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Autore: Susi Echelon Hu    07/06/2011    3 recensioni
“Puoi dormire qui, stanotte” mormorò. E anche se sapeva che era troppo poco, troppo tardi, si confortò un po’ nel fatto che aveva finalmente fatto ciò che aveva dovuto fare.
Perché - a dire la verità- non desiderava altro che lei se ne andasse, che se ne andasse e che non tornasse mai più, perché non ce la faceva, non riusciva a sopportare il senso di colpa nel vedere il suo viso devastato, nel vederla giacere inerme, lì. Vuota. Scavata.
Come il fantasma di una ragazza che aveva appena ucciso.
Genere: Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Chuck Bass, Jenny Humphrey
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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NdT:Questa non è una Chenny, anche perché io disapprovo e non credo nell’esistenza di questa coppia poiché odio Chuck perché lo riterrò sempre come un approfittatore u.u ma comunque sia, non voglio dilungarmi troppo su questo discorso, HO AMATO questa storia e sì, mi ha gettato in uno stato di depressione totale per la mia povera Jenny, ma sono felice di aver avuto la fortuna di imbattermi in una FF come questa e ad aver avuto l’onore di poterla tradurre^^ Spero vivamente che vi piaccia, specialmente a Tuccin, alla quale (se posso), vorrei dedicare questa fic.
Ah, volevo solo avvertire eventuali lettori che alcune parti sono dette dai pensieri di Jenny, altre di Chuck.
 

 
 
Fissa le gocce di pioggia formare dei rivoli sui vetri della finestra come fossero lacrime, riflettendo sul ragazzo a cui ha dato il suo primo bacio. Con cui ha fatto sesso per la prima volta.
 
Ma che non è stato il suo primo amore.
 
_
 
Nessuno l’aveva mai guardata così prima d’ora. Con una tale palese voglia. Oh, e lo sapeva, anche allora, che non avrebbe dovuto squagliarsela via da sola con lui, ma era così eccitata, così spaventata. Quel pomeriggio si era vista allo specchio e si era accorta che era bella, era caduta sotto l’effetto del suo stesso incantesimo, lo stesso che evidentemente aveva colpito il ragazzo con la sciarpa di seta fantasia poche ore dopo.
 
Poi erano rimasti soli, e la sua schiena era premuta contro il muro e aveva sentito sé stessa inventarsi delle scuse. Il panico l’aveva afferrata, ma solo per un momento, e poi lui era diventato improvvisamente più gentile, offrendole champagne, scusandosi per aver agito troppo velocemente. E il panico era svanito e al suo posto aveva sentito un filo di rammarico proprio al centro del suo petto, come l’ultimo soffio di una sigaretta morente.
 
Poi c’era stato il suo primo bacio. E lei non ha mai avuto intenzione di cambiare quel fatto.

È stata tutta colpa di Serena- o almeno è quello che pensava allora. La bile che aveva in gola era aumentata quando si era ricordato di come lo aveva respinto. Chi diavolo credeva di essere lei per comportarsi così, come se fosse al di sopra di lui?
 
E così i suoi occhi avevano scannerizzato la sala da ballo, in cerca di una ragazza che si sarebbe facilmente consegnata a lui.
 
Aveva bisogno di dimenticare. Di non pensare a quanto fosse indesiderato- non solo da Serena- da tutti.
 
E guarda- oh! C’era una carina e giovane cosa con grandi occhi blu, una bocca carnosa e il perfetto viso della bambolina di turno. E quando le aveva rivolto la parola lei si era messa  a balbettare come una serva. Perfetto.
 
Aveva sempre dato per scontato che qualsiasi ragazza che accettasse di andare in un angolo buio in compagnia di Chuck Bass, sapesse a cosa stesse andando incontro. Non pensava esistesse una tale ingenuità.
 
O almeno non più.
 
(O almeno non nell’Upper East Side).
 
