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Autore: Nenredhel    20/06/2011    3 recensioni
Dean è tornato a Gran Burrone dopo più di dieci anni, ma molte cose stanno cambiando. Un destino nato da un passato di cui non conosceva nulla lo sta inseguendo, è tempo di affrontare il futuro e partire.
Crossover Il Signore degli Anelli/Supernatural, Terra di Mezzo!AU, Elf!Cas/Wanderer!Dean
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bobby, Castiel, Dean Winchester, Gabriel, John Winchester
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Middle Earth'
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Titolo: The old that is strong does not wither
Autore: Nenredhel
Fandom: Il Signore degli Anelli/Supernatural
Pairing: Terra di Mezzo!AU - elf!Castiel/wanderer!Dean, elf!Gabriel, elf!Balthazar, king!John, half-elf!Sam, half-elf!Lisa, wizard!Bobby
Rating: Pg
Chapter: 1/3
Beta: Venoka
Words: 4481
Note: Che dire? Spero ci sia qualcun altro, oltre a me, abbastanza pazzo da seguire questa storia "Winchester" ambientata nel più grande e meraviglioso mondo fantasy mai creato... Un GRAZIE enorme a chi deciderà non solo di leggere quello che la mia mente partorià, ma addirittura di farmi sapere cosa ne pensa.
Seguito di "All that is gold does not glitter" e "Not all those who wanders are lost"

 

*La più grande avventura giace davanti a te/oggi e domani sono storie non ancora narrate / i rischi, le scelte sono tutte tue da fare/ la forma della vita è nelle tue mani da modellare (la traduzione è mia, perdonate se è orribile)

Têiâr en Aran (Stirpe di Re)

"The greatest adventure is what lies ahead.

Today and tomorrow are yet to be said.

The chances, the changes are all yours to make.

The mold of your life is in your hands to break.” *
[J.R.R. Tolkien _ Lo Hobbit]

 

Dean sbatté le palpebre alle macchie di sole che gli colpivano gli occhi, scacciando il robusto sonno che lo aveva trasportato dolcemente attraverso le ore più buie della notte. Quando percepì l’erba soffice sotto la schiena nuda, corrugò la fronte, perplesso, ma gli bastarono pochi secondi e la sensazione di un corpo tiepido contro il fianco, a riportare alla mente ogni cosa. I suoi occhi appena socchiusi gli portarono l’immagine di tenere foglie verdi baciate dai pallidi raggi del primo sole del mattino, mentre non molto lontano sentiva l’allegro cantare della modesta cascata, con cui il torrente si gettava nel piccolo laghetto accanto cui erano sdraiati. Se ascoltava con attenzione, gli sembrava quasi di poter vedere gli allegri spruzzi riflettere la luce come piccoli diamanti, formando minuscoli arcobaleni vicino alla superficie del lago.

Solo poca stoffa della sua leggera tunica rossa gli copriva appena le gambe, ma l’aria primaverile era tiepida e piacevole, e la sensazione del corpo nudo del compagno su di sé era molto più gradevole della più preziosa delle sete. Poteva sentirlo respirare piano contro le proprie costole, e la sua pelle era tiepida e liscia come quella di un bambino, sebbene fosse molto più antica della sua. Si sorprese a sincronizzare il ritmo del proprio respiro con il suo, e per un secondo si sentì uno sciocco, mentre si domandava se anche i loro cuori stessero battendo con lo stesso passo.

Infine, si convinse ad aprire del tutto gli occhi, voltando il capo per rifuggire la luce diretta del sole mattutino e poter guardare finalmente il viso dell’Elfo steso accanto a lui. Aveva sperato di vedere le sue palpebre abbassate e il suo viso rilassato in uno dei rari e preziosi sonni degli Elfi, così si sorprese quando incontrò il blu intenso degli occhi spalancati e desti di Castiel.

