Di
par suo crede che Gokudera non accetterà l’invito, data la sua abitudine di
negarsi l’affetto della gente. Quando
glielo chiede, non a caso, l’italiano si limita a sbirciarlo scettico da dietro
la tazza di cioccolata per un tempo che gli pare interminabile, per poi buttare
lì un frettoloso: “Perché dovrei cenare da te?” seguito da un’alzata di spalle.
È
già stata un’impresa trascinarlo in quel bar, figuriamoci invitarlo
a fermarsi per cena a casa sua. Per una brevissima frazione di secondo Yamamoto
pensa che in fondo ad una persona non serva un motivo preciso per provarci con
un’altra; ma non può certo rispondergli così, perché in quel caso
l’autoproclamato ‘braccio destro’ sarebbe capace di alzarsi, recuperare lo
zaino e piantarlo da solo al tavolino un po’ come nelle classiche scene da
commedia dei film americani. E non ha affatto intenzione di fare la stessa
fine.
“Perché...
perché ho notato che vai sempre a trovare Tsuna, ma da me non passi mai, tutto
qui.”
“Juudaime.”
“Fa’
lo stesso.”
“...sicuro
che sia per questo?”
“Per
cos’altro potrebbe essere?”
“Uhm.”
Gokudera prende un sorso, appoggia la tazza. “Non ti prometto niente,
però.”
Almeno
non l’ha abbandonato al bar, nonostante la risposta non sia una piena conferma.
Proprio per questo, quella stessa sera, il moro fa scorrere la porta
aspettando di trovarsi davanti qualcuno del club di baseball, o Ryohei tirato
a lucido nella tuta sportiva pronto a proporgli una corsetta per chiudere in
bellezza la giornata. Invece si stupisce non poco quando si trova faccia a
faccia con Gokudera, il mento appollaiato nell’abbraccio della sciarpa e le
mani affondate nelle tasche. Rimangono un momento a guardarsi, l’uno
sull’uscio, con una mano ancora sullo stipite e gli occhioni color nocciola
sbarrati dalla sorpresa, l’altro immobile come un soldatino di piombo lì davanti,
con le pupille che baluginano alle folate di vento. Finché proprio
quest’ultimo, storcendo appena la bocca, grugnisce:
“Ohi.”
“Go-Gokudera...”
“La
smetti di guardarmi con quella faccia da allocco rincoglionito? Mi fai entrare
sì o no?”
Entra.
Si toglie le scarpe. Si sfila sciarpa, berretto e giaccone.
Tutto
questo in silenzio. Yamamoto ha come l’impressione, mentre si richiude la porta
alle spalle, che quell’assenza di suono pulsi dell’imbarazzo di entrambi.
D’altronde lui non si aspettava certo che Gokudera accettasse, mentre
l’italiano non riesce a digerire il fatto d’aver abbracciato la causa, seppur
inconsciamente. Inconsciamente perché, una volta che si è trovato da solo in
strada, dopo che quell’idiota patentato ha svoltato verso casa propria, l’idea
di cenare con dell’ottimo sushi gli è parsa quasi buona. Tutto sommato sa bene
che il motivo è quello, no? È stato accusato di passare troppo spesso a casa
del Juudaime e in fondo sa di essere nel torto. Quindi, s’è infine convinto,
perché non accettare?
“Ohi”
lo spia mentre destina il giaccone all’appendiabiti, “avevi detto che non riesci
a capire l’ultimo argomento di matematica, dico bene?”
La
domanda ha l’effetto di una doccia gelata. Yamamoto ricorda d’avergliene parlato,
si sa, quello che ha di fronte è il genio di Namimori, magari si può tentare un
approccio e chiedergli il favore di qualche spiegazione di recupero. Magari. Ma non aveva calcolato che
quell’argomento potesse saltar fuori in quel frangente.
“A-ah...”
risponde. “Sì, ma... non vorrei che prendessi questa cena come uno scambio di
favori. Questo è un invito, mica un baratto, dico bene?”, e sfodera un
sorrisetto sbarazzino. L’ospite lo analizza da capo a piedi prima di scuotere
il capo e infilarsi le pantofole:
“Razza
di cretino.”
