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Autore: Wiwo    07/06/2011    4 recensioni
Ossia: di cinque minuti (?), di automobili e di fan fictions.
Questa storia si è classificata terza al concorso "Titoli per l'amore", indetto da signorino__ sul forum di EFP.
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Autore (su EFP e sul forum): Wiwo (EFP); _Wiwo_ (forum)
Titolo: Frutteto Minato (Orchard of Mines, by Globus)
Rating: Giallo
Genere: Romantico, Slice of life
Avvertimenti: Femslash, Lime, Oneshot
Note d'autore: Allora. In origine doveva essere una long-fic e raccontare la storia di queste due, con personaggi secondari e tutto il resto, però non ce l’ho fatta: questo racconto è quindi diventato uno spaccato di vita delle protagoniste, che vuole giusto strappare un sorriso, senza troppe pretese.
Piccolo appunto sulla mela e il suo simbolismo: simboleggia morte e vita, visto che nutre, ma i suoi semi sono velenosi e, se ingeriti in grandi quantità, possono uccidere. Simboleggia anche la voglia di conoscenza e di non adesione a dogmi (Eva e il Serpente).
La frase di Margherita Hack nominata nel racconto è questa: “La colpa di Eva è stata quella di voler conoscere, sperimentare, indagare con le proprie forze le leggi che regolano l'universo, la terra, il proprio corpo, di rifiutare l'insegnamento calato dall'alto, in una parola Eva rappresenta la curiosità della scienza contro la passiva accettazione della fede.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

FRUTTETO MINATO

 

ossia: di cinque minuti (?), di automobili e di fan fictions

 

 

 

 

“Alzati, forza.”

La mora scosse la testa, aggrappandosi alle coperte.

“Non ci penso neanche.”

La ragazza bionda, la lunga treccia ormai sfatta, sbuffò seccata.

“E invece sì. I miei…”

“Potrebbero arrivare da un momento all’altro. Lo so, l’hai già ripetuto almeno una decina di volte.”

“Ed è un buon motivo per rendere presentabili noi stesse e questo posto. Non oso immaginare…”

“La loro reazione nel trovare la loro amata e misantropa bambina seminuda, con una ragazza nel letto e vestiti dappertutto, hai già detto anche questo. Ma dovresti aggiungere anche un succhiotto sul collo piuttosto artistico, per amor di completezza.”

“Cosa?!”

La stanza era effettivamente un disastro, almeno per i soliti standard. La sedia era spostata di qualche centimetro dal suo posto davanti al computer, il tappeto aveva un angolo accartocciato e le coperte scostate quasi toccavano il pavimento, per non parlare della maglietta che penzolava triste dal pomello del letto: una stanza sconvolta per una proprietaria sconvolta, insomma.

La mora ridacchiò e passò le braccia attorno alla vita sottile dell’altra, seduta sul letto, approfittando dell’assenza della suddetta maglietta.

“Rilassati, Luna. Sei già abbastanza magra, se continui ad essere così nervosa continuerai a dimagrire e prima o poi scomparirai, e io ne sarei oltremodo irritata.”

Luna non rispose, ma non si scostò neanche, e Vittoria sapeva che, nel suo umore attuale, era già una conquista. Vittoria, notoriamente, amava circondarsi di persone particolari, rendevano la vita molto più divertente; e quella piccoletta dagli incredibili capelli biondi era una di quelle più complicate che avesse mai conosciuto nella sua lunga esperienza di casi umani. Sbirciò verso l’alto, cercando il suo viso: fissava un punto imprecisato della stanza, un’espressione corrucciata dipinta sui lineamenti appuntiti. Era estremamente interessante, come persona, anche se necessitava di tanta pazienza e delle parole giuste al momento giusto.

“Scherzavo, riguardo al succhiotto.”

Luna la fulminò con lo sguardo.

“Lo so. Me ne sarei accorta e ti avrei fermato prima, non sono stupida.”

Appunto, le parole giuste al momento giusto. Vittoria sospirò.

“Dai, ti prendo solo un po’ in giro! Come sei permalosa.”

“Non sono permalosa.”

Altra risatina.

“Certo, e io sono la fata turchina.”

Luna provò ad alzarsi, ma le braccia della mora non mollarono la presa, e la sua occhiataccia non provocò altra reazione che un ghignetto divertito.

“Dai, Vittoria. Lasciami, e anzi dammi una mano a sistemare questo casino.”

