Parte 2
Ἓως καί Ἡμέρα (Eos cài Emèra: Aurora e Giorno)
Bianco, rosa ed oro: le tonalità del sentimento
“Sì che le bianche e le vermiglie guance,/ là dov’i’era,
de la bella Aurora/ per troppa etate divenivan rance.” Dante Alighieri,
Purgatorio, Canto II, versi 7-9
Avevano camminato tutta la notte, essenzialmente senza meta, o almeno così
credeva il Tenente Colonnello. E più l’ora dell’alba si avvicinava, più la
distanza tra loro due si accorciava. Erano partiti con quasi un metro a
separarli, ora, invece, erano a portata di mano: bastava solo un pizzico di
coraggio perché uno dei due potesse afferrare la mano dell’altro. Le nocche non
facevano che sfiorarsi, ma nessuno osò stringere le dita dell’altro tra le sue.
Era molto meglio continuare a nascondersi dietro la scusa
dell’inadeguatezza della situazione, nonostante l’impulso diventasse più forte
di passo in passo.
Ad un certo punto Roy si fermò sul posto, disorientato, poiché non
riconosceva il luogo in cui si trovavano. In effetti, durante tutta la loro
nottata a zonzo lui aveva semplicemente seguito il Sottotenente, come un
pianeta segue il proprio sole.
«Dove siamo?» domandò alla donna che si era fermata poco più avanti, quando
si era accorta che il suo accompagnatore non la affiancava più.
«Siamo nella periferia di East City. Tra poco saremo fuori dalla città».
«E perché stiamo andando fuori dalla città? Lì ci sono solo campi».
«Ma proprio perché ci sono solo campi!» replicò con fare ovvio.
«E lo scopo sarebbe… ?».
«Lì l’alba è molto più bella che in città».
«L’alba?».
Ma come? Era già trascorsa tutta la notte? Lui proprio non se ne era reso
conto.
«Mancheranno una ventina di minuti, ad occhio e croce. Anzi, le dispiace se
velocizziamo un po’ il passo?». In realtà non aspettò una risposta affermativa
da parte del suo superiore. Semplicemente cominciò ad allungare il passo. Il
Tenente Colonnello la seguì, anche perché da solo non sarebbe stato in grado di
ritornare indietro.
Non parlarono durante il tragitto rimanente. Dovevano conservare il fiato.
Ben presto la grande strada asfaltata venne sostituita da una più stretta e
sterrata. Erano finalmente arrivati al luogo delle loro peregrinazioni ed
effettivamente il Sottotenente Hawkeye aveva ragione: era proprio un bel posto,
soprattutto adesso che il cielo cominciava a schiarirsi in corrispondenza
dell’orizzonte.
«Che spettacolo!» si trovò a commentare l’Alchimista di Fuoco, mentre si
avvicinava alla sua sottoposta, che aveva abbandonato la strada per
incamminarsi attraverso un campo incolto.
Lei semplicemente annuì, troppo presa dal sorgere del sole che iniziava un
nuovo giorno.
«Senta, Tenente Colonnello» disse, dopo aver sospirato e distogliendo lo
sguardo dal sole nascente. Il cielo ora era in quella fase d’intermezzo in cui
tutti i colori spariscono assorbiti da un bianco accecante. La quiete che si
faceva colore ed induceva alla riflessione. «Mi dispiace per il mio
comportamento. Sono stata sgarbata e l’ho trascinata qui senza motivo. E so di
essermi comportata in maniera strana. Questa non sono io. È una parte di me di
cui non vado particolarmente fiera. Tuttavia voglio anche ringraziarla per
avermi fatto compagnia».
«Non hai motivo di scusarti. Io sono strano trecentosessantacinque giorni
all’anno e tu mi sopporti comunque. Ti è concesso una volta ogni tanto di darti
alle stravaganze. Inoltre mi hai mostrato un lato di Riza Hawkeye che andrebbe
approfondito!».
«Non ci conti più di tanto, Tenente Colonnello».
Com’era d’aspettarsi aveva ricacciato in profondità il suo lato più
fanciullesco e scherzoso. Ma alla fin fine a Roy non era mai dispiaciuta la
Riza fredda e distaccata. Anzi, un po’ si era preoccupato a vederla così…
strana. Per un millesimo di secondo aveva persino pensato che avesse bevuto. Ma
aveva rifiutato subito un tale pensiero.
Entrambi ritornarono a guardare il cielo, ormai non più bianco, ma sempre
più rosa. L’alba stava lasciando lo spazio all’aurora dalle dita rosate.
«Ah! L’ora degli amanti!» commentò Roy in sovrappensiero.
«L’ora degli amanti?».
«Ma certo. L’ora degli amanti». E davanti allo sguardo confuso di Riza
aggiunse «Andiamo! Con tutti i romanzi d’amore che hai letto- e scommetto
continui a leggere-, non sai che l’aurora è l’ora degli amanti? Il momento in cui
ci si divide? In cui ognuno riprende le file della proprio vita e ritorna alla
routine quotidiana?».