“Mi stavi fissando mentre dormivo?” chiese, cercando di mantenere un’espressione seria e quasi offesa, mentre faceva scorrere distrattamente la punta delle dita sulla sua schiena.

L’Elfo annuì lentamente, senza dare segno di trovare nulla di strano nel fatto di osservare qualcuno addormentato.

“E’ inquietante” ribatté Dean sbuffando appena, e tornò a rivolgere gli occhi al cielo azzurro, appena percepibile oltre il mosaico verde delle fronde, sopra di loro.

“Perché? Lo faccio da quando eri bambino. Gli Elfi hanno meno bisogno di dormire, lo sai” replicò Castiel, corrugando la fronte in un’espressione perplessa.

“Questo non lo rende meno inquietante” e in effetti, ora che l’Elfo gli aveva ricordato tutte le volte che avevano dormito insieme quando lui era solo un fanciullo, Dean si sentiva improvvisamente a disagio. Questo Elfo lo aveva tenuto in braccio, lo aveva cullato quando era poco più che un infante, e gli aveva insegnato a non temere gli incubi notturni proprio tenendolo tra le braccia per cento e cento notti, mentre ora… ora il suo abbraccio significava per lui ancora protezione ed affetto, ma anche così tanto di più da fare paura.

Malgrado il pensiero di quanto assurdo potesse essere il loro legame, non appena si voltò, trovandosi davanti la fronte corrugata e la testa leggermente piegata di lato di una delle espressioni più tipiche di Castiel, scoppiò semplicemente a ridere, e afferrando l’Elfo per la nuca, si allungò per posare le proprie labbra sulle sue. Era naturale come respirare: per quanto potesse apparire strano, non poteva essere che così.

“Dean” lo richiamò l’Elfo, allontanandosi da lui dopo un breve contatto “E’ meglio tornare al palazzo” il suo volto si era fatto serio ed accigliato, e Dean si lasciò ricadere sull’erba, guardandolo preoccupato.

Aveva creduto che quella notte avessero messo tutto a posto, che tutto fosse tornato a quando lui non aveva ancora fatto la stupidaggine di partire e stare lontano per così tanti anni, ma evidentemente si era sbagliato, o forse gli era sfuggito qualcosa. Lo osservò raccogliere i propri abiti e vestirsi, gustando in silenzio lo spettacolo della sua pelle chiara che spariva sotto le raffinate stoffe dei suoi abiti scuri, ma la sua mente non smetteva di pensare e ripensare a tutta quella situazione. La sera precedente, aveva creduto che Castiel non volesse avere più nulla a che fare con lui, forse per ripagarlo della sofferenza che lui gli aveva inferto partendo, forse per il timore del dolore che avrebbe dovuto affrontare nel futuro, se avesse davvero ceduto a questo sentimento. Ma ora, questi motivi gli sembravano sciocchi, futili. Castiel lo aveva pregato di non andare, quando lui era partito, così tanti anni prima: era davvero cambiato al punto da rinnegare tutto ciò che aveva detto? In fondo, dieci anni non erano che un battito di ciglia, nella lunga vita di un Elfo.

No, alla luce chiara del mattino, Dean non poteva crederci davvero. C’era qualcosa di più nell’espressione grave con cui Castiel lo aveva appena guardato, qualcosa che non voleva dirgli ma che lo tratteneva dal seguire i propri desideri. L’Elfo aveva parlato di destino, e in quel momento Dean aveva dato per scontato che parlasse della decisione di John di concedergli la mano di Lisa, eppure… ma quale poteva mai essere il destino di un semplice orfano?

“Preferirei restare qui con te tutto il giorno” replicò d’improvviso, sorridendo mentre scacciava quei pensieri inutili e ridondanti dalla propria testa e si metteva a sedere per circondare con un braccio il busto di Castiel, prima che lui potesse allontanarsi. Insinuò le dita sotto le falde ancora aperte della tunica, poggiando il palmo proprio dove batteva il suo cuore, mentre gli posava un bacio rapido sul collo.

