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Autore: V a l y    01/03/2006    4 recensioni
"La mia mamma dorme. Quando si sveglierà?" "La mamma non si sveglierà. Sta sognando di stare in un posto bellissimo." rispose la donna dai lunghi capelli color corvo, lo stesso nero delle loro piume. La sua madrina.
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Irvine Kinneas, Selphie Tilmitt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PREFAZIONE:
Mi sono accorta che esistono poche fan fiction dedicate alla coppia Selphie e Irvine, in assoluto la mia preferita di Final Fantasy VIII, ma anche la meno nota del gioco, a prescindere dal fatto che mi piacciono molto sia le Squall x Rinoa che le Seifer x Quistis. Ho voluto dedicare ai due una one-shot, che oltretutto è anche la mia prima fanf su final fantasy... e in assoluto la mia seconda in generale (la prima che ho fatto è su one piece).
In secondo luogo, mi piacerebbe mettervi un link di un MP3 che ha influenzato molte mie idee per questa storia.
Je m'appelle Helene
La consiglio a tutti anche solo per ascoltarla, è veramente bella! ^^
Beh, che altro dire... basta! XD spero solo che questa one shot faccia pensare un po' di più a qualcuno riguardo questa piccola coppia di FFVIII.
Buona lettura!!!







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Mezzogiorno appena passato, il sole abbracciava tutto ciò che gli era possibile cogliere e l'ombra combatteva spasmodica per riuscire nella dura lotta contro la luce di quell'enorme stella. Calda. Quella afosa, opprimente, torrida, soffocante, calda giornata bruciava anima e corpo di ogni essere vivente. Chi riusciva a trattenere quelle burbere emozioni? Persone coerenti, equilibrate. Forse. Ma Selphie Tilmitt non rientrava tra queste.
"Ti vedo assai abbattuta."
La voce di Rinoa appariva poco chiara, sovrastata da quel folto rumore di grilli.
"Io odio il caldo..." rispose solo lei, cacciando la lingua.
Secca. Oltre a essere stata una giornata afosa, opprimente, torrida, soffocante e calda era anche una giornata secca. Né un filo di vento, anche caldo, nè una nuvola passeggera, anche pioggia. E magari fosse stata pioggia! Quelle lacrime di angeli sarebbero stati un miracolo di Hyne, in quel momento.
"Sai, Rin" un attimo di pausa. Faticava persino a parlare! "Dopo avrò un'altra lezione per cadetti all'aperto."
"Oh, povera..." rispose solo l'altra, poggiando la mano dietro la schiena dell'amica turbata.
"Già, tu invece andrai in piscina con il tuo ragazzo, visto che ha un giorno libero!"
Poi, sospirò poggiando il capo sulla spalla di Rinoa. Le ci voleva proprio un abbraccio di consolazione, ma... no. Quella temperatura fuori dal comune invogliava a retrocedere ogni contatto fisico con chiunque.
"Ehi, Sel! Guarda là, c'è il tuo amico cowboy!"

