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Autore: Ella_Sella_Lella    14/06/2011    2 recensioni
Lui ruba cibo dai supermaket e le macchine alle file della spesa.
Lei fa l'auto stop con una brosa piena di bottiglie.
Hanno qualcosa in comune: Una famiglia disastrata e sono semidei.
Per non parlare che sono braccati da mostri ( e spesso polizia).
Thalia e Luke.
Il loro incotro (A modo mio)
Buona lettura
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Pandora

Titolo:  L’incontro
Titolo del Capitolo: L’età giusta per scappare qual è?
Fandom: Percy Jackson
Personaggi: Luke Castellan, Thalia Grace
Genere: Introspettivo
Rating: Verde
Avvertimenti: One-shot. What if. Missing Moment
Conteggio Parole:
Note: 1. Pur troppo non è betata

2. Questa storia non è una Thake, sono semplicemente Thalia e Luke

3. Non mi piace affatto …  Fino a metà è leggibile, ma poi

4. Il finale fa pena

5. Luke avrebbe 12-13 anni e Thalia 10-11, esattamente non so quanti anni avessero quando si sono conosciuti

6. Non siate crudeli nei commenti …

Buona Lettura

L’Incontro

Riuscire a sfilare le chiavi dalla tasca di un uomo alla fila della spesa, con il pane nascosto sotto la felpa assieme agli insaccati nei pantaloni, era un impresa che solo un figlio di Ermes poteva compiere e la sua fortuna era che lui lo era, anche se non lo sapeva. Sfilato le chiavi, era scivolato fuori senza far scattare l’allarme del supermercato, aveva trovato la macchina, una mustang sgangherata, c’era salito, posando i viveri sul posto accanto al conducente ed era scappato via.

Non era la prima volta che rubava un auto e cibo. Ormai era diventata un’abitudine da quando era scappato di casa, perché sua madre ormai aveva dato di matto. Aveva imparato tutti i trucchi, prendere stradine secondarie, perché un ragazzino che guidava un auto dava nell’occhio,  particolarmente se l’auto in questione era rubata.

Si trovava lungo una di quelle sferrate strade di campagna che non crederesti mai di trovare in America, quando l’aveva vista sul ciglio di una strada, seduta su uno zaino malconcio, con il braccio steso ed il pollice in su, ai piedi delle sue scarpe c’erano alcune bottiglie vuote e non sembravano di coca cola. Massimo poteva avere la sua età, non di più. Una ragazzina sul ciglio di una strada di campagna che faceva l’autostop.

Probabilmente, se avesse avuto più sale in zucca, non si sarebbe fermato, rischiando di trascinare quella ragazzina i una folle fuga dai mostri che lo inseguivano. Si accostò ed abbassò il finestrino, sbilanciandosi parecchio, “Dove vai?” chiese lui, “Non importa” rispose la ragazza, alzandosi dal suo borsone, lui annui e la invitò ad entrare, buttò il cibo sui sedili di dietro, la ragazza si issò sul sedile, buttando la borsa sui piedi, richiuse lo sportello con forza.

Lui la guardò e si perse nell’ammirarla, aveva gli occhi blu elettrici, i capelli nerissimi e le lentiggini sul piccolo naso, era davvero bellissima. “Ragazzino parti?” chiese abbastanza nervosa, lui annuì e riparti. La ragazzina non chiese niente, non si informò sul perché un ragazzino della sua età possedesse una macchina, sperò solo fosse qualcuno come lei, che trovava più facile scappare.

Solo dopo qualche ora gli fece qualche domanda. “Dove andiamo?”, il ragazzino alzò e le spalle, continuando imperterrito ad andare dritto per la strada, lei cominciò a scrutarlo, capelli d’oro ed occhi chiari, con dei tratti elfici, era carini e si ritrovò a sperare non fosse un orribile mostro.  Avrebbe voluto chiedergli anche perché guidava una macchina e perché anche lui andava via, ma non le era sembrato giusto, lui non l’aveva chiesto e lei preferì tacere.

