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Autore: aoimotion    10/06/2011    4 recensioni
C’erano cose che potevano essere dette parlando direttamente al cuore, attraverso un linguaggio fatto solo da immagini e sensazioni. Un linguaggio in cui l’unica voce a risuonare era quella dell’amore, un amore così puro e incorrotto da non sembrare neanche di questo mondo.
[Dedicata a lampadina ♥]
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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Precisazioni: questa storia è stata scritta interamente con il sottofondo musicale che si sente nel momento in cui si acceda alla camera di N, nel gioco. Questa melodia mi è stata indispensabile per la sua stesura, quindi vi consiglierei caldamente di leggere con tale musica di sottofondo. Potete ascoltarla qui: http://www.youtube.com/watch?v=wsG84sdlHWM oppure, per non doverla mettere da capo ogni volta, scaricarla da qui: http://www.megaupload.com/?d=0IPVWEXB. Grazie per l'attenzione :)







Il principe rinchiuso nel castello adamantino ha tutto quello che un bambino potrebbe desiderare. Qualunque gioco lui chieda si materializza istantaneamente nella sua cameretta, come per magia. Ghecis sa come anticipare i pensieri di N, forse perché è lui stesso a tenerne subdolamente le redini.
N. Un bimbo così innocente da incutere quasi paura.

In un angolo della sua stanza, un bimbo piangeva tenendo in grembo quello che sembrava il corpo di un piccolo pokemon.
Il pokemon si dimenava leggermente, agitando la sua morbida coda nera. “Mi… dispiace”, sussurrò N a quel pokemon, stringendolo ancora di più a sé “che crudeltà… che crudeltà…”, ripeteva scosso dal pianto. Calde lacrime scesero copiose dai suoi occhi, gocciolando sul capo del cucciolo a lui vicino e attirandone l’attenzione.
“Zoo?” fece il pokemon, alzando il muso verso di lui e inclinando la testa. Quando N se ne accorse, lentamente fra le lacrime sorse un debole sorriso. “Gli esseri umani sono orribili, non è così?”
Zorua emise un lamento afflitto, abbassando tristemente gli occhi. “Ma io ti proteggerò!”, aggiunse poi, lisciandone il pelo scuro “Vedrai, non soffrirai più. Dirò a Ghecis di trovare un posto anche per te… sai? Ci sono tanti altri amici in questo castello, con cui potrai giocare ogni giorno! E potrai andare dove vuoi, e sarai completamente libero. Allora, che ne dici? Ti piace l’idea?”
Fu come se un paio di braccia invisibili avessero appena toccato la parte più nascosta e remota dell’anima di Zorua, avvolgendola in un caldo e muto abbraccio nel quale non c’è posto per le parole. Fu unicamente l’istinto a guidare il pokemon, mentre guizzava fuori da quella fraterna presa e leccava disperatamente il viso di lui, animato da nient’altro che una singola consapevolezza: quel bambino voleva proteggerlo. Lui avrebbe smesso di soffrire. Sarebbe stato felice. E libero.

C’erano cose che potevano essere dette parlando direttamente al cuore, attraverso un linguaggio fatto solo da immagini e sensazioni. Un linguaggio in cui l’unica voce a risuonare era quella dell’amore, un amore così puro e incorrotto da non sembrare neanche di questo mondo.

N era un bambino buono e a coraggioso, su questo non c’era alcun dubbio. Ma nessuno gli aveva imposto di far sue quelle doti, erano cose che aveva imparato da solo, semi che erano germogliati in lui senza fare rumore, sfuggendo al controllo di Ghecis come fossero erbacce malefiche di cui non sarebbe mai riuscito a disfarsi. Ma tutto questo, inaspettatamente, fu molto utile alla sua causa, in primo luogo perché quelle virtù erano indispensabili per la riuscita del suo piano, e in secondo luogo perché gli avevano risparmiato la fatica di imporle con la sua invalicabile volontà. Quindi anziché erbacce avevano finito per essere splendidi fiori che lui si prodigava di coltivare, con finto amore, in trepidante attesa del giorno in cui avrebbe potuto coglierne i suoi succosi frutti.