Così quando si era allontanata dalla sua bocca  e aveva balbettato qualche scusa per ritornare al party si era momentaneamente sentito confuso. Ma aveva immaginato che lo stesse prendendo in giro, che stesse facendo così per tenere in piedi una parvenza di virtù prima di consegnarsi a lui.
 
Avrebbe dovuto prenderla alla lettera.
 
Ma invece aveva deciso di cambiare tattica. L’aveva trattata come una giovane puledra ancora intatta. Le aveva parlato con voce gentile. Le aveva versato continuamente del dolce, dolce champagne. L’aveva rinchiusa sul tetto con una gamba in mezzo alle sue, in modo da tenergliele aperte.
 
Oh, avrebbe dovuto scegliere una ragazza con un po’ di più lascività negli occhi. Oppure- avrebbe dovuto fare subito marcia indietro e lasciarla da sola prima di beccarsi quell’occhio nero per il disturbo.
 
Divertente. Non sapeva cosa ci fosse in lei- non era mai stato in grado di metterle un dito addosso.
Ma Jenny Humphrey aveva una certa abilità nel tirare fuori il peggio di lui.
 
-
 
Nonostante tutto continuava a voler impressionarlo. Aveva persino lasciato cadere nella conversazione- stupidamente- di aver cucito il proprio vestito e lui l’aveva guardata con stupore, e aveva detto “Sei intelligente, piccola, lo sai?”
 
E lei era arrossita al complimento.
 
Quando l’aveva invitata a salire sul tetto aveva accettato, e in fondo al suo cervello stava fantasticando su come sarebbe andata- avrebbero pomiciato per un po’, e dopo Dan sarebbe salito a cercarla e gli avrebbe dato un pugno e lei avrebbe alzato gli occhi al cielo e detto “Oh mio Dio, Dan, non essere così drammatico, sto bene!” e Dan- Il-Protettore l’avrebbe riportata a casa in un battibaleno e il giorno dopo Chuck Bass (quel Chuck Bass) avrebbe chiesto di lei a scuola  e poi l’avrebbe accompagnata giù per i corridoi della Constance , facendole le fusa nell’orecchio con quella bassa sexy voce e lei avrebbe avuto la sua lunga e solida storia d’amore del liceo che ogni ragazza si suppone dovrebbe avere.
 
Almeno, questo è quello che tutti i film e tutti i libri le avevano promesso.
 
Che ogni ragazzo, in fondo, era paziente. Gentile.
 
Ma poi le sue mani avevano incominciato a palparle i seni e il suo cuore aveva cominciato a battere così velocemente che era quasi sicura che sarebbe morta e non stava succedendo quello che lei aveva supposto sarebbe successo ed era terrorizzata da lui e dal suo segreto desiderio che aveva di lui, e quando gli aveva detto “No, basta” e lui l’aveva ignorata, parte di lei- si sentiva male ad ammetterlo anche adesso- una parte di lei era lusingata che lui la desiderasse così tanto (perché dopotutto, “no” era quello che si suppone tutte le ragazze perbene devono dire), ma non poteva farlo, non poteva davvero farlo, e lei era stata presa dal panico e si era messa a piagnucolare: “No!”
 
Non avrebbe dovuto miagolare come una piccola bambina spaventata. Avrebbe dovuto respingerlo con fuoco negli occhi e forza nella voce. Sollevare il mento e sovrastarlo come una regina, dicendogli che non era il suo giocattolo.
 
Ma invece se n’era stata lì, congelante e tremante, la schiena di nuovo contro il muro, le mani puntate a bloccarle i polsi, le sue gambe che premevano contro le sue per farle divaricare ancora di più, e stranamente la sua più grande preoccupazione al momento non era che lui era più forte di lei o che era sola e indifesa, ma che era sul punto di piangere, e lei non voleva che la vedesse piangere.
 
Ti prego, Dio. Non lasciare che mi veda piangere.
 
