Precisazioni: questa storia è stata scritta interamente con il sottofondo musicale che si sente nel momento in cui si acceda alla camera di N, nel gioco. Questa melodia mi è stata indispensabile per la sua stesura, quindi vi consiglierei caldamente di leggere con tale musica di sottofondo. Potete ascoltarla qui: http://www.youtube.com/watch?v=wsG84sdlHWM oppure, per non doverla mettere da capo ogni volta, scaricarla da qui: http://www.megaupload.com/?d=0IPVWEXB. Grazie per l'attenzione :)
Il principe rinchiuso nel
castello adamantino ha
tutto quello che un bambino potrebbe desiderare. Qualunque gioco lui
chieda si
materializza istantaneamente nella sua cameretta, come per magia.
Ghecis sa
come anticipare i pensieri di N, forse perché è
lui stesso a tenerne
subdolamente le redini.
N. Un bimbo così innocente da incutere quasi paura.
Il pokemon si dimenava
leggermente, agitando la sua morbida coda nera.
“Mi… dispiace”, sussurrò N a
quel pokemon, stringendolo ancora di più a sé
“che crudeltà… che
crudeltà…”,
ripeteva scosso dal pianto. Calde lacrime scesero copiose dai suoi
occhi,
gocciolando sul capo del cucciolo a lui vicino e attirandone
l’attenzione.
“Zoo?” fece il pokemon,
alzando il muso verso di lui e inclinando la testa. Quando N se ne
accorse, lentamente
fra le lacrime sorse un debole sorriso. “Gli esseri umani
sono orribili, non è
così?”
Zorua emise un lamento
afflitto, abbassando tristemente gli occhi. “Ma io ti
proteggerò!”, aggiunse
poi, lisciandone il pelo scuro “Vedrai, non soffrirai
più. Dirò a Ghecis di
trovare un posto anche per te… sai? Ci sono tanti altri
amici in questo
castello, con cui potrai giocare ogni giorno! E potrai andare dove
vuoi, e
sarai completamente libero. Allora, che ne dici? Ti piace
l’idea?”
Fu come se un paio di
braccia invisibili avessero appena toccato la parte più
nascosta e remota
dell’anima di Zorua, avvolgendola in un caldo e muto
abbraccio nel quale non
c’è posto per le parole. Fu unicamente
l’istinto a guidare il pokemon, mentre
guizzava fuori da quella fraterna presa e leccava disperatamente il
viso di
lui, animato da nient’altro che una singola consapevolezza:
quel bambino voleva
proteggerlo. Lui avrebbe smesso di soffrire. Sarebbe stato felice. E libero.
N
era un bambino buono e a
coraggioso, su questo non c’era alcun dubbio. Ma nessuno gli
aveva imposto di
far sue quelle doti, erano cose che aveva imparato da solo, semi che
erano
germogliati in lui senza fare rumore, sfuggendo al controllo di Ghecis
come
fossero erbacce malefiche di cui non sarebbe mai riuscito a disfarsi.
Ma tutto
questo, inaspettatamente, fu molto utile alla sua causa, in primo luogo
perché
quelle virtù erano indispensabili per la riuscita del suo
piano, e in secondo
luogo perché gli avevano risparmiato la fatica di imporle
con la sua
invalicabile volontà. Quindi anziché erbacce
avevano finito per essere
splendidi fiori che lui si prodigava di coltivare, con finto amore, in
trepidante attesa del giorno in cui avrebbe potuto coglierne i suoi
succosi
frutti.
“Vorrei… vedere Ghecis”,
esordì il bambino mentre dietro di lui zampettava incerto un
piccolo esemplare
di Zorua “mi fareste entrare, per piacere?”
Di fronte a lui il Trio
Oscuro si lanciava occhiate incerte. “Ghecis sta
lavorando… per il bene dei
pokemon”, disse uno dei tre “non può
ricevervi per adesso.”
“Ma anche io! Anche io
sono qui per il bene dei pokemon!” N si voltò e
raccolse il cucciolo di
pokemon, esibendolo ai tre uomini incappucciati “Vedete?
Lui… lui è triste, io
voglio aiutarlo! Sono sicuro che anche Ghecis sarebbe
d’accordo!”
“Non è possibile in questo
momento” disse un altro, totalmente identico al precedente
“tornate più tardi,
principe N, quando avrà finito.”