“Vorrei… vedere Ghecis”, esordì il bambino mentre dietro di lui zampettava incerto un piccolo esemplare di Zorua “mi fareste entrare, per piacere?”
Di fronte a lui il Trio Oscuro si lanciava occhiate incerte. “Ghecis sta lavorando… per il bene dei pokemon”, disse uno dei tre “non può ricevervi per adesso.”
“Ma anche io! Anche io sono qui per il bene dei pokemon!” N si voltò e raccolse il cucciolo di pokemon, esibendolo ai tre uomini incappucciati “Vedete? Lui… lui è triste, io voglio aiutarlo! Sono sicuro che anche Ghecis sarebbe d’accordo!”
“Non è possibile in questo momento” disse un altro, totalmente identico al precedente “tornate più tardi, principe N, quando avrà finito.”
“Ma… ma io…” N abbassò la testa, desolato. Il pokemon, stretto fra le sue esili braccia, emise un verso confuso e perplesso. “Zoo… ?”
“Mi dispiace, Zorua” il bimbo avvicinò il capo a quello del pokemon, sfregandoli l’un l’altro “dovremo tornare più tardi, Ghecis al momento sta lavorando.” La sua voce tradiva molto, molto dolore. Un dolore che in qualche modo inquietò il terzo membro del Trio Oscuro, quello che fino a quel momento aveva taciuto, che senza dir nulla si voltò verso la porta e immediatamente scomparve oltre essa, tra il contenuto stupore degli altri due. Uno di questi chiuse gli occhi, scuotendo il capo, mentre l’altro rimase perfettamente immobile, guardando la porta con la coda dell’occhio. Prima che anche N potesse rendersi conto di quello che era accaduto, l’uomo ritornò avvolto nel silenzio. “Ghecis ha detto che può ricevervi”, disse con voce neutrale “entrate pure.”
Il sorriso di N si allargò di colpo, emanando una strana energia. “Ah!”, esclamò “Vado subito, grazie… grazie mille!”
Nessuno dei tre rispose, prima di scomparire nel nulla e senza alcun preavviso. In quel preciso istante la porta si aprì, rivelando un immenso studio alla cui estremità si trovava un’imponente scrivania, alla quale sedeva Ghecis, totalmente assorto nella contemplazione del vuoto.
“… Posso entrare?” La voce esitante di N giunse con grazia alle sue orecchie, attirandone l’attenzione. Mise un piede dentro, incerto, mente la presa attorno a Zorua si stringeva inconsciamente. Una strana inquietudine lo prendeva sempre quando si trovava al cospetto di colui che doveva, in teoria, essere suo padre. Qualcosa di sottilmente putrido si insinuava nelle invisibili crepe del suo cuore, avvelenandolo lentamente. N lo percepiva chiaramente, percepiva il bagliore sinistro che alle volte sentiva ardere nel petto. E quando lo sentiva, l’unica cosa che poteva fare era piangere, e piangendo riusciva a liberarsene.
“N.” La voce ferma di Ghecis lo accolse, senza calore. Il bambino dai capelli verdi deglutì, e strinse il suo Zorua ancora di più. “Andrà tutto bene”, gli sussurrò, in un incoraggiamento rivolto più a se stesso che al pokemon “andrà tutto bene, vedrai.” Piccoli passi si rivolsero all’uomo, incedendo lentamente verso di lui. Pian piano il sorriso sul volto di N scomparve, per far posto a un’espressione di totale distacco, che gli nasceva dal cuore nel momento in cui desiderava proteggere il suo giovane animo da ciò che sentiva gli avrebbe fatto molto, molto male. Gli occhi si spogliarono della consueta luce – che seppur talvolta tendeva ad assumere la luminescenza sinistra di un’inquietante dolore, era pur sempre un bagliore di vita – mentre la stessa voce perdeva calore, diventando monocorde. “Ghecis… Padre”, mormorò al suo cospetto, inchinandosi “grazie per aver accettato di ricevermi, uhm…”