Gli
insulti gratuiti da parte sua suonano più o meno come dei complimenti. Con il
tempo il moro non ha faticato a capire che alcune volte “coglione” e “stupido”
sono sinonimi di “amico mio”. Gokudera Hayato funziona così, dopotutto: è un
controsenso vivente e il suo accanimento nel voler odiare qualcuno non è altro
che una forma per dimostrare affetto. Yamamoto lo sbircia con un sorriso
compiaciuto e lo precede in salotto.
Assieme
al padrone di casa convengono di dover aspettare ancora mezz’ora prima della
cena, in quanto quella sera il ristorante chiuderà i battenti e manca poco
perché gli ultimi clienti sciamino all’esterno. Così il moro trascina Gokudera
in camera propria con la perpetuata e tacita intenzione di fare quattro
chiacchiere. Eppure l’italiano deve intuire qualcosa dato che, quando si
accomoda sul tatami, avverte uno scomodo formicolio alle viscere accompagnato
dall’irritante sensazione d’essere arrossito. Serra i pugni sulle caviglie e
guarda fuori.
Ha
appena ricominciato a nevicare. Questo mese di febbraio si annuncia più freddo
del previsto e il solo fatto che nevichi ad intermittenza da oramai tre
settimane non promette nulla di buono. C’è un sottile nastro di nebbia ad
incoronare l’orizzonte acquoso, là in lontananza, e le folate di vento graffiano
il vetro un po’ come un gesso farebbe su una lavagna: il suono è ovviamente
frutto della fantasia, ma il risultato – brividi lungo la schiena – è comunque
fastidiosamente tangibile. Sui tetti di Namimori si posano nuvoloni gravidi di
neve. Poco ma sicuro che l’alba aprirà gli occhi su un paesaggio ancor più
immobile. Per un chissà qual motivo, Gokudera si domanda se la nevicata sarà in
grado di fargli sputare il rospo; perché la possibilità di rimanere bloccati a
casa di un amico e di scoprirsi obbligati a svelare i propri sentimenti, senz’altro
incalzato da quella cornice bianca e romantica, non è poi tanto stupida.
Sta
ancora guardando fuori quando una coperta plana – “plana”, che stupido pensiero
– sulle sue spalle. Scosta gli occhi dalla finestra e vede che Yamamoto si sta
sedendo di fronte a lui. Dal suo classico sorriso da ebete non gli ci vuole molto
per capire il necessario.
“Guarda
che non ho freddo.”
“Non
si sa mai, stare immobili non fa certo venire caldo.”
“Cosa
ti fa pensare che me ne starò qui fermo? Ho bisogno di una finestra e di una
fumata.”
Il
moro si stringe nelle spalle con espressione indifferente. Quel gesto equivale
ad una concessione, o almeno è così che Gokudera lo traduce, perché sfila un
pacchetto di Camel e accosta la fiamma dell’accendino alla sigaretta
prontamente infilata tra le labbra:
“E’
da un po’ che la tua faccia da allocco mi pare più rimbecillita del solito,
pertanto ne deduco che tu voglia dirmi qualcosa, uhm?”
“Veramente
è una domanda che mi frulla in testa da un po’...”
“Tch,
allora sentiamo. Basta che non sia troppo personale.”
Detto
questo, l’italiano lo sbircia bieco alzando lo sguardo e tirando una boccata.
L’indice e il medio fremono un poco, ma è un particolare di poco conto dato che
ogni volta che ricorre a quel suo passatempo profumato di nicotina, allora c’è
sempre un po’ d’ansia. Anche se di recente ha cominciato a fumare anche senza
l’ausilio di Agitazione-san, ma questo di certo non può dirglielo, soprattutto
perché ne farebbe parola con il Juudaime e non gli pare il caso di farlo
preoccupare. È diventato un vizio a prescindere dal suo umore, ecco tutto.
“Non
è che per caso hai paura dei sentimenti?” domanda tutto d’un fiato Yamamoto,
con l’atteggiamento di chi ingoia la pastiglia in un sol sorso per evitare il
sapore asprigno. Gokudera pianta gli occhi nei suoi e soffia fumo dalle narici
come un dragone indispettito:
“No.”