“Ma… ma io…” N
abbassò la
testa, desolato. Il pokemon, stretto fra le sue esili braccia, emise un
verso
confuso e perplesso. “Zoo… ?”
“Mi dispiace, Zorua” il
bimbo avvicinò il capo a quello del pokemon, sfregandoli
l’un l’altro “dovremo
tornare più tardi, Ghecis al momento sta
lavorando.” La sua voce tradiva molto,
molto dolore. Un dolore che in qualche modo inquietò il
terzo membro del Trio
Oscuro, quello che fino a quel momento aveva taciuto, che senza dir
nulla si voltò
verso la porta e immediatamente scomparve oltre essa, tra il contenuto
stupore
degli altri due. Uno di questi chiuse gli occhi, scuotendo il capo,
mentre
l’altro rimase perfettamente immobile, guardando la porta con
la coda
dell’occhio. Prima che anche N potesse rendersi conto di
quello che era
accaduto, l’uomo ritornò avvolto nel silenzio.
“Ghecis ha detto che può
ricevervi”, disse con voce neutrale “entrate
pure.”
Il sorriso di N si allargò
di colpo, emanando una strana energia. “Ah!”,
esclamò “Vado subito, grazie…
grazie mille!”
Nessuno dei tre rispose,
prima di scomparire nel nulla e senza alcun preavviso. In quel preciso
istante
la porta si aprì, rivelando un immenso studio alla cui
estremità si trovava
un’imponente scrivania, alla quale sedeva Ghecis, totalmente
assorto nella
contemplazione del vuoto.
“… Posso entrare?” La voce
esitante di N giunse con grazia alle sue orecchie, attirandone
l’attenzione.
Mise un piede dentro, incerto, mente la presa attorno a Zorua si
stringeva
inconsciamente. Una strana inquietudine lo prendeva sempre quando si
trovava al
cospetto di colui che doveva, in teoria, essere suo padre. Qualcosa di
sottilmente putrido si insinuava nelle invisibili crepe del suo cuore,
avvelenandolo lentamente. N lo percepiva chiaramente, percepiva il
bagliore
sinistro che alle volte sentiva ardere nel petto. E quando lo sentiva,
l’unica
cosa che poteva fare era piangere, e piangendo riusciva a liberarsene.
“N.” La voce ferma di
Ghecis lo accolse, senza calore. Il bambino dai capelli verdi
deglutì, e
strinse il suo Zorua ancora di più.
“Andrà tutto bene”, gli
sussurrò, in un
incoraggiamento rivolto più a se stesso che al pokemon
“andrà tutto bene,
vedrai.” Piccoli passi si rivolsero all’uomo,
incedendo lentamente verso di
lui. Pian piano il sorriso sul volto di N scomparve, per far posto a
un’espressione di totale distacco, che gli nasceva dal cuore
nel momento in cui
desiderava proteggere il suo giovane animo da ciò che
sentiva gli avrebbe fatto
molto, molto male. Gli occhi si spogliarono della consueta luce
– che seppur
talvolta tendeva ad assumere la luminescenza sinistra di
un’inquietante dolore,
era pur sempre un bagliore di vita – mentre la stessa voce
perdeva calore,
diventando monocorde. “Ghecis… Padre”,
mormorò al suo cospetto, inchinandosi
“grazie per aver accettato di ricevermi,
uhm…”
Così non andava. Come
poteva chiedere un favore a suo padre con quell’espressione e
quel tono? Doveva
cercare di riprendersi, si disse. Era pur sempre suo padre quello, non
poteva
porsi in quella maniera così distaccata, altrimenti che
razza di figlio sarebbe
stato?
“Ghecis” continuò alzando
la testa a provando a sorridere “questo
è… Zorua”, disse mostrando il pokemon
agli occhi dell’uomo, nelle cui pupille si era accesa una
fiamma dalle origini
ignote. Zorua ebbe un fremito di paura, nascondendo la testa
nell’incavo del
suo collo, spiazzandolo. “Cosa c’è,
Zorua? Ti senti male?”, domandò
preoccupato, cullandolo a sé in pena.
“Zorua…” una nota sinistra
vibrò nella voce dell’uomo, il che spinse il
pokemon a tremare ancora e ancora,
premendo forte la testa contro il petto del bambino, come se oltre esso
volesse
trovare riparo e conforto. Ma N, così ingenuo e candido, non
comprese il motivo
di quell’improvviso mutamento e si preoccupò
molto, rivolgendo a Ghecis
un’occhiata smarrita. “Non… non so
perché fa così, qualcosa deve averlo
spaventato, mi dispiace…”
“Oh, N, non preoccuparti”
lo rassicurò lui, inaspettatamente, ponendogli una mano
sulla spalla “deve
essere perché è in un ambiente che non conosce.