Così non andava. Come poteva chiedere un favore a suo padre con quell’espressione e quel tono? Doveva cercare di riprendersi, si disse. Era pur sempre suo padre quello, non poteva porsi in quella maniera così distaccata, altrimenti che razza di figlio sarebbe stato?
“Ghecis” continuò alzando la testa a provando a sorridere “questo è… Zorua”, disse mostrando il pokemon agli occhi dell’uomo, nelle cui pupille si era accesa una fiamma dalle origini ignote. Zorua ebbe un fremito di paura, nascondendo la testa nell’incavo del suo collo, spiazzandolo. “Cosa c’è, Zorua? Ti senti male?”, domandò preoccupato, cullandolo a sé in pena.
“Zorua…” una nota sinistra vibrò nella voce dell’uomo, il che spinse il pokemon a tremare ancora e ancora, premendo forte la testa contro il petto del bambino, come se oltre esso volesse trovare riparo e conforto. Ma N, così ingenuo e candido, non comprese il motivo di quell’improvviso mutamento e si preoccupò molto, rivolgendo a Ghecis un’occhiata smarrita. “Non… non so perché fa così, qualcosa deve averlo spaventato, mi dispiace…”
“Oh, N, non preoccuparti” lo rassicurò lui, inaspettatamente, ponendogli una mano sulla spalla “deve essere perché è in un ambiente che non conosce. Sono certo che se lo porterai in giardino si sentirà subito meglio”.
“Oh” N parve concordare con le sue parole, trovandole giuste e coerenti “hai ragione, deve essere così… ah! Quindi, possiamo tenerlo? Può rimanere assieme a noi, Ghecis? Zorua può rimanere?”
“Ma certo che può rimanere” lo rassicurò, carezzandogli la testa con fare fintamente paterno “dobbiamo proteggere quanti più pokemon possibili dalla stoltezza umana, giusto?”
N annuì, visibilmente contento. La sua inquietudine si era attenuata, ma non la paura di Zorua, che continuava a scuotere la coda a destra e a sinistra, senza pace.
“Dove… dove lo hai trovato, N?”chiese d’un tratto Ghecis, indicando il pokemon con un indice che tremava impercettibilmente.
“Ti riferisci a Zorua? È apparso improvvisamente nella mia camera, piangendo. Non so neanche io come ci è riuscito, ma… era profondamente ferito.”
“Ferito? Dove?!” Il suo tono di voce si alzò improvvisamente, il che spinse la creatura a divincolarsi con maggiore foga. Ma N, stranamente, non fece una singola piega. “Nel cuore”, spiegò, come perso in qualcosa di molto, molto lontano “gli esseri umani devono avergli fatto qualcosa di orribile…”
Il cuore di Zorua batteva così forte da fargli male. Il piccolo ansimò, agitatissimo, scavando nel vuoto con le sue minute zampe con l’intenzione di fuggire via. C’era qualcosa di disperato nel modo in cui si divincolava, come un pezzo di carne ancora pulsante, strappato alla vita e pronto per essere gettato nella fossa dei mostri, orribile oltre ogni comprensione.
“Perché fa così?”, domandò al nulla – non era a Ghecis che si stava rivolgendo, nonostante fosse l’unica persona lì presente oltre a lui – con occhi tristi e addolorati. Strinse il pokemon a sé ancora una volta, tentando di comprendere la natura del suo sbigottimento. Ma l’unica cosa che fluì in lui, dopo quel tentativo, fu l’orrore. Orrore, orrore, orrore ovunque, orrore sempre. Per qualche strana ragione non riusciva a sentire altro, eppure qualcosa gli suggeriva che quell’altro in realtà ci fosse. Un sentimento nascosto in un luogo remoto e inaccessibile che Zorua stava proteggendo con un coraggio ammirevole, e in un certo senso doloroso. “Perché… ?” tornò a chiedersi, meravigliato.
Non si accorse che Ghecis stava sorridendo in una maniera che ricordava vagamente quella di un demone. “N, figliolo… perché non lasci a me il pokemon? Lo porterò io in giardino, non preoccuparti. Nel frattempo, perché non torni in camera tua? C’è una sorpresa che ti sta aspettando.”

