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Autore: crazyhorse    22/06/2011    0 recensioni
Due scienziati: lei disordinata e confusionaria ricercatrice sconosciuta di una taccagna università italiana,lui genio universalmente riconosciuto, ordinato e perfetto, nonché professore di una splendente università americana. Caos e perfezione s'incontrano e si mescolano con le paure e le emozioni dei protagonisti.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I BELIVE THE WORLD IS COMING TO AN END 9 I BELIEVE THE WORLD IS COMING TO AN END(1)

Il viaggo che riportò Jay a Dallas durò come quello di andata: sette ore e mezza, la sola differenza fu che, causa il fuso orario opposto, quando mise piede in Texas erano le sette e mezza di sera nonostante lui e Mitch fossero partiti da Roma alle sette. Orari a parte il viaggio di ritorno differì da quello di andata per i pensieri che affollarono la mente del giovane professore. La prima mezz'ora la impiegò per decidere cosa avrebbe fatto una volta a casa: e cioè fare una bella improvvisata a Valery all'ospedale. Non aveva intenzione di sprecare un'ora in più della sua vita col dubbio che lei lo tradisse. Le rimanenti sette ore le passò a pensare a Luce e alla serata che avevano passato insieme parlando di tutto e scoprendo di avere in comune una vagonata di cose, prima fra tutte la passione per il loro lavoro che per entrambi coincideva anche con la loro vita. Ma soprattutto passò quelle ore a chiedersi come mai quella donna era stata capace, in una manciata di ore, di fargli provare un caleidoscopio di emozioni che lui non pensava neanche un essere umano potesse provare. Senza considerare il fatto che con Valery non ci si era mai neanche avvicinato a sensazioni di quel genere. Cosa significava? Il pensiero di passare tutto il resto della sua vita accanto a una donna che aveva le stesse capacità emotive di un iceberg gli fece venire i brividi. Ma davvero sua moglie era sempre stata così distaccata oppure lo era diventata con il tempo? Boh! E poi lui aveva solo trentacinque anni, per la miseria, non settantacinque; aveva ancora tutta la vita davanti e, non poteva mentire a se stesso dicendosi che non gli sarebbe piaciuto vivere provando tutti i giorni quello che aveva provato qualche sera prima con Luce. Improvvisamente si sentì impaziente di arrivare a casa e fare qualcosa perchè quello accadesse davvero e il più in fretta possibile. Un secondo dopo, però, il suo cervello fece un fischio e lui pensò che ribaltare tutta la propria vita sulla base di una sola sera, ovviamente, non sarebbe stata una cosa sensata da fare. Accidenti, Luce lo aveva gettato nella confusione più nera e profonda; lui, il razionalissimo professore Jay Raynolds stimato scienziato di fama mondiale, era confuso e non aveva la minima idea di dove andare a sbattere la testa per risolvere la questione. Forse avrebbe dovuto solo far passare un po' di tempo e lasciare che tutte quelle emozioni decantassero per conto loro, dimenticare Luce e dedicarsi ancora di più al suo lavoro, nonostante concedere alla scienza ancora più tempo di quello che già faceva avrebbe voluto dire vivere un giorno fatto da 36 ore.
La madre di Mitch era venuta a prenderli all'aeroporto e riaccompagnò Jay a casa sua, lasciandolo ai suoi progetti solo dopo avergli espresso nuovamente e con esuberanza tutta la sua gratitudine per aver dato al figlio quella grossa opportunità. Jay fu contento come una pasqua quando vide i fanali della macchina di Mitch scomparire dalla sua vista. Erano le otto e mezza e lui aveva un sacco di cose da fare. Quella che più gli premeva era andare a trovare Valery; ovviamente però lo avrebbe fatto solo dopo aver disfatto la valigia ed ordinato tutto il suo contenuto nuovamente nell'armadio. In ogni caso cercò di sbrigare quelle operazioni in più in fretta possibile, e alle dieci e mezza Jay era già nell'ascensore dell'ospedale diretto al reparto di cardiologia dov'era assegnata sua moglie.
"DIN"
Un campanello avvisò gli occupanti dell'ascensore che avevano raggiunto il piano indicato nel visore sopra le porte, il settimo, cioè quello dove Jay doveva scendere. Al primo passo che mosse in reparto, Jay fu investito da quella calma operosità che caratterizza gli ospedali di notte, quando in genere i pazienti dormono e le visite sono state tutte concluse. Si avvicinò al bancone dell'accettazione dove aveva riconosciuto Melody, una collega di Valery che aveva incontrato un paio di volte anche lui:
-Ciao Mel!- la salutò come se dentro di sè fosse tutto normale anche se in realtà era parecchio nervoso.
