Autore
(su EFP e sul forum): Wiwo (EFP); _Wiwo_ (forum)
Titolo: Frutteto Minato (Orchard of Mines, by Globus)
Rating: Giallo
Genere: Romantico, Slice of life
Avvertimenti: Femslash, Lime, Oneshot
Note d'autore: Allora. In origine doveva essere una long-fic e
raccontare la
storia di queste due, con personaggi secondari e tutto il resto,
però non ce
l’ho fatta: questo racconto è quindi diventato uno
spaccato di vita delle
protagoniste, che vuole giusto strappare un sorriso, senza troppe
pretese.
Piccolo
appunto sulla mela e il suo simbolismo: simboleggia morte e vita, visto
che
nutre, ma i suoi semi sono velenosi e, se ingeriti in grandi
quantità, possono
uccidere. Simboleggia anche la voglia di conoscenza e di non adesione a
dogmi
(Eva e il Serpente).
La
frase di Margherita Hack nominata nel racconto è questa:
“La colpa di Eva è
stata quella di voler conoscere, sperimentare, indagare con le proprie
forze le
leggi che regolano l'universo, la terra, il proprio corpo, di rifiutare
l'insegnamento calato dall'alto, in una parola Eva rappresenta la
curiosità
della scienza contro la passiva accettazione della fede.”
FRUTTETO
MINATO
ossia:
di cinque minuti (?), di automobili e di fan fictions
“Alzati,
forza.”
La
mora scosse la testa, aggrappandosi alle coperte.
“Non
ci penso neanche.”
La
ragazza bionda, la lunga treccia ormai sfatta, sbuffò
seccata.
“E
invece sì. I miei…”
“Potrebbero
arrivare da un momento all’altro. Lo so, l’hai
già ripetuto almeno una decina
di volte.”
“Ed
è un buon motivo per rendere presentabili noi stesse e
questo posto. Non oso
immaginare…”
“La
loro reazione nel trovare la loro amata e misantropa bambina seminuda,
con una
ragazza nel letto e vestiti dappertutto, hai già detto anche
questo. Ma
dovresti aggiungere anche un succhiotto sul collo piuttosto artistico,
per amor
di completezza.”
“Cosa?!”
La
stanza era effettivamente un disastro, almeno per i soliti standard. La
sedia
era spostata di qualche centimetro dal suo posto davanti al computer,
il
tappeto aveva un angolo accartocciato e le coperte scostate quasi
toccavano il
pavimento, per non parlare della maglietta che penzolava triste dal
pomello del
letto: una stanza sconvolta per una proprietaria sconvolta, insomma.
La
mora ridacchiò e passò le braccia attorno alla
vita sottile dell’altra, seduta
sul letto, approfittando dell’assenza della suddetta
maglietta.
“Rilassati,
Luna. Sei già abbastanza magra, se continui ad essere
così nervosa continuerai
a dimagrire e prima o poi scomparirai, e io ne sarei oltremodo
irritata.”
Luna
non rispose, ma non si scostò neanche, e Vittoria sapeva
che, nel suo umore
attuale, era già una conquista. Vittoria, notoriamente,
amava circondarsi di
persone particolari, rendevano la vita molto più divertente;
e quella
piccoletta dagli incredibili capelli biondi era una di quelle
più complicate
che avesse mai conosciuto nella sua lunga esperienza di casi umani.
Sbirciò
verso l’alto, cercando il suo viso: fissava un punto
imprecisato della stanza,
un’espressione corrucciata dipinta sui lineamenti appuntiti.
Era estremamente
interessante, come persona, anche se necessitava di tanta pazienza e
delle
parole giuste al momento giusto.
“Scherzavo,
riguardo al succhiotto.”
Luna
la fulminò con lo sguardo.
“Lo
so. Me ne sarei accorta e ti avrei fermato prima, non sono
stupida.”
Appunto,
le parole giuste al momento giusto. Vittoria sospirò.
“Dai,
ti prendo solo un po’ in giro! Come sei permalosa.”
“Non
sono permalosa.”
Altra
risatina.
“Certo,
e io sono la fata turchina.”
Luna
provò ad alzarsi, ma le braccia della mora non mollarono la
presa, e la sua
occhiataccia non provocò altra reazione che un ghignetto
divertito.
“Dai,
Vittoria. Lasciami, e anzi dammi una mano a sistemare questo
casino.”
“Prima
voglio un bacio.”