N non era quel tipo di persona. Non avrebbe abbandonato un amico per dedicarsi a un piacere egoistico e materiale, e nonostante Ghecis sembrasse volerlo educare in questo modo lui non l’avrebbe mai fatto. Semplicemente perché non era nella sua natura, e andare contro natura è impossibile per chiunque. Non importa quanto potente o influente tu sia, ci sono ordini che non potrai mai sovvertire in nessuna maniera. Puoi pregare il vento di non abbattersi sui tuoi raccolti, ma se esso smetterà sarà per suo volere, non per il tuo. Allo stesso modo Ghecis poteva convincersi che N stesse crescendo esattamente come lui desiderava perché desiderava così, ignorando volutamente il fatto che in quel giovane fossero già stati piantati dei semi che non provenivano da lui né da nessun altro. Teneri germogli che crescevano rigogliosi, ma non per le sue cure. Frutti maturi che non sarebbe stato lui a cogliere, anche se fino alla fine ne avrebbe avuto la sciocca convinzione.

“Una sorpresa? Per me?” N ne parve spiacevolmente stupito. Come se un regalo, in quel momento, rappresentasse una sorta di peccato, un’offesa nei confronti del piccolo pokemon fra le sue braccia.
Non che fosse una novità, per N, ricevere regali. Anzi, questo avveniva con una frequenza spaventosa, talmente tanto che la perplessità dei servitori del castello era oltremodo palese. Molti di loro si riservavano di non entrare nella sua camera, perché questa incuteva loro una velenosa inquietudine che li faceva sentire smarriti in un mondo che non gli apparteneva. E a nulla valevano i sorrisi con cui il bambino li accoglieva, anzi, essi non facevano altro che alimentare la loro già di per sé evidente esitazione. Come se un mostro spaventoso – e inconsapevole – stesse loro mostrando la via dell’inferno. Una sensazione spiacevolissima, senza ombra di dubbio.
“Esattamente”, confermò Ghecis con un modesto sorriso “una sorpresa. L’ho commissionata a un membro del Trio Oscuro, quando mi ha annunciato la tua visita. Ormai dovrebbe essere già arrivata, perché non vai a vederla?”
“Ma… e Zorua?”
“Lo condurrò io in giardino, ti ho detto” qualcosa nella sua voce si incrinò, ma si affrettò a mascherarla “non ti fidi forse di tuo padre, N?”
“N-no… non è questo, io…” N guardò Zorua, che ricambiò il suo sguardo. Orrore, gridavano i suoi occhi, ma oltre questo lui non riusciva a vedere. Non era mai capitato che non riuscisse ad accedere al cuore di un pokemon, perché stava accadendo tutto ciò? Forse… era colpa sua? Forse… doveva davvero lasciare che se ne occupasse Ghecis?
“Va bene”, cedette infine “torno nella mia stanza, allora. Grazie… Padre.” Tese le braccia verso l’uomo, per porgergli il pokemon, ma questo sembrò opporre res
istenza. “Cosa succede, Zor…”
Fu un istante, e Ghecis glielo strappò dalle mani. E lo fece con un sorriso così crudele che quasi stentò a crederci. Allucinazioni?, pensò, mentre il viso di lui si distendeva normalmente e Zorua finiva fra sue braccia. Forse, dopotutto, era davvero nervoso? Forse era per questo che Zorua si rifiutava di comunicare con lui?
“Vai pure adesso, N. Di Zorua me ne occupo io”, disse il padre con un tono di voce che non ammetteva alcuna replica. Il bambino si ritrovò inconsciamente ad arretrare, fino a voltargli del tutto le spalle e a correre fuori dallo studio, lasciando che Ghecis si occupasse del piccolo pokemon al posto suo.