Melody decisamente non ebbe una reazione normale: spalancò la bocca, sgranò gli occhi e fece cadere a terra una pesante cartella clinica di un tizio la cui salute era riassunta in almeno duecento pagine, poveretto.
-Jay..- cominciò a balbettare sudando freddo -ma...ma cosa c-i...fai...pensavo fo-ssi in I-Itali-a...-
-Sono tornato stasera...Valery?- chiese ignorando il fatto che a Melody stava per venire un colpo apoplettico.
-Ehm...Val...certo, l'ultima volta che l'ho vista...era....fammi pensare...dunque...- la sua risposa non fu necessaria, perchè Jay notò la moglie che usciva da una porta con un cartello "PRIVATE" attaccato.
-Oh, non importa è là...-
Valery, una donna senz'altro attraente, bionda e con le curve nei punti giusti, era ferma davanti alla stanza dove i medici si concedono qualche momento di relax durante il turno di notte. Mentre si aggiusntava la divisa rosa pesca da infermiera, si guardò attorno e quasi svenne quando vide Jay di fianco al bancone dell'accettazione. Stava per andargli incontro, quando dalla porta dietro di lei, sbucò la testa di un uomo. Nonostante quest'ultimo fosse stato attento ad aprire l'uscio il minimo indispensabile, Jay,  dalla sua posizione, vide quanto gli bastava per intuire che addosso di sicuro non aveva la divisa dell'ospedale. Il tizio toccò Valery sul braccio destro in modo da attirare la sua attenzione, poi rientrò lasciando aperta la porta e, da dentro, cominciò a sventolare un reggiseno. Jay aguzzò la vista e...eh sì non c'erano dubbi quello era proprio un reggiseno e non un reggiseno qualunque, ma uno di quelli che anche a lui era capitato di togliere...tanto tempo fa. E, dall'espressione del suo viso di lui, sembrava proprio che volesse dire a Valery: "Ehy hai dimenticato un pezzo!"
Tutti gli organi e sistemi di Jay si bloccarono improvvisamente mentre vedeva sua moglie farsi bianca come la neve. Alla fine lei gnorò l'uomo nudo nella cameretta e si avvicinò velocemente al marito dicendo:
-No, Jay aspetta non è quello che sembra!-
Jay, accecato dalla rabbia, non esitò neanche un nanosecondo per rispondere:
-Non m'interessa quello che sembra! Fai una cosa Val...tieni tu la casa! Domattina di mio non troverai più niente!-
Dopo di che girò sui tacchi e lasciò la moglie ferma impalata di fianco alla povera Melody che inorridiva per quello che era appena successo.
Si fiondò nel parcheggio, prese la macchina e, imponendosi faticosamente di rispettare le regole del codice della strada, fece ritorno per l'ultima volta in quella che, da quel momento in poi, non sarebbe più stata casa sua. Inferocito come non lo era mai stato in tutta la sua vita, Jay prese fuori tutte e tre le sue valigie, le poggiò sul letto, le aprì e cominciò a lanciarci dentro le sue cose, così a vanvera, senza criterio e alla rinfusa. Non aveva voglia di pensare a quello che stava facendo, l'unica cosa a cui riusciva  a pensare era il fatto che aveva sprecato sei lunghissimmi anni con una donna che poi aveva preso la sua vita, l'aveva buttata nella toilette e aveva anche tirato lo sciacquone! Ormai era sicurissimo del fatto che non gliene importava un fico secco di chi Valery si portava a letto; che si facesse perfino un'intera squadra di football, la cosa non lo avrebbe toccato minimamente. Il punto però era che Valery lo aveva preso in giro tenendolo legato a se ed impedendogli di vivere la sua vita. Si sentiva derubato di tutto quel tempo che invece lui avrebbe potuto impiegare con qualcun'altro...qualcun'altro come Luce, per esempio. Già, l'unico pensiero nella mente di Jay in quel momento non era tanto il tradimento della moglie o da quanto tempo la tresca di Valery andava avanti; piuttosto il fatto che lui aveva la sensazione di aver sprecato tutti quegli anni invece di viverli accanto a qualcuno che lo amasse davvero e che lui potesse contraccambiare. Che fine aveva fatto improvvisamente la sua teoria sull'amore come miscuglio ben dosato di neurotrasmettitori? Evaporata insieme al suo contegno mentre lanciava in valigia pantaloni e giacche. Quella notte Jay se la prese anche con se stesso. Più di un collega lo aveva definito una delle menti più brillanti della scienza del ventesimo e ventunesimo secolo messi insieme e lui si era fatto fregare sei anni della sua vita da sotto il naso come un ragazzino qualunque! Ma come aveva potuto non accorgersi di niente!? Era imbufalito. Con Valery e con se stesso. Ok, più con se stesso anche perchè forse se lui fosse stato più sveglio, a Roma le cose sarebbero andate diversamente.