“Prima voglio un bacio.”

Luna scosse la testa, ma si chinò per stamparle un bacio veloce… solo per ritrovarsi abbrancata e di nuovo stesa sul letto, con Vittoria al suo fianco che non sembrava avere intenzione di mollarla, e che silenziò le sue proteste catturandole le labbra e trascinandola in un bacio che di veloce non aveva proprio niente. Luna oppose un po’ di resistenza, ma poi lasciò perdere. Non che le dispiacesse, ecco. Anzi. Era un contatto umano piuttosto piacevole, anche se un po’ imbarazzante, e le labbra di Vittoria erano morbide e il suo bacio era dolce. Quando riaprì gli occhi trovò quelli verdi dell’altra ragazza a fissarla, grandi e liquidi, un po’ all’ingiù.

“Hai la matita sbavata.”

Vittoria le morse il naso, ma se la tirò più vicina.

“Rovina-atmosfere.”

“Dovremmo alzarci.”

“Cinque minuti…”

Sospiro.

“Cinque minuti.”

La mora sorrise, cercando di nuovo la bocca della compagna.

I baci, tra di loro, non erano troppo frequenti. In pubblico non se ne parlava, ovviamente, e la poca propensione alle ‘smancerie’ di Luna faceva sì che, anche in privato, non ci fossero troppi momenti come quello. Per questo bisognava approfittare di quelle occasioni in cui le sue difese erano abbassate. Cosa che aveva imparato a fare benissimo, pensò Vittoria mentre le accarezzava i capelli, ad occhi chiusi.

Tanto prima o poi riuscirò a finire lo schema e a trovare tutte le mine senza pestarci sopra, piccolo campo minato che non sei altro. Non hai scampo.

 

Il rumore di un’auto fece sussultare la bionda, che interruppe immediatamente il bacio e si tirò a sedere, guardando preoccupata la finestra. Vittoria mugugnò.

“Non sono i tuoi.”

“E come fai a dirlo?”

“Semplice. Loro hanno una station wagon, e quello è il rumore del motore di un’auto piccola” le spiegò con ovvietà.

“Scusa se delle auto non capisco niente.”

“Dopo l’incidente, io anche troppo, quindi fidati. E poi è andata via, senti?”

Luna parve tranquillizzarsi, anche se non si sdraiò di nuovo accanto a lei. Vittoria notò che la sua mano stringeva ancora le coperte con forza.

“Dai, Luna, torna qui. Avevi detto cinque minuti.”

La ragazza allentò la presa sulle coperte, ma non si mosse né distolse lo sguardo. Vittoria guardò a sua volta la finestra per vedere cosa ci fosse di tanto interessante, ma, a parte un terribile pupazzo a forma di fiore sorridente regalatole da Teo e messo lì come in punizione, non vide proprio niente.

“Luna? Ci sei?”

“A volte mi chiedo come abbia fatto ad incasinarmi la vita in questo modo.”

La mora sbatté gli occhi prima di riuscire a riprendere il filo del discorso. Che non c’era, se non nella testa di Luna, al secolo Caterina Franceschi, la ragazza che aveva fatto dei repentini cambi d’argomento un’arte. Le abbracciò di nuovo la vita.

“Vediamo… Hai ceduto alle mie irresistibili avances?”

“No, seriamente. Ultimamente mi sembra di essere in una fan fiction, per altro piuttosto banale.”

Vittoria si girò sulla pancia, mettendosi comoda e aspettando il monologo che sapeva sarebbe seguito, con aria divertita.

“Prima vengo praticamente ricattata e costretta a visitare una mostra d’arte che non mi interessa, dove incontro vari e inquietanti personaggi. Poi, non mi spiego ancora come, mi faccio trascinare in una discoteca, dove riesco anche a sentirmi male, e non posso fare altro che farmi riportare a casa da uno di quegli strani personaggi di cui sopra, visto che l’idiota di Teo aveva trovato da imboscarsi. E ancora, sulla via di casa scopro che il personaggio in questione ha un frutteto tatuato sulla schiena.”

“Ehi! È un melo, da solo!”

Luna passò le dita sul tatuaggio che decorava la schiena nuda di Vittoria, un albero di mele con fiori e frutti disegnato intorno a una lunga cicatrice, souvenir di un incidente d’auto.

“Ma è enorme. Praticamente un frutteto.”

“Tsk.”

