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Autore: Dew_Drop    23/06/2011    3 recensioni
"Paura dei sentimenti. Paura di vederli, toccarli, tradurli, semplicemente un terrore di convivenza. La domanda che, se rivolta alle persone sbagliate, accende la miccia di un processo chiamato “debolezza umana”. Il difetto insito in questi individui è unicamente quello di non sentirsi parte del meraviglioso mondo degli affetti. Gokudera Hayato, dal suo piccolo angolo in cui vive morto da quattordici anni, ha sbirciato il ritmo dell’esistenza cadenzato dai sentimenti e li ha etichettati come nocivi per un proposito di vendetta nei confronti del destino. E la cosa interessante è che l’unico ad averlo capito – percezione assai differente dalla semplice “intuizione” – è quell’idiota del baseball"
Magari nevicherà abbastanza.
Genere: Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hayato Gokudera, Takeshi Yamamoto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La neve testimonia






«LA NEVE TESTIMONIA»


Di par suo crede che Gokudera non accetterà l’invito, data la sua abitudine di negarsi l’affetto della gente. Quando glielo chiede, non a caso, l’italiano si limita a sbirciarlo scettico da dietro la tazza di cioccolata per un tempo che gli pare interminabile, per poi buttare lì un frettoloso: “Perché dovrei cenare da te?” seguito da un’alzata di spalle.

È già stata un’impresa trascinarlo in quel bar, figuriamoci invitarlo a fermarsi per cena a casa sua. Per una brevissima frazione di secondo Yamamoto pensa che in fondo ad una persona non serva un motivo preciso per provarci con un’altra; ma non può certo rispondergli così, perché in quel caso l’autoproclamato ‘braccio destro’ sarebbe capace di alzarsi, recuperare lo zaino e piantarlo da solo al tavolino un po’ come nelle classiche scene da commedia dei film americani. E non ha affatto intenzione di fare la stessa fine.

“Perché... perché ho notato che vai sempre a trovare Tsuna, ma da me non passi mai, tutto qui.”

Juudaime.”

“Fa’ lo stesso.”

“...sicuro che sia per questo?”

“Per cos’altro potrebbe essere?”

“Uhm.” Gokudera prende un sorso, appoggia la tazza. “Non ti prometto niente, però.”

Almeno non l’ha abbandonato al bar, nonostante la risposta non sia una piena conferma. Proprio per questo, quella stessa sera, il moro fa scorrere la porta aspettando di trovarsi davanti qualcuno del club di baseball, o Ryohei tirato a lucido nella tuta sportiva pronto a proporgli una corsetta per chiudere in bellezza la giornata. Invece si stupisce non poco quando si trova faccia a faccia con Gokudera, il mento appollaiato nell’abbraccio della sciarpa e le mani affondate nelle tasche. Rimangono un momento a guardarsi, l’uno sull’uscio, con una mano ancora sullo stipite e gli occhioni color nocciola sbarrati dalla sorpresa, l’altro immobile come un soldatino di piombo lì davanti, con le pupille che baluginano alle folate di vento. Finché proprio quest’ultimo, storcendo appena la bocca, grugnisce:

“Ohi.”

“Go-Gokudera...”

“La smetti di guardarmi con quella faccia da allocco rincoglionito? Mi fai entrare sì o no?”

Entra. Si toglie le scarpe. Si sfila sciarpa, berretto e giaccone.

Tutto questo in silenzio. Yamamoto ha come l’impressione, mentre si richiude la porta alle spalle, che quell’assenza di suono pulsi dell’imbarazzo di entrambi. D’altronde lui non si aspettava certo che Gokudera accettasse, mentre l’italiano non riesce a digerire il fatto d’aver abbracciato la causa, seppur inconsciamente. Inconsciamente perché, una volta che si è trovato da solo in strada, dopo che quell’idiota patentato ha svoltato verso casa propria, l’idea di cenare con dell’ottimo sushi gli è parsa quasi buona. Tutto sommato sa bene che il motivo è quello, no? È stato accusato di passare troppo spesso a casa del Juudaime e in fondo sa di essere nel torto. Quindi, s’è infine convinto, perché non accettare?

“Ohi” lo spia mentre destina il giaccone all’appendiabiti, “avevi detto che non riesci a capire l’ultimo argomento di matematica, dico bene?”