Rimase letteralmente a bocca spalancata, quando lo vide. Non ne aveva mai visto uno dal vivo – né di quelle dimensioni né su scala reale – e ritrovarselo in camera all’improvviso lo sorprese molto.
Un trenino. Un trenino formato da un singolo vagone grigio e rosso camminava senza sosta da un capo all’altro della pista, avanti e indietro, avanti e indietro.
Che cosa curiosa, si ritrovò a pensare mentre lentamente si avvicinava a esso. Diciannove pezzi colorati componevano i binari su cui il vagone si muoveva, non certo un gran numero ma abbastanza per costruire una pista di medie dimensioni.
Eppure… c’era una cosa che N non capiva.
All’inizio non ci aveva fatto caso, quasi, preso dall’immagine in toto del treno sui binari. Tuttavia, appropinquandosi timidamente a esso un particolare era emerso con chiarezza, lasciandolo interdetto.
Infatti, nonostante ce ne fosse la possibilità, il trenino non compiva un giro completo della pista. C’erano infatti due impedimenti alle estremità, che lo costringevano a tornare indietro: da un lato, un binario di colore rosso era stato rimosso, creando il vuoto; dall’altro, un binario giallo era stato posizionato direttamente sopra la pista, impedendo il passaggio.
N si chiese perché. Ma soprattutto, si chiese come mai il vagone non cadeva quando giungeva all’estremità senza continuo e invece tornava indietro, bloccandosi poi all’ostacolo e tornando indietro ancora e ancora, in un ciclo senza fine.
Nella sua candida ingenuità, il bambino avvertì qualcosa. Abituato com’era a parlare con i pokemon, aveva imparato a cogliere dei segnali, nelle cose, dei segnali che spesso erano capaci di prevedere il futuro. La natura – così gli avevano insegnato i pokemon – si manifestava in molti modi, e ciascuno di essi era responsabile dei vari mutamenti che potevano avvenire nel corso della vita. Certo, il modo in cui erano stati posizionati quei tasselli era tutto fuorché naturale – i binari erano persino di vari colori, il che li allontanava ancora di più dalla realtà – ma lui sapeva che con la natura c’entravano ben poco. Era affascinante e inquietante al contempo, quel bizzarro spettacolo. Ben presto, il piccolo N si rese conto del motivo per cui sentiva che quella strana disposizione contenesse un messaggio: il colore dei due binari ‘errati’. Quello giallo faceva da evidente ostacolo, impedendo il cammino, quello rosso invece mancava del tutto, era come scomparso – nonostante si trovasse appena a qualche centimetro di distanza dagli altri – , come se su di esso non si dovesse fare alcun affidamento. E nonostante il loro modo di ‘interrompere’ il cammino del singolo vagone fosse diverso, entrambi contribuivano al medesimo effetto: costringerlo a muoversi avanti e indietro in un ciclo senza fine.
“Giallo… e rosso…” meditò N inginocchiandosi ai piedi della pista, fissandola meditabondo. “Come i pokemon elettrici… e di fuoco” notò poi, pur non cogliendo del tutto il collegamento. Che si stesse semplicemente sbagliando? Magari, nella fretta, chiunque avesse montato quella pista aveva commesso degli errori, nient’altro che errori. E dunque, che cosa si poteva mai ricavare da un errore che non fosse un altro errore?
“Non sei in errore, N.”
Fu una voce a interrompere il suo flusso di pensieri, improvvisamente. N sussultò e si guardò intorno: sulla soglia della porta della sua camera, Ghecis lo fissava con uno sguardo che non gli aveva mai visto prima, da quando era nato. “Ghecis…?”
Più volte gli aveva detto di chiamarlo per nome, adducendo al fatto che in quanto futuro sovrano dovesse essere libero di chiamare chiunque per nome, in quel castello, come segno di totale resa e sottomissione nei suoi confronti. N era sempre stato titubante in proposito, ma cercava comunque di rispettare il volere del padre, pur non capendo pienamente i motivi che lo spingevano a raccomandargli un simile comportamento. Gli capitava infatti di alternare ‘Padre’ con ‘Ghecis’, soprattutto quando doveva fargli una richiesta e perciò automaticamente si stava sottomettendo a lui. E in quei casi, l’idea di chiamarlo per nome non lo sfiorava neanche. Ma in quel momento… era diverso, molto diverso. “Perché… sei qui?”
Lui non rispose. Fece invece un passo dentro la camera, avvicinandosi lentamente al percorso del treno. “In questo mondo, due sono le cose che spingono un uomo a proseguire: la verità e gli ideali”, cominciò, con le mani dentro la lunga veste e lo sguardo fisso sui due mattoncini colorati. “Spesso l’uomo cerca la verità, ma essa gli sfugge inesorabilmente. Allora egli si affida agli ideali, ma capita che essi siano in conflitto. Come risultato, l’uomo non può far altro che tornare indietro sui suoi passi, tentando prima una via e poi un’altra, finché una di esse non gli aprirà il cammino.”
N ascoltava, senza capire quale collegamento ci fosse fra i due colori e ciò che aveva appena detto. “Finché non si affida a uno di questi valori, l’uomo non può proseguire. Ma può affidarsi solo a uno di questi, e non a entrambi.”
“Non… a entrambi?”
“No” ripeté Ghecis “non può conoscere la realtà e seguire gli ideali, perché entrerebbe in contraddizione. Chi conosce la realtà persegue ogni obiettivo alla luce di essa, chi segue gli ideali si affida completamente a loro, servendosene per comprendere cose che altrimenti non gli sarebbe dato di sapere. Un uomo deve decidere da che parte stare, senza provare a seguire entrambe le vie. Molte vite si sono spente perseguendo questo sciocco obiettivo.”
“Delle persone… sono morte, per un motivo simile?”
N pareva incredulo. I suoi grandi occhi verdi si spalancarono, colti dalla sorpresa. “Non sottovalutare il grande errore che commettono molti uomini, N, o anche tu perirai come loro. Scegli al più presto il percorso da seguire, affidati completamente a esso e vai avanti, senza mai voltarti indietro. Altrimenti… continuerai a essere un vagone che prosegue avanti e indietro, senza via d’uscita.” E pronunciate queste parole, Ghecis tacque e si voltò verso la porta, scomparendo oltre essa prima che N potesse dire o fare qualunque cosa, lasciandolo con quelle misteriose parole che ben presto cominciarono a formare nella sua testa un groviglio di pensieri confusi e profondi al tempo stesso. Che cosa voleva dire quello che aveva appena sentito? Ma soprattutto… che relazione c’era fra quel discorso e il colore dei due binari? Questo, avrebbe dovuto aspettare molti anni per comprenderlo. Ignaro del fatto che prima o poi sarebbe arrivato il giorno in cui si sarebbe ritrovato a scegliere una delle due vie, N si sedette sul pavimento, a gambe incrociate, e si mise a fissare quel movimento perpetuo e ipnotico, nel silenzio della propria camera.


