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Autore: kiriku    20/06/2011    3 recensioni
[Terza classificata al Fairytales Industries Contest indetto da WindOfTheNight e da LoLLyDeAdGirL]
“Per molto tempo ero sempre stata la figlia prediletta, nonché l’unica. La principessina di casa, coccolata e anche un po’ viziata.
Il mio papà mi raccontava sempre le fiabe prima di addormentarmi ed io ero certa che anche la mia vita sarebbe sempre stata dorata e felice, come quella delle principesse.
Ma un giorno me ne raccontò una strana, una che parlava di un principe. Felice. Ma che piangeva.”
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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C’era una volta, tanto tanto tempo fa, in un paese lontano lontano, una bambina di nome Sally.

 

Anche se forse, a pensarci bene, non era poi così tanto tempo fa e nemmeno così lontano.

 

La verità è che Sally sono io e oggi voglio raccontarvi la mia storia.

 

Non so se possa essere considerata una fiaba, però ci sono principi, principesse, cavalli bianchi e, soprattutto, ci sono io.

 

Sono trascorsi ormai dodici anni da allora, ma ricordo tutto davvero molto bene.

 

Forse perché quella fu l’estate in cui divenni veramente una principessa.

 

 

Dal momento in cui nacqui, tutte le persone che conobbi nella mia vita non fecero altro che ripetermi quanto fossi carina e incredibilmente somigliante ad una principessina d’altri tempi.

Avevo lunghi e lisci capelli biondi ed ero solita abbigliarmi con abitini fiorati e gonnelline a balze.

Ero davvero convinta che sulla mia testa ci fosse una coroncina d’oro invisibile, altrimenti, perché tanti elogi?

I miei nonni, a volte, quando andavo a trovarli, mi facevano una riverenza regale e nonna Molly aveva sempre qualche ninnolo in serbo per me.

Il mio papà era il mio cavalier servente, mi raccontava sempre le fiabe prima di addormentarmi ed io ero certa che anche la mia vita sarebbe sempre stata dorata e felice, come quella delle principesse.

Ma un giorno me ne raccontò una strana, una che parlava di un principe.

Felice.

Ma che piangeva.

Mi disse di rifletterci molto, perché presto le cose sarebbero cambiate. Lui diceva in meglio, ma non mi sembrava molto convinto.

 

Poco tempo dopo, infatti, nacque il mio fratellino.

Ero felice, anche se non ero più al centro dell’attenzione come prima.

Mi immaginavo a fare da mamma, o quantomeno da sorella maggiore a questo bambino; mi immaginavo una specie di piccola paperella disposta a seguirmi ovunque e ad imitarmi in qualunque cosa facessi.

Ma le mie aspettative non furono soddisfatte e, semplicemente, non capii perché.

 

Non ero pronta a conoscere la realtà, non ero pronta a vedere l’altro volto del mondo.

Per me esistevano solo castelli sfarzosi e carrozze incantate.

 

E Mattew, il mio fratellino tanto desiderato, non faceva parte di questa fatua realtà nella quale avevo sempre vissuto.

 

Mattew non mi guardava mai; a due anni ancora non ero riuscita a capire di che colore fossero i suoi occhi; a tre ancora non parlava, mentre la sorellina della mia migliore amica, nata sei mesi dopo, era già molto più loquace e sorridente.

 

Iniziavo a pensare che Mattew fosse difettoso e così chiesi alla mamma se non fosse stato possibile sostituirlo con un altro bambino, magari più socievole.

Le dissi di volere un fratellino “aggiustato” e ancora una volta non capii.

La mamma si arrabbiò moltissimo con me, come se la colpa di tutto fosse stata mia.

Io scappai da lei, avevo sei anni e avevo paura.

Mi rintanai nella mia camera e solo quando le cose si furono calmate uscii di soppiatto e andai da Mattew.

 

-Matty? – Lo chiamai, sottovoce.

Ovviamente non mi rispose, se ne restò seduto sul suo letto, dandomi le spalle.

L’unica cosa che riuscivo a vedere era la sua testolina bionda, leggermente chinata in avanti.

Sembrava non essersi nemmeno accorto della mia presenza.

-Ciao, scusa se sono entrata senza bussare, non volevo farmi sentire dalla mamma. Cosa stai facendo?

Nessun cenno, nessuna reazione. Mi scontrai con un muro infernale, ma non desistetti.

-Il papà ti ha mai raccontato la fiaba del principe felice?

Non mi rispose, ma io continuai.

