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Autore: Doherty21    09/06/2011    1 recensioni
Julian lavora come fotografa per alcuni giornali londinesi. E' una ragazza solare e piena di amici. E' amata da tutti, tranne da lui, il batterista della band dei suoi due migliori amici da sempre: Steven Forrest. Ma col tempo capiranno che in realtà l'odio profondo non può far altro che sfociare in maniera diversa, molto diversa.
Vagando per il sito ho notato che nessuno ha mai scritto su quell'animalaccio che è Steve, perciò ci ho pensato io ;D
B.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Steve Forrest
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E' il giorno del matrimonio dei miei unici migliori amici, e come al solito Brian Molko deve farsi attendere. Vado a raggiungere per l'ennesima volta Stefan, teso come non mai. Si mangerebbe le unghie se non avesse fatto la manicure proprio questa mattina, ma si limita a fumare come un tossico assieme alla sottoscritta, sottotensione per via della sua tensione.
"Ho sempre pensato che la donna tra i due fosse Brian, e questa è la prova inconfutabile: è in ritardo di tre quarti d'ora!", gli urlo da lontano, mentre mi avvicino quasi cadendo dai tacchi chilometrici e rischiando di imbrattarmi l'abito con due calici di champagne. Ride Stefan, cercando di non mostrare le rughette da espressione corrucciata, tipica quando è stressato da giorni. E come non esserlo, con una sottospecie di moglie qual'è Brian? Organizzano questo giorno da mesi ormai, tutto secondo i piani della nostra diva, of course.
Per non sentirmi di troppo vado a prendere posto nella seconda fila, assieme ad altri miliardi d'invitati già sistemati ed impazienti. Brian e Stefan hanno avuto la fortuna di una rara giornata soleggiata a Londra, e la location è davvero bellissima: il matrimonio si celebrerà nell'immenso parco di una villa ottocentesca, circondata da alberi secolari e roseti sparsi. Ci sono anche dei teneri scoiattolini a rendere il tutto più magico. L'interno della villa è adornato da affreschi e statue stile rococò, davvero fresca e gaia come cosa. 
Mentre cerco di sedermi nel modo più composto possibile, e con questo tubino bianco è un'impresa impossibile per una come me, vedo spuntare dalle mie spalle proprio l'ultima persona che volevo mi si sedesse accanto per tutta la cerimonia: Steven Forrest. Tra di noi scorre un odio profondo e millenario, infondato oltre tutto. 
Ma esiste. 
Dopo averlo squadrato per bene con una delle migliori espressioni di disgusto mai riuscite in tutta la nostra conoscenza, mi giro intorno, e con rassegnazione noto che non c'è nessun'altro posto a sedere libero. Brian nel frattempo è finalmente arrivato, e si dirige con passo lento sulla marcia nuziale verso il piccolo altarino, posto sotto un graziosissimo gazebo di legno bianco, adornato da edera e rose gialle, dove si trova Stefan ad aspettarlo impaziente. La sposa mi saluta da lontano con una mano, mostrandomi i trentamila denti bianchi e perfetti, mentre sconsolata mi appresto a farle l'occhiolino e spostarmi per far sedere l'odioso Steve. 
"Siamo stranamente eleganti oggi, eh signorina Hill?", la mia unica risposta è infilzargli violentemente un tacco quindici tra la caviglia ed il legamento, mantenendo sempre il sorrisino inviperito e soddisfatto. Per nostra fortuna la cerimonia non va per le lunghe, così per un po' posso staccarmelo di dosso, ma tra tutti gli invitati sconosciuti che ci sono siamo costretti a sopportarci ancora. E per tutta la giornata. Così, rassegnati, andiamo a fare gli auguri agli sposini per poi ritirarci in un isolatissimo tavolo, in compagnia di due bottiglie di champagne. 
Ed è proprio in preda all'alcol che ci ritroviamo qualche ora dopo da soli nello sconfinato parco, seduti sull'erbetta a taglio inglese, a fumare e raccontarci stupidate. Ci distendiamo a terra, tutt'e due, quasi stanchi dalle troppe risate. 
"Non pensavo che infondo anche tu potresti essere un filo simpatico, Forrest.."
"Sicuramente ad aiutare te sarà l'alcol, cara mia.", il solito stronzo. Mi volto di scatto e con aria di sfida gli tiro un leggerissimo ceffone, rivoltandogli leggermente gli occhiali da vista. Prontamente mi prende per un braccio e con pochissima forza mi sposta poco più lontano da lui, ridendo di gusto. Rido anche io, come una stupida.
"Che hai da ridere ora?", mi chiede, sempre sulle sue.
"La tua risata è una delle più orride mai sentite in venticinque anni di esistenza!".
Si alza in piedi e lo imito, iniziando a correre, una bottiglia di champagne in mano e le scarpe nell'altra. Purtroppo, dopo l'ennesima ghianda che mi tira addosso, inciampo, facendo cadere anche lui su di me.