Indistinguibile, unico, ineffabile. Il solo cowboy di tutta Balamb. Nonostante quell'uniforme da SeeD, quei capelli più ordinati del solito, quell'aria da ragazzo cresciuto e maturato, mai si faceva abbandonare da quel cappello far west, come fosse stata una madre senza il suo piccolo bambino. Perché ci sono cose che non cambiano anche se un uomo cambia del tutto.
E, infatti, il lupo perde il pelo ma non il vizio:
"Sai, Catherine, io credo che il miglior rimedio per conoscere due persone sia uscire insieme, non trovi?"
Catherine, una piccola donna, di età e di pensiero, frequentava il corso del Garden di Balamb da sole tre settimane e già era stata puntata nelle grazie di Irvine Kinneas. Non che questa fosse stata una cosa rara! La fanciulla si portò le mani sulle guance per nascondere il rossore, che man mano aumentava a ogni complimento del cowboy. Rosse rosee parole passionali, tanto romantiche da definirle poetiche.
"Ma noi ci siamo parlati solo tre volte in classe..." riuscì finalmente a dire la timida Catherine.
Lui si avvicinò con aria beffarda, da conquistatore, in direzione di lei, la già conquistata da molto.
"Tu ci credi ai colpi di fulmine?"
Ma bastò solo il sorriso precedente alla frase, quel libidinoso, passionale e quasi erotico sorriso da riuscire a sciogliere chiunque. Questa fu infatti la reazione di Catherine, tanto vogliosa da tremare le ginocchia.
Quell'aria passionale, calda, oltre a quell'atmosferica, mutò. Calda sì, ma non più ardore di passione, quanto quello di rabbia. La sensazione di Irvine fu giusta, perché proprio dietro di lui si trovava Selphie che aveva ascoltato tutto.
"Irvineeeeeee...." disse appena sottovoce, tra i denti.
"... ops..." rispose soltanto lui. Stavolta non aveva scuse esaurienti per scolparsi.
Già che il sole la innervosiva, in più quelle stupide serenate a mezzogiorno di quel cowboy. Ispirò aria. Poi, lentamente, la espirò. Riuscì a calmarsi. Non aveva minimamente voglia di litigare. Già. Per cosa poi? Faceva delle assurde scenate da ragazzina innamorata, quando invece neppure erano fidanzati. Odiava ammetterlo, perchè era vero: si era innamorata di quel bifolco, frivolo, bacato ragazzo e non aveva nessuna intenzione di dirlo. Perchè? La paura, ovvio. Quel poco di buono avrebbe sicuramente approfittato di lussuriose situazioni con altre quando questa avrebbe girato la testa da un'altra parte. La loro era una sorta di relazione "amici ma fidanzati, fidanzati ma amici". Insomma, quel tipo di relazione dove lui è geloso di lei e lei è gelosa di lui, ma nient'altro.
Quindi, si girò in direzione di lui, con l'intenzione dire qualcosa, magari "scusa". Dopotutto, lei non aveva nessun diritto di obiettare su quel che faceva o non faceva. Ma quel donnaiolo coraggioso in conquiste e codardo in litigi aveva approfittato della poca attenzione di Selphie per svignarsela.
"Ma allora lo fai apposta!!!" urlò la castana, ritrovando tutta quella grinta persa sotto quel soffocante sole.
Prese il nunchaku tra le mani e senza pietà, quasi fosse stata una medesima Artemisia, sferrò a lui un colpo da 10.000 H.P. Lui cadde a terra esanime e lei, riprendendosi, fece scivolare dai palmi la sua arma.
"Omiohyne, miohyne, miohyne, che cosa ho fattooo?!"
"Troppo tardi per pentirsi!" disse serena e anche un po' divertita Rinoa. "Dai portiamolo in infermeria. Ti pare che una pelle dura come la sua crepi così?!"
Questo riuscì a far calmare l'amica Selphie.
"Beh, effettivamente... se è riuscito a sopravvivere ai tuoi graffi!"
Poi, una fragorosa risata, stavolta più assordante di quei mille grilli intorno a loro.
Gli avrebbe preparato un bel piatto di onigiri ai gamberi fritti per farsi perdonare.
Il suo preferito!













Urla. Spari. Botte. Poi, silenzio.
E di nuovo, il giro ricominciava, ma stavolta con ordine diverso. Botte. Spari. Urla. E come fosse stato un percussionista professionista, quel malefico dì decideva come, quale, quando quel rumore cessava. Poi tornava. Un gioco di musica che però al piccolo bambino nascosto sotto il letto piaceva poco. Tappava le orecchie. E se sentiva, gridava, per soffocare l'atroce tema musicale di sottofondo. E se vedeva, chiudeva gli occhi, per nascondere quella macabra scenografia di morte che passava oltre la finestra di vetro.
Poi, il tutto si dissolse, lasciando qualche lontano scoppio rimbombare per le vie della strada. Lontano e sempre più lontano.
Confuso.
Vago.
Il piccolo fanciullo si tirò con le braccia fuori dal letto, si aggrappò al lenzuolo per alzarsi. Accese la lampada appesa su un filo del soffitto, si mosse e la luca danzava, e faceva danzare il soffitto di quella piccola, corta stanza nascosta. Scese le scale, poggiando le mani sulla ringhiera, per quel che era rimasto di quella ringhiera. E in quel buio, due sagome stese, ferme per terra ballavano a causa di quei giochi di luce di un secondo lume acceso. Fece per avvicinarsi. Toccò la mano della donna. Gelida. Artica. Distante. Quale tagliente sensazione!