Senza prestare la benchè minima attenzione a quello che stava facendo gettò nella valigia anche spazzolino, dentifricio e schiuma da barba mischiati a biancheria e scarpe, dopo di che passò in rassegna la casa, stanza per stanza, per vedere che cosa ci fosse di suo: lo stereo, che caricò in macchina senza avere la minima idea di dove metterlo una volta uscito da quella dannata abitazione, e tutta la sua roba nello studio.Una tonnellata di libri, un computer, appunti vari, schedari e riviste, per non parlare dei tre capienti armadi, delle due ampie scrivanie e della lavagna. Oddio dove avrebbe messo tutta quella roba? Dopo un iniziale secondo di sconforto, decise che per il momento avrebbe preso con se solo le sette memorie esterne del computer che contenevano i risultati di tutte le sue ricerche, poi chiuse a chiave la porta. L'indomani mattina, per prima cosa avrebbe incaricato una società di facchinaggio di prelevare tutto quanto, mobili compresi. Del fatto che gli operai avrebbero svegliato Valery o che i mobili li avevano presi loro due insieme non gliene importava un beneamato cavolo.
Caricate le valige in macchina, si diresse verso l'unico posto, oltre all'Asilo, dove si sentiva veramente a casa: il suo ufficio.

*************************

Caludia amava il suo lavoro. Per diverse ragioni. Prima fra tutte il fatto che il suo capo era una persona precisa, puntuale ed abitudinaria. Inoltre lavorare per il professor Reynolds era un privilegio. Non ci aveva impiegato molto tempo per imparare che l'intero universo scientifico lo teneva in grande considerazione. Per questo motivo lei era in grado di ottenere qualunque cosa. Un biglietto aereo o una stanza per un congresso due giorni prima dell'inizio? Nessun problema! Una fornitura di strani aggeggi da laboratorio consegnati il giorno successivo davanti alla porta del dipartimento? Come già fatto! Le bastava dire che lei lavorava per il professor Jay Reynolds che le si spalancavano davanti agli occhi opportunità inimmaginabili e le persone con cui parlava diventavano improvvisamente riverenti e servizievoli. Questo di sicuro appagava grandemente il suo amor proprio.
Ma più di ogni altra cosa amava il fatto che tutte le sue giornate erano scandite da una taballa di marcia programmatta con grande anticipo. Nessuna sorpresa, nessun cambiamento improvviso di piani o appuntamenti, nessun imprevisto. Mai. Lei si alzava la mattina sapendo esattamente cosa sarebbe successo durante il giorno, e per Claudia, una persona metodica e regolare come un orologio svizzero di una guardia svizzera, quell'aspetto del suo impiego era fondamentale, anzi no, vitale. Già il secondo giorno di lavoro aveva sincronizzato i suoi orari in modo da arrivare in ufficio un quarto d'ora prima del professore così da poter sistemare la sua agenda, e mai nel corso dei quattro anni durante i quali lo aveva assistito per organizzare i suoi impegni, lui aveva sgarrato di un solo minuto anche uno solo dei suoi appuntamenti. Questa caratteristica del suo lavoro era enormemente gratificante e rassicurante. 