Luna
scosse la testa, ma si chinò per stamparle un bacio
veloce… solo per ritrovarsi
abbrancata e di nuovo stesa sul letto, con Vittoria al suo fianco che
non
sembrava avere intenzione di mollarla, e che silenziò le sue
proteste
catturandole le labbra e trascinandola in un bacio che di veloce non
aveva
proprio niente. Luna oppose un po’ di resistenza, ma poi
lasciò perdere. Non
che le dispiacesse, ecco. Anzi. Era un contatto umano piuttosto
piacevole,
anche se un po’ imbarazzante, e le labbra di Vittoria erano
morbide e il suo
bacio era dolce. Quando riaprì gli occhi trovò
quelli verdi dell’altra ragazza
a fissarla, grandi e liquidi, un po’
all’ingiù.
“Hai
la matita sbavata.”
Vittoria
le morse il naso, ma se la tirò più vicina.
“Rovina-atmosfere.”
“Dovremmo
alzarci.”
“Cinque
minuti…”
Sospiro.
“Cinque
minuti.”
La
mora sorrise, cercando di nuovo la bocca della compagna.
I
baci, tra di loro, non erano troppo frequenti. In pubblico non se ne
parlava,
ovviamente, e la poca propensione alle ‘smancerie’
di Luna faceva sì che, anche
in privato, non ci fossero troppi momenti come quello. Per questo
bisognava
approfittare di quelle occasioni in cui le sue difese erano abbassate.
Cosa che
aveva imparato a fare benissimo, pensò Vittoria mentre le
accarezzava i
capelli, ad occhi chiusi.
Tanto
prima o poi riuscirò a finire
lo schema e a trovare tutte le mine senza pestarci sopra, piccolo campo
minato
che non sei altro. Non hai scampo.
Il
rumore di un’auto fece sussultare la bionda, che interruppe
immediatamente il
bacio e si tirò a sedere, guardando preoccupata la finestra.
Vittoria mugugnò.
“Non
sono i tuoi.”
“E
come fai a dirlo?”
“Semplice.
Loro hanno una station wagon, e quello è il rumore del
motore di un’auto
piccola” le spiegò con ovvietà.
“Scusa
se delle auto non capisco niente.”
“Dopo
l’incidente, io anche troppo, quindi fidati. E poi
è andata via, senti?”
Luna
parve tranquillizzarsi, anche se non si sdraiò di nuovo
accanto a lei. Vittoria
notò che la sua mano stringeva ancora le coperte con forza.
“Dai,
Luna, torna qui. Avevi detto cinque minuti.”
La
ragazza allentò la presa sulle coperte, ma non si mosse
né distolse lo sguardo.
Vittoria guardò a sua volta la finestra per vedere cosa ci
fosse di tanto
interessante, ma, a parte un terribile pupazzo a forma di fiore
sorridente
regalatole da Teo e messo lì come in punizione, non vide
proprio niente.
“Luna?
Ci sei?”
“A
volte mi chiedo come abbia fatto ad incasinarmi la vita in questo
modo.”
La
mora sbatté gli occhi prima di riuscire a riprendere il filo
del discorso. Che
non c’era, se non nella testa di Luna, al secolo Caterina
Franceschi, la
ragazza che aveva fatto dei repentini cambi d’argomento
un’arte. Le abbracciò
di nuovo la vita.
“Vediamo…
Hai ceduto alle mie irresistibili avances?”
“No,
seriamente. Ultimamente mi sembra di essere in una fan fiction, per
altro
piuttosto banale.”
Vittoria
si girò sulla pancia, mettendosi comoda e aspettando il
monologo che sapeva
sarebbe seguito, con aria divertita.
“Prima
vengo praticamente ricattata e costretta a visitare una mostra
d’arte che non
mi interessa, dove incontro vari e inquietanti personaggi. Poi, non mi
spiego
ancora come, mi faccio trascinare in una discoteca, dove riesco anche a
sentirmi male, e non posso fare altro che farmi riportare a casa da uno
di
quegli strani personaggi di cui sopra, visto che l’idiota di
Teo aveva trovato
da imboscarsi. E ancora, sulla via di casa scopro che il personaggio in
questione ha un frutteto tatuato
sulla schiena.”
“Ehi!
È un melo, da solo!”
Luna
passò le dita sul tatuaggio che decorava la schiena nuda di
Vittoria, un albero
di mele con fiori e frutti disegnato intorno a una lunga cicatrice,
souvenir di
un incidente d’auto.
“Ma
è enorme. Praticamente un frutteto.”
“Tsk.”