La domanda ha l’effetto di una doccia gelata. Yamamoto ricorda d’avergliene parlato, si sa, quello che ha di fronte è il genio di Namimori, magari si può tentare un approccio e chiedergli il favore di qualche spiegazione di recupero. Magari. Ma non aveva calcolato che quell’argomento potesse saltar fuori in quel frangente.

“A-ah...” risponde. “Sì, ma... non vorrei che prendessi questa cena come uno scambio di favori. Questo è un invito, mica un baratto, dico bene?”, e sfodera un sorrisetto sbarazzino. L’ospite lo analizza da capo a piedi prima di scuotere il capo e infilarsi le pantofole:

“Razza di cretino.”

Gli insulti gratuiti da parte sua suonano più o meno come dei complimenti. Con il tempo il moro non ha faticato a capire che alcune volte “coglione” e “stupido” sono sinonimi di “amico mio”. Gokudera Hayato funziona così, dopotutto: è un controsenso vivente e il suo accanimento nel voler odiare qualcuno non è altro che una forma per dimostrare affetto. Yamamoto lo sbircia con un sorriso compiaciuto e lo precede in salotto.

Assieme al padrone di casa convengono di dover aspettare ancora mezz’ora prima della cena, in quanto quella sera il ristorante chiuderà i battenti e manca poco perché gli ultimi clienti sciamino all’esterno. Così il moro trascina Gokudera in camera propria con la perpetuata e tacita intenzione di fare quattro chiacchiere. Eppure l’italiano deve intuire qualcosa dato che, quando si accomoda sul tatami, avverte uno scomodo formicolio alle viscere accompagnato dall’irritante sensazione d’essere arrossito. Serra i pugni sulle caviglie e guarda fuori.

Ha appena ricominciato a nevicare. Questo mese di febbraio si annuncia più freddo del previsto e il solo fatto che nevichi ad intermittenza da oramai tre settimane non promette nulla di buono. C’è un sottile nastro di nebbia ad incoronare l’orizzonte acquoso, là in lontananza, e le folate di vento graffiano il vetro un po’ come un gesso farebbe su una lavagna: il suono è ovviamente frutto della fantasia, ma il risultato – brividi lungo la schiena – è comunque fastidiosamente tangibile. Sui tetti di Namimori si posano nuvoloni gravidi di neve. Poco ma sicuro che l’alba aprirà gli occhi su un paesaggio ancor più immobile. Per un chissà qual motivo, Gokudera si domanda se la nevicata sarà in grado di fargli sputare il rospo; perché la possibilità di rimanere bloccati a casa di un amico e di scoprirsi obbligati a svelare i propri sentimenti, senz’altro incalzato da quella cornice bianca e romantica, non è poi tanto stupida.

Sta ancora guardando fuori quando una coperta plana – “plana”, che stupido pensiero – sulle sue spalle. Scosta gli occhi dalla finestra e vede che Yamamoto si sta sedendo di fronte a lui. Dal suo classico sorriso da ebete non gli ci vuole molto per capire il necessario.

“Guarda che non ho freddo.”

“Non si sa mai, stare immobili non fa certo venire caldo.”

“Cosa ti fa pensare che me ne starò qui fermo? Ho bisogno di una finestra e di una fumata.”

Il moro si stringe nelle spalle con espressione indifferente. Quel gesto equivale ad una concessione, o almeno è così che Gokudera lo traduce, perché sfila un pacchetto di Camel e accosta la fiamma dell’accendino alla sigaretta prontamente infilata tra le labbra:

“E’ da un po’ che la tua faccia da allocco mi pare più rimbecillita del solito, pertanto ne deduco che tu voglia dirmi qualcosa, uhm?”

“Veramente è una domanda che mi frulla in testa da un po’...”

“Tch, allora sentiamo. Basta che non sia troppo personale.”

Detto questo, l’italiano lo sbircia bieco alzando lo sguardo e tirando una boccata. L’indice e il medio fremono un poco, ma è un particolare di poco conto dato che ogni volta che ricorre a quel suo passatempo profumato di nicotina, allora c’è sempre un po’ d’ansia. Anche se di recente ha cominciato a fumare anche senza l’ausilio di Agitazione-san, ma questo di certo non può dirglielo, soprattutto perché ne farebbe parola con il Juudaime e non gli pare il caso di farlo preoccupare. È diventato un vizio a prescindere dal suo umore, ecco tutto.