«Ma lei… Come… ?». era rimasta senza
parole.
«Diciamo che capitava che mentre
studiavo cerchi alchemici e formule, di tanto in tanto mi annoiassi e quindi distrarsi
era piuttosto facile. Così, ogni tanto, ti spiavo mentre leggevi. Era una
piacevole distrazione, ad essere onesti». Sorrise ai ricordi di una Riza
ragazzina, accucciata nella poltrona del salotto, con un libro posato sulle gambe.
Quanto gli piaceva vedere le espressioni che assumeva leggendo: le sopracciglia
leggermente corrucciate, segno che era concentrata su un passaggio
particolarmente drammatico, oppure quel lieve sorriso, con un angolo della
bocca più sollevato rispetto all’altro, sicuramente in corrispondenza di una
dichiarazione d’amore da parte del protagonista. Ma ciò che più gli piaceva,
era quando lei si mordicchiava leggermente il labbro inferiore, completamente
catturata dalla storia.
«Dovrei sentirmi lusingata?» domandò
leggermente imbarazzata. Le sue gote si erano colorate della stessa tonalità di
rosa carico che aveva assunto il cielo, ora che il sole stava definitivamente
per sorgere.
«Solo se lo desideri».
Poco lontano un’allodola fece sentire
il suo canto, segno che il giorno era sempre più vicino. Ed anche la lieve
bruma che li avvolgeva si stava rapidamente dissolvendo. Mentre sulla rada
erbetta e sulle foglie di un albero vicino cominciavano ad intravvedersi le
prime gocce di rugiada.
Spinto da quell’atmosfera che aveva un
che di idilliaco, Roy parlò di nuovo, anzi mormorò, timoroso di esser sentito
per davvero dalla sua accompagnatrice. «Posso baciarti?».
Non ne capiva bene il motivo, ma osservando quel paesaggio, complici
probabilmente anche tutti i ricordi legati a quella donna che l’avevano
accompagnato durante tutta la notte, aveva sentito il desiderio di baciarla,
senza scabrosi doppi fini.
Spaesata Riza rispose «Come, prego?».
Lui ripeté la sua domanda con leggerezza, come se si trattasse di una
richiesta assolutamente innocente, ma con un tono più alto. «Posso baciarti?».
«Perché?».
Cosa rispondere a quel maledetto bisillabo? Ecco. Ora avrebbe voluto
sotterrarsi. «Beh, perché… quando ci si sente legati in modo particolare ad una
persona, magari si vuole esprimere il proprio attaccamento, la proprio
gratitudine…».
Ma Riza questo già lo sapeva. In fondo, non era ciò che provava anche lei?
«Non intendevo sapere il motivo per cui vuole baciarmi, ma perché chiede il
permesso. Lo domanda anche a tutte le altre? Io credo di no».
Ora fu il turno di Roy di sentirsi spaesato. «No. Però con te è diverso. Tu
sei diversa. E se ti avessi semplicemente baciato poi tu di sicuro mi avresti
preso a schiaffi…».
Voleva aggiungere altro, tanto ormai la sua occasione di baciarla era
miseramente sfumata, ma nuovamente fu interrotto. Ma non da un commento tagliente
del suo Sottotenente, bensì dalle mani fredde di Riza che gli avevano afferrato
il volto, dagli occhi cristallini di Riza che lo stavano scrutando nella
profondità della sua anima, ma soprattutto dalle labbra calde di Riza che si
erano posate morbide sulle sue, in un dolce bacio.
La verità era che Roy Mustang aveva sempre agognato quelle labbra, fin dal
momento in cui l’aveva vista scendere le scale di casa Hawkeye per dargli il
benvenuto.
Persino nel deserto avrebbe venduto la sua anima per assaggiare quella
bocca screpolata dal vento e dalla sabbia.
Questo perché lui aveva sete solo dei suo baci, come terra deserta.
Incredibile a dirsi, era la prima volta che veniva baciato da una donna.
Solitamente era lui che prendeva l’iniziativa. Ma in questo caso si trattava di
Riza, non una qualsiasi.
E sebbene quello fosse stato il bacio più casto mai scambiato, per lui fu
il più bello, perché inatteso, perché desiderato a lungo e pazientemente
aspettato.
Quando si staccarono, le mani di Riza rimasero sul volto dell’uomo che le
stava davanti. Lui avrebbe voluto mettersi a saltellare e strillare come una
ragazzina alla prima cotta, ma invece mantenne il controllo e parlò per primo.
«Non hai intenzione di schiaffeggiarmi, vero?».
Si diede dell’idiota. Con tutte le frasi romantiche preconfezionate che
poteva dire, proprio un’idiozia del genere? Ma la colpa era tutta del
Sottotenente, che l’aveva completamente ammaliato, facendogli perdere il lume
della ragione.
Riza rise lievemente. «Solo se lo desidera».
«No. Sai cosa desidero adesso? Baciarti».
