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Autore: Aliens    21/06/2011    1 recensioni
E si chiedeva, guardandola con quell’insistenza che sfociava all’assurdo, se lei, sotto i suoi occhi vuoti di ghiaccio, fosse davvero viva.
Genere: Commedia, Erotico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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PRIMA PARTE

Il dolore

 

 

Yuo said youd never let me down

Far From Never The Pretty Reckless

 

 

 

Prologo

Il Passato

Estate 2007

 

 

 

 

Ore 20:00

Guardava insistente lorologio. Sbuffando si alzò dal suo divano e a malincuore salì le scale trascinandosi verso la sua camera.

Si vestì lentamente, cercando il senso di quei gesti.

Erano tremendamente forzati in quel momento, con il cuore a pezzi tutti i gesti sembrano tremendamente forzati.

La voglia di uscire di casa era pari a zero, voleva solo deprimersi nella solitudine e nel buio.

Si sistemò, per bene, la giacca guardandosi allo specchio.

Una volta si sarebbe detto perfetto, ma in quel momento si sentiva solo un orrendo rudere.

Si scostò velocemente dallo specchio cercando di ignorare quellimmagine riflessa e si avviò verso la porta. La chiuse delicatamente e si avviò nuovamente verso le scale.

La voce di sua sorella arrivava fin dalle scale.

Stava studiando qualcosa per la licenza media, aveva gli esami quellanno.

La sua fottuta paura laveva trasmessa anche a lui che, anche a distanza di settimane, era sempre in ansia per lei.

Scese lentamente, la mano che scorreva sul poggia mano.

Non aveva mai pensato di potersi sentire in quel modo per un ragazza.

Con il cuore martoriato, la minima voglia di reagire, la lotta che stava perdendo con il suo orgoglio lo stava uccidendo minuto dopo minuto.

Come avrebbe fatto senza di lei? Come avrebbe potuto reagire?

Le sue scarpe provocarono un piccolo scricchiolo sul parquet caldo di casa sua «Io esco» annunciò a gran voce.

Potè notare due testoline fare capolino dalla cucina, quella della sorellina e quella della madre.

Una teneva i capelli raccolti in una cipolla improvvisata retta da una matita pronta a schizzare via, gli occhiali da riposo che tanto lei odiava e gli occhioni di un liquido turchese cerchiati dalla stanchezza, ma vispi, come lui li aveva sempre amati, laltra con il grembiule da cucina e alcune goccioline di sudore sulla pelle di porcellana.

Sorrise forzato sapendo che se avesse fatto il contrario le avrebbe insospettite.

«Non rimani a cena?» gli domandò la donna uscendo appena.

Scosse la testa «Vado a fare un giro, mangio al fast».

Non avrebbe mangiato, qualsiasi odore sentisse gli provocava un conato di vomito.

Ma non lo disse alla madre, sapeva che lei lo avrebbe inchiodato al tavolo della cucina.

«Ok Daniel, torna presto, domani dobbiamo portare questo diavolo in piazza per quel programmuccio che vede lei!» sorrise la donna posando una mano sulla spalla della sorella.

«Ehi!» sbottò lei indignata «Potevo anche andarci da sola! Ho quattordici anni io!»

La mamma scoppiò a ridere «Avrò bisogno del tuo aiuto!»

Lui annuì in silenzio infilandosi le mani nelle tasche «Ci vediamo dopo».

«Divertiti tesoro!» si raccomandò la madre tornando in cucina.

Non si sarebbe divertito affatto, senza di lei non poteva neanche immaginare di sorridere.

Si incamminò verso la porta dentrata con la sola idea di scappare da quel dolore che sentiva perforare il suo stomaco.

Il sangue colava copioso dalle sue ferite, nessuno poteva vederle, nessuno poteva soccorrerlo, nessuno salvarlo.

Stava affogando da solo nel suo mare di dolore senza che nessuno potesse aiutarlo, il suo urlo non poteva essere udito da nessuno.

Allo stesso tempo non voleva essere aiutato da nessuno, voleva affogare in pace, chiudere gli occhi e sentire il silenzio circondarlo.