Si era formato un certo silenzio e non gli sarebbe dispiaciuto, se un posto di blocco in lontananza della polizia non l’avesse messo in allarme. “La polizia!” urlò, accostando in mezzo a quella strada, la ragazzina sembrò capire, forse non sapeva se l’auto era sua o meno, ma immaginava che un ragazzino di undici anni che guidasse non era molto normale. “Quest’auto è rubata, tu continua con l’autostop se vuoi!” esclamò lui, aprendo lo sportello lei gli prese il braccio, “Sicuramente sono tra le ragazze scomparse” rispose, con un sorriso malinconico o forse non lo era, forse sua madre era così sbronza che non si era neanche accorta che lei era andata via, lui sorrise, ripresero le loro cose e abbandonarono la macchina lì. Passarono per i campi, con il cibo, la borsa che tintinnava per le bottiglie di vetro all’interno e le scarpe da ginnastica in mano, i piedi nudi immersi nella terra.

Avevano camminato per molte ore, poi avevano trovato un vecchio fienile, vicino ad una casetta, abitata da una famigliola felice, si erano infilati lì e si erano rintanati tra la paglia. “Che onore nauseante!” biascicò lui, sentendo l’odore del bestiame in ogni stadio della vita, “Direi che va benissimo” esclamò lei, che con l’odore nauseabondo andava a nozze, più era forte più lei era al sicuro. Aveva aperto la borsa ed estrato una bottiglia di vetro con un liquido trasparente, che sembrava acqua, ma l’odore era più forte e pungente, alchool, vodka. “Dove l’hai presa?” chiese lui, lei sorrise, la stappò e poi la trangugiò come se fosse un’assetata bambina del terzo mondo, “Mia madre è un’ubriacona” rispose solamente, stenosi nella paglia e stiracchiandosi. Lui si stese accanto a lei.

Durante la notte si erano ritrovati appiccicati e quando si erano svegliati, prima che il sole sorgesse, perché potessero andare via prima, si erano ritrovati molto in imbarazzo. Ripresero i viveri, ma lei dopo aver vomitato la vodka che aveva bevuto tutta la notte, abbandonò il resto delle bottiglie lì, con l’eccezione di una di un colorito rosato, del quale lui non chiese nulla. “Me ne sono andata perché ormai non avevo più una madre … Avevo solo queste” rispose, riferendosi che ormai sua madre ne era schiava, molto più di lei, e assieme a questo, in quella casa si aggirava un vuoto con i capelli biondi e gli occhi chiari, Jason che non c’era più. Gli occhi le luccicarono al solo pensiero, “Tuo padre?” chiese lui curioso, lei sorrise, avrebbe voluto stappare la bottiglia e berla, suo padre amava lei e Jason ed anche se era ancora piccola ricordava bene quanto si prendesse cura di lei, quand’era Giove ovviamente e non Zeus, caso volesse che Jason fosse figlio di Giove e lei figlia di Zeus, ma ricordava vividamente il giorno in cui era andato via per non tornare mai più, “Mia madre l’ha fatto scappare” scrutando con attenzione il liquido nella bottiglia, “Tu?” chiese.

“Oh be … Di mio padre non ne ho visto mai neanche l’ombra in nove anni e qualche anno fa mia madre ha dato fuori di brocca” rispose lui, non specificando in che modo, che a causa di quale assurda maledizione si fosse ritrovato una pazza preveggente come madre che desiderava essere l’Oracolo, un tizio implicato in non si sa quale maledizione. A lei sembrò così giù, che gli allungò la bottiglia, ma il ragazzo elfo declinò. Mai perdere il controllo, si ripeté a mente. Continuarono a camminare lungo i campi, prima di ritrovare una stradina che non era neanche asfaltata, si fermarono lì vicino, mangiarono e si rinfilarono le scarpe, lei aveva i piedi completamente massacrati ma non provava dolore.