“Ma non è finita qui! Qualche giorno dopo, uscendo da scuola, trovo la proprietaria del frutteto ad aspettarmi, senza nessun motivo per essere lì, ma con una grande faccia tosta. Neanche a dirlo, in qualche modo vengo a sapere la storia dietro al suo tatuaggio, che ovviamente ha un suo senso e denota che la persona in questione non è un’idiota come potrebbe sembrare al primo impatto, anche se solitamente si comporta come tale perché ci trova gusto: classico personaggio da fan fiction. E, dopo qualche giorno, la ragazza approfitta di un momento in cui non c’è nessuno per baciarmi. Come da copione. E io, accidenti a me, ci sto.”

“Grazie al cielo. Anche se non avresti potuto fare altrimenti. Sai, le avances…”

Luna la ignorò.

“E adesso, senza avere idea di come ci sia arrivata, sono seminuda, con quella ragazza nel letto e vestiti dappertutto. Praticamente una fan fiction.”

La mora alzò gli occhi al cielo.

“E con ciò? Non vedo dove stia il problema.”

“Io detesto questo genere di fan fiction. Troppo illogiche per i miei gusti. Non c’è controllo.”

Vittoria fece un sorriso malizioso, mentre la sua mano risaliva la sua vita sottile. Eccolo lì, il problema, Luna alle prese con le crisi di panico da relazione sociale.

“Il controllo non è tutto nella vita, bionda calcolatrice. E, se vuoi, ti rinfresco io la memoria su come tu ci sia arrivata…”

 

Un’altra auto passò nella stradina e Luna trasalì di nuovo, gli occhi spalancati. Vittoria si passò una mano tra i capelli corti, domandandosi se quella stradina sperduta si fosse improvvisamente trasformata in una tangenziale.

“No, non sono i tuoi.”

Ma ormai l’atmosfera si era rotta, Luna era di nuovo sul piede di guerra.

“I cinque minuti sono comunque terminati. Alzati.”

Vittoria sbuffò.

“No. Se sono il personaggio di una fan fiction ritengo un mio preciso dovere metterti i bastoni tra le ruote.”

“Ma non lo sei, quindi muoviti.”

“Cosa ne sai?” ribatté la mora, con il suo migliore ghigno da stregatto.

Luna assunse un’aria da esperta.

“Semplice. Se fossimo davvero in una fan fiction, a questo punto i miei sarebbero già tornati e ci avrebbero scoperto, perché è un cliché e perché la storia deve andare avanti; tuttavia, ancora non è successo, quindi posso affermare che non siamo in una fan fiction. E, dato che vorrei ridurre al minimo le probabilità che accada un simile evento, adesso ti alzi, ti vesti e metti a post… Ehi!”

La bionda si trovò di nuovo sbattuta sul letto da una Vittoria evidentemente poco interessata al discorso, che si era comodamente piazzata sopra di lei.

“Basta con gli sproloqui, piccola aspirante matematica. Stai cercando di fare discorsi coerenti su mie provocazioni stupide, e non ci riesci neanche bene. La logica non domina il mondo.”

“Purtroppo.”

“Per fortuna. Se ci fosse solo quella, la vita sarebbe terribilmente noiosa. E questa conversazione non potrebbe avere luogo.”

“Altro aspetto positiv…”

Vittoria la interruppe con un bacio fulmineo e sorrise.

“Come se ti stessi divertendo poco… Ti conosco, mascherina.”

“I cinque minuti sono passati da un pezzo” glissò Luna.

“Ma piantala, campo minato in miniatura.”

“Frutteto. Togliti e lasciami andare.”

La mora si sistemò meglio sopra di Luna, ben decisa a non farla scappare, si stava divertendo troppo.

“Non posso essere un frutteto.”

Luna tentò di farle il solletico per liberarsi, senza successo. Accidenti ai geni che aveva ereditato e alla loro decisione che doveva essere piccoletta e mingherlina; un po’ di forza bruta non sarebbe stata male in quel frangente. Guardò la compagna peggio che poteva.

“E perché?”

Vittoria avvicinò il suo viso a quello dell’altra, sussurrandole contro le labbra.

“Perché per fare un frutteto ci vogliono almeno due alberi, non è vero, paladina della logica? E quindi, al massimo, siamo un frutteto, cara la mia giovane pianta.”

Luna non riuscì a trattenere un sorriso.