“Non è che per caso hai paura dei sentimenti?” domanda tutto d’un fiato Yamamoto, con l’atteggiamento di chi ingoia la pastiglia in un sol sorso per evitare il sapore asprigno. Gokudera pianta gli occhi nei suoi e soffia fumo dalle narici come un dragone indispettito:

“No.”

“Sicuro al cento per cento?”

“Nyah. A-a dire il vero” aggiunge l’italiano scostandosi la sigaretta dalle labbra, “...a dire il vero, allocco, non è che abbia capito benissimo la domanda. Mi spieghi che cazzo vuol dire?”

“Che sei schivo e brusco con tutti solo perché temi l’affetto degli altri; perché non sai come comportarti, o ricambiare, o semplicemente non sopporti la tua... insomma, la tua ignoranza in materia.”

“...”

“...Gokudera?”

“Yamamoto Takeshi.”

“Uhm?”

“Lo sai che mi fai incazzare?”

“Pe-perché ho ragione?” tira ad indovinare il moro sfumando in un sorrisetto, ma in quell’istante quel suo abbozzo di speranza viene falciato dallo schiaffo che gli gira la faccia.

Pare lo schiocco di una frusta.

Yamamoto si porta la mano alla guancia, tasta il rossore che gli trivella dolorosamente la pelle. Il fiato stroncato gli ha gonfiato le pupille in un’espressione di orrida incredulità, mentre negli occhi si sciolgono i primi fremiti di un velo di lacrime:

“Go...”

“Lo sai?” lo interrompe l’altro, e allunga un sorriso stanco e macinato dal rancore, “lo sai, idiota del baseball, che per una volta hai ragione? Che mi hai fatto incazzare? Ma soprattutto che per una volta hai fottutamente ragione?”

La sigaretta fra le sue labbra trema disobbedendo alla silenziosa volontà dei pugni serrati. La testa è incassata fra le spalle. Per un istante la voce del silenzio è così forte che il fremito di quelle mani chiuse a tenaglia, lo stridere dei denti stretti, l’impulso bollente della gola, insomma tutto grida. Perché questo Tutto è rimasto zitto per troppo tempo, ed ora Tutto ha voglia di parlare.

Paura dei sentimenti. Paura di vederli, toccarli, tradurli, semplicemente un terrore di convivenza. La domanda che, se rivolta alle persone sbagliate, accende la miccia di un processo chiamato “debolezza umana”. Il difetto insito in questi individui è unicamente quello di non sentirsi parte del meraviglioso mondo degli affetti. Gokudera Hayato, dal suo piccolo angolo in cui vive morto da quattordici anni, ha sbirciato il ritmo dell’esistenza cadenzato dai sentimenti e li ha etichettati come nocivi per un proposito di vendetta nei confronti del destino. E la cosa interessante è che l’unico ad averlo capito – percezione assai differente dalla semplice “intuizione” – è quell’idiota del baseball.

Lo stesso Yamamoto che ora, affilati gli occhi in uno sguardo lucido e magnificamente dolce, allunga la mano e sfila la sigaretta dalle labbra di chi gli è di fronte, spegnendosela sui pantaloni senza dar peso al pizzicotto della cenere rovente.

“Gokudera. Lo sapevo già prima che tu me ne dessi conferma. Volevo solo una tua confessione.”

“Perché pensi che potrebbe risolvere qualcosa?”

“Uhm. La cosa fondamentale è essere sinceri con se stessi; poi, eventualmente, se ne parla con gli altri.”

“Tch, la sincerità.” Nel suo tono vibra una nota velenosa. Alza gli occhi svelando la tinta accesa delle gote e il brivido delle pupille, accompagnati dal sorrisetto amaro. “Gran bella fregatura.”

Il moro risponde al sorriso. Il rossore del suo volto è un particolare delizioso che mai si aspettava di vedere addosso ad un tipo come lui, e forse è proprio per via della rarità che quella spennellata di puerile e rabbioso imbarazzo gli pare così meravigliosa.

