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Autore: a Game of Shadows    18/06/2011    4 recensioni
Il principe Edoardo, erede al trono d’Inghilterra, era uno dei figli prediletti della Regina Vittoria. Per motivi burocratici, ciò che comportò la morte della sua povera madre fu insabbiato e sostituito con la ormai celebre versione della sua dipartita del 22 gennaio 1901 a Osborne House all’Isola di Wight. Nessuno, chissà perché, si è mai chiesto perché si dicesse che la Regina fosse ancora sull’isola alla fine di Gennaio quando solitamente passava in quell’abitazione solo le vacanze di Natale.
Genere: Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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IV. Under Pressure.
Tornammo a casa poco dopo.
Durante tutto il tragitto in carrozza, Holmes era rimasto in silenzio con lo sguardo fisso fuori dal finestrino, la testa appoggiata pigramente sulla pugno. Avevo provato a più riprese a dare il via a una conversazione su qualunque argomento credevo potesse interessargli, dalla stupidità di Scotland Yard alla partita di rugby della sera prima, ma m’ignorava o rispondeva a monosillabi. Suppongo fosse normale, vista la portata del caso che aveva per le mani, ma devo ammettere che ci rimasi un po’ male quando mi vidi ignorato in quel modo.
In realtà ero preoccupato anche per il suo pallore; da quando lo avevo trovato a Baker Street dopo le mie solite visite non si era totalmente ripreso, la sua salute sembrava sul punto di crollare e lo stress causato da un caso così importate rischiava di contribuire in modo negativo. Le sue difese immunitarie erano già indebolite dalle droghe che era solito assumere e la pressione che questo caso poteva procurargli avrebbe potuto facilmente portarlo a un crollo fisico.
Non dubito affatto che si sentisse profondamente onorato per l’incarico avuto, senza dubbio il più importante della sua carriera e la lusinga che poteva portare essere considerato all’altezza di quella particolare situazione era tanta, ma Holmes, che lo accettasse o continuasse a rifiutarsi di farlo, era umano. E gli uomini cadono ogni tanto.
Appena arrivammo a Baker Street, Holmes salì fino ai nostri appartamenti senza dire una parola, ignorando ancora una volta il saluto di Mrs. Hudson, la quale non vi dette molto peso, come al solito, ma lei mi fermò prima che potessi seguirlo di sopra.
“Cosa è successo?” mi chiese.
Sapevo che non le piaceva il modo in cui Holmes conduceva la sua vita, ma alla fine si era affezionata ed anche lei doveva aver notato quanto fosse pallido.
“Non lo so” mentii, ricordandomi che avevamo promesso di non parlare a nessuno di questo caso. “Ci venga a chiamare per la cena” chiesi.
Mi lasciò andare e raggiunsi Holmes di sopra.
Abbandonò il cappello e il cappotto sullo schienale della poltrona, sulla quale poi si sedette, cercando di nascondere il suo lieve barcollare.
Accavallò elegantemente le gambe, per poi appoggiare i gomiti sui braccioli, le punte delle dita giunte e lo sguardo perso nel vuoto, l’espressione concentrata.
Anch’io mi tolsi il cappello e il cappotto, riponendoli poi nel legittimo posto e sedermi nella poltrona vicino alla sua, aspettando che dicesse qualcosa. Non mi azzardai neanche a prendere il giornale o un libro, sapevo benissimo che, appena lo avessi fatto, avrebbe immediatamente interrotto la mia lettura per il semplice gusto di farlo.
Rimase a lungo in quella posizione, a mala pena sbatteva le palpebre, probabilmente cercando di sfruttare ogni singola goccia della sua non trascurabile esperienza (tra i casi da me documentati, fino a quel momento ne avevamo seguiti insieme più di trenta) per riuscire a risolvere questo mistero in fretta, in modo da sbarazzarsi velocemente di questo peso inevitabile.
Ma, aimè, è difetto dell’uomo che le cose gli vengano fatte male se fatte di fretta e questo sembrò far crollare a picco le sue condizioni psichiche da lì a poco.
“Devo ammettere, Watson” interruppe poi il silenzio “che non so come reagire davanti a questo caso. E’ una questione importate e un eventuale fallimento potrebbe comportare disastrose conseguenze a livello mondiale” confessò.
Parlando, si era tolto anche il gilet, lanciandolo poi malamente sulla pelle di tigre sul pavimento e aveva arrotolato le maniche della camicia fino ai gomiti come se, in quella temperatura glaciale, sentisse invece caldo.
Come medico e come amico, mi preoccupai bene di osservarlo per capire quali fossero le sue vere condizioni, perché era certo come il sole che sorge al mattino che se si fosse sentito male, soprattutto se durante un’indagine, non me l’avrebbe detto.
“Non ha mai fallito prima, Holmes. Senza dubbio il suo immenso ego le impedirà di fallire in un caso così importante” risposi, in un vago tentativo di rassicurarlo.
In realtà, trovarmi in quella situazione comportava, per me, molte difficoltà; Sherlock Holmes non era il genere di persona che aveva mai avuto bisogno di conforto o rassicurazioni. Sarei stato in grado di confortare chiunque, ero pur sempre un medico, ma con lui non sapevo come comportarmi.