“Non sei più un bambino, Dean” sussurrò l’Elfo, e l’uomo dietro di lui sentì la sua voce tremare distintamente mentre le con le labbra gli accarezzava la pelle “Sire John deve parlare con te”

“Bene” ribatté Dean con decisione, lasciandolo per recuperare a propria volta i vestiti “Perché anche io ho qualcosa da dirgli” il suo caratteristico sorriso furbo si allargò sulle sue labbra, mentre si sistemava sulle spalle la tunica rossa e cercava i pantaloni. Ma lo sguardo che Castiel gli rivolse, appena udì quelle parole, lo gelò sul posto.

Non c’era ombra di risata nei suoi occhi, solo preoccupazione e un sottofondo di sofferenza che non voleva mostrare. “Non fare lo sciocco. Ascolta le parole di sire John e ricorda che non è questo il momento di essere egoisti” disse, criptico, prima di alzarsi ed allontanarsi velocemente tra gli alberi, ignorando i richiami dell’uomo.

 

~~~

 

Malgrado ciò che Castiel gli aveva detto quella mattina, John non lo fece chiamare per tutto il giorno, né gli riuscì di incrociarlo in alcun modo per i corridoi di Imladris. Sembrava che ogni singolo Elfo del palazzo avesse mille impegni da assolvere, compreso Castiel, che era svanito con la bruma del mattino per non ricomparire più. Quando arrivò l’ora di pranzo, un giovane Elfo in livrea, che non aveva mai visto, si scusò con lui a nome del signore di Gran Burrone e gli disse che gli avrebbe portato alcune pietanze dalla cucina, in modo che potesse mangiare nelle sue stanze. Se non completamente assurdo, questo era quantomeno inconsueto, e ad ogni secondo di più Dean aveva l’impressione che stesse accadendo qualcosa che gli sfuggiva, qualcosa di molto grosso, e che lo avrebbe coinvolto da vicino.

Nel pomeriggio andò nuovamente a camminare negli splendidi giardini che circondavano il palazzo, sperando perlomeno di incontrare qualche Elfo che si addestrava con l’arco, o anche solo che meditava vicino ad un albero, come solevano fare i Primogeniti quando avevano bisogno di riposo. Una qualunque faccia amica sarebbe stata bene accetta, ma tutto quello che gli riuscì di trovare, non molto distante dalla piccola radura dove lui e Castiel erano solito rifugiarsi quando lui era un ragazzo, fu il principe Gabriel di Bosco Atro.

Immobile e poggiato ad un tronco, l’Elfo dava l’impressione di essere in paziente attesa di qualcuno. Non appena lo riconobbe, Dean ebbe l’impulso di cambiare strada, sperando che l’Elfo non lo avesse visto, o non facesse caso a lui, ma quando lo scorse staccarsi velocemente dalla betulla che gli stava offrendo riparo dal sole, per dirigersi incontro a lui, l’uomo si sorprese di constatare che il principe stava probabilmente aspettando proprio lui.

“Tu non hai proprio idea del perché sei qui, vero?” lo apostrofò senza troppi complimenti, il suo perenne sorriso asimmetrico incurvato in una smorfia che gli dava un’espressione a metà tra l’ironia ed il compatimento “Sei solo venuto a cercare di portarti via mio fratello una volta per tutte”

Dean odiava come i suoi due fratelli maggiori parlavano di Castiel: come se fosse un animaletto, sciocco ed ingenuo, in balia del mostro di turno, o peggio ancora, come se fosse una loro proprietà.

“Io non porto via nessuno, se andremo da qualche parte, sarà perché Castiel ha scelto così” ribatté duramente, incrociando le braccia al petto mentre lo fissava con aria di sfida.