Una macchina si fermò e ne scese un uomo, “Eccovi” mormorò un uomo con una voce canuta, era veramente inquietante ed anche se inconsapevole l’uno dell’altro i due aveva compreso la stessa cosa, era davvero inquietante quell’uomo, “Eccoci?” mormorò lui, l’uomo sorriso, scoprendo i denti appunta, sembravano quasi canini, “Piccoli mezzosangue” la sua voce sembrava quasi  sdoppiata, i due non avevano fatto caso al plurale ma si erano alzati ed avevano afferrato contemporaneamente le loro mani, quando l’uomo sembrava fatto di plastilina modellabile, perché stava improvvisamente mutando, la testa si era spezzata, allungandosi come due musi di cane,  cani rabbiosi, il corpo si era ricoperto di peli e la spina dorsale si era allungata, formandosi come una coda, che si era rivelata un sibilante serpente.  Adesso davanti a loro c’era un enorme case bicefalo, con una coda di serpente che ringhiava, “Un ortro!” urlò la ragazzina, senza badare al fatto che il ragazzino non si era stupito di vedere una tale bestia, al contrario dell’altro che si era chiesto perché lei non si fosse stupità.

Presero a correre inseguiti dalla bestia. Non avevano armi, lei gli lanciò la bottiglia d’alcool i faccia, si spaccò su un muso, inondando anche l’altro con l’odore acro e infastidendo gli occhi, “Brava!” urlò lui, ma la ragazza accelero la corsa, “Abbiamo guadagnato un po’” urlò, ma non sapevano come fare, non c’era un bosco, non c’era un nascondiglio, solo erba incolta o campi. Avevano continuato a correre senza fermarsi, lui non sapeva neanche che fare, poi l’aveva vista, strizzare forte gli occhi, “Zesu, ti prego, aiutami!” e gli sembrò strano che una mortale invocasse il padre degli dei, ma questi gli ascoltò. Non seppero mai ne come ne perché, ma riuscirono a scappare da quell’ortro.

“Sei una semidea anche tu?” chiese il ragazzo, dopo che ripresero fiato, dopo la lunga, “Che significa anche tu?” implicitamente era una risposta, dopo averlo detto, si sentì tremendamente stupida.  Si lasciò cadere accanto a lui, “Che facciamo?” chiese il ragazzo, passandosi una mano sui capelli biondi, “Continuammo a vagabondare senza metta” biascicò lei, il ragazzo Elfo sorrise, “Sperando di non finire sbranati dai mostri” aveva detto lei, passandosi una mano sui capelli neri, “Sono certa che in due possiamo sopravvivere” aveva esclamato il biondo, prendendo a bracciato la ragazza, che spaesata buttò la testa sulla spalla dell’altro semidio. “Pensi esista un posto per le persone come noi?” chiese il ragazzo elfo, chiedendosi se dovesse o meno accarezzare la testa di quella ragazza, alla fine non lo fece, “No, non credo. Chi mai penserebbe a noi” rispose lei, lasciandosi scivolare per terra, mentre riprendeva fiato, ma lui era più fiducioso, lui sapeva che quel viaggio gli avrebbe portati da qualche parte, ne era certo.

“Ci pensi che sono due giorni che viaggiamo insieme e non ci siamo ancora presentati?” disse il ragazzino, sedendosi accanto a lei, lì all’ombra di quell’albero, lei curvò le labbra in un sorriso, trovando la cosa divertente, “Dunque, mia nuova compagna di viaggio, io sono Luke Castellan figlio di qualche dio sconosciuto”  aveva detto il ragazzo elfo, allungando una mano verso  la ragazza, che l’aveva stretta, “Thalia Grace” rispose, dopo un sospiro aveva aggiunto: “Figlia di Zeus”, “Niente di meno” aveva imbeccato Luke, guadagnandosi da Thalia una gomitata in pieno sterno.

Erano rimasti all’ombra di quell’albero poco, si erano alzati ed erano andati per la loro strada, per finire quel viaggio ed incappare in mille avventure, alimentati dall’assoluta convinzione che si erano incontrati per una ragione e chi non si sarebbero lasciati mai.

Non potevano però sapere quanto drasticamente le loro via si sarebbero divise.

Però allora mentre cercavano la via per il resto della loro vita, erano certi che insieme sarebbe arrivati lontani.

Ovunque era il loro destino.

Luke che scappava rubando auto e cibo e Thalia che scappava con le bottiglie d’alcool ed era perseguitata da un fantasma.

 


   
 
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