"La mia mamma dorme. Quando si sveglierà?"
"La mamma non si sveglierà. Sta sognando di stare in un posto bellissimo." rispose la donna dai lunghi capelli color corvo, lo stesso nero delle loro piume. La sua madrina.

E ora era lì, solo, in quella piccola penisola rurale con una donna e altri sei bambini. La luce accecante di un faro girava il tondo mondo in pochi secondi, illuminando quel mare ormai nero, perché mancava poco alla sera. La luce del sole, invece, si spegneva, lasciando parte a stelle che già da molto lo sovrastavano nel cielo. Così, era spento anche il viso del piccolo Irvine, che ancora non comprendeva "l'abbandono" di sua madre. D'altronde, cosa ne poteva capire un bambino della morte? Strinse i pugni, chinò lo sguardo, seduto a osservare la fine di quel sole ormai affogato nel mare.

"Buh!!!!"

Una voce stridula, alta, canterina, come cinguettii di stormi di uccelli, scosse la mente di Irvine, facendolo sobbalzare in avanti. Una piccola bambina con la salopette azzurra lo osservava da molto.
"Ciao, io mi chiamo Selphie, ma puoi chiamarmi Sel! Tu come ti chiami?"
Il bambino, di tutta risposta, la osservò stranito e un po' indispettito.
"Perché non giochi con gli altri?"
Nessuna risposta.
"Ti hanno mangiato per caso la lingua?"
Ancora nulla.
"Sei per caso triste?"
"Mia mamma mi ha lasciato solo..." disse veloce, sottovoce, quasi con un unico soffio di ossigeno.
"Però se sei triste anche la mamma diventa triste."
"No. Lei si trova in un bel posto ed è più felice di prima. E mi ha abbandonato qui."
Ogni parola veniva soffocata da un singhiozzo e ogni singhiozzo cercava di essere sovrastato da quelle parole. Ma tra i due era quest'ultima a perdere.
Ci fu qualche secondo silenzioso. Per lui. Per lei. La madre di ogni bambino era mancata, ognuna per motivi diversi, o simili.
"No."
No?
"Impossibile!"
La piccola Selphie fissò sorridente gli azzurri occhi del nuovo arrivato.
"Nessuna mamma è felice se è senza figlio."
Un'unica affermazione, così ottimista, convinta, fece scombussolare l'animo inquieto di Irvine.
"Anch'io sono senza mamma, ma lei diceva che bisogna essere forti, alzare la testa e sorridere. Sempre. E se sorridi, tutto il mondo sorriderà con te. E tutto sarà più bello. Più felice. Meno triste.
E se sorriderai anche la tua mamma in cielo sorriderà, perché avrà un figlio contento."
Folte lacrime uscirono affannosamente dagli occhi di Irvine. Non erano lacrime di tristezza. Non più. Quella era gioia, era commozione.
"Io..." disse ancora faticosamente, strusciandosi le mani sugli occhi "mi chiamo Irvine."
"Bene, ma ti posso chiamare Irvy!"
E poi, il sorriso di quella dolce creatura venne accompagnato da quello di Irvine, il primo dopo la fine di quella brutta guerra.
"Andiamo a giocare a nascondino, Irvy!"
Gli prese la mano. Stavolta, una mano calorosa, affettuosa, accogliente.




