei, per una storia così intima
forse io avrei usato in alcuni punti un lessico meno altisonante, che a mio
avviso porta il lettore a estraniarsi dai sentimenti di Roy.
Però nel complesso è scritta molto bene.
Originalità: 15
Molto originale. Una storia del genere ( con
questo tema) non l’avevo mai letta. Mi ha molto colpito la trama creata ed
anche come hai saputo evidenziare delicatamente il rapporto di amicizia tra i
due.
Caratterizzazione dei personaggi: 15
A me Roy non pare
affatto OOC. Devo dire che per come la vedo io le tue paure in tal senso sono
ingiustificate. Certamente lo descrivi in una situazione particolare, però
riesci a giustificare le lacrime e quel suo crollo improvviso in modo
decisamente realistico, perciò per come la vedo io Mustang è IC
Consequenzialità causa effetto: 10
Scorrevole e chiara nello svolgersi di tutta la
vicenda
Apprezzamento personale: 15
Mi è piaciuta molto. Il tema trattato è
particolare e l’introspezione di Roy è stata curata
molto bene. L’utilizzo della frase e dell’immagine mi sono parsi appropriati e
ben sviluppati. Una storia decisamente molto bella.
Dunque,
questo è quanto! La citazione assegnatami era quella usata come incipit della
storia, l’immagine quella di una vecchia fabbrica.
È la seconda
storia che pubblico in questo fandom (anche se quella
prima “cosa” che ho pubblicato, tendo a dimenticarla). Spero sia stata gradita
e ringrazio anticipatamente lettori, recensori, chi ricorderà o preferirà.
Alla
prossima.
Un bacio.
Alchimista ~
♥