Sono certo che se lo porterai
in giardino si sentirà subito meglio”.
“Oh” N parve concordare
con le sue parole, trovandole giuste e coerenti “hai ragione,
deve essere così…
ah! Quindi, possiamo tenerlo? Può rimanere assieme a noi,
Ghecis? Zorua può
rimanere?”
“Ma certo che può
rimanere” lo rassicurò, carezzandogli la testa con
fare fintamente paterno
“dobbiamo proteggere quanti più pokemon possibili
dalla stoltezza umana,
giusto?”
N annuì, visibilmente
contento. La sua inquietudine si era attenuata, ma non la paura di
Zorua, che
continuava a scuotere la coda a destra e a sinistra, senza pace.
“Dove… dove lo hai
trovato, N?”chiese d’un tratto Ghecis, indicando il
pokemon con un indice che
tremava impercettibilmente.
“Ti riferisci a Zorua? È
apparso improvvisamente nella mia camera, piangendo. Non so neanche io
come ci
è riuscito, ma… era profondamente
ferito.”
“Ferito? Dove?!” Il suo
tono di voce si alzò improvvisamente, il che spinse la
creatura a divincolarsi
con maggiore foga. Ma N, stranamente, non fece una singola piega.
“Nel cuore”,
spiegò, come perso in qualcosa di molto, molto lontano
“gli esseri umani devono
avergli fatto qualcosa di orribile…”
Il cuore di Zorua batteva
così forte da fargli male. Il piccolo ansimò,
agitatissimo, scavando nel vuoto
con le sue minute zampe con l’intenzione di fuggire via.
C’era qualcosa di
disperato nel modo in cui si divincolava, come un pezzo di carne ancora
pulsante, strappato alla vita e pronto per essere gettato nella fossa
dei
mostri, orribile oltre ogni comprensione.
“Perché fa così?”,
domandò
al nulla – non era a Ghecis che si stava rivolgendo,
nonostante fosse l’unica
persona lì presente oltre a lui – con occhi tristi
e addolorati. Strinse il
pokemon a sé ancora una volta, tentando di comprendere la
natura del suo sbigottimento.
Ma l’unica cosa che fluì in lui, dopo quel
tentativo, fu l’orrore. Orrore,
orrore, orrore ovunque, orrore sempre. Per qualche strana ragione non
riusciva
a sentire altro, eppure qualcosa gli suggeriva che quell’altro in realtà ci fosse. Un
sentimento nascosto in un luogo remoto
e inaccessibile che Zorua stava proteggendo con un coraggio ammirevole,
e in un
certo senso doloroso. “Perché…
?” tornò a chiedersi, meravigliato.
Non si accorse che Ghecis
stava sorridendo in una maniera che ricordava vagamente quella di un
demone.
“N, figliolo… perché non lasci a me il
pokemon? Lo porterò io in giardino, non
preoccuparti. Nel frattempo, perché non torni in camera tua?
C’è una sorpresa
che ti sta aspettando.”
N non era quel tipo di
persona. Non avrebbe abbandonato un amico per dedicarsi a un piacere
egoistico
e materiale, e nonostante Ghecis sembrasse volerlo educare in questo
modo lui
non l’avrebbe mai fatto. Semplicemente perché non
era nella sua natura, e
andare contro natura è impossibile per chiunque. Non importa
quanto potente o
influente tu sia, ci sono ordini che non potrai mai sovvertire in
nessuna
maniera. Puoi pregare il vento di non abbattersi sui tuoi raccolti, ma
se esso
smetterà sarà per suo volere, non per il tuo.
Allo stesso modo Ghecis poteva
convincersi che N stesse crescendo esattamente come lui desiderava perché desiderava
così, ignorando
volutamente il fatto che in quel giovane fossero già stati
piantati dei semi
che non provenivano da lui né da nessun altro. Teneri
germogli che crescevano
rigogliosi, ma non per le sue cure. Frutti maturi che non sarebbe stato
lui a
cogliere, anche se fino alla fine ne avrebbe avuto la sciocca
convinzione.
