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Autore: LazyGirl    23/06/2011    3 recensioni
Amanda Oliver è sempre stata una ragazza "invisibile" e apparentemente felice di esserlo. Nessun amico, nessun guaio, come secondo il detto "meglio soli che male accompagnati". Purtroppo per lei, però, i problemi arriveranno presto, insieme a due gemelli ficcanaso e ad una popolarità improvvisa quando indesiderata...
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era appena cominciato l’anno scolastico, quando avvenne l’incontro che spinse la mia banale e monotona vita a cambiare.
Accadde così, improvvisamente; d’un tratto mi sentii avvolgere dal metaforico e “dolce” vento della novità, che prese a soffiare minaccioso verso di me schiaffeggiandomi violentemente il volto.
Sembra la tipica frase da film, quella che spesso e volentieri apre la narrazione tramite la voce fuori-campo della solita protagonista sfigata che poi è tutto al di fuori di quello, ma lasciate che vi avverta: quella che sto per raccontarvi non è la storia di una delle tante, stereotipate eroine di quei lungometraggi romantici e strappalacrime che vanno così di moda al giorno d’oggi.
Non mi vedrete mai, infatti, sul grande schermo a disperarmi per la tragica fine della mia presunta relazione amorosa con il figo-super-sexy-dall’aria misteriosa di turno e nemmeno stringere amicizie profonde con vampiri luccicanti, licantropi, alieni, mostri marini o maghi famosi.
Oh no, nelle seguenti pagine sono impresse nero su bianco le avventure di Amanda Oliver, la ragazza forse più normale che sia mai esistita sul Pianeta Terra!
 
