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Autore: Elizabeth Darcy    07/06/2011    4 recensioni
Già postata ma cancellata e modificata.
Lettera virtualmente buttata in mare. Storia vera.
-Ed è per questo che mi fai più male per altro. Anche se, vivere per vivere, forse mi sta bene anche se mi fai male. Dell’indifferenza non me ne faccio niente.
A questo punto preferisco che ci sia tu, in qualsiasi modo, anche a costo di soffrire -
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non mi basta un ricordo

Non mi basta un ricordo.

Per sopravvivere a un’estate, o forse a una vita, non può bastare un semplice ricordo. Il ricordo di un profumo, il tuo profumo, il ricordo di una voce, di un contatto, di un pensiero, di un sogno, di uno sguardo, non sono sufficienti.

Giugno si avvicinava e io seguivo con ansia tutti i tuoi riferimenti all’iscrizione alla scuola superiore. Prima mi dici il liceo, e tiro un sospiro di sollievo. Poi prendi il foglio di iscrizione per una professionale, e cerco di convincerti che non è la scuola per te. Poi cambi di nuovo idea, e poi di nuovo ancora. Quando tra amiche parliamo dei futuri compagni, te fai parte di quelli che non vanno al liceo. Io obbietto che non è detto, che hai cambiato più volte idea e che secondo me verrai allo scientifico. Loro dicono di no.

Mancava una settimana alla fine della scuola e io cercavo di godermi ogni istante passato con te e in quegli attimi inspiravo profondamente come se avessi voluto portare un po’ di te con me. E intanto pensavo a un bel modo per salutarti, un abbraccio, un calcio, un qualsiasi cosa che non fosse il nulla. Sono andata a vedere tutti gli esami nella speranza di incontrarti. Ti ho chiesto di venire a vedere il mio, scherzando, e sei venuto. Prima che arrivassi avevo il panico. Come se non respirare un po’ di te avesse voluto dire non fare un orale decente. Ero agitata, cercavo un conforto, volevo il tuo, ma non me l’hai dato. Troppe cose non mi hai dato. O forse non ho saputo sfruttare il tuo interesse al momento giusto. Ogni tanto mi tornano in mente dei ricordi, nei quali tu mi cerchi, mi invii messaggi, mi contatti in chat, cerchi un contatto con me durante le lezioni, mi sorridi, e non me ne importava niente, allora. O forse il mio subconscio riteneva scontato che avrei potuto avere la tua attenzione quando avessi voluto, senza problemi. Mi sbagliavo.

Ora non cerco solo le tue attenzioni. Ora ho concretamente bisogno di te. L’idea di non vederti più mi squarcia dentro. Ma perché, uno chiederebbe, non vedersi più? Siete amici, dopotutto.

Il nostro rapporto non lo definirei amicizia. O almeno, non ufficialmente. Infatti un amico è una cosa naturale, spontanea, ma anche abbastanza “fredda”. Tu no.

Andiamo d’accordo, ma litighiamo spesso. E il nostro stuzzicarci a vicenda è una cosa passionale, piena di affetto. Prenderci in giro e poi picchiarci è la cosa più bella del mondo. E magari, mentre allungo il pugno verso di te, tu mi anticipi e mi fermi il braccio stringendomi il polso, e finiamo per avere la mano dell’uno appoggiata a quella dell’altro. Ed è in quei piccoli, banali, patetici momenti, che sento come qualcosa allo stomaco che si ribella dentro di me, che vorrebbe che le nostre mani stessero così per sempre. Ed è così che la nostra non è amicizia. Perché non avrei mai il coraggio di chiamarti per uscire, per esempio. Quindi non siamo abbastanza in confidenza per frequentarci, ma allo stesso tempo sento che il mio bisogno di te aumenta. E non c’è cosa più terribile di non voler perdere una persona senza la quale la vita non avrebbe senso, ma non essere abbastanza amici per frequentarla. E perché non provare a parlare di più con questa persona, mi dicono, e diventarci amica…Ma non ci riesco, e mi faccio schifo. Perché l’orgoglio, la paura di essere rifiutata mi trattengono a vogliono che sia tu a cercarmi.

Ti osservo sempre, e pare che non te ne freghi niente, di me.

Provo, la sera della cena di classe, a parlare un po’ con te. Ma la conversazione sfocia subito in un tuo apprezzamento su una ragazza carina della nostra scuola, che per di più è un genio e che tu definisci “proprio bella”. Avresti potuto definirla figa, gnocca, quello che volevi. Ma alla parola bella ho sentito una fitta che creava una cicatrice dentro di me. Un’amarezza mai provata prima, sconosciuta, surreale. E subito capisco che della tua amicizia, conoscenza, chiamala come vuoi, non me ne farei niente. Sentirti, per me, era già qualcosa. Ma per soffrire così, pensavo fosse meglio dimenticarti, lasciare che il tempo passasse.

Una mia amica sta con le persone anche se sa che loro non tengono poi così tanto a lei. E fa bene, si gode la vita, se ne frega. Ma io non riesco. Perché per me quanto mi vuoi bene, se mi vuoi bene, è importante. Io ho bisogno di piccoli gesti, piccole manifestazioni, che quando si cercano, naturalmente, sembrano sparire sempre di più.

Ed è per questo che mi fai più male per altro. Anche se, vivere per vivere, forse mi sta bene anche se mi fai male. Dell’indifferenza non me ne faccio niente.

A questo punto preferisco che ci sia tu, in qualsiasi modo, anche a costo di soffrire.

  
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