“Sicuro
al cento per cento?”
“Nyah.
A-a dire il vero” aggiunge l’italiano scostandosi la sigaretta dalle labbra, “...a
dire il vero, allocco, non è che abbia capito benissimo la domanda. Mi spieghi
che cazzo vuol dire?”
“Che
sei schivo e brusco con tutti solo perché temi l’affetto degli altri; perché
non sai come comportarti, o ricambiare, o semplicemente non sopporti la tua...
insomma, la tua ignoranza in materia.”
“...”
“...Gokudera?”
“Yamamoto
Takeshi.”
“Uhm?”
“Lo
sai che mi fai incazzare?”
“Pe-perché
ho ragione?” tira ad indovinare il moro sfumando in un sorrisetto, ma in quell’istante
quel suo abbozzo di speranza viene falciato dallo schiaffo che gli gira la
faccia.
Pare
lo schiocco di una frusta.
Yamamoto
si porta la mano alla guancia, tasta il rossore che gli trivella dolorosamente
la pelle. Il fiato stroncato gli ha gonfiato le pupille in un’espressione di
orrida incredulità, mentre negli occhi si sciolgono i primi fremiti di un velo
di lacrime:
“Go...”
“Lo
sai?” lo interrompe l’altro, e allunga un sorriso stanco e macinato dal
rancore, “lo sai, idiota del baseball, che per una volta hai ragione? Che mi
hai fatto incazzare? Ma soprattutto che per una volta hai fottutamente ragione?”
La
sigaretta fra le sue labbra trema disobbedendo alla silenziosa volontà dei
pugni serrati. La testa è incassata fra le spalle. Per un istante la voce del
silenzio è così forte che il fremito di quelle mani chiuse a tenaglia, lo
stridere dei denti stretti, l’impulso bollente della gola, insomma tutto grida. Perché questo Tutto è rimasto
zitto per troppo tempo, ed ora Tutto ha voglia di parlare.
Paura
dei sentimenti. Paura di vederli, toccarli, tradurli, semplicemente un
terrore
di convivenza. La domanda che, se rivolta alle persone sbagliate,
accende la
miccia di un processo chiamato “debolezza umana”. Il
difetto insito in questi
individui è unicamente quello di non sentirsi parte del
meraviglioso mondo
degli affetti. Gokudera Hayato, dal suo piccolo angolo in cui vive
morto da
quattordici anni, ha sbirciato il ritmo dell’esistenza cadenzato
dai sentimenti
e li ha etichettati come nocivi per un proposito di vendetta nei
confronti del destino. E la cosa interessante è che
l’unico ad averlo capito – percezione assai differente
dalla semplice “intuizione” – è quell’idiota del baseball.
Lo
stesso Yamamoto che ora, affilati gli occhi in uno sguardo lucido e
magnificamente dolce, allunga la mano e sfila la sigaretta dalle labbra di chi
gli è di fronte, spegnendosela sui pantaloni senza dar peso al pizzicotto della
cenere rovente.
“Gokudera.
Lo sapevo già prima che tu me ne dessi conferma. Volevo solo una tua
confessione.”
“Perché
pensi che potrebbe risolvere qualcosa?”
“Uhm.
La cosa fondamentale è essere sinceri con se stessi; poi, eventualmente, se ne
parla con gli altri.”
“Tch,
la sincerità.” Nel suo tono vibra una nota velenosa. Alza gli occhi svelando la
tinta accesa delle gote e il brivido delle pupille, accompagnati dal sorrisetto
amaro. “Gran bella fregatura.”
Il
moro risponde al sorriso. Il rossore del suo volto è un particolare delizioso
che mai si aspettava di vedere addosso ad un tipo come lui, e forse è proprio
per via della rarità che quella spennellata di puerile e rabbioso imbarazzo gli
pare così meravigliosa.
“Gran
bella fregatura” si riaggancia il braccio destro, sviando con lo sguardo. “Stavo
quasi per mettermi a piangere, pensa un po’.”
