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Autore: WingedMind    12/06/2011    0 recensioni
Primo capitolo di questa storia. Arina è una normale ragazza che una sera viene inseguita da due strani uomini e fuggendo si ritrova catapultata in un mondo sconosciuto, in cui dimostrerà le sue capacità, scoprirà il suo stesso valore e incontrerà persone che le cambieranno la vita, in particolare un ragazzo...nel primo capitolo comunque la storia si ferma all'arrivo di Arina in questo mondo di cui non capisce assolutamente l'esistenza e in cui i suoi inseguitori riescono altrettanto ad entrare. Perchè è inseguita? E dove si trova? Non le rimane che sopravvivere e capire cosa stia succedendo.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buongiorno a tutti, è la prima volta che pubblico una storia, e che ne scrivo una che non sia breve ma con la seria intenzione di continuarla...di solito mi fermo al primo capitolo, ma questa volta sono sicura di continuarla, anche perchè è estate e ho tempo per scrivere^^. In ogni caso buona lettura!

 

CAPITOLO 1
Il cielo era grigio e le nuvole sospinte dal vento avanzavano così veloci che tutti guardavano in alto preoccupati, soprattutto chi era privo d'ombrello. Dato che io ne avevo uno, non avrei dovuto preoccuparmi molto, eppure era da quando ero uscita di casa e avevo calpestato per sbaglio una cacca che il mio umore era precipitato in basso e tutto era una buona scusa per prendermela col mondo.
Mentre rimuginavo e camminavo un piccione mi attraversò la strada costringendomi a fermarmi, mentre si affrettava verso una briciola caduta dal biscotto di un bambino. Strinsi i denti irritata, ma alla fin fine era colpa mia se lasciavo passare i piccioni quando avrei potuto andare avanti e farli volare via, come tutti i veneziani facevano. A dir la verità avevo paura che non volassero via in tempo o inciampassero facendosi investire. Beh, essere investiti dai miei piedi non doveva essere terribile come da una macchina.
Sospirai, mentre continuavo a camminare con quello che viene definito “passo alla veneziana”, così che riuscissi a fare la strada per andare a scuola in quindici minuti invece che in mezzora, visto che ero in ritardo per l'ennesima volta. Io amavo definire la mia andatura “passo da valchiria”, però era frutto dell'azione combinata del mio femminismo e del mio amore per i fantasy.
Un tuono interruppe il flusso dei miei pensieri, facendomi affrettare, e dopo pochi minuti cominciò a piovere. Tirai fuori l'ombrello dalla cartella e continuai per la mia strada. Che mi bagnassi o meno l'importante era arrivare in orario a scuola, sennò mi sarei presa l'ennesima lavata di testa dalla professoressa di spagnolo. Sospirai e corrugai la fronte, tentando di ricordarmi la coniugazione di un verbo irregolare. Se fossi stata interrogata sarebbe andata piuttosto male, perchè il giorno prima avevo perso la serata a leggere manga davanti al computer. In quei momenti mi chiedevo come potessi essere definita secchiona. Probabilmente tutti avevano un'idea di me diversa dalla realtà, oltre al fatto che anche senza studiare sarei andata meglio della maggior parte dei miei compagni.
Alzai la testa e decisi di prendere la scorciatoia per arrivare a scuola, ma mi pentii subito. Stava cominciando a salire l'acqua alta.
- Cristo, ma questa è proprio una brutta giornata!- sbottai, mentre un signore attraversava l'acqua con gli stivali di gomma e mi sorrideva lanciandomi un'occhiata divertita.
Mentre mi superava continuai a guardare l'acqua di fronte a me. Dato che aveva appena iniziato a salire la marea, solo pochi metri delle fondamenta erano allagate. Ma superarli senza bagnarmi era impossibile. Cominciai ad attraversare l'acqua, camminando in punta dei piedi nella vana speranza di bagnarmi meno, ma capii che era inutile. Tanto valeva passare in fretta quel dannato punto, così corsi schizzando acqua fino all'asciutto. Anche se definirlo asciutto quando pioveva era assurdo. Sbattei i piedi per terra, sperando di far uscire l'acqua dalle scarpe da ginnastica, che per di più erano in tela. Sospirai ancora una volta e serrai le dita intorno all'ombrello quando il vento soffiò forte, quindi cominciai a correre, consapevole di aver perso fin troppo tempo. Attraversai i soliti due ponti per ritrovarmi quasi di fronte all'entrata della scuola, inaccessibile se non passando per l'ennesimo tratto di strada allagato. Lo attraversai senza esitazioni e ridacchiando come una pazza, perchè ormai tanto valeva che mi divertissi a camminare nell'acqua, visto che ero già bagnata fino ai polpacci.