“Una
sorpresa? Per me?” N
ne parve spiacevolmente stupito. Come se un regalo, in quel momento,
rappresentasse
una sorta di peccato, un’offesa nei confronti del piccolo
pokemon fra le sue
braccia.
Non che fosse una novità,
per N, ricevere regali. Anzi, questo avveniva con una frequenza
spaventosa,
talmente tanto che la perplessità dei servitori del castello
era oltremodo
palese. Molti di loro si riservavano di non entrare nella sua camera,
perché
questa incuteva loro una velenosa inquietudine che li faceva sentire
smarriti
in un mondo che non gli apparteneva. E a nulla valevano i sorrisi con
cui il
bambino li accoglieva, anzi, essi non facevano altro che alimentare la
loro già
di per sé evidente esitazione. Come se un mostro spaventoso
– e inconsapevole –
stesse loro mostrando la via dell’inferno. Una sensazione
spiacevolissima,
senza ombra di dubbio.
“Esattamente”, confermò
Ghecis con un modesto sorriso “una sorpresa. L’ho
commissionata a un membro del
Trio Oscuro, quando mi ha annunciato la tua visita. Ormai dovrebbe
essere già
arrivata, perché non vai a vederla?”
“Ma… e Zorua?”
“Lo condurrò io in
giardino, ti ho detto” qualcosa nella sua voce si
incrinò, ma si affrettò a
mascherarla “non ti fidi forse di tuo padre, N?”
“N-no… non è questo,
io…”
N guardò Zorua, che ricambiò il suo sguardo. Orrore, gridavano i suoi occhi, ma oltre
questo lui non riusciva a
vedere. Non era mai capitato che non riuscisse ad accedere al cuore di
un
pokemon, perché stava accadendo tutto ciò?
Forse… era colpa sua? Forse… doveva
davvero lasciare che se ne occupasse Ghecis?
“Va bene”, cedette infine
“torno nella mia stanza, allora. Grazie…
Padre.” Tese le braccia verso l’uomo,
per porgergli il pokemon, ma questo sembrò opporre res
istenza. “Cosa succede,
Zor…”
Fu un istante, e Ghecis
glielo strappò dalle mani. E lo fece con un sorriso
così crudele che quasi
stentò a crederci. Allucinazioni?,
pensò, mentre il viso di lui si distendeva normalmente e
Zorua finiva fra sue
braccia. Forse, dopotutto, era davvero nervoso? Forse era per questo
che Zorua
si rifiutava di comunicare con lui?
“Vai pure adesso, N. Di
Zorua me ne occupo io”, disse il padre con un tono di voce
che non ammetteva
alcuna replica. Il bambino si ritrovò inconsciamente ad
arretrare, fino a
voltargli del tutto le spalle e a correre fuori dallo studio, lasciando
che
Ghecis si occupasse del piccolo pokemon al posto suo.
Rimase letteralmente a
bocca spalancata, quando lo vide. Non ne aveva mai visto uno dal vivo
– né di
quelle dimensioni né su scala reale – e
ritrovarselo in camera all’improvviso
lo sorprese molto.
Un
trenino. Un
trenino formato da un singolo vagone grigio e rosso camminava senza
sosta da un capo all’altro della pista, avanti e indietro,
avanti e indietro.
Che cosa curiosa, si
ritrovò a pensare mentre lentamente si avvicinava a esso.
Diciannove pezzi
colorati componevano i binari su cui il vagone si muoveva, non certo un
gran
numero ma abbastanza per costruire una pista di medie dimensioni.
Eppure… c’era una cosa che
N non capiva.
All’inizio non ci aveva
fatto caso, quasi, preso dall’immagine in toto del treno sui
binari. Tuttavia,
appropinquandosi timidamente a esso un particolare era emerso con
chiarezza,
lasciandolo interdetto.
Infatti, nonostante ce ne
fosse la possibilità, il trenino non compiva un giro
completo della pista.
C’erano infatti due impedimenti alle estremità,
che lo costringevano a tornare
indietro: da un lato, un binario di colore rosso era stato rimosso,
creando il
vuoto; dall’altro, un binario giallo era stato posizionato
direttamente sopra
la pista, impedendo il passaggio.
N si chiese perché. Ma
soprattutto, si chiese come mai il vagone non cadeva quando giungeva
all’estremità senza continuo e invece tornava
indietro, bloccandosi poi
all’ostacolo e tornando indietro ancora e ancora, in un ciclo
senza fine.