“E
perché non lo fai?”
“Alcune
volte capita di dimenticarsi come va fatta una certa cosa. Anche se presumo
basti essere sinceri per riapprendere la nozione.”
Pausa
di riflessione, segnalata dalla lingua che nervosa inumidisce le labbra. Poi:
“Qualcuno fa scattare in me un qualcosa.”
“Mi
stai dicendo che sei innamorato?”
La
domanda costa all’italiano un singulto di disapprovazione, come se abbia
strozzato l’istinto in gola. Rimane un istante a fissare l’espressione dell’idiota
con lo sguardo più puro ed innocente del mondo. Sembra quasi un bambino di
fronte ad un prestigiatore che ha appena svelato una colomba da sotto il cilindro.
Poi però lo spettacolo di magia, da positivamente sconosciuto, sfuma in qualcosa
di alieno e avverso; si trasforma nella consapevolezza che sì, quell’idiota
riesce a capirlo meglio di chiunque altro, ed ecco che realizza di dovergli dare
ragione per una seconda volta.
La
neve ha già varcato il gradino dei marciapiedi quando Hayato Gokudera si
aggrappa alla camicia di Takeshi Yamamoto e trova una culla per le proprie
lacrime. Gli è bastato allungarsi un poco in avanti per scoprire quella spalla
forte e quel petto profumato di pioggia.
A
ben pensarci lui ha sempre addosso questo profumo, ma per il momento non vuole
limitarsi a sentirlo, vuole proprio esserne abbracciato. E non è solo quell’essenza
a stringerlo, ora, ma anche due paia di braccia magnificamente calde e
avvolgenti. Piange tutto quello che ha da piangere e alla fine sospira a contatto
con il suo collo.
Adesso
sta meglio. La certezza che quel magnifico idiota non parlerà lo induce a
stringersi di più a lui e chiudere gli occhi. Avvertire il battito del suo
cuore attraverso la gola è un’ambrata ninnananna.
“Ho
paura” mormora. “Ho paura da morire.”
Ancora
nessuna parola in risposta. Yamamoto si limita ad abbracciarlo ed ha appoggiato
la guancia sul suo capo. Che bello avere un qualcuno che se ne sta in silenzio
ad ascoltare, e non giudica neanche col respiro.
“Ho
paura di amarti perché non so cosa potrebbe succedere” conclude in un
sussurrio, serrando con più forza i pugni sulla sua camicia. “Ho paura di tante
cose, razza di idiota, ma fra tutte ho più paura di non amarti abbastanza.”
Non
sta singhiozzando e la voce è semplicemente incrinata nel vano tentativo di
trascurare il pianto che gli pulsa nella testa. È a quel punto che il moro lo
stringe ancora di più e accosta le labbra al suo orecchio:
“Anch’io
ho paura di una cosa.”
Gokudera
avverte il sobbalzo del proprio cuore sciogliersi lungo la guancia.
“Ho
paura che non nevichi abbastanza da costringerti a casa mia per la notte.”
Il
bacio che segue è salato. Porge l’orecchio a quel Tutto che finalmente si è
deciso a parlare.
Porge
l’orecchio un po’ come la neve, che in tacita testimonianza
* * *
Io proprio non posso fare a meno delle 8059, pertanto ho preso spunto da una role e ci ho lavorato sopra. All'inizio volevo pubblicarla al passato remoto (vi lascio immaginare la disgrazia quando mi sono resa conto che preferivo usare il presente ----> ho cambiato tutti i verbi =w=" ), e alla fine è uscito questo *indica sopra* Spero di non essere andata OOC, ma Gokky-chan puccioso e Uke Bisognoso è un elemento per me... immancabile *.*
E tra poco la smetterò con le one-shot, almeno per un periodetto, e sbarcherò con la mia prima long-fic in questo fandom (ovviamente, Take-Gokky centric °v°). Ho già messo giù un paio di capitoli e mi sa che pubblicherò solo quando avrò idee certe sulla trama. Vabbe', adios, questo era solo un piccolo spot pubblicitario XD
Ringrazio chi leggerà questa sdolcinatezza qui sopra ò_ò *_*