“Ma
non è finita qui! Qualche giorno dopo, uscendo da scuola,
trovo la proprietaria
del frutteto ad aspettarmi, senza nessun motivo per essere
lì, ma con una
grande faccia tosta. Neanche a dirlo, in qualche modo vengo a sapere la
storia
dietro al suo tatuaggio, che ovviamente ha un suo senso e denota che la
persona
in questione non è un’idiota come potrebbe
sembrare al primo impatto, anche se
solitamente si comporta come tale perché ci trova gusto:
classico personaggio
da fan fiction. E, dopo qualche giorno, la ragazza approfitta di un
momento in
cui non c’è nessuno per baciarmi. Come da copione.
E io, accidenti a me, ci
sto.”
“Grazie
al cielo. Anche se non avresti potuto fare altrimenti. Sai, le avances…”
Luna
la ignorò.
“E
adesso, senza avere idea di come ci sia arrivata, sono seminuda, con
quella
ragazza nel letto e vestiti dappertutto. Praticamente
una fan fiction.”
La
mora alzò gli occhi al cielo.
“E
con ciò? Non vedo dove stia il problema.”
“Io
detesto questo genere di fan fiction. Troppo illogiche per i miei
gusti. Non
c’è controllo.”
Vittoria
fece un sorriso malizioso, mentre la sua mano risaliva la sua vita
sottile.
Eccolo lì, il problema, Luna alle prese con le crisi di
panico da relazione
sociale.
“Il
controllo non è tutto nella vita, bionda calcolatrice. E, se
vuoi, ti rinfresco
io la memoria su come tu ci sia arrivata…”
Un’altra
auto passò nella stradina e Luna trasalì di
nuovo, gli occhi spalancati.
Vittoria si passò una mano tra i capelli corti, domandandosi
se quella stradina
sperduta si fosse improvvisamente trasformata in una tangenziale.
“No,
non sono i tuoi.”
Ma
ormai l’atmosfera si era rotta, Luna era di nuovo sul piede
di guerra.
“I
cinque minuti sono comunque terminati. Alzati.”
Vittoria
sbuffò.
“No.
Se sono il personaggio di una fan fiction ritengo un mio preciso dovere
metterti i bastoni tra le ruote.”
“Ma
non lo sei, quindi muoviti.”
“Cosa
ne sai?” ribatté la mora, con il suo migliore
ghigno da stregatto.
Luna
assunse un’aria da esperta.
“Semplice.
Se fossimo davvero in una fan fiction, a questo punto i miei sarebbero
già
tornati e ci avrebbero scoperto, perché è un cliché e perché la
storia deve andare avanti; tuttavia, ancora non
è successo, quindi posso affermare che non siamo in una fan
fiction. E, dato
che vorrei ridurre al minimo le probabilità che accada un
simile evento, adesso
ti alzi, ti vesti e metti a post… Ehi!”
La
bionda si trovò di nuovo sbattuta sul letto da una Vittoria
evidentemente poco
interessata al discorso, che si era comodamente piazzata sopra di lei.
“Basta
con gli sproloqui, piccola aspirante matematica. Stai cercando di fare
discorsi
coerenti su mie provocazioni stupide, e non ci riesci neanche bene. La
logica
non domina il mondo.”
“Purtroppo.”
“Per
fortuna. Se ci fosse solo quella, la vita sarebbe terribilmente noiosa.
E
questa conversazione non potrebbe avere luogo.”
“Altro
aspetto positiv…”
Vittoria
la interruppe con un bacio fulmineo e sorrise.
“Come
se ti stessi divertendo poco… Ti conosco,
mascherina.”
“I
cinque minuti sono passati da un pezzo” glissò
Luna.
“Ma
piantala, campo minato in miniatura.”
“Frutteto.
Togliti e lasciami andare.”
La
mora si sistemò meglio sopra di Luna, ben decisa a non farla
scappare, si stava
divertendo troppo.
“Non
posso essere un frutteto.”
Luna
tentò di farle il solletico per liberarsi, senza successo.
Accidenti ai geni
che aveva ereditato e alla loro decisione che doveva essere piccoletta
e
mingherlina; un po’ di forza bruta non sarebbe stata male in
quel frangente. Guardò
la compagna peggio che poteva.
“E
perché?”
Vittoria
avvicinò il suo viso a quello dell’altra,
sussurrandole contro le labbra.
“Perché
per fare un frutteto ci vogliono almeno due alberi, non è
vero, paladina della
logica? E quindi, al massimo, siamo
un frutteto, cara la mia giovane pianta.”
Luna
non riuscì a trattenere un sorriso.