Come stavo dicendo, avevo da poco cominciato a frequentare il mio terzo anno alla Oakland High School, in California, un istituto dalle modeste dimensioni e insignificante dalle fondamenta fino all’ultimo mattone (a mio modesto parere, ovviamente).
Era la sera del ventidue settembre e mi stavo decisamente annoiando alla prima di una lunga serie di feste scolastiche, a cui ero stata letteralmente trascinata a forza dalle mie presunte amiche («Avanti, Amy, è la festa di inizio anno, non puoi assolutamente mancare!» avevano detto all’unisono come fossero stati quattro robot programmati per dire le stesse frasi preimpostate in perfetta sincronia…e con sguardi supplichevoli erano riuscite a convincermi).
Ci trovavamo nel campo di football – io, le mie amiche ed un numero indecifrabile di studenti, tra cui l’intera squadra del liceo accompagnata dalle cheerleader; ovviamente a loro agio nel loro habitat naturale –, e ci volle poco prima che ognuna delle mie compagne mi abbandonasse; senza apparente rimorso mi avevano liquidata con un “torno subito”.
Sapevamo tutte benissimo che non l’avrebbero fatto.
Decisi di sedermi sugli spalti, il più lontano possibile da quella folla scalmanata di adolescenti ubriachi in preda alla follia ed a preoccupanti tempeste ormonali.
Ho sempre detestato il chiasso, stare in mezzo alla gente, e non vi biasimo se la prima domanda che vi siete posti è stata “e allora perché diamine frequenta ambienti del genere?”.
Non lo so nemmeno io, quindi smettete di chiedervelo, o vi scoppierà il cervello prima ancora di trovare una risposta plausibile – perché credo che non esista.
Tornando a me, sedevo sugli spalti con in mano un bicchiere di plastica colmo per metà di CocaCola ed osservavo con occhio critico la massa di festaioli incalliti, sentendomi irrimediabilmente fuori posto.
Io, la piccola (in tutti i sensi; sebbene avessi sedici anni ero alta a malapena centocinquanta centimetri e continuavo a sembrare una mocciosa…iniziavo a credere seriamente che il mio corpo si rifiutasse di svilupparsi, ma la cosa mi importava relativamente poco, nonostante ogni ragazzo con cui avessi sperato di avere una storia, in passato, mi avesse respinto proprio per questo motivo) e tranquilla Amanda, miss acqua e sapone, eterna seconda della classe, c’entravo in quella situazione come Spock sarebbe c’entrato in Star Wars ed Harry Potter sarebbe sembrato a proprio agio nella triste cittadina di Forks, accanto al tenebroso e vampiresco Edward Cullen.
Stavo proprio ragionando su questi assurdi paragoni, quando una voce alle mie spalle interruppe il filo dei miei pensieri insinuandosi prepotentemente nelle mie orecchie.
«Vediamo un po’, cosa abbiamo qui? Un lupo solitario!»
«Liam, è una ragazza. » affermò di risposta un’altra voce, terribilmente simile alla prima, tanto che se non avessi avvertito una seconda presenza dietro di me, avrei temuto di avere a che fare con uno svitato che parlava con se stesso.
«Oh, lo vedo, Marcus. Grazie dell’informazione!»
Mi girai quel tanto che bastò a trovarmi ad un palmo dal naso due paia di lunghe ed esili gambe fasciate in jeans strappati all’altezza delle ginocchia. Alzai istintivamente lo sguardo ed i miei occhi finirono dritti dritti in quelli azzurro mare di uno dei due giganti – perché di questo si trattava –.
Arrossii di botto.
«Una bella ragazza, aggiungerei.» sorrise malizioso quello che immaginai fosse Marcus.
Non ne ero assolutamente sicura, dato che i due ragazzi che mi trovavo non propriamente di fronte erano gemelli. Due gemelli perfettamente identici, alti come modelli, dal viso magro ed appuntito spruzzato di lentiggini ed incorniciato da spettinatissimi capelli di un biondo talmente chiaro da sembrare bianco.
Aprii la bocca senza emettere alcun suono, per poi richiuderla serrando le labbra sottili ad una velocità che mi fece stupire di me stessa.
Probabilmente fissarli in silenzio con sguardo da pesce lesso non deve essere stata la scelta migliore, ciò nonostante i due sembrarono non farci troppo caso, infatti si sedettero accanto a me (continuando a superarmi in altezza di ben una decina di centimetri).
Deglutii leggermente a disagio, intrappolata tra i due giganti senza la benchè minima idea di come comportarmi.
«Come ti chiami?» chiese quello alla mia destra con un sorriso amichevole stampato sul volto. Questo mi rassicurò tanto quanto bastò a farmi pronunciare il mio nome senza balbettare.
«Amanda…»
«Bel nome!» esclamò quello alla mia sinistra «Noi siamo Marcus e Liam, ma questo forse lo avevi capito!», continuò quello alla mia destra. Avevano forse intenzione di farmi rincitrullire?
«Sì, ma chi dei due è chi?»
Scoppiarono entrambi in una fragorosa risata ed io ammutolii di colpo, fissando la mia attenzione sul mio ancora pieno bicchiere di CocaCola, imbarazzata.
Forse non l’ho detto, ma non ci ho mai saputo granchè fare con le persone.
Credo che sia dovuto ad un principio di timidezza che fa parte di me da quando riesco a ricordare…probabilmente ce l’ho nel sangue.
«Non hai tutti i torti a chiedercelo…» il primo a riprendersi dal momento di ilarità fu il gemello alla mia destra, per cui già sentivo di provare più simpatia.
«Ad ogni modo, io sono Marcus!» continuò, sempre sorridendo, dopo essersi assicurato di avere la mia attenzione.
«Quindi quello che ride come una iena è Liam.» dissi qualche minuto dopo, giusto il tempo di riprendermi dallo stato di trance in cui ero caduta perdendomi negli occhi di Marcus.
Liam, che non aveva smesso di ridacchiare per motivi a me ancora sconosciuti, smise all’istante per rispondere con tono sorpreso alla mia provocazione.
«Mi hai appena lanciato una battuta o me lo sono immaginato?»
«È così strano?»
«No, occhi bicromatici, ho sempre avuto un debole per le ragazze sarcastiche!»
Inarcai leggermente le sopracciglia, mentre sul viso di Liam si dipinse un sorriso sghembo dall’aria maliziosa, totalmente diverso da quello dolce del fratello.
Nessuno aveva mai accennato all’unica caratteristica particolare del mio aspetto – e di cui sono sempre andata abbastanza fiera – così apertamente; i miei occhi “diversi”, l’uno color cioccolato e l’altro verde smeraldo.
«Qualche problema con il colore dei miei occhi, Iena?»
Chiesi, sorridendo a mia volta, fiera di quel soprannome – l’unico con cui avrei poi chiamato Liam da quella sera.
«No, Bambina, mi piacciono i tuoi occhi…» prevedibile.
Quest’altro odioso nomignolo divenne mio appena gli sfuggì dalle labbra, ancora rivolte in un ghigno poco rassicurante; l’avrei dovuto intendere dall’eloquente e sinistro luccichio che aveva illuminato il suo sguardo nel pronunciarlo.
In quel preciso istante un brivido mi percorse la schiena in segno di avvertimento ed improvvisamente ebbi la sensazione che quella conversazione sarebbe stata la causa di tutti i miei guai.
 

Non mi ero sbagliata: tutto è cominciato…così.
 

  
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