La mia attenzione, comunque, era dedicata molto più ai suoi movimenti che alle sue parole; il suo continuo agitarsi sulla poltrona, gli occhi che sembravano volessero chiudersi da soli, la pelle imperlata di sudore nonostante fossimo a fine gennaio.
“C’è sempre una prima volta. E se fosse questa, non oso immaginare quali sarebbero le conseguenze… Watson, che sta facendo?” aggiunse poi, quando mi sporsi verso la sua poltrona e, afferratogli un braccio, avevo posto due dita sul suo polso per sentirne il battito.
“Stia in silenzio”
Il battito del suo cuore era accelerato, poteva essere uno dei sintomi dell’influenza, ma poteva essere causato da molti motivi, come anche l’agitazione per via dello stress.
Gli lasciai il polso e mi avvicinai alla sua poltrona. Per quanto sembrasse reticente alla mia vicinanza, non si scostò, né mosse un solo muscolo. Il suo sguardo era fisso nel mio anche quando mi inginocchiai a terra per raggiungere la sua altezza e posai una mano sulla sua fronte ed una sulla mia per comparare le temperature.
“Lei ha la febbre, Holmes” costatai.
“Sto benissimo”
“Non si comporti come un bambino! Negare di avere la febbre di certo non gliela farà passare!”
“Non credo passerebbe neanche se lo ammettessi”
“Quindi lo ammette”
“Non ho fatto un bel niente!”
Sbuffai e mi rialzai, ritirando la mia mano. Cercare di discutere con lui si dimostrava ogni giorno sempre più inutile, gli spettava sempre e comunque l’ultima parola, a prescindere da quale fosse l’argomento di discussione.
“Holmes, si riposi” tentai ancora.
“Certo, ho il tempo di riposarmi. Ci pensa lei alle indagini sulla morte della Regina?” chiese, sarcastico.
Lo detestavo quando si comportava così anche se, in fondo, mi piaceva prendermi cura di lui; mi dava un certo senso di esclusività, sapevo che non avrebbe permesso a nessun altro di vederlo febbricitante e pieno di dubbi come in quel momento, mi faceva credere che s fidasse davvero solo di me. Forse era davvero così.
“Holmes-“
“Il ragazzo!” scattò in piedi.
Preso da un momentaneo spavento dovuto al suo scatto, mi alzai velocemente e feci un passo indietro, costringendo la mia gamba a lamentarsene.
Lo guardai, confuso, chiedendomi di cosa stesse parlando.
Dovette interpretare la mia espressione come quella stessa domanda, perché rispose.
“Il ragazzo che era con la principessa Alice! Non abbiamo chiesto di lui, non abbiamo parlato con lei-“
“Holmes!”
Mi avvicinai di nuovo e gli coprii la bocca con una mano. Normalmente non mi sarei mai permesso né di avvicinarmi tanto a lui né avrei azzardato un contatto fisico così improvvisamente essendo io bene a conoscenza delle sue capacità fisiche, dunque non so cosa mi spinse, in quel momento, a comportarmi in tale modo.
Lui non reagì come mi aspettavo, però. Se aggredito improvvisamente – perché sì, da certi punti di vista la mia poteva essere considerata un’aggressione – solitamente Holmes reagiva d’istinto, attaccando la parte del corpo dell’avversario entrata in contatto con lui, mentre in quel momento sembrava del tutto paralizzato. Mi fissava con gli occhi spalancati fissi nei miei, senza ribellarsi in nessun modo, al contrario di qualunque mia previsione, quasi come se fosse stato spaventato dalla mia azione.
“Stia calmo. Lei è umano, è normale che sbagli ogni tanto. E questo non è neanche un errore, può informarsi su chi fosse quel ragazzo anche domai quando torneremo” cercai di tranquillizzarlo, sfruttando anche il tono di voce.
Quando mi sembrò che si fosse appena un po’ rilassato, spostai la mano dalla sua bocca e la posai sulla sua spalla.
“Non avrei dovuto avere una dimenticanza simile, soprattutto non con un caso del genere… sto perdendo colpi, forse dovrei ritirarmi-“ abbassò lo sguardo in quello che quasi mi sembrò imbarazzo.
“Non dica stupidaggini. Non ha idea di quanto sarebbe più difficile vivere a Londra se non ci fosse lei come detective. Il corpo invecchia, la mente no”
Rialzò lo sguardo sul mio, gli occhi illuminati di qualcosa che sembrava molto simile a gratitudine. Se non si fosse trattato di Sherlock Holmes ne sarei stato certo. Mi sembrò addirittura di vederlo sillabare un grazie, perché della voce non so cosa ne avesse fatto.
Senza rendermene neanche conto, ritrovai il mio sguardo fisso sulle sue labbra socchiuse e il mio corpo che, istintivamente, si avvicinava al suo.
Non avevo mai voluto baciare qualcuno come in quel momento e il mio buon senso che avrebbe dovuto impedirmi di farlo sembrava essere scomparso.
Deglutì rumorosamente ma non si allontanò; il suo respiro si azzerò del tutto, così come successe con il mio quando lo vidi chiudere gli occhi, in attesa.
Riuscivo a sentire il suo lieve respiro sulle labbra quando dei passi su per le scale ci spinsero ai lati opposti del salotto.
“Signori! E’ pronta la cena!”




[Nda]
Lo so, ho fatto aspettare un'immensità di tempo per nulla, praticamente. In realtà non posso neanche giustificarmi ._.

Quindi, boh, me ne vado così xD

   
 
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