“Già, peccato che qui non si tratti di Castiel, ma di te” replicò l’Elfo, scuotendo il capo come qualcuno stanco di dover spiegare a gente troppo stupida per poter capire “Quello sciocco di mio fratello ha già fatto la sua scelta molto tempo fa, probabilmente molto prima che perfino lui lo capisse, quando ancora ti faceva da balia asciutta” Dean strinse i denti a quella affermazione, cercando di trattenersi dal colpire il principe in pieno viso “Ma è pronto a tirarsi indietro, sta già cercando di farlo… perché adesso saranno le tue scelte a contare, Dean” Gabriel gli puntò un dito contro al petto, e per una volta nella sua vita non c’era ombra di sorriso sulle labbra “Che i Valar ci salvino” aggiunse infine, sospirando mentre fissava l’uomo dritto negli occhi verdi.

“Che cosa vuoi dire?” sbottò Dean, stanco di sentire tutti questi Elfi parlare alle sue spalle senza che lui potesse capire una sola parola di ciò che dicevano.

Dartha i cîn amarth. I amarth Ennor (E’ il tuo destino. Il destino della Terra di Mezzo)” rispose l’Elfo, la fronte corrugata in un’espressione grave che Dean stentava a riconoscere come sua.

L’uomo si sentì trafiggere dallo sguardo serio ed intento che gli occhi millenari di Gabriel stavano puntando su di lui, e un brivido di trepidazione gli percorse la spina dorsale quando sentì quelle parole, rese ancora più solenni dal suono arcano della lingua degli Eldar. Non capiva, non riusciva a capire cosa stesse cercando di dirgli l’Elfo, cosa anche Castiel avesse cercato di fargli capire, parlando del suo destino: come poteva il destino di un solo uomo, un uomo comune, un orfano, essere anche il destino dell’intera Terra di Mezzo? Forse questi quesiti colmi di timore si erano dipinti sul suo volto con evidenza, perché dopo poco Gabriel parlò di nuovo.

“Non sta a me parlarti di queste cose, Dean Nùmenoren (Dean di Nùmenor)” di nuovo, l’uomo si sentì rabbrividire nel sentir pronunciare l’appellativo con cui gli Elfi di Gran Burrone lo avevano sempre chiamato nelle situazioni più solenni. Non aveva mai veramente capito perché avessero iniziato a legare il suo nome alle antiche stirpi degli uomini di Nùmenor, ma aveva finito per pensare che fosse solamente perché, essendo cresciuto tra gli Eldar, egli somigliava loro molto più degli altri uomini, proprio com’era per quella antica e nobile stirpe. “Sire John ha convocato un consiglio, domani, alla terza ora dopo il sorgere del sole. Molti sono giunti nella casa di John per questo, e tutti i loro occhi saranno infine puntati su di te, ragazzo” Gabriel sospirò di nuovo, dando l’impressione di essere convinto di avere parlato al vento, ancora una volta, poi si voltò e si allontanò tra le fronde delle betulle.

“Aspetta! Dannazione spiegami cosa vuoi dire!” gli gridò inutilmente dietro l’uomo, ma in pochi secondi non poté più scorgere attraverso le foglie nemmeno il blu cobalto della tunica che aveva indosso.

Dean rimase a guardarlo allontanarsi. Quell’Elfo non gli era mai piaciuto, e adesso che aveva l’impressione che stesse cercando di aiutarlo in qualche modo contorto e sicuramente poco chiaro, se possibile gli piaceva anche meno.

 

~~~

 

Quando il sole iniziava a calare, Dean fece finalmente ritorno alle sue stanze, sperando che almeno il desinare sarebbe stato servito nella consueta sala dove sire John era solito dividere i pasti con i propri ospiti, in quel modo sarebbe forse riuscito a chiedere qualche spiegazione a Castiel, a Sam o perfino a John stesso. Non sapeva se Gabriel si fosse semplicemente preso gioco di lui una volta di più, ma non aveva avuto per niente quell’impressione, quel pomeriggio, e non aveva voglia di ritrovarsi nel bel mezzo di un misterioso ma indubbiamente importante consiglio, senza avere la benché minima idea di cosa stesse succedendo. E questo a maggior ragione, se l’attenzione sarebbe veramente stata puntata su di lui, come aveva detto l’Elfo.

