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Autore: FreyjaFem    24/06/2011    0 recensioni
Non è sbagliato ritrovare il coraggio di amare qualcuno, anche se le delusioni passate sembrano incatenarci alla quotidianità, all'abitudine che ha reso quei dolori meno forti, meno pungenti. Quattro vite destinate ad intrecciarsi alla ricerca di un lieto fine, quattro storie, quattro caratteri diversi, quattro persone alla ricerca disperata della felicità. Incomprensioni, parole non dette, sentimenti poco chiari, desideri inespressi e un disperato bisogno di amore.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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AYAME
 
Un aroma di dolci cotti al forno riempiva la strada, raggiungendo il negozio di fiori in cui lavoravo.
Distinguevo perfettamente l'odore della crema, delle sfoglie fragranti, della frutta matura tagliata a pezzi per la guarnizione delle torte: si sentiva fin dentro la serra, sposandosi alla perfezione con l'odore dei fiori appena colti, preparati in eleganti mazzi per cerimonie e festività fra le più disparate. Spalancai le narici per farmi entrare un po' di quell'armonia di profumi nei polmoni e poi consegnai un fascio di viole, raccolte in una pregiata carta argentea, ad un cliente a cui rivolsi il più cordiale dei miei sorrisi.
Adoravo l'atmosfera che si respirava in quella piccola periferia in cui vivevo e da cui mi spostavo solo per raggiungere l'università, la mia routine era perfetta: il mattino presto mi muovevo in bici accompagnato dal delizioso odore di pasticceria, frequentavo le lezioni del giorno, lavoravo part-time di pomeriggio al negozio anteriore alla serra, ritornavo a casa, riposavo e poi passeggiavo la sera con gli amici nell'atmosfera suggestiva della città illuminata di notte.
Niente di meglio. Eppure a volte sentivo come se mi mancasse qualcosa, qualcosa su tutt'altro piano rispetto a queste cose.
Non avevo avuto una vita sentimentale molto serena, avevo detto basta da quando la mia ex aveva provato a chiudermi in casa per una possessività malata, da psicolabile.
Le relazioni precedenti di certo non erano state meglio di quella: una donna ancora legata al suo ex ragazzo e un'altra tormentata dal terrore di essere tradita. Ad un certo punto avevo cominciato a credere seriamente di attirare solo questo genere di persone; non ne potevo più di soffrire e perciò avevo deciso di dedicare anima e corpo al lavoro; talvolta cercavo di affogare, senza riuscirci, quel senso di solitudine nelle mie attività quotidiane.
Poi nella mia vita comparve lui: Fumihiro. Uomo d'affari, sposato, accanito lavoratore, una persona che sembrava aver portato del calore nella mia vita, una compagnia graditissima, che amavo ascoltare e riempire di attenzione. Mi sentivo rinato, ero finalmente in grado di lasciarmi andare completamente alle onde delle emozioni, ignoravo che si sarebbero presto trasformate in cavalloni, rischiando di annegarvi irrimediabilmente. Lui cambiò completamente dopo la sua separazione con la moglie.
Cercò di uccidere la disperazione con l'alcool, la maggior parte delle volte tornava a casa con altre donne, mi malmenava, abusava di me in modo violento e io non avevo forza di reagire.
A volte mi chiedevo se sarei sopravvissuto fino al giorno successivo, a volte mi chiedevo se era questa la vita che volevo. E poi trovai finalmente il coraggio di andarmene per sempre da quella casa.
-Ma insomma, signor fioraio, quanto ancora devo aspettare?-
Una voce mi destò dai miei pensieri, riportandomi sulla Terra d'impatto.
-Eh..? Come scusi??-
-Ah, buongiorno! Com'era il mondo dei sogni quest'oggi?- sbottò ironicamente l'uomo in risposta.
Mi fissava con gli occhi piccoli e radiosi, sorridendo con aria impertinente, sistemandosi gli occhiali da vista per osservarmi meglio. I lisci capelli neri gli ricadevano sulle spalle, lunghi fin sotto il petto definito. Aveva un fisico allenato e praticamente perfetto.
-Ecco io..- feci imbarazzato -..chiedo scusa.. in cosa posso esserle utile..?-
Lui mi fissò, studiandomi con aria divertita.
-Beh.. mi servirebbe un mazzo di fiori per la laurea di una persona a me cara, cosa mi consigli??- posò entrambi i gomiti sul tavolo, col mento sui palmi delle mani.
-Un amico?- chiesi
-Sissignore-
-Mazzo piccolo, medio o grande?- gli indicai le diverse dimensioni -ha qualche desiderio particolare in fatto di colori?-
-Fai tu, mi fido del tuo buongusto!- il suo sorriso arrogante si allargò e io distolsi lo sguardo annuendo nervosamente.
Mi allontanai dal bancone per dirigermi verso uno scaffale, analizzando attentamente le varietà disponibili. Ebbi la sensazione di avere i suoi occhi fissi sulla mia schiena, una cosa che mi mise seriamente a disagio e che mi fece incurvare le spalle automaticamente, quasi a cercare di rendermi il più piccolo possibile.
Presi gran quantità di garofani e fiori di corbezzolo e li avvolsi in una carta trasparente leggera, fermando il tutto con un nastro azzurro molto elegante.