"Irvine..."
"Irvine!"
"IRVY!"
Aprì scattante gli occhi. Un immenso edificio colorato gli si stagliava contro. Il Garden.
"Per fortuna stai bene. Tra un po' davvero credevo fossi morto!"
Sulla sinistra di quell'enorme quadro colorato, due occhi verdi e un viso di ragazza sorridente. La ragazza del sogno. Era proprio lei il soggetto di quell'utopia precedente. Quel ricordo smarrito nelle profondità del cuore e ritrovato.
"Se... Selphie, cosa... che...?"
L'impassibile Irvine Kinneas, adulatore convinto di donne, stentava davanti a quella castana creatura. Un Irvine Kinneas decisamente imbarazzato, innervosito, emozionato per quella stupenda visione improvvisa. Il cuore batteva e le vene pulsavano in modo anormale, diverso dal solito.
"Sei ancora arrabbiato, vero...?" pensò lei osservando quel suo strano comportamento, sospirando parole. "Ecco, volevo dirti scusa, perché prima ho veramente esagerato. Per questo ho preparato degli onigiri! Mi sono fatta dare la ricetta dalla signora della mensa stessa, cucina squisitamente!"
E quelle piccole manine di fata sciolsero il nodo della tela che copriva il pacco e aprì il cestino. Ne uscì fuori un appetitoso profumo che dominò ogni odore attorno, ma che, comunque, non riuscì ad attirare l'attenzione di Irvine, ormai persa in altre questioni. Lei rideva e lui sorrideva ad ogni suo riso. Cambiava espressioni come una bambina: corrucciata, sorridente, indecisa, arrabbiata, poi, di nuovo sorridente. Perché erano proprio quei sorrisi che la distinguevano, la accompagnavano ogni giorno e che vincevano contro ogni altro tipo di emozione. Quell'ottimismo sempre presente che a Irvine Kinneas faceva decisamente impazzire.
Selphie si accorse del suo strano sguardo, che venne tradotto a modo suo:
"Lo so che sembro stupida a ridere sempre, ma non mi guardare così! Mi fai sentire ancora più scema!" cacciò la lingua "Eppure dovresti essere abituato dopo un anno che ci conosciamo, no?"
Tu non sei scema, Selphie.

"Tu ridi perché il mondo ride con te."

Le portò una mano sulla guancia che, poi, scivolò. Tenuta lì, su quella gota per solo qualche secondo, o forse meno: per qualche decimo di secondo. Sfiorata appena, non sembrava neppure una carezza. Ma Selphie ne sentì ugualmente il contatto.
Quella stessa mano che per non sentirsi imbarazzata si volse in direzione del cestino da pranzo.
"Wow! Ma questi sono onigiri ai gamberi!"
"Ma è mezz'ora che te lo sto dicendo!" rispose ridendo la ragazza.
Si sedettero appoggiati sul tronco di un albero. L'aria si era calmata e un vento fresco soddisfaceva la pelle della castana, facendole venire piacevoli brividi. Una meritata ricompensa dopo le fatiche trascorse sotto il sole di quell'afosa giornata d'estate. L'estate: la stagione perfetta per guardare le stelle. Enormi astri abbracciavano il cielo, vivacizzandone il denso buio della sera. A volte, veloce, correva anche qualche stella cadente.
"Sel!"
Quant'è che non la chiamava così.
"Dammi la mano!"
"Eh? E perché?!"
"E dai, quante storie!"
Le prese la mano sinistra. Quel medesimo tepore passato nella sua infanzia. Quella sua mano soffice, salvatrice. Lei non si di dimenò. Acconsentì quella dolce sensazione, stranamente tanto familiare anche a lei.
"Adesso, posso toccarti il sedere?"
"Sceeemo!" urlò lei divertita, tirandogli uno schiaffo con il palmo della mano. Quella destra. E così, la situazione tornò la solita. Lui: provolone dongiovanni come sempre, lei: piccola bambina ingenua e infantile.
Lui le avrebbe fatto delle avance.
Lei lo avrebbe rifiutato in modo brusco.
Probabilmente, in un modo o nell'altro, avrebbero di nuovo litigato.
Poi, si sarebbero nuovamente riappacificati.
Ma durante tutto questo,
quella tiepida mano avrebbe ricordato ad entrambi di essere unici per ognuno di loro.



































































































END.
  
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