Dean fece scorrere una mano sul davanzale dell’ampia finestra che si apriva di fronte alla porte delle sue stanze, e inspirò a fondo gli odori della sera: c’era una vago sentore di pioggia estiva che aleggiava nell’aria, mischiandosi piacevolmente al profumo dei gelsomini che si arrampicavano lungo la cornice della finestra. Il cielo era di un rosso acceso, striato dal nero delle nubi, di fronte ai suoi occhi, e se si fosse affacciato al balcone della sua stanza, probabilmente avrebbe potuto vedere le prime stelle della sera. Undomiel, Stella del Vespro, questo era l’appellativo che gli Eldar avevano dato a dama Lisa di Imladris, e in effetti i suoi occhi scuri potevano brillare esattamente come la prima stella della sera. Dean sospirò pensando agli occhi in cui, per lui, erano riunite tutte le stelle della notte ed anche il cielo che le conteneva, quindi si voltò ed aprì la porta della sua stanza, pronto a rinfrescarsi per recarsi a cena.

Si immobilizzò sulla soglia, però, quando vide un’alta figura scura, incorniciata dalla portafinestra che si apriva sulla balconata della sua camera, e la sua mano scattò a cercare l’impugnatura della sua corta daga elfica prima ancora che potesse riconoscere chi fosse il suo inatteso visitatore.

“Sei diventato troppo sospettoso, da quando hai lasciato la mia casa, Dean” lo salutò John, allontanandosi dalla finestra per andare ad accendere le candele, saggiamente predisposte nel candelabro posto sul vicino scrittoio.

“C’è più di un motivo se certe terre sono chiamate selvagge” rispose Dean, con un velo di nervosa ironia, mentre chiudeva la porta alle proprie spalle, rilassandosi solo in parte. L’ultima volta che si era trovato in quella stessa stanza a parlare con John la sua vita era cambiata completamente, e ora le premesse non erano certo migliori.

John gli rivolse uno sguardo accondiscendente, non appena ebbe finito di accendere le candele, in modo che anche il ragazzo potesse vedere bene come lui nell’oscurità incalzante. La tremula luce delle fiammelle faceva sembrare il volto del Mezzelfo molto più antico di quanto non apparisse alla luce del giorno, mentre i suoi piccoli occhi verdi brillavano in modo particolare, riflettendo il bagliore rosso delle candele e rendendo il suo sguardo ancora più penetrante. I suoi occhi soppesarono un attimo il letto perfettamente rifatto, quindi egli si diresse di nuovo verso la finestra, per uscire sul piccolo terrazzo.

“Penso che vorrai evitare di parlare di nuovo con me, seduto su quel letto” disse, non appena vide lo sguardo perplesso e preoccupato dell’uomo, e Dean si ritrovò a chiedersi fino a che punto John lo conoscesse bene. Era stato via più di dieci anni, ma evidentemente non era cambiato abbastanza perché il Mezzelfo non potesse leggere senza difficoltà i suoi pensieri.

“Che cosa succede?” chiese, per una volta abbandonando ogni parvenza della sua scanzonata ironia, quando si fu avvicinato e posto di fronte a lui, sul balcone fiocamente illuminato dalle ultime propaggini del sole che andava scomparendo.

“Sai cosa succede, hai sentito le voci che percorrono la Terra di Mezzo in lungo e in largo. Una nuova ombra sta crescendo, rispolverando antichi terrori e facendo sorgere nuovi nemici. E’ tempo che i popoli della Terra di Mezzo si trovino di nuovo sotto un unico tetto, per stringere nuove alleanze e rinverdire antichi patti” rispose John, ma la sua parlata solenne appariva sporcata da un velo di stanchezza che non si addiceva alla sua voce profonda e sempre salda, sembrava ancora più preoccupato di quanto non lo fosse Dean.