“Io
non ho tatuaggi con piante da frutto, spiacente.”
Vittoria
ignorò il suo commento e le baciò le labbra.
“E,
per tornare al discorso fan fictions, dato che tu sei un campo minato e
io un
mezzo frutteto, direi che insieme siamo un frutteto minato. Bene,
adesso siamo
un pairing vero e proprio, abbiamo anche un nome. Possiamo far parte di
una fan
fiction a pieno titolo.”
“Chi
è che stava sproloquiando, scusa?”
Vittoria
rise e le arruffò la frangetta.
“Ma
io sono divertente.”
“Questi
discorsi senza senso ci stanno solo facendo perdere tempo. Lasciami
andare!”
“No”
la mora si chinò a sussurrarle all’orecchio,
“non ti lascio andare.”.
Le
mordicchiò il lobo, facendola sussultare e trattenere un
gemito. Conoscere i
punti sensibili e sfruttarli sapientemente per rigirare a proprio
favore le
situazioni: ecco una cosa che Vittoria aveva imparato essere molto
utile. E
divertente, aggiunse vedendo l’espressione assassina negli
occhi di Luna.
Ma
quanto sei carina quando fai la
sostenuta.
“Non
ci provare…”
“Non
ci provo, lo faccio e basta.
Ribellati, se ci riesci.”
Senza
aspettare una replica, passò a baciarle il collo, baci lenti
e leggeri che
scendevano verso le clavicole, mentre le sue mani salivano dalla vita
fino al
seno scoperto.
“Cos’è,
non ti lamenti?” ghignò a bassa voce.
Luna
era chiaramente in difficoltà.
“Così
non vale.”
Vittoria
le catturò le labbra con le sue, e poi, sentendo che
l’altra le schiudeva
leggermente, approfondì il bacio, beandosi di quei
‘cinque minuti’ rubati e
dell’adorabile cocciutaggine di quella piccoletta. Luna
passò le mani dietro la
sua schiena, ad occhi chiusi. La mora scivolò di nuovo sul
suo collo, un
sorriso malcelato tra i baci.
“Vale
eccome. Ti devo ancora un succhiotto piuttosto artistico, non
ricordi?”
L’altra,
per tutta risposta, le mollò un sonoro colpo sulla schiena.
“Ahia!
Vuoi farmi sputare un polmone?”
“Ti
starebbe solo bene. E tu vuoi definitivamente cacciarmi nei
guai?”
Vittoria
ridacchiò.
“Ma
no, basterebbe dire ai tuoi che siamo una coppia ufficiale e
perfettamente
giustificata nel nostro fandom. Abbiamo anche un nome,
caspita!”
Luna
rise, scuotendo la testa.
“Certo,
ovvio. Perfettamente logico. Frutteto minato, mamma, come puoi non
capire? Beh,
certo, ha un tatuaggio grosso come me sulla schiena, parla di mele, di
libertà
e di morte e rinascita in modo incomprensibile ai più ed
è una lei,
però apprezza Margherita Hack.
Davvero, come puoi non
capire?”
Non
aveva ritirato le mani dalla sua schiena, era ancora abbracciata a lei,
ridendo, e Vittoria si unì alla risata con un motivo in
più.
“Margherita
Hack si è guadagnata tutta la mia stima con quella frase.
Senti, ma se tu
capisci i miei discorsi sulla mela e il suo simbolismo va bene
così, non
occorre che lo capiscano anche i tuoi, basta che lo prendano come dato
di
fatto, no?”
“Punti
di vista.”
“Mi
piaci un sacco, scricciolo, sappilo.”
“Contenta
tu.”
Vittoria
rise, estasiata, e si chinò di nuovo a baciarla. I percorsi
mentali di quella
ragazza erano decisamente strani, visto che due minuti prima voleva
alzarsi e
andar via, e adesso ricambiava con trasporto, ad occhi chiusi:
sì, era davvero
una persona interessante. Le stuzzicò un capezzolo,
strappandole un gemito e
un’occhiataccia. E anche parecchio divertente.
Un’auto
passò nella stradina, ma nessuna delle due ci fece caso.
Rieccomi,
con un racconto scritto per il contest “Titoli per l’amore”,
indetto da signorino__
sul forum di EFP, al quale si è classificato terzo.
Prima
o poi lo sistemerò. Davvero.
Special
thanks to: i concorsi, le anime pie che si sono impegnate per i banner,
la vita che a volte è davvero una fan fiction (.), le mele,
Teo che non c'è, Margherita Hack,
and YOU!
Alla prossima!
Wiwo