Se solo non mi avesse quasi raggiunto non sarebbe successo, ma ora poco importa: siamo inebriati dall'alcol, anche se coscienti. Ride di nuovo e di gusto, con quel suo vocione pesante.
"Mi stai riducendo una sottiletta, Steve!" cerco di urlare schiacciata dal suo peso.
"Sei già una sottiletta, sei senza forme Juls". Si fa leva sulle braccia, lasciandomi modo di girarmi a pancia in su. Ridiamo come due scemi per un paio di minuti, uno sopra l'altra, faccia a faccia. Rendendoci conto della situazione riusciamo a riprenderci e a tornare seri, sempre sulle nostre. Ci alziamo, ma in cuor mio sapevo di non volerlo fare. 
E lui nemmeno.
"Maledizione, mi hai macchiato il vestito d'erba.." dico con un soffio di voce, cercando di non pensare a quello che era appena accaduto e nascondendomi il volto imbarazzato tra la cascata di capelli. 
"Io non ti ho macchiato proprio niente, sei tu che sei stupida!"
"Sarà, ma comunque non sono senza forme!"
"Ah no? E che mi dici delle tette, eh? Ah già, le hai perse mentre correvi se non sbaglio", mentre continua a ridere mi alzo, incazzata come non mai stavolta, e vado verso il parcheggio. Mai osare parlare delle tette inesistenti di Julian Hill, mai!
All'incirca un ora dopo esco dal bagno delle donne, con il mio bellissimo e sporchissimo tubino bianco in mano dopo un cambio d'abito. Stranamente ad aspettarmi fuori c'è Steve, con una specie di mezza espressione da cane bastonato.
"Dammi qui, pago io la lavanderia" dice a bassa voce, togliendomi il vestito di mano. Gira i tacchi senza nemmeno guardarmi in faccia e va via.
"Cos'è questo, un modo per chiedermi scusa dell'insulto? Lo sai che non devi farlo, Forrest! Ricordi cosa successe l'ultima volta?", tento di urlare, catturando la sua attenzione.
"Una sommossa tra Placebo e chi è troppo permaloso, certo che ricordo. Esperienza da non ripetere mai più, signorina permalosetta..", mi viene incontro. "Sì, è un modo per chiederti scusa, anche se non dovrei. Ma sai, io sono buono anche con chi mi lascia di merda" aggiunge. 
Torno nella sala grande per cercare di passare un po' di tempo con gli sposi, ma con mio stupore mi accorgo che s'è fatto davvero tardi e che tutti sono andati via. Solo in macchina, mentre cercavo di telefonare Brian, mi accorgo di aver lasciato il cellulare tra le mani di Steve qualche ora prima, insieme alle chiavi di casa. Così faccio il giro largo, imbottigliandomi tra un macello di traffico e smog, e mi ritrovo dopo una buona ora passata ad imprecare sotto casa Forrest. Suono il campanello con violenza inaudita, la seconda e la terza volta, ma Steve sembra non esserci. Disperata mi siedo sugli scalini, la testa tra le mani e la speranza ormai spenta. Credo proprio che stanotte la trascorrerò in auto. 
Finché cinque minuti dopo non sento un familiare sogghignare da sopra la mia testa: lo stronzetto si era affacciato per godersi tutta la scena. Senza imprecare ulteriormente mi alzo in piedi e lo saluto, chiedendogli di aprirmi la porta. 
Entro per la prima volta nella tana del nemico, ma stranamente mi trovo subito a mio agio. 
"Che profumino!", Steve aveva da poco infornato un arrosto di tacchino delizioso, il cui odore impregnava tutte le stanze della grandissima dimora. 
"Cosa ci fai qui?"
"Come se non lo sapessi: hai il mio cellulare e le mie chiavi di casa con te, presi assieme al vestito ricordi?"
"Veramente avevi tutto nella pochette, Hill.." dall'espressione alquanto preoccupata da Steve capisco immediatamente che non è uno scherzo. 
Faccio il giro del salotto, sempre più disperata, e mi lascio cadere sul divano. 
Dove cazzo ho potuto perdere tutto quanto? Non ricordo niente. 
Mi viene da urlare e per trattenere la rabbia getto un cuscino sulla grande vetrata che porta in giardino.
"Dai, non fare così Juls", il modo di parlare del batterista è flebile, quasi dolce. Siede per terra accanto a me, guardandomi dritta negli occhi, con quelle sue gemme blu cobalto. Questa specie di compassione mi fa scendere due lacrimoni dovuti al nervosismo, per poi farmi scoppiare in un pianto. 
"Avevo numeri storici ed importantissimi nel mio cellulare, numeri di lavoro, contatti vari. Ho perso tutto, anche le chiavi di casa!", ormai urlo, tra un singhiozzo e l'altro. Odio piangere davanti la gente, sopratutto davanti a chi non è mio amico. Ma in questo momento Steve mi ha a cuore, lo sento, e mi lascio andare.
   
 
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