-
 
Ricorda le settimane seguenti a quell’incontro sul tetto, quando si preoccupava ancora di provocarla. Le sparava degli sguardi da predatore dall’altra parte del cortile della scuola; le mimava “saluti” osceni al di sopra della spalla di Nate. Le sue labbra erano piegate a formare porcate come si erano piegate a tastare la sua morbida pelle bianca quella dannata sera.
 
Per un po’ sembrava che assaporasse sempre qualsiasi occasione per ricordarle che patetica verginella fosse.
 
(Ma questo prima che Blair Waldorf s’impossessasse del suo cuore e della sua anima).
 
Così, quando era entrata nell’attico dell’Empire e lo aveva visto seduto nella penombra a meditare, con il bicchiere color ambrato di scotch e con occhi vitrei, non ebbe nemmeno bisogno di dirlo ad alta voce; sapeva cosa stava pensando di lei. Che non poteva conoscere la profondità del dolore che stava provando.
 
Ma lei conosceva quel dolore, e voleva dimostrarglielo, così quando Chuck le aveva offerto il bicchiere, non aveva rifiutato. Lo aveva preso, pur sapendo che non avrebbe dovuto, perché si sentiva già come se fossero complici in qualcosa.
 
In quel momento aveva realizzato che, nel corso di quei due anni, Chuck Bass era diventato un uomo.
Ma che in qualche modo lei era ancora rimasta una bambina.
 
E forse perché suo padre era ancora vivo. E lei amava ancora suo padre, continuava a dipendere da lui, anche se le ultime volte, quando lo guardava era sempre fuori di sé dalla rabbia o dall’imbarazzo.
 
Perché lei era stufa di questo. Stufa di essere la bambina di papà. Stufa di essere sessualmente presidiata. Stufa di essere trattata come se non avesse il diritto di decidere che cosa fare delsuo corpo.
 
“Non hai bisogno di essere tutelata”, le aveva detto Chuck poche settimane prima. “Sei cresciuta. Riesco a vederlo, anche se Nate non ci riesce”.
 
Ma si sbagliava. Nonostante odiasse ammetterlo, aveva ancora bisogno di tutta la protezione possibile per difendersi dalle insidie e dalle trappole di questo mondo.
 
Come in quel momento- quando le dita di Chuck sfiorarono la sua mano fu come se un fulmine avesse colpito la sua anima.
 
E quando lui si era chinato su di lei e aveva premuto le sue labbra contro le sue, quando la sua mano era scivolata sotto la sua gonna, tra le sue gambe (più in là di dov’era mai andato Damien) e aveva accarezzato la fenditura del suo sesso attraverso le mutandine- lei aveva emesso un gemito, lasciando che accadesse.
 
Sapeva, anche allora, che lei e Chuck, anche nei più oscuri recessi delle loro anime, erano le immagini speculari l’uno dell’altra. Perché non era nella loro natura dare, dare e dare senza tregua, offrire liberamente loro stessi ad altre persone come se stessero versando acqua nella sabbia.
 
Forse era per questo che fu un tale sollievo per loro cadere l’una nelle braccia dell’altro. Lì, non erano tenuti a dare. Lì, c’era un implicito accordo che tutto quello che avrebbero fatto- almeno, quando sarebbero venuti- sarebbe stato prendere.
 
E questo le stava bene.
 
-
 
Il solo permesso che diede ai suoi nervi di rilassarsi un po’ trasparì quando gli chiese se poteva fare una veloce doccia. “Vai con la mia benedizione”, le aveva ringhiato contro e lei aveva capito da tono della sua voce che pensava si stesse inventando una scusa per scappare via dall’hotel.
 
(Beh, gli avrebbe provato che si sbagliava).
 
Usò il bagno di Nate. Si fermò sotto il flusso di rivoli bollenti, mentre la sua pelle si arrossava. Si stava quasi scottando, come se stesse prendendo parte ad un rito di passaggio.
 