Per questo motivo, la mattina del rientro del suo capo dal congresso di Roma non cominciò per niente bene, dal momento che la macchina del professore era già parcheggiata nel posto a lui riservato quando lei arrivò al campus. Le vennero i brividi. Spinta da una autentica angoscia, si lanciò in una corsa tanto forsennata quanto il suo abbigliamento da irreprensibile assistente (tailleur marrone e scarpe con un tacco da 8) le permetteva e raggiunse velocemente la sua postazione, una specie di anticamera che era stata ricavata riducendo un poco l'ufficio del professor Reynolds. Buttò la borsa sullo schedario senza fare a caso a cosa questa potesse colpire, accese il computer e comincio a sfogliare nervosamente la sua agenda trascrivendo gli appuntamenti per quel giorno su una tabella che lei stessa aveva ideato anni prima. Quando quella macchina infernale che si dice in giro sia dotata di qualcosa che dovrebbe assomigliare ad un'intelligenza artificiale ma che quando ne hai veramente bisogno finisce di accendersi alle calende greche fu pronta, avviò la ricezione della posta elettronica. L'unica cosa di utile era il programma del congresso di Praga: alla buon ora, l'aveva chiesto dieci giorni prima! Claudia stampò le cinque pagine del programma, poi raccolse i suoi appunti e prese un profondo respiro per calmarsi. Si sistemò per bene lo chignon che raccoglieva i suoi capelli castani e raddrizzò gli occhiali sul naso prima di bussare alla porta dell'ufficio del professore. Era in anticipo sulla tabella di marcia di tre minuti: decisamente la giornata non era cominciata per niente bene!
-Avanti!- la voce del professore la invitò ad entrare.
Quando Claudia entrò Jay era in piedi davanti alla più grande delle due vetrate del suo studio. Pensieroso.
Il giovane professore si voltò verso la sua assistente e si accorse immediatamente che il viso serio, sottile e leggermente allungato di lei sembrava più nervoso del solito, quella mattina; capì subito che la minuziosa Claudia era stata scombussolata dal fatto che lui era arrivato prima di lei. La tranquillizzò, tenendosi comunque sul vago:
-Ciao Claudia, non ti preoccupare! Ehm..sono arrivato prima questa mattina.-
Lei non fece una piega, e quasi ingorò le parole di Jay: -Buongirno professore. Questi sono gli appuntamenti di oggi.- e fece quattro passi dentro l'ufficio per posare alcuni fogli sulla scrivania. Lui sorrise:
-Grazie.-
C'era qualcosa che non andava, però. In genere il suo capo era abbastanza sereno la mattina e sempre disponibile, ma quel giorno sembrava molto teso e....triste. Sì, la parola che a Caludia venne in mente era proprio quella, triste. Negli occhi di lui in quel momento era calato un velo di grigia tristezza.
-Ha bisogno di qualcosa professore?- chiese contravvenendo al loro solito dialogo che si teneva identico tutte le mattine da quattro anni a quella parte.
Lui sorrise. Ancora una volta non era il suo solito sorriso luminoso, ma era un sorriso tirato, quasi stanco. Infine disse: -No grazie.-
Così Claudia uscì. Richiusa la porta dell'ufficio, si lasciò cadere sulla sua sedia sopraffatta da tante emozioni accumulate tutte insieme e di prima mattina. Ma non era ancora finita, anzi quello sarebbe stato solo l'inizio di un lungo calvario che per lei sarebbe durato molto a lungo.
Non fece in tempo a voltarsi verso il suo computer che il professore comparve sulla soglia del suo ufficio. Anche quello era strano, se lui aveva qualcosa da dirle in genere alzava la cornetta del telefono.
Stringeva fra le mani la tabella dei suoi impegni per quel giorno, quando disse, senza staccare gli occhi dal foglio:
-Claudia ho bisogno che mi annulli degli appuntamenti. Oggi devo fare delle cose fuori dal campus.-
L'assistente inorridì:
-Proprio annullare? Non posticipare per esempio?- chiese con un filo di voce tremante.
-Sì, proprio annullare. Prima di tutto in laboratorio non ho tempo di andare. Dì a Gillian di cominciare senza di me e che la chiamo io quando mi sarò organizzato. Poi non ho neanche tempo di rivedere il nuovo progetto con lei, Mitch e  Bryan. Dì loro che mi farò vivo io.-
Claudia lo interruppe sempre con voce tremante:
-Ehm..professore mi scusi, ma Mitch e Daniel hanno bisogno di lei. A fine giugno ci saranno le sessioni di laurea e dottorato....-
-Sì, hai ragione....- Jay pensò un secondo poi continuò: -Fai così. Mitch alle quattro e Daniel alle sei. Io ora esco. Riesci a trovarmi l'indirizzo di una compagnia di facchinaggio per favore?-
Claudia annuì a bocca aperta e, mentre il suo capo rientrava in ufficio, si mise subito a battere velocemente sulla tastiera del computer per eseguire gli insoliti ordini che le erano stati dati.