«Dani, aspetta!» si sentì dire.

Sua sorella era uscita di fretta dalla cucina, una penna ancora tra le mani e una strana espressione negli occhi.

Si girò a guardarla.

Ancora acerba con il suo corpo da quattordicenne, stretta nei suoi pantaloncini di jeans e la canotta rosa.

«Che cè?» chiese sottovoce.

«Tu e Ylenia vi siete lasciati, vero?» domandò senza troppi giri di parole «Lo so che non lo vuoi dire a mamma, ma almeno dillo a me».

Come faceva quella ragazzina a leggergli nellanima?

Come poteva capire quanto soffrisse solo guardandolo negli occhi?

Si sentiva nudo sotto il suo sguardo di ghiaccio, esposto e fragile.

Annuì appena «Sì, lei si è messa con Claudio».

Notò il suo viso abbassarsi verso il pavimento «Non prenderla male fratellone, sei un bellissimo ragazzo e lei è una puttana».

«Ehi, sie piccola per dire queste parole» la rimproverò dolcemente avvicinandosi «Grazie comunque».

Labbracciò stretta e lei cercò di divincolarsi.

«Dani, non sopporto quando fai il sentimentale» protestò «Dove vai comunque?»

Lui fece spallucce «Non lo so Bels, credo andrò al bar».

«Mi riporti un pacchetto di patatine?» chiese con la classica vocina allegra.

Daniel acconsentì.

Si alzò e dopo aver salutato la sorella, finalmente uscì.





La luce nel locale era tenue.

Non dava fastidio.

era  così per sicurezza, agli ubriachi non piacciono le luci accecanti.

Erano appena le 23:00. avrebbe dovuto tornare a casa ma gli sembrava così presto.

«Unaltra» biascica Daniel al barista.

Vide luomo annuire appena e prendere dal frigo una Moretti gelata, la stappo e la fece scivolare tra le mani del ragazzo annunciandogli anche il prezzo.

Daniel annuì e fece scivolare, non senza fatica, la mano nei suoi 9.2.

Afferrò il portafogli e lo aprì.

La foto di Ylenia era lì, sorridente come la ricordava.

La sua freddezza, quella mattina, lo aveva ucciso. Non avrebbe voluto ridursi a scacciare le pene damore con lalcool.

Lei cera riuscita.

Non riusciva a distogliere lo sguardo dal suo viso sorridete contornato dai lunghi capelli rossicci e gli occhi verdi che splendevano.

Avrebbe voluto strappare quella maledetta foto ma si accorse che era impossibile cancellare il tempo insieme.

Pagò senza pensarci due volte e afferrò la bottiglia di birra.

Se la scolò velocemente e sbattè loggetto ormai vuoto sul bancone.

Sì alzo e ciondolò verso luscita.

Cercò le chiavi e si infilò in macchina, pronto a voltare finalmente pagine.





La velocità.

Lebbrezza della libertà.

Leuforia che lalcool mette in circolazione.

La consapevolezza di essere solo immondizia.

Il piede che preme freneticamente sul lacceleratore.

120. 145. 160. 180. 200.

Un sorriso.

Un solo pensiero.

Sono vivo

Poi uno schianto.

La macchina si accartoccia contro un camion, i vetri si frantumano riversandosi sullasfalto nero, il segno delle ruote scuriscono la strada.

Il sangue impregna i vetri.

E Daniel è lì, dentro i ruderi della sua auto.

Un sorriso sfiora il suo viso quando intorno a lui i suoni arrivano ovattati.

Sono in pace.

Minuti interminabili di silenzio, cupo e dolce silenzio, la cessazione delle pene ha un sapore metallico sulle labbra.

No, quello è sangue.

Attimi interminabili di pace.

Voltò la testa verso il sedile del passeggero notando il pacchetto di patatine che aveva preso per la sorella.

«Isabel ci rimarrà davvero male».

Furono le sue ultime parole che morirono sotto il suono squillante delle sirene.

Ignorò il susseguirsi di sagome che si affrettavano verso di lui.

Era stanco.

Voleva riposare.

Voleva annullare il dolore che provava.

Per sempre.

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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