“Ma questo come ha a che vedere con me? Perché mi hai fatto chiamare, padre?” non si accorse neppure di averlo chiamato a quel modo, come si era ripromesso di non fare mai più, per poter continuare a ricordare a se stesso chi era e qual’era il suo ruolo. Nelle terre selvagge aveva imparato duramente che non bisogna mai scordare la propria identità, con tutte le sue forze e debolezze: fingere di essere veramente un Elfo non può portare alcun vantaggio quando una fiera ti insegue nella notte, e i tuoi occhi non possono fendere l’oscurità né le tue gambe correre leggere e veloci come quelle di uno degli Eldar. I raminghi, anzi un ramingo in particolare, gli aveva insegnato a valorizzare le proprie doti naturali come nessun Elfo avrebbe mai potuto fare.

“E’ tempo che parliamo dell’uomo che fu veramente tuo padre, Dean” replicò il Mezzlefo, poggiandogli sulla spalla una mano, che gli sembrò pesare come un macigno “Ricordi quello che ti raccontavo quando eri piccolo? Ricordi cosa ti dissi riguardo al perché sei cresciuto qui?”

Dean annuì, titubante, la fronte corrugata e la mente ancora più spaesata di quando quella strana conversazione era iniziata “Mi dicevi che mio padre era morto mentre era a caccia. Colpito dalla freccia di un orchetto nei boschi, e che mia madre morì di dolore non molto tempo dopo” spiegò, mentre con gli occhi della memoria rivedeva le immagini che i racconti del signore di Imladris e di suo figlio avevano creato per lui “Tu mi prendesti sotto la tua protezione perché conoscevi mio padre, e lui era un Elendil, un Amico degli Eldar”

“E tutto questo è vero, Dean” lo rassicurò immediatamente John, vedendo la sua espressione farsi sempre più corrucciata “Ma c’è molto di più, una parte della storia che ho tenuto celata perfino a te, nella speranza di tenerti al sicuro. Quando mi dicesti di voler partire, dieci anni or sono, ho pensato seriamente di rivelarti la verità, ma il tuo cuore era già gravato da così tanti crucci, che ho preferito lasciarti andare ancora ignaro. Le ombre erano lontane, e Bobby mi disse che avrebbe andato un suo fedele amico a vegliare su di te, ma ora… ora mi rendo conto che forse avrei dovuto raccontarti tutto molto tempo fa” il Mezzelfo sospirò di nuovo, e a Dean sembrò molto, molto più vecchio di quanto i suoi occhi l’avessero mai visto. Quanti fardelli doveva portare sulle spalle il signore di Imladris?

“Cosa c’è che non so? Quale oscuro segreto sta tornando adesso a perseguitarmi?” era arrabbiato, e non riusciva ad impedirsi di manifestarlo. Per quanto comprendesse che le ragioni di John potessero essere delle più nobili, non riusciva a mandare giù che tutta la sua vita poteva essere stata costruita su di un enorme menzogna. Tutte le persone che amava, tutti, non avevano fatto altro che mentirgli, tenergli nascosto un segreto che, gli sembrava al momento, poteva distruggerlo da un momento all’altro.

John aprì la bocca, come fosse sul punto di protestare per il tono irruente delle sue parole, ma la richiuse subito dopo, e i suoi occhi si abbassarono per un momento, prima che si voltasse a puntarli verso le stelle che iniziavano a punteggiare il cielo. Guardandolo, Dean sentì qualcosa pungerlo nel profondo, una specie di fastidioso senso di colpa per aver reso tutto ciò ancora più difficile all’uomo che lo aveva amato ed allevato come un figlio, eppure la rabbia non ne voleva sapere di svanire.