Usò il doccia-schiuma di Nate; si avvolse nell’odore di agrumi, come se stesse dicendo definitivamente addio al sogno del suo amore.
 
Lui era l’unico ragazzo che avesse mai conosciuto che avrebbe potuto essere quello paziente, quello buono, come uno di quei ragazzi da sogno dei libri e dei film. Il genere che non esiste nella vita reale.
 
(O che se esistono, non ti vogliono)
 
Non si sciacqua il viso perché il suo make-up è la maschera in cui si nasconde; la protegge da questo mondo di paure e ombre.
 
Ma avrebbe dovuto farlo. Avrebbe dovuto lavarsi il viso. Perché se l’avesse fatto, appena si fosse avvicinata al letto in cui Chuck giaceva, egli avrebbe subito visto come giovane e sfortunata lei fosse veramente.
 
E forse le cose sarebbero finite diversamente.
 
-
 
Appena le sfilò il delicato negligè nero riconobbe immediatamente l’odore che emanava il suo corpo. Quel strano odore di pompelmo bruciato.
 
Quello che avrebbe dovuto dire avrebbe dovuto essere “Jenny- non credo di poterlo fare”.
 
“Co-cosa? Perché?” gli avrebbe domandato con voce tremante, e lui avrebbe risposto laconicamente “perché in questo momento odori proprio come Nate”.
 
E lei avrebbe grugnito “Ciao, Chuck” con voce profonda, con il miglior tono da Nate di cui era capace, e poi si sarebbero messi a ridere fino all’isteria, e non appena sarebbero stati in grado di parlare di nuovo le avrebbe chiesto debolmente, “Che cosa stiamo facendo, Jenny?” e lei avrebbe detto “Non lo so” e lui avrebbe detto “Andiamo a fumarci qualche erbaccia e a guardare uno stupido film”. E lei sarebbe stata d’accordo.
 
-
 
E poi, forse, Blair sarebbe entrata nell’attico, mentre lui e Jenny stavano guardando innocentemente un film, ridendo su come si rincorrevano gli scoiattoli negli alberi ne “La spada nella roccia”.
 
“Chuck. In nome di Dio, che cosa stai facendo con Jenny Humphrey?” gli avrebbe chiesto disgustata. E Jenny avrebbe capito che questo era una cosa seria, che stavano discutendo di un fatto importantissimo e sarebbe sgattaiolata nella camera di Nate per dar loro un po’ di privacy.
 
E lui avrebbe detto a Blair, “Beh, l’opzione era scegliere tra uscire con Jenny Humphrey o saltare giù dal balcone. Quindi ho deciso di fare qualcosa con Jenny Humphrey”.
 
“Non fare battute di questo genere, Chuck” gli avrebbe detto lei, allarmata.
 
“Non sto scherzando, Blair” avrebbe replicato.
 
Era per questo che aveva aperto lo scotch. Per regolarsi i nervi. Perché quando prima era tornato dall’Empire State Building era andato dritto verso il balcone, issatosi sulla ringhiera a guardare il terreno sottostante. E tutto quello a cui riusciva a pensare era “Morirò prima o dopo che avrò toccato il fondo?”
 
Prima o dopo? Prima o dopo?
 
La domanda ruotava incessantemente intesta. E così aveva deciso di bere finché la risposta non gli fosse venuta in mente. Ma la Blair della sua fantasia non sarebbe mai venuta a saperlo e non lo avrebbe saputo mai. Perché in quel momento lei avrebbe rivelato le peonie che nascondeva dietro la schiena e gli avrebbe dato il bouquet con una piccola piroetta, e gli avrebbe sorriso con le lacrime agli occhi e lui avrebbe detto, con voce piena di meraviglia e gratitudine, “Sei andata” e si sarebbe alzato dal divano e si sarebbe diretto verso di lei e si sarebbero baciati e-
 
-
 
Invece, lui era lì, tra le gambe di Jenny Humphrey e ad armeggiare nella sua figa, e quando lui alza lo sguardo su di lei per vedere come se la sta cavando, vede che si è coperto il volto con le mani.
 