“Gran bella fregatura” si riaggancia il braccio destro, sviando con lo sguardo. “Stavo quasi per mettermi a piangere, pensa un po’.”

“E perché non lo fai?”

“Alcune volte capita di dimenticarsi come va fatta una certa cosa. Anche se presumo basti essere sinceri per riapprendere la nozione.”

Pausa di riflessione, segnalata dalla lingua che nervosa inumidisce le labbra. Poi:

Qualcuno fa scattare in me un qualcosa.”

“Mi stai dicendo che sei innamorato?”

La domanda costa all’italiano un singulto di disapprovazione, come se abbia strozzato l’istinto in gola. Rimane un istante a fissare l’espressione dell’idiota con lo sguardo più puro ed innocente del mondo. Sembra quasi un bambino di fronte ad un prestigiatore che ha appena svelato una colomba da sotto il cilindro. Poi però lo spettacolo di magia, da positivamente sconosciuto, sfuma in qualcosa di alieno e avverso; si trasforma nella consapevolezza che sì, quell’idiota riesce a capirlo meglio di chiunque altro, ed ecco che realizza di dovergli dare ragione per una seconda volta.

La neve ha già varcato il gradino dei marciapiedi quando Hayato Gokudera si aggrappa alla camicia di Takeshi Yamamoto e trova una culla per le proprie lacrime. Gli è bastato allungarsi un poco in avanti per scoprire quella spalla forte e quel petto profumato di pioggia.

A ben pensarci lui ha sempre addosso questo profumo, ma per il momento non vuole limitarsi a sentirlo, vuole proprio esserne abbracciato. E non è solo quell’essenza a stringerlo, ora, ma anche due paia di braccia magnificamente calde e avvolgenti. Piange tutto quello che ha da piangere e alla fine sospira a contatto con il suo collo.

Adesso sta meglio. La certezza che quel magnifico idiota non parlerà lo induce a stringersi di più a lui e chiudere gli occhi. Avvertire il battito del suo cuore attraverso la gola è un’ambrata ninnananna.

“Ho paura” mormora. “Ho paura da morire.”

Ancora nessuna parola in risposta. Yamamoto si limita ad abbracciarlo ed ha appoggiato la guancia sul suo capo. Che bello avere un qualcuno che se ne sta in silenzio ad ascoltare, e non giudica neanche col respiro.

“Ho paura di amarti perché non so cosa potrebbe succedere” conclude in un sussurrio, serrando con più forza i pugni sulla sua camicia. “Ho paura di tante cose, razza di idiota, ma fra tutte ho più paura di non amarti abbastanza.”

Non sta singhiozzando e la voce è semplicemente incrinata nel vano tentativo di trascurare il pianto che gli pulsa nella testa. È a quel punto che il moro lo stringe ancora di più e accosta le labbra al suo orecchio:

“Anch’io ho paura di una cosa.”

Gokudera avverte il sobbalzo del proprio cuore sciogliersi lungo la guancia.

“Ho paura che non nevichi abbastanza da costringerti a casa mia per la notte.”

 

Il bacio che segue è salato. Porge l’orecchio a quel Tutto che finalmente si è deciso a parlare.

Porge l’orecchio un po’ come la neve, che in tacita testimonianza ascolta.

* * *

Io proprio non posso fare a meno delle 8059, pertanto ho preso spunto da una role e ci ho lavorato sopra. All'inizio volevo pubblicarla al passato remoto (vi lascio immaginare la disgrazia quando mi sono resa conto che preferivo usare il presente ----> ho cambiato tutti i verbi =w=" ), e alla fine è uscito questo *indica sopra* Spero di non essere andata OOC, ma Gokky-chan puccioso e Uke Bisognoso è un elemento per me... immancabile *.*

E tra poco la smetterò con le one-shot, almeno per un periodetto, e sbarcherò con la mia prima long-fic in questo fandom (ovviamente, Take-Gokky centric °v°). Ho già messo giù un paio di capitoli e mi sa che pubblicherò solo quando avrò idee certe sulla trama. Vabbe', adios, questo era solo un piccolo spot pubblicitario XD

Ringrazio chi leggerà questa sdolcinatezza qui sopra ò_ò *_*

Dew_ 

 

 

 

  

   


   
 
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