“Sfogare la tua rabbia su di lui non ti servirà a niente, Dean” lo ammonì una voce burbera dietro le sue spalle, e per la seconda volta quella sera la sua mano scattò verso l’impugnatura della sua lama, mentre si voltava repentinamente, per vedere chi era riuscito a prenderlo di sorpresa ancora una volta in camera sua “Così come non ti servirà quel pezzo di metallo” continuò Bobby, alzando il bastone che portava sempre nella mano destra, e un sonoro ‘thud’ risuonò nel silenzio quando la sua estremità colpì in pieno la testa dell’uomo.

“Pensavo che fosse d’uso bussare, prima di entrare nelle stanze altrui” sibilò di rimando l’uomo, abbandonando l’impugnatura dell’arma per portare la mano a massaggiarsi la testa dove gli sarebbe senza dubbio cresciuto un bel bernoccolo.

“E io pensavo che fosse d’uso provare rispetto e gratitudine per l’uomo che ti ha allevato come un figlio” borbottò di nuovo Bobby, incrociando le braccia al petto e guardandolo con le sopracciglia inarcate, e l’espressione che avrebbe potuto usare per sgridare un bambino particolarmente cattivo.

“Bobby” lo richiamò John a sua volta, scuotendo il capo per trattenerlo dal proseguire nella sua ramanzina, o forse per impedirgli di sculacciarlo, Dean non era del tutto sicuro “Hai tutti i diritti di essere arrabbiato, Dean, ma vorrei che ascoltassi le mie parole fino in fondo, senza pregiudizi, e che cercassi di ricordare che ho sempre cercato di agire per il tuo bene” lo sguardo vagante del Mezzelfo tornò ad appuntarsi su quello verde e duro di Dean, mentre ricominciava a parlare “Tuo padre non era semplicemente un Amico degli Eldar, e non è morto per uno sfortunato incidente nei boschi. Per quanto nessuno possa provare quello che ti sto dicendo ora, sia io che Bobby siamo sicuri che tuo padre sia stato assassinato” Dean sbarrò gli occhi, incredulo, nel sentire proprio quelle parole uscire dalle labbra di John.

“Ma come è possibile? Chi potrebbe voler assassinare un ramingo?” sbottò Dean, dimenticando l’educazione e ogni altra cosa, semplicemente sentendo la rabbia ribollire, ancora più incandescente, dentro di sé.

“Tuo padre non era un semplice ramingo, Dean. Tuo padre era un signore degli uomini” spiegò la voce paziente di sire John, parlando lentamente come se ogni parola fosse difficile da pronunciare.

Dean aprì di nuovo la bocca per parlare, ma Bobby lo precedette “Il figlio di un semplice ramingo non sarebbe mai stato affidato ad un signore degli Elfi, pensaci Dean. Tuo padre non era solo uno dei Dùnedain, lui ne era il capo, discendente per linea diretta dell’antica stirpe dei signori di Nùmenor e detentore di diritto del trono di Gondor e Arnor”

L’uomo barcollò per un secondo all’indietro, stordito da quelle parole, e si appoggiò alla balaustra mentre tentava di riordinare le idee. Dunque questa era la verità. E probabilmente proprio a questo si riferiva Gabriel, quel pomeriggio, quando gli aveva detto che tutti gli occhi sarebbero stati puntati su di lui. Il problema era dunque che non c’era nessuno, sul trono di Gondor, per difendere la Terra di Mezzo dall’ombra che cresceva ad est? Volevano che fosse lui a salire su quel trono per diventare lo scudo della Terra di Mezzo contro l’ombra di Mordor?!

“Io… non può essere… io non sono un Re” protestò debolmente, abbassando lo sguardo su se stesso come se dovesse veder apparire d’improvviso un qualche segno che lo identificasse come un sovrano. Camminando per le terre selvagge, aveva creduto di essere cresciuto, di essere divenuto un uomo che poteva affrontare a testa alta la propria vita, ma un trono? E non solo un trono, ma il trono del più antico e potente regno degli uomini… questo era troppo per lui. Non poteva sperare di gestire questa cosa.