-C’era una volta una statua tutta d’oro, in cima ad una lunga ed esile colonna. Era la statua del principe felice, ammirato da tutti perché non piangeva mai. Per niente e per nessuno. Lui era felice. Ma un giorno, una rondine, in ritardo per la migrazione verso l’Egitto, gli si avvicinò e si accorse che in realtà il principe piangeva. E sai perché? Perché una volta era stato vivo, aveva avuto un cuore umano e aveva sempre vissuto in un bellissimo palazzo, dove al dolore non era concesso entrare. Aveva sempre vissuto in un mondo finto, dorato, ma ora che si trovava tanto in alto poteva vedere tutta la bruttezza e la miseria della sua città. Vedi, se continui a stare chiuso qui dentro, vivrai in un mondo finto, bugiardo, e le bugie non si dicono mai, nemmeno a fin di bene. Anch’io vorrei essere sempre felice, ma il principe, da lassù, era stato in grado di aiutare la gente povera della sua città. Ci sono tantissime persone che potrebbero avere bisogno del tuo aiuto, ma se te ne stai qui tutto solo non le puoi vedere e loro non ti trovano. Vuoi venire in giardino con me? Il vicino ha tantissimi cavalli, possiamo salirci. – Feci una pausa –Allora, vieni? – La mia mano giaceva abbandonata, ancora protesa nella sua direzione, nella speranza che si decidesse a venire con me. Ma Mattew continuava a non vedermi, nemmeno mentre i miei occhi si riempivano di lacrime.

Ritrassi la mano.

-Mattew.- Ripetei diverse volte il suo nome, fino a che la mia voce si ruppe, ma volli proseguire - Ti odio. Ti odio con tutta me stessa. Mi hai rubato i miei genitori e non gli dai niente in cambio. Litighiamo tutti per colpa tua e… Sei cattivo! –Urlai, per la rabbia, per il dolore, per la frustrazione, lanciandogli addosso uno dei tanti giocattoli di peluche inutilizzati che c’erano nella sua stanza.

 

E poi corsi fuori, lungo il vialetto lastricato che attraversava i campi.

 

Quel giorno faceva davvero molto caldo, era il tredici di agosto e il sole batteva forte sulle mattonelle bianche che sembravano volermi accecare.

 

Non corsi per molto, soffrivo d’asma e i miei polmoni non mi permettevano sforzi prolungati, però non smisi mai di camminare.

Volevo andarmene. Là, ormai, non c’era più niente per me.

 

Mamma e papà avevano un nuovo figlio e io ero diventata vecchia. Come i vestiti logori o troppo piccoli che si buttano via senza rimorsi ad ogni cambio di stagione.

 

Ero solo un fazzoletto usato.

 

Mentre camminavo, calciando via dal mio percorso i piccoli sassolini bianchi di campagna, potevo sentire un rumore di zoccoli, portato dal vento, farsi sempre più intenso e vicino, finché potei udire una voce calda e profonda.

-Ooooh! – Il signor McKeever fermò uno dei suoi cavalli al mio fianco. Era quello bianco, il mio preferito. Quello su cui i principi delle fiabe arrivano a prendere le principesse.

-Dove stai andando, Sally?

-Via. – Risposi seccata, mentre ancora non riuscivo a smettere di piangere.

-Non ti va di venire con me al maneggio?

Scossi la testa, anche se in realtà, in altre circostanze, non avrei mai rifiutato tale offerta.

Amavo i cavalli, potevo dire che fossero un elemento fondamentale della mia vita.

-Hai litigato con mamma e papà?- Proseguì il signor McKeever.

-Io non ho una mamma e un papà, loro non mi vogliono.

Lo vidi sorridere, mentre si pettinava i suoi lunghi baffi bianchi, facendomi arrabbiare ancora di più.

-Sei invidiosa di Mattew?  -

Rimasi sorpresa.

Non credevo che il buon signor McKeever, che amava raccontare le sue storie di gioventù continuando a girare attorno ad un unico punto, senza mai centrarlo appieno, senza mai arrivare ad una vera e propria conclusione, potesse essere così diretto.

Ma io ero una bambina testarda, io ero una principessa, e ora qualcuno voleva rubarmi la corona.

-Io non sono invidiosa! Lui è cattivo, io invece sono buona. Io sono come Cenerentola!- Abbassai la voce di un tono, chinando il capo - Lui è solo il mio fratellastro…

 

Con la coda dell’occhio vidi il signor McKeever sorridere ancora e fissare il Sole alto nel cielo.

 

-Cenerentola era molto saggia… - Disse, rivolgendosi nuovamente a me, per poi lasciar cadere il discorso e riprenderlo da tutt’altro punto, come era solito fare – Vedi Sally, ora tu sei grande, sei una signorina e stai diventando una bellissima principessa, ma ci sono cose che devi capire. Tuo fratello è piccolo, ha bisogno di attenzioni e non è colpa sua se non ricambia i vostri gesti di affetto. Devi solo avere pazienza. Molti bambini prima di lui hanno fatto enormi progressi. Perché non provi a dargli tempo? Gioca con lui, parlagli, dimostragli che in fondo gli vuoi bene. Vedrai che le cose cambieranno.