Prima di correre su per le scale ed arrivare in classe provai a strizzarmi i jeans, ma erano troppo stretti per riuscirci. Mi sedetti su uno scalino e svuotai le scarpe piene di acqua sul pavimento. In calzini e con le scarpe in mano andai fino all'aula, la cui porta era sorprendentemente aperta. Lanciai un'occhiata all'interno prima di avventurarmi, scoprendo che metà dei banchi era vuota. I miei compagni mi salutarono e la prof si girò a guardarmi, mentre scriveva qualcosa alla lavagna.
- Buongiorno Arina, non ti sembra un po' tardi per arrivare?- mi sorrise irritata e io la guardai con aria di scusa e cercando si apparire ansimante, come se avessi corso pur di arrivare alla sua lezione in tempo.
- Scusi prof, comunque non sono molto in ritardo, sono solo le otto e dieci... e poi non mi sembra di essere l'unica.-
- Già, un sacco di altri alunni sono in ritardo o forse non arriveranno proprio... comunque non importa, fai veloce e sistemati, che abbiamo già iniziato la lezione.-
Lasciai l'ombrello vicino alla porta e andai ad appoggiare la cartella, per poi avvicinarmi alla cattedra.
- Potrei andare in bagno, prof? So che sono già in ritardo, però sono tutta bagnata e vorrei darmi una sistemata...- dissi, pregando che dicesse sì.
- Forza, vai! Tanto ormai la scuola è un parco giochi e si fa quel che si vuole. Non capisco, dovrei mettermi anch'io a ballare il flamenco sui banchi.- si lamentò mentre uscivo dalla classe.
Sorrisi mentre andavo in bagno, cercando di immaginare la prof ballare sui banchi il flamenco ma senza capire perchè in un parco giochi fosse permesso di fare quel che si voleva. Ma la legge non vigeva anche lì? Certe affermazioni non stavano proprio in piedi, era inutile starci a pensare.
Mi guardai allo specchio e sistemai con il dito la matita degli occhi, un po' sbavata, mentre il mio riflesso mi guardava stanco, le guance rosse che contrastavano con gli occhi grigi. Quel giorno non ero esattamente in forma, l'acne sulla fronte si vedeva più del solito perchè avevo corso e sudato. Ma almeno i miei capelli non stavano malissimo e arrivavano al sedere in bionde onde regolari. Ringraziai le trecce che mi ero fatta per dormire e mi sedetti sul pavimento a mettere le scarpe. Sospirai desiderando che la scuola fosse già finita e quindi mi diressi di nuovo in classe, cercando di camminare il più piano possibile, mentre i piedi mi prudevano a causa dei calzini bagnati.
Le luci dei negozi si riflettevano nelle pozzanghere, offrendo ai turisti un ambiente romantico in cui passeggiare e a me un'occasione per raffinare i miei riflessi evitando di finire nell'acqua come quella mattina. Avevo appena salutato le mie amiche ma ero ancora con la mente nella palestra, ad osservare i giocatori di basket lanciarsi abilmente la palla mentre le altre tifavano per la squadra in cui giocava un nostro compagno. Sorrisi ricordando i commenti sui ragazzi che avevamo fatto e alzai gli occhi al cielo ormai scuro, l'umore così diverso da quella mattina sebbene provassi quella malinconia che quando passeggiavo per Venezia era quasi oppressiva.
Camminavo veloce, preoccupata di arrivare in ritardo, ma con la testa per aria. Per quello non mi accorsi subito dei due uomini che mi seguivano, ma li notai solo quando mi cadde il braccialetto e dovetti girarmi a riprenderlo, e poi cominciai ad avere qualche fondato sospetto quando entrai in un panificio a prendermi del pane per la cena e loro erano fermi più indietro a fissare l'uscita del negozio. Diciamo che iniziavo più che altro a lasciare le briglie della mia immaginazione senza controllo, ma ancora non credevo seriamente di essere seguita. Eppure quando capii che avrebbero fatto la mia stessa strada, decisi di fare una prova ed entrai in un piccolo supermercato. Feci un giro pensando a come stessi per perdere il bus e quando uscii li ritrovai fuori. Cominciai a camminare velocemente passando fra la gente per confondermi, ma ogni tanto gettando un'occhiata indietro li vedevo. E loro videro me guardarli.