Credeva di essere riuscito a seminare Ghecis, nascondendosi alla sua vista, e per un po’ era anche stato così. Ma quella trasformazione si aveva consumato ogni energie, e al piccolo Zorua non rimaneva altro che accoccolarsi in un angolo, ansimante e spaventato, consapevole dei passi furiosi che si stavano avvicinando a lui sempre di più, sempre di più.
Ti ho trovato, brutta bestiaccia!” tuono furioso Ghecis marciando crudelmente verso il pokemon e sollevandolo senza gentilezza alcuna per la collottola. Zorua emise un debole lamento, ma non protestò. “E così… sei riuscito a scappare dai sotterranei, eh? I miei complimenti! Ma presentarti al cospetto di N è stato un grosso errore, purtroppo per te. Pensavi fosse che non ti avrebbe condotto da me, stolto essere?! Non sei poi così intelligente forse, eh?” Ghecis lasciò andare il pokemon, che cadde a terra e uggiolò miseramente. Si beò di quel lamento straziante, e mosso dalla crudeltà lo raccolse di nuovo, stringendogli forte la coda per fargli male. “Adesso tu vieni con me… e vedremo se sarai capace di fuggire ancora”, rise Ghecis con scherno maligno, trascinando via il pokemon, via, verso l’inferno in cui centinaia di esseri come lui lavoravano senza sosta notte e giorno, notte e giorno.
E Zorua sperò con tutto il cuore che il momento in cui N avrebbe scelto gli ideali o la verità… venisse il più presto possibile.










Note di Vetro: prima fanfic in assoluto che pubblico qui, in questa sezione, e sono contenta di averlo fatto seguendo una così buona ispirazione (una volta tanto, eh!). Come ho scritto nell'introduzione, dedico questa storia a Lampadina, alias Sam <3 che adoro con tutto il cuore <3 perdonami se ti dedico un simile polpettone! ç_ç E adesso, chiariamo un paio di punti: per chi non l'avesse capito, quello che parla con N di fronte al trenino non è il vero Ghecis, bensì Zorua trasformato in Ghecis. Questa è una sua abilità, non l'ho dotato io di mistici poteri xD e secondo poi, la parte finale in cui il vero Ghecis parla di lavori e sotterranei si riferisce al fatto che il Team Plasma ha sfruttato il lavoro dei pokemon per costruire quel castello attorno alla Lega Pokemon, e grande com'è suppongo che i lavori abbiano richiesto molto tempo. Ovviamente N non sa niente, e pensa semplicemente che Ghecis accolga i pokemon per proteggerli dagli allenatori malvagi. Spero che non ci siano altri dubbi :) grazie a chi è arrivato fin qui nonostante la lunghezza <3
Dimenticavo: la storia è ispirata per davvero alla camera di N, che si presenta così come l'ho descritta. Mi ha molto colpito la disposizione di quei blocchi gialli e rossi, e mi ha fatto pensare proprio a Zekrom e Reshiram :)

   
 
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