-E se non cambiano?

-Cambieranno. Cambiano sempre. Dai, sali che ti riporto a casa. Testa di gesso non aspetta altro che te. – Quel signore anziano, con la sua schiettezza mitigata da una dolcezza innata, col suo volto rubicondo e gioioso, era riuscito a convincermi, come sempre.

E quella volta, senza usare le caramelle alla fragola.

-Signor McKeever? – Gli chiesi.

-Sì?

-Possiamo dargli un altro nome? Testa di gesso non mi piace. – Gli dissi, in riferimento al nome orribile e palesemente inadatto a quel bellissimo cavallo bianco.

-Potrai chiamarlo come vorrai solo se riuscirai a farlo montare da tuo fratello almeno una volta.

-Ce la farò!

Salii in groppa a Testa di gesso e mi feci riaccompagnare a casa.

La mamma mi venne incontro appena mi vide varcare la soglia del cancello e mi abbracciò forte. Mi aveva chiamata più volte, ma io non avevo risposto e lei si era preoccupata, nonostante non fossi stata via per più di venti minuti.

Non mi sgridò, anzi, mi disse che mi avrebbe preparato una torta alle fragole, la mia preferita.

Mentre mi accoccolavo tra le sue braccia amorevoli, vidi il signor McKeveer farmi l’occhiolino.

 

Da quel giorno e per tutti i giorni, portai Mattew al maneggio.

Le prime volte lo feci con la forza, caricandomelo in spalla con non poca fatica, in seguito invece fu lui, silenziosamente, a prendermi per mano e a trascinarmi da Testa di gesso.

A cinque anni lo accarezzò per la prima volta.

A sette anni pronunciò il suo nome.

A dodici lo montò, mentre io gli tenevo le redini, da terra.

Non cambiammo mai il nome a Testa di gesso. Per me, per Matty, per il signor McKeever e per tutti, sarebbe sempre stato il nostro Testa di gesso.

Il cavallo bianco che ci aveva cambiato la vita.

E anche quella favola, quella del principe felice, che mi fu raccontata da mio padre con il cuore ricolmo di speranza ed aspettativa nei miei confronti, e che io poi raccontai al mio Matty, in una medesima condizione d’animo, divenne la sua preferita.

Fu lui a sorprendermi e a chiedermi di raccontargliela ancora una volta. E poi un’altra. E un’altra ancora.

Mi ero sbagliata. Su tutta la linea.

Mattew mi aveva ascoltato.

Sempre.

E per sempre lo avrebbe fatto.

Era un bambino dolce, sensibile, solo un po’ diverso, ma non lo avrei cambiato per nulla al mondo.

Perché, in fondo, anche se non lo avrei mai ammesso, mi ero accorta di volergli davvero bene.

E perché, solo grazie a lui, ero potuta diventare la vera principessa che avevo sempre sognato di essere.

 

 

Note:

Ecco qui questa piccola storiella, terza classificata al Fairytales Industries Contest, indetto da WindOfTheNight e da LoLLyDeAdGirL.

Questo il giudizio:

PUNTEGGIO: 48,63/55
PREMIO SPECIALE: Princess Award (Miglior protagonista)
Correttezza grammaticale: 9,75/10
Stile e lessico: 9/10
Originalità: 8,25/10
Caratterizzazione psicologica e fisica dei personaggi: 3,75/5
Utilizzo della favola scelta: 8,13/10
Integrazione della parola a sorpresa: 4,75/5
Apprezzamento personale:
WindOfTheNight 2.5/2,5
LoLLy_DeAdGirL 2.5/2,5

La dolcezza di questa storia tocca profondamente, riesce ad arrivare all’anima del lettore e fa vibrare corde nascoste nel cuore. Lo stile è di una semplicità disarmante, proprio come una favola, e come una favola insegna moltissimi valori, come quelli della pazienza, dell’amore e della comprensione. La narrazione in prima persona di Sally, la piccola principessa, rende partecipi della difficoltà di una bambina, vissuta fino a quel momento in mondo dorato dove non esiste dolore e malattia, a comprendere cose difficili come l’handicap mentale. Quello che avrebbe dovuto essere un altro cavaliere alla sua immaginaria tavola rotonda si rivela essere una sfida ardua, nella quale però riesce a mettere il cuore, dimostrando di essere una perfetta principessa. Splendida la figura del vecchio mandriano/guida, che dà un tocco di saggezza, come la fata madrina di Cenerentola, alla storia. La grammatica è ottima, così come l’uso dei verbi, e il tutto scorre fluido e leggibilissimo. Complimenti davvero.

   
 
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