Non ero mai stata inseguita, pedinata o simili, nonostante lo avessi spesso immaginato durante i miei film mentali. Eppure la realtà è più terrorizzante ed incontrollabile delle fantasie e dei sogni, e difatti andai in panico, i polmoni schiacciati dal peso dell'ansia, la mente in cerca di una soluzione, frenetica nel trovare una via di scampo. Alla fine camminando e sentendomi circondata da persone, cominciai a calmarmi, dopotutto non potevano farmi niente in quel posto. Respirai profondamente e trovai la soluzione al mio problema. Semplicemente prima di prendere il bus avrei dovuto correre, così che mi perdessero di vista, altrimenti sarebbero saliti con me e scesi alla mia fermata, dove non scendeva quasi mai nessuno, e sarei stata in pericolo. Appena superata la stazione misi in atto la mia idea e correndo per il ponte raggiunsi il mio bus e salii infilandomi fra le persone, sollevata.
Non ero sicura di aver fatto la cosa giusta, perchè sarei anche potuta entrare in un bar e chiedere a qualcuno di aiutarmi, ma se potevo cavarmela da sola era senza dubbio la soluzione migliore, soprattutto se mi ero completamente immaginata di essere inseguita.
Il bus partì e io mi girai in cerca di un appiglio per non cadere, ma nel mare di persone che affollavano il mezzo scorsi le familiari sagome dei miei inseguitori, il più basso dei quali mi fissò e sorrise.
Entrambi sembravano mediorientali, ma uno aveva gli occhi azzurri e l'altro i capelli lunghi fino alle spalle e raccolti in treccine. Erano veramente strani per essere mediorientali e non riuscivo a capire perchè mi inseguissero, cosa di cui ormai ero certa. All'inizio temevo fosse per violentarmi, ma era assurdo che dei semplici stupratori si prendessero tutta quella briga per me quando era pieno di altre ragazze e donne. L'unica possibilità era che mi volessero rapire, ma chiedere un riscatto alla mia famiglia che non era per niente ricca sarebbe stato ridicolo, almeno che in verità io non fossi la figlia segreta di una persona di potere. Oppure qualcuno aveva messo gli occhi su di me. Insomma, c'erano moltissime probabilità a cui pensare, ma poche di esse erano realistiche. Di conseguenza in quel mezzo minuto che occorreva al bus per arrivare alla prima fermata, io decisi di scendere sperando che loro non ci riuscissero in tempo per via della gente. Stetti ferma fino all'ultimo secondo prima che le porte d'uscita si richiudessero, sentendomi esageratamente osservata, quindi mi infilai fra le porte in chiusura e per un pelo riuscii a scendere. Guardai il bus allontanarsi con un sorriso e quindi mi misi ad osservare la laguna serale pensando a cosa fare. Senza dubbio quei due avrebbero aspettato alla fermata successiva per salire sul bus in cui fossi stata, quindi non potevo fare niente per evitarli, se non nascondermi e sperare che non vedendomi non salissero oppure prendere un bus dopo un'ora. Decisi di chiamare mio padre per chiedere aiuto, sapendo che mia madre sarebbe andata nel panico. Tirai fuori il cellulare e feci uno squillo, quindi aspettai che richiamasse. Dopo due minuti e tre autobus cominciai a preoccuparmi e chiamai di nuovo, prima mio padre, poi mia madre e quindi mia sorella, senza ricevere risposta. Non riuscivo a capire cosa stesse succedendo, ma cominciavo a scocciarmi. Chiamai le mie amiche e ancora niente. Rimasi a pensare alla mia situazione e decisi di tornare a Venezia e chiedere ospitalità ad un'amica. M'incamminai quando sentii dei passi di corsa dietro di me e girandomi vidi i due uomini ansimanti avvicinarsi sempre di più. Con la cartella in spalla mi precipitai verso il piazzale coi bus, decisa a chiedere aiuto a qualcuno, visto che intorno a me era tutto deserto. Corsi senza freni, l'unico pensiero era quello di scappare, ma quando giunsi nel piazzale, tutte le persone erano scomparse, tranne i miei inseguitori, e i bus stavano come svanendo nell'aria. Allibita, continuai a correre verso il ponte, ma quello scomparì, sostituito da una cascata, il cielo si riempì di stelle e quando mi girai indietro, lo spettacolo che mi si presentava era preoccupante. Il cemento e i bus erano stati sostituiti da una radura erbosa, circondata da alberi e costellata di pozzi in pietra coperti da tavole di legno, ciascuno era affiancato da cartelli con sopra scritto qualcosa che non riuscivo a leggere dalla mia posizione vicino alla cascata. Intanto i miei inseguitori avevano rallentato e camminavano con aria sicura verso di me, considerandomi probabilmente in trappola. Ma si sbagliavano di grosso a credere che mi fossi data per vinta. Perchè era comparsa una foresta? Perchè Venezia era sparita? Perchè le persone erano svanite nel nulla lasciandomi in balia di due maniaci? E soprattutto, perchè coloro che mi inseguivano continuavano ad esserci? Doveva essere tutta colpa loro, ma comunque questa rivelazione non cambiava la mia orribile situazione, di conseguenza dovevo continuare a scappare.