Nella sua candida
ingenuità, il bambino avvertì qualcosa. Abituato
com’era a parlare con i
pokemon, aveva imparato a cogliere dei segnali, nelle cose, dei segnali
che
spesso erano capaci di prevedere il futuro. La natura –
così gli avevano
insegnato i pokemon – si manifestava in molti modi, e
ciascuno di essi era
responsabile dei vari mutamenti che potevano avvenire nel corso della
vita.
Certo, il modo in cui erano stati posizionati quei tasselli era tutto
fuorché
naturale – i binari erano persino di vari colori, il che li
allontanava ancora
di più dalla realtà – ma lui sapeva che
con la natura c’entravano ben poco. Era
affascinante e inquietante al contempo, quel bizzarro spettacolo. Ben
presto,
il piccolo N si rese conto del motivo per cui sentiva che quella strana
disposizione contenesse un messaggio: il colore dei due binari
‘errati’. Quello
giallo faceva da evidente ostacolo, impedendo il cammino, quello rosso
invece
mancava del tutto, era come scomparso – nonostante si
trovasse appena a qualche
centimetro di distanza dagli altri – , come se su di esso non
si dovesse fare
alcun affidamento. E nonostante il loro modo di
‘interrompere’ il cammino del
singolo vagone fosse diverso, entrambi contribuivano al medesimo
effetto:
costringerlo a muoversi avanti e indietro in un ciclo senza fine.
“Giallo… e rosso…”
meditò
N inginocchiandosi ai piedi della pista, fissandola meditabondo.
“Come i
pokemon elettrici… e di fuoco” notò
poi, pur non cogliendo del tutto il
collegamento. Che si stesse semplicemente sbagliando? Magari, nella
fretta,
chiunque avesse montato quella pista aveva commesso degli errori,
nient’altro
che errori. E dunque, che cosa si poteva mai ricavare da un errore che
non
fosse un altro errore?
“Non sei in errore, N.”
Fu una voce a interrompere
il suo flusso di pensieri, improvvisamente. N sussultò e si
guardò intorno:
sulla soglia della porta della sua camera, Ghecis lo fissava con uno
sguardo
che non gli aveva mai visto prima, da quando era nato.
“Ghecis…?”
Più volte gli aveva detto
di chiamarlo per nome, adducendo al fatto che in quanto futuro sovrano
dovesse
essere libero di chiamare chiunque per nome, in quel castello, come
segno di
totale resa e sottomissione nei suoi confronti. N era sempre stato
titubante in
proposito, ma cercava comunque di rispettare il volere del padre, pur
non
capendo pienamente i motivi che lo spingevano a raccomandargli un
simile
comportamento. Gli capitava infatti di alternare
‘Padre’ con ‘Ghecis’,
soprattutto quando doveva fargli una richiesta e perciò
automaticamente si
stava sottomettendo a lui. E in quei casi, l’idea di
chiamarlo per nome non lo
sfiorava neanche. Ma in quel momento… era diverso, molto
diverso. “Perché… sei
qui?”
Lui non rispose. Fece
invece un passo dentro la camera, avvicinandosi lentamente al percorso
del
treno. “In questo mondo, due sono le cose che spingono un
uomo a proseguire: la
verità e gli ideali”, cominciò, con le
mani dentro la lunga veste e lo sguardo
fisso sui due mattoncini colorati. “Spesso l’uomo
cerca la verità, ma essa gli
sfugge inesorabilmente. Allora egli si affida agli ideali, ma capita
che essi
siano in conflitto. Come risultato, l’uomo non può
far altro che tornare
indietro sui suoi passi, tentando prima una via e poi
un’altra, finché una di
esse non gli aprirà il cammino.”
N ascoltava, senza capire
quale collegamento ci fosse fra i due colori e ciò che aveva
appena detto. “Finché
non si affida a uno di questi valori, l’uomo non
può proseguire. Ma può
affidarsi solo a uno di questi, e non a entrambi.”
“Non… a entrambi?”
“No” ripeté Ghecis “non
può conoscere la realtà e seguire gli ideali,
perché entrerebbe in contraddizione.
Chi conosce la realtà persegue ogni obiettivo alla luce di
essa, chi segue gli
ideali si affida completamente a loro, servendosene per comprendere
cose che
altrimenti non gli sarebbe dato di sapere. Un uomo deve decidere da che
parte
stare, senza provare a seguire entrambe le vie. Molte vite si sono
spente
perseguendo questo sciocco obiettivo.”