“Chuck-” fa con una strana voce. “Devo dirtelo- sono- sono vergine. Voglio dire, voglio ancora farlo, ma-”
 
Si blocca per un momento per analizzare l’informazione. Pensava che lei e Damien- bene. Non dovevano essere andati fino in fondo allora, quella volta.
 
Bene. Era certamente un evento inaspettato.
 
Ma il sentimento che affiora  dentro di lui quando vede la faccia spaventata della ragazza sotto di lui non lo ammorbidisce. Lo irrita.
 
Perché ciò di cui ha bisogno in quel momento, molto più di quello che ha mai voluto da qualsiasi altro essere umano, è di essere dentro di lei.
 
Ha bisogno di dimenticare il dolore che sta strappando la sua anima a brandelli.
 
Ovviamente, quello che avrebbe dovuto fare- se fosse stato in grado di fingere, in qualche modo, di ignorare che c’era un abisso profondo laddove una volta c’era stato il suo cuore, anche solo per pochi minuti, che era un bravo ragazzo, o un ragazzo comune, o un ragazzo un po’ meno comune- sarebbe stato dire “Cristo, Jenny. Non possiamo. Tu- tu non vuoi fare questo”.
 
E lei avrebbe pianto tante lacrime calde di vergogna e detto con voce tremante, “Tu non mi vuoi?”
 
E forse, in un mondo fantastico in cui lui era in realtà una persona decente, sarebbe stato in grado di rassicurarla, dicendole che era bellissima, intelligente, che valeva molto più di una veloce e sciatta scopata nel buio.
 
Ma invece, con infinito orrore e rimorso, dalla sua bocca era uscito una sola parola, carica di disprezzo, come se l’informazione che gli avesse appena confessato fosse completamente irrilevante per la loro situazione attuale.
 
“Okay”.
 
E poi, senza alcuna esitazione, si era fatto forzatamente strada dentro di lei.
 
-
 
Chuck Bass non aveva granché esperienza con le vergini.
 
Nonostante la sua furia, la sua dissolutezza e i suoi occasionali momenti di aggressione sessuale, non era mai stato uno in cerca di donne inesperte. Sembrava una verità universalmente conosciuta che fossero una seccatura e che non valessero molto.
 
L’unica altra volta di cui si ricordava di aver dovuto sedurre una vergine era stato la sua prima volta con Blair- dopodichè si era diretta verso il palco e l’aveva guardato al di sopra della spalla, come un Eva che sta assaggiando la mela più deliziosa, e lui l’aveva fissata, le labbra dischiuse come le pagine di una Bibbia spiegata, il nettare velenoso che gli urticava la punta della lingua.
 
Sembrava che finalmente le barriere davanti ai loro occhi fossero caduti e si erano guardati l’un l’altro facendo trasparire per la prima volta quello che provavano davvero.
 
E poi si erano ritrovati nel retro della sua limousine, cosce nude contro cosce nude, e i suoi piccoli seni, sfacciatamente capovolti, erano morbide e sode contro le sue labbra e la sua lingua, e i boccoli scuri che le ricadevano sulle bianche spalle scoperte, come una cascata su delle pietre bianche, e il suo viso, illuminato dalle notturne guizzanti luci di Manhattan, come una nuvola di lucciole luminescenti, e lei lo guardava, stupitala lui- Dio, sembrava già mezza innamorata di lui.
 
Lei sembrava in tutto e per tutto alla giovane vergine Eva, e lui era il suo Adamo, e questo gli era sembrato davvero per la prima volta nella storia del mondo che qualcuno avesse provato un desiderio così tremendo. Perché se era questo quello che accadeva a tutti, ogni giorno, le torri avrebbero potuto cadere, gli edifici avrebbero potuto crollare, ma tutti sarebbero rimasti a terra a scopare senza sosta tra le rovine di quella che un tempo era la civiltà.
 