“Io non ho tatuaggi con piante da frutto, spiacente.”

Vittoria ignorò il suo commento e le baciò le labbra.

“E, per tornare al discorso fan fictions, dato che tu sei un campo minato e io un mezzo frutteto, direi che insieme siamo un frutteto minato. Bene, adesso siamo un pairing vero e proprio, abbiamo anche un nome. Possiamo far parte di una fan fiction a pieno titolo.”

“Chi è che stava sproloquiando, scusa?”

Vittoria rise e le arruffò la frangetta.

“Ma io sono divertente.”

“Questi discorsi senza senso ci stanno solo facendo perdere tempo. Lasciami andare!”

“No” la mora si chinò a sussurrarle all’orecchio, “non ti lascio andare.”.

Le mordicchiò il lobo, facendola sussultare e trattenere un gemito. Conoscere i punti sensibili e sfruttarli sapientemente per rigirare a proprio favore le situazioni: ecco una cosa che Vittoria aveva imparato essere molto utile. E divertente, aggiunse vedendo l’espressione assassina negli occhi di Luna.

Ma quanto sei carina quando fai la sostenuta.

“Non ci provare…”

“Non ci provo, lo faccio e basta. Ribellati, se ci riesci.”

Senza aspettare una replica, passò a baciarle il collo, baci lenti e leggeri che scendevano verso le clavicole, mentre le sue mani salivano dalla vita fino al seno scoperto.

“Cos’è, non ti lamenti?” ghignò a bassa voce.

Luna era chiaramente in difficoltà.

“Così non vale.”

Vittoria le catturò le labbra con le sue, e poi, sentendo che l’altra le schiudeva leggermente, approfondì il bacio, beandosi di quei ‘cinque minuti’ rubati e dell’adorabile cocciutaggine di quella piccoletta. Luna passò le mani dietro la sua schiena, ad occhi chiusi. La mora scivolò di nuovo sul suo collo, un sorriso malcelato tra i baci.

“Vale eccome. Ti devo ancora un succhiotto piuttosto artistico, non ricordi?”

L’altra, per tutta risposta, le mollò un sonoro colpo sulla schiena.

“Ahia! Vuoi farmi sputare un polmone?”

“Ti starebbe solo bene. E tu vuoi definitivamente cacciarmi nei guai?”

Vittoria ridacchiò.

“Ma no, basterebbe dire ai tuoi che siamo una coppia ufficiale e perfettamente giustificata nel nostro fandom. Abbiamo anche un nome, caspita!”

Luna rise, scuotendo la testa.

“Certo, ovvio. Perfettamente logico. Frutteto minato, mamma, come puoi non capire? Beh, certo, ha un tatuaggio grosso come me sulla schiena, parla di mele, di libertà e di morte e rinascita in modo incomprensibile ai più ed è una lei, però apprezza Margherita Hack. Davvero, come puoi non capire?”

Non aveva ritirato le mani dalla sua schiena, era ancora abbracciata a lei, ridendo, e Vittoria si unì alla risata con un motivo in più.

“Margherita Hack si è guadagnata tutta la mia stima con quella frase. Senti, ma se tu capisci i miei discorsi sulla mela e il suo simbolismo va bene così, non occorre che lo capiscano anche i tuoi, basta che lo prendano come dato di fatto, no?”

“Punti di vista.”

“Mi piaci un sacco, scricciolo, sappilo.”

“Contenta tu.”

Vittoria rise, estasiata, e si chinò di nuovo a baciarla. I percorsi mentali di quella ragazza erano decisamente strani, visto che due minuti prima voleva alzarsi e andar via, e adesso ricambiava con trasporto, ad occhi chiusi: sì, era davvero una persona interessante. Le stuzzicò un capezzolo, strappandole un gemito e un’occhiataccia. E anche parecchio divertente.

 

Un’auto passò nella stradina, ma nessuna delle due ci fece caso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Rieccomi, con un racconto scritto per il contest “Titoli per l’amore”, indetto da signorino__ sul forum di EFP, al quale si è classificato terzo.
Prima o poi lo sistemerò. Davvero.
 

Special thanks to: i concorsi, le anime pie che si sono impegnate per i banner, la vita che a volte è davvero una fan fiction (.), le mele, Teo che non c'è, Margherita Hack, and YOU!

Commenti sempre graditi, ovviamente. ^^

Alla prossima!

Wiwo

 

   
 
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