“Delle persone… sono
morte, per un motivo simile?”
N pareva incredulo. I suoi
grandi occhi verdi si spalancarono, colti dalla sorpresa.
“Non sottovalutare il
grande errore che commettono molti uomini, N, o anche tu perirai come
loro.
Scegli al più presto il percorso da seguire, affidati
completamente a esso e
vai avanti, senza mai voltarti indietro. Altrimenti…
continuerai a essere un
vagone che prosegue avanti e indietro, senza via
d’uscita.” E pronunciate
queste parole, Ghecis tacque e si voltò verso la porta,
scomparendo oltre essa
prima che N potesse dire o fare qualunque cosa, lasciandolo con quelle
misteriose parole che ben presto cominciarono a formare nella sua testa
un
groviglio di pensieri confusi e profondi al tempo stesso. Che cosa
voleva dire
quello che aveva appena sentito? Ma soprattutto… che
relazione c’era fra quel
discorso e il colore dei due binari? Questo, avrebbe dovuto aspettare
molti anni
per comprenderlo. Ignaro del fatto che prima o poi sarebbe arrivato il
giorno
in cui si sarebbe ritrovato a scegliere una delle due vie, N si sedette
sul
pavimento, a gambe incrociate, e si mise a fissare quel movimento
perpetuo e
ipnotico, nel silenzio della propria camera.
Credeva di essere riuscito
a seminare Ghecis, nascondendosi alla sua vista, e per un po’
era anche stato
così. Ma quella trasformazione si aveva consumato ogni
energie, e al piccolo
Zorua non rimaneva altro che accoccolarsi in un angolo, ansimante e
spaventato,
consapevole dei passi furiosi che si stavano avvicinando a lui sempre
di più,
sempre di più.
“Ti
ho trovato, brutta
bestiaccia!” tuono furioso Ghecis marciando crudelmente verso
il pokemon e
sollevandolo senza gentilezza alcuna per la collottola. Zorua emise un
debole
lamento, ma non protestò. “E
così… sei riuscito a scappare dai sotterranei,
eh?
I miei complimenti! Ma presentarti al cospetto di N è stato
un grosso errore,
purtroppo per te. Pensavi fosse che non ti avrebbe condotto da me,
stolto
essere?! Non sei poi così intelligente forse, eh?”
Ghecis lasciò andare il
pokemon, che cadde a terra e uggiolò miseramente. Si
beò di quel lamento
straziante, e mosso dalla crudeltà lo raccolse di nuovo,
stringendogli forte la
coda per fargli male. “Adesso tu vieni con me… e
vedremo se sarai capace di
fuggire ancora”, rise Ghecis con scherno maligno, trascinando
via il pokemon,
via, verso l’inferno in cui centinaia di esseri come lui
lavoravano senza sosta
notte e giorno, notte e giorno.
E Zorua
sperò con tutto il
cuore che il momento in cui N avrebbe scelto gli ideali o la
verità… venisse il
più presto possibile.
Note di Vetro: prima
fanfic in assoluto che pubblico qui, in questa sezione, e sono contenta
di averlo fatto seguendo una così buona ispirazione (una
volta tanto, eh!). Come ho scritto nell'introduzione, dedico questa
storia a Lampadina, alias Sam <3 che adoro con tutto il cuore
<3 perdonami se ti dedico un simile polpettone!
ç_ç E adesso, chiariamo un paio di punti: per chi
non l'avesse capito, quello che parla con N di fronte al trenino non
è il vero Ghecis, bensì Zorua trasformato in
Ghecis. Questa è una sua abilità, non l'ho dotato
io di mistici poteri xD e secondo poi, la parte finale in cui il vero
Ghecis parla di lavori e sotterranei si riferisce al fatto che il Team
Plasma ha sfruttato il lavoro dei pokemon per costruire quel castello
attorno alla Lega Pokemon, e grande com'è suppongo che i
lavori abbiano richiesto molto tempo. Ovviamente N non sa niente, e
pensa semplicemente che Ghecis accolga i pokemon per proteggerli dagli
allenatori malvagi. Spero che non ci siano altri dubbi :) grazie a chi
è arrivato fin qui nonostante la lunghezza <3
Dimenticavo: la
storia è ispirata per davvero alla camera di N, che si
presenta così come l'ho descritta. Mi ha molto colpito la
disposizione di quei blocchi gialli e rossi, e mi ha fatto pensare
proprio a Zekrom e Reshiram :)