Feci l'unica cosa che mi sembrava accettabile e corsi verso gli alberi più veloce che potevo, quindi senza direzione continuai ad andare avanti, sentendo le grida dietro a me.
Il sottobosco mi intrappolava i piedi, i rami erano ovunque intorno a me, sbattevano sulla mia faccia e s'impigliavano nei vestiti, costringendomi ad aggrapparmi a quello che stava intorno per non cadere. Dopo alcuni minuti incespicai e caddi distesa per terra, senza riuscire quasi a respirare. Ma non potevo stare lì e così strisciai sotto un cespuglio e cercai di respirare senza far rumore, consapevole di non essere lontana dai due uomini. Ad un certo punto sentii delle voci e tesi le orecchie per capire da dove provenissero. Le voci si avvicinavano e colsi un movimento a sinistra del cespuglio, dove prima ero caduta. In quel momento ero in trappola, se mi avessero vista non sarei riuscita a scappare da loro. Cercai di farmi piccola senza far rumore, sperando che non cercassero fra i rami, il cuore che batteva così forte che mi sembrava impossibile che non lo sentissero. Ero tutta sudata, i capelli erano troppo lunghi e pesanti per riuscire a stare legati nello chignon che avevo fatto prima della corsa, e quindi ora erano spettinati e pieni di foglie, anche il fermaglio era sul punto di cadere. Immobile e silenziosa, respiravo lentamente e pregavo che non mi vedessero, cercando di ignorare la sporcizia che avevo addosso, gli insetti che abitavano nel terreno e sotto il cespuglio. Restai immobile per quelle che sembrarono ore, anche dopo che i miei inseguitori se ne furono andati, temendo che fosse una trappola. Poi una goccia mi cadde sul volto, e il rumore della pioggia battente sulle foglie degli alberi mi risvegliò dalla trance in cui ero caduta, facendomi alzare e pensare a come procurarmi da mangiare e da bere, visto che ero esausta. Non avevo passato tutto il tempo sotto il cespuglio immobile come una statua e altrettanto senza pensieri, ma avevo esaminato per bene quello che era avvenuto, arrivando a due conclusioni incerte. La prima possibilità era che fosse tutto un sogno, ma la cosa non mi soddisfaceva per niente, la seconda invece era che mi stesse capitando sul serio un'avventura e che la magia esistesse nella realtà. In ogni caso dovevo capire ancora perchè fossi pedinata e se stessi seriamente rischiando la vita. In dubbio, dovevo fare il meglio che potessi in quel momento, ovvero uscire da quella foresta e trovare qualcosa con cui nutrirmi, oltre che un posto sicuro in cui dormire. Dovevo ammettere però di essere scioccata che qualcosa di così incredibile, e brutto, mi stesse capitando. Dov'era finita la famosa monotonia della vita?
Mi morsi il labbro per non piangere alla vista dei jeans vagamente bucati dalle spine del sottobosco e della felpa lunga fino al sedere completamente sudicia di terreno e di quello in cui ero incappata durante la corsa. Piangere in quel momento non mi sarebbe servito a nulla.
- Cristo, ma questa è proprio una brutta giornata!- bisbigliai incamminandomi e tirandomi il cappuccio sulla testa, i capelli raccolti in una treccia che pendeva umida sulla spalla. 
  
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