E le sue mani scivolarono sul suo viso come ali di colomba e il suo cazzo rigido era come un tizzone ardente tra le sue cosce.
 
Il suo battito cardiaco arpeggiava.
 
I suoi occhi erano delle stelle incandescenti.
 
-
 
Ed eccolo lì, ancora una volta, dall’altra parte della dimenticanza. E stava scopando Jenny Humphrey come un toro in calore con una mucca.
 
Non la terrò mai più di nuovo, pensò, come il dolce viso ovale di Blair si profilava nella sua mente.
 
Non la toccherò mai più di nuovo.
 
E mentre si stava chiedendo in che modo avrebbe potuto sopportare tutto questo, se ci fosse un modo per continuare a vivere pur avendola persa, soffocò un singhiozzo- e si rese conto con un sussulto pieno di astio contro sé stesso che Jenny doveva averlo notato.
Non lasciare che ti veda piangere, si ordinò, e girò di scatto la testa verso l’altra parte, come se si fosse appena dato un duro, doloroso schiaffo, e anche se sapeva che stava di sicuro facendo male alla ragazza sotto di lui, cominciò a scoparla più velocemente, più violentemente.
Qualsiasi cosa pur di accelerare verso il nulla dell’altra parte dell’orgasmo. Qualsiasi cosa pur di ottenere l’oblio dentro di lei.
 
-
 
Quando l’aveva visto combattere contro le lacrime, avrebbe dovuto fermarlo. Avrebbe dovuto dire il suo nome, con gentilezza, e avvolgerlo tra le sue braccia.
 
Avrebbe dovuto lasciarlo piangere contro la sua spalla nuda come avrebbe voluto fare lei con lui; non erano altro che anime perdute, avrebbero dovuto piangere insieme per tutto quello che avevano perso.
 
Ma non lo fece. Non lo guardò neanche in viso. Guardò il soffitto oltre la spalla di lui, le sue lacrime tracciavano dei sentieri neri sulle sue morbide guance.
 
Nonostante il dolore, nonostante l’acre odore di sangue e sudore che nasceva dal loro accoppiamento, questo era esattamente ciò di cui avevano bisogno.
 
Lasciò che succedesse, lasciò che la scopasse, perché il dolore le sembrava giusto. Si adattava. Come qualcosa di cui si meritava.
 
-
 
Quando finì, lasciò immediatamente la stanza per andare a farsi una doccia.
 
Lavò via le tracce che gli aveva lasciato addosso. Era stranamente mescolato all’odore di Nate, e l’odore lo colpì dritto alle narici, come un rabbioso rimprovero.
 
Con una spugna si pulì dalle macchie di sangue sul suo inguine e sulle sue cosce.
 
Quello che ho fatto non si può più cancellare, pensò, guardando i rivoli di un rosso sbiadito scivolare giù per lo scarico; lasciò andare una risatina, sentendosi sul punto di vomitare.
 
“Stai bene?” riuscì a gracchiare quando tornò in camera da letto. E lei non rispose, e lui gliene fu grato, perché sapeva cosa gli avrebbe risposto se l’avrebbe fatto.
 
“Puoi dormire qui, stanotte” mormorò. E anche se sapeva che era troppo poco, troppo tardi, si confortò un po’ nel fatto che aveva finalmente fatto ciò che aveva dovuto fare.
 
Perché - a dire la verità- non desiderava altro che lei se ne andasse, che se ne andasse e che non tornasse mai più, perché non ce la faceva, non riusciva a sopportare il senso di colpa nel vedere il suo viso devastato, nel vederla giacere inerme, lì. Vuota. Scavata.
 
Come il fantasma di una ragazza che aveva appena ucciso.
 
 


 

NdA: Come sempre, mi piacerebbe sapere cosa ne pensate. Lasciate un commento, per favore!
 
  
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