“Lo sei per diritto e per nascita, ma nessuno lo sa, e io ho creduto che fosse meglio così” gli rispose John, allungando una mano verso di lui nel gesto di consolarlo, ma fermandola a metà del tragitto, mentre cercava di scrutare le reazioni sul volto dell’uomo.

“Ma perché? Perché non dirmelo? Perché non crescermi con questa consapevolezza?” domandò allora Dean, freneticamente. Pensando che, forse, se lo avesse sempre saputo, adesso sarebbe stato pronto a prendere questa responsabilità sulle sue spalle. Pensando che, probabilmente, era molto più facile dare a qualcun altro la colpa della sua debolezza.

“Perché eri in pericolo, e lo sei ancora. Solo che ora non possiamo più nasconderti” ribatté Bobby bruscamente, prima che John potesse proseguire “Tuo padre è stato ucciso dal suo Sovrintendente, perché egli voleva prendere il suo posto e impossessarsi del trono degli uomini. Non si sarebbe fatto scrupoli ad uccidere anche il suo neonato primogenito maschio”

“E… mia madre?” chiese l’uomo, sentendosi improvvisamente schiacciato dal pensiero del proprio passato, quello stesso passato di cui non si era mai veramente curato, considerandolo solo una leggenda, una delle tante storie che gli Elfi gli avevano narrato quando era solo un fanciullo.

“Il Sovrintendente l’ha fatta rinchiudere, dicendo al popolo che era malata di dolore per la morte del Re. Per quanto io non ne sia certo, non credo che abbia potuto sopravvivere a lungo alla prigionia e agli stenti” Bobby non era mai stato molto abile con il tatto, ma il tono contrito della sua voce addolcì almeno un po’ la notizia che gli stava dando. Dean ripensò alla statua della fanciulla nei giardini interni di Imladris, quella che John gli aveva indicato tante volte per parlargli del volto di sua madre, e sentì lacrime brucianti bagnargli gli occhi.

La mano dell’uomo salì lentamente, questa volta, ad afferrare la propria daga, e la sua voce era rotta e roca di rabbia quando parlò di nuovo.

“Chi è stato? Chi è questo mostro e dov’è ora?” John, finalmente, gli si avvicinò di nuovo, e gli afferrò entrambe le spalle, costringendolo a rivolgere a lui il suo fiero sguardo bagnato di dolore. Dean fissò i propri occhi verdi in quelli dal colore molto simile del Mezzelfo, e vi vide affetto, tristezza e compassione, ma anche un invito a piangere sua madre se voleva, ma a calmare la sua ira perché potesse sostenerlo quando ne avesse avuto bisogno. Doveva essere saldo, doveva essere saggio, doveva essere un Re.

Solo che Dean non aveva alcuna voglia di calmarsi ed essere ragionevole, tutto ciò che aveva voglia di fare era piantare la sua daga nel cuore di colui che aveva distrutto la sua famiglia, che gli aveva strappato via tutto prima ancora che potesse rendersi conto di ciò che stava perdendo. Voleva farlo a pezzi, voleva vendetta perché era l’unico modo a cui poteva pensare per lenire in qualche modo la sofferenza che lo stava divorando dentro. Chiuse gli occhi per un secondo, sentendo la prima lacrima scivolargli veloce sulla guancia, e quando li riaprì li distolse velocemente da quelli placidi e comprensivi di John, per rivolgersi con durezza allo stregone, fermo al suo fianco a fissarlo con apprensione.

Un lungo momento di silenzio si allungò fra di loro, mentre l’uomo poteva vedere chiaramente Bobby cercare di decidere cosa fosse meglio fare. Dean non poteva credere che stesse ancora pensando di tenergli nascosto qualcosa, e forse i suoi pensieri affiorarono sul suo viso, perché infine lo stregone rispose.

“Va bene, Dean. Niente più segreti” l’Istari annuì una volta, seccamente, con il capo, prima di proseguire “Il suo nome è Crowley, e siede ancora sul trono che fu di tuo padre”

   
 
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