E questa volta fu lui a posare le sue labbra su quelle della donna. E ben
presto la dolcezza che aveva caratterizzato il primo bacio fu sostituita dalla
passione.
Rimasero così, sospesi in un limbo privato, fino a quando il rosa del cielo
non si fu tramutato in oro.
La luce del giorno era arrivata,
rovinando l’attimo perfetto. Lui aveva ragione: l’aurora è l’ora degli amanti.
Ora si sarebbero divisi e sarebbero tornati ai loro posti. L’incantesimo era
finito.
Era anche vero che loro due non erano
amanti. Loro erano… Cos’erano in realtà? Colleghi? Amici? Commilitoni?
Avrebbero dovuto inventare una parola nuova ed un sentimento nuovo per riuscire
a darsi una connotazione precisa.
E lei era stata per lui come la pioggia
della notte addietro. Aveva lavato via i residui della guerra; aveva fatto
affiorare la pace nel suo cuore, anche se per pochi attimi.
Si sorrisero, questa volta complici,
mentre il sole che spuntava dalle colline in lontananza li costringeva a
chiudere gli occhi, per via del riverbero.
Tutto sembrava al posto giusto, per una
volta nelle loro vite. O almeno così fu finché il Tenente Colonnello non
starnutì rumorosamente.
«Sarebbe stato meglio non lasciare la
giacca in macchina, signore» gli fece notare Riza, che lui teneva intrappolata
tra le sue braccia.
«Credo che tu abbia ragione». Un altro
starnuto.
«Venga. Torniamo in città. Conosco un
rimedio perfetto per il raffreddore».
«Spero tu non voglia propugnarmi quello
schifo di tisana alle erbe misteriose!» replicò indispettito mentre le
afferrava la mano ed intrecciava le dita alle sue.
«È un toccasana, guarirà in meno di un
minuto».
«Ma ha un sapore pessimo!».
«Non faccia il bambino!».
Sì. Tutto stava tornando alla
normalità.
Camminarono mano nella mano immersi nell’oro
del primo mattino, fino a quando i profili della città non divennero più
nitidi. Allora riassunsero il ruolo di Tenente Colonnello e di Sottotenente.
Nulla era mutato, ad esclusione della nuova consapevolezza con cui ora entrambi
si sarebbero trovati a convivere. La consapevolezza di un sentimento nuovo ed
usuale al tempo stesso, bianco di purezza, rosa come l’infinito affetto che li
legava e d’oro, perché prezioso come quel metallo.
Note:
Lo so che avevo detto che avrei aggiornato dopo cinque giorni, ma ieri
mi sono stati dati i giudizi e sono troppo felice. Inoltre solo per la
prima parte ho già ricevuto quattro recensioni, quindi vi faccio
questo regalo!
Questo è il vero centro della storia, che può essere
vista come un climax ascendente. In difinitiva la parte 1 prepara il
terreno per questa parte 2. Il mio terrore era di rendere i personaggi
troppo OOC. Penso che i colori, richiesti dal tema del contest, qui
siano espressi in maniera più chiara, proprio perché il
capitolo è più chiaro, non solo a livello di contenuto,
ma proprio a livello di ambientazione. Tutto diventa molto più
luminoso. In realtà ero partita con l'idea di scrivere solo
questo pezzo per il contest, di fare cioè una one-shot, poi
però, (io e la coerenza siamo migliore amiche, se non si fosse
capito!), ho voluto aggiungere ed allargare, giusto per far risaltare
la luminosità di questa parte, rispetto alla precedente. Infatti
la scintilla d'ispirazione viene proprio da un verso omerico, che qui
ho più o meno liberamente riportato, cioè "l'aurora dalle
dita rosate", o, come si legge nel testo greco "Eos rodidaktilos". Da
qui tutti i viaggi metali sulle divinià protolimpiche legate ai
vari momenti della giornata che poi ritrovate nei titoli. Ma non vi
tedio oltre con le mie pippe e fisse... sappiate solo che la mia mamma,
(mia navigata ed insostituibile consigliera -Mimi, I love you!), si
è commossa durante la lettura di questa parte e le mie amiche,
costrette loro malgrado a leggere la fic, anche se non conoscevano
storia e personaggi, ne sono rimaste innamorate. Ora, io non pretendo
tanto da voi, ma spero solo di aver almeno strappato un mezzosorriso, o
comunque di essere riuscita a comunicare, almeno in parte, il mio amore
per il RoyAi. E prima di andarmene, volevo anche ricordare che tutto
è nato sotto le note della sesta sinfonia di Beethoven, la
Pastorale, come anche parte dell'ispirazione, per la scelta dei
colori e di dividere nelle varie fasi di una giornata, più il
temporale improvviso che viene dalla visione della versione animata in
Fantasia di Walt Disney del 1940. E stavo dimenticando che
c'è un lievissimo riferimento a Romeo e Giulietta di
Shakespeare, e più precisamente all'addio tra i due amanti. E
comunque la storia non è finita, per quanto possa sembrare!