La prima cosa che Jay fece fuori dal campus fu incaricare la compagnia di traslochi "FAST SNAIL", che Claudia aveva trovato su internet alla velocità della luce, di andare a svuotare il suo studio a casa di Valery. Ok, il nome non prometteva niente di buono, ma era l'unica compagnia che aveva un paio di uomini liberi subito. Dopo di che si  diresse all'Asilo. Aveva voglia di parlare con Simon come di prendere un pugno in un occhio, ma d'altronde non poteva continuare a vivere nel suo ufficio. Già s'immaginava il suo amico cosa avrebbe detto. Infatti:
-Oh, finalmente amico!! La regina del congelatore non faceva proprio per te! Te l'ho sempre detto bello! Ce ne hai messo di tempo però!!- urlò l'incontenibile Simon.
-Grazie del supporto Simon!-
-Senti cosa dovrei fare? Mettermi a piangere e dirti che mi dispiace e farti notare che questa decisione improvvisa non è da te e magari convincerti a ripensarci? Scordatelo Jay! Questa è la cosa migliore che potevi fare! Quella là non merita neanche uno dei tuoi capelli!- s'interruppe per un istante mentre un'espressione furba prendeva possesso del suo viso, poi: -Già, aspetta un secondo. Dimmi Jay, come mai il freddo e riflessivo professor Reynolds, PhD, ha deciso di lasciare la moglie dalla sera alla mattina?-
Jay e Simon erano nello studio del "General Manager" dell'Asilo, il primo seduto su un comodo ma consunto divano in pelle, il secondo dietro la sua scrivania e la domanda di quest'ultimo lasciò Jay senza fiato. Il giovane professore si agitò nervosamente sul divano e lì per lì rispose con la prima cosa che gli venne in mente:
-Ehm...beh...mi sono reso conto che in effetti...noi...non eravamo più sposati da parecchio tempo...voglio dire...- parlò con evidente difficoltà, tuttavia non riuscì a finire la frase perchè Simon lo stava guardando con gli occhi sgranati. Un senso di vertigine colse quest'ultimo alla sprovvista, almeno quanto la sua domanda aveva colto alla sprovvista Jay. Simon conosceva il suo amico da quasi vent'anni, cioè dal liceo, e mai una sola volta l'aveva visto nervoso come in quell'occasione:
-Senti Jay, per caso mi stai mentendo? No, te lo dico perchè anche un cieco sordo se ne accorgerebbe e io sono solo storpio!-
-Macchè...dai Simon...- ok, era vero si stava arrampicando su vetri che minacciavano di rompersi da un momento all'altro.
-Jay?...- ora fu Simon a lasciare la frase in sospeso mentre un'illuminazione da stadio si accendeva nel suo cervello: -Oh oh oh...- rise sadicamente -Aspetta...hai conosciuto qualcuna....sì assolutamente!- rise ancora -Accidenti dev'essere stato a Roma! Ma certo! Maledizione dev'essere proprio un portento questa donna se ti ha sconvolto così tanto da farti decidere di lasciare la regina del congelatore così in fretta!-
-Dai Simon, ma cosa dici?- Jay cercò ancora di uscire dal pantano in cui l'amico l'aveva spinto. Per fortuna il sadismo non rientrava fra i difetti di Simon:
-Ok, come vuoi amico, se vuoi mentire a me è un conto, ma almeno non mentire a te stesso!- poi continuò: -Comunque, qui all'Asilo ti aspettiamo a braccia aperte! Betsy non vede l'ora di darti una bella leccata di benvenuto!-
Così quel pomeriggio Jay si trasferì all'Asilo. Per fortuna la compagnia di traslochi risultò essere molto FAST e poco SNAIL, così alle tre era già sistemato tutto. Una camera da letto con bagno annesso entrambi in stile country ed un'altra stanza dove Jay mise tutti i mobili e le sue cose prelevati dagli operai da Valery diventarono la sua nuova casa. Il tutto era completato da una cucina e una sala da pranzo nelle quali Simon, giorno dopo giorno, gli avrebbe fatto qualunque tipo di ricatto per sapere chi fosse mai questa italiana misteriosa conosciuta a Roma.  Jay, ovviamente, avrebbe respinto fino alla morte tutte le allusioni dell'amico, ma senza mai negare apertamente. Questo piccolo particolare fu più che sufficiente per convincere Simon che Jay non gliela stesse raccontando tutta.


(1) Da "How Far We've Come" - Matchbox Twenty 
  
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