Lui seguì i miei movimenti, impacciati per l'imbarazzo e ridacchiò sotto i baffi.
-Non sei uno a cui piace essere al centro dell'attenzione, vero?-
Alzai lo sguardo dal mazzo e presi a fissarlo, avvampando un po' per l'irritazione, ma trattenni ugualmente l'insulto che stava pericolosamente affiorando dalle mie labbra e dopo un respiro profondo, dissi: -sono 1200 yen, grazie-
Lui levò fuori il portafoglio in pelle dalla tasca posteriore dei jeans e pagò, continuando a ridacchiare.
Cercai di ignorarlo e concentrarmi sulla piccola cassa per recuperare i soldi del resto.
-Ecco a lei, le auguro una buona giornata-
Lui mi guardò fingendo un'aria contrariata, cosa che non riuscì a fare perfettamente per via della sua perenne aria spavalda e sicura di sè.
-Potresti essere un po' più gentile, non va bene questo tono rigido e formale per un fioraio! Dovresti essere più accomodante e disponibile.. per esempio, parlando di disponibilità, sei libero stasera?? Ah, accidenti, dimenticavo, ancora non mi sono presentato, io sono Shirou Fuyume!- tese la mano, allegramente.
Io d'istinto ritrassi la mia dietro la schiena, sempre più infastidito, poi presi a rimettere a posto le diverse piante negli scaffali, visibilmente a disagio a causa dei suoi modi da marpione.
Lui fece il finto offeso.
-Posso almeno sapere il tuo nome? Caspita, per avere un così bel visetto sei proprio maleducato!!- sbottò con quel ghigno ammiccante stampato in viso; io ero sempre più deciso ad ignorarlo e cercai di mascherare l'aria seccata con un sorriso di convenienza anche se avevo bene in evidenza una vena pulsante all'altezza della tempia.
-E va bene- fece lui alzando le mani in alto in segno di resa -tanto il tuo nome l'ho già letto sul cartellino!- poi fece un gesto di saluto e, baldanzoso, uscì dal negozio di fiori con l'aria di qualcuno che aveva appena ricevuto un premio di consolazione.
-Ma chi era quello?- feci fra me e me, e scossi la testa continuando a mettere in ordine.
In quell'istante sentii la porta del negozio riaprirsi e voltandomi vidi con mio solenne sollievo il mio coinquilino, Kazuo, entrare guardandosi intorno. Si passò una mano fra i capelli tinti color miele, roteando gli occhi grandi ed espressivi alla ricerca di qualcosa. Appena mi vide fece un largo sorriso e si avvicinò al bancone.
-Oh, eccoti Aya-kun! Hai finito il turno? Sono venuto a portarti la chiave dell'appartamento!-
-In teoria avrei dovuto terminare un quarto d'ora fa, ma quasi all'ultimo è arrivato un cliente molesto che si è trattenuto fin troppo a lungo, è uscito poco fa, può darsi che l'hai visto, un tizio alto, con un filo di muscoli e i capelli molto lunghi, avrà avuto sui ventisei anni..-
-Ah, si, il professor Fuyume! L'ho incontrato poco fa..- rispose lui -in realtà ha quasi trent'anni.. è un dongiovanni-
-Non l'avevo notato- feci io sarcastico mentre levavo il grembiule un po' sporco di terriccio -un professore hai detto? Davvero quel casanova è un professore? E fa così anche coi suoi studenti?-
-Che io sappia ha un certo successo e nel suo lavoro dicono sia molto serio.. insegna alla nostra università, possibile che tu non non l'abbia mai incrociato? E' quasi sempre inseguito da uno stuolo di studentesse civettanti..-
-..Non ho molto tempo per badare a questo genere di cose.. poi, con tutta la gente che c'è all'università, lui è l'ultima persona che avrei notato..-
Lui mi guardò inarcando un sopracciglio e mi tese le chiavi dell'appartamento; le presi e levai dalla tasca quelle del negozio; poi, asciugandomi un po' di sudore dalla fronte col dorso della mano, mi diressi verso l'uscio. Kazuo mi affiancò.
-Ad ogni modo, parlando di cose serie, stasera qualcuno deve andare a fare la spesa, altrimenti finiremo per digiunare..- osservò lui grattandosi la tempia con l'indice.
-Vado io- mi proposi mentre chiudevo la porta -quel professore insistente mi ha fatto venire i nervi, quindi non mi dispiacerebbe stare un altro po' fuori casa nel tentativo di distrarmi un po'..-
-Ottimo! Io ne approfitterò per andare a prendere il bucato in lavanderia- decise guardandosi l'orologio al polso - fai attenzione al ritorno, prendi la strada più lunga, la scorciatoia la sera è poco frequentata, non si sa mai se c'è qualcuno poco raccomandabile nei dintorni..-
-Tranquillo, mi guarderò le spalle!- lo rassicurai, sorridendo e camminando in direzione della metro.
Grazie a quella, senza che nemmeno te ne accorgessi, arrivavi oltre il limite che separava il caos dalla calma; di sera il centro della città era affollato, completamente invaso, niente a che vedere con le viuzze periferiche in cui mi ero stabilito, tranquille, silenziose, accomodanti, a volte anche fin troppo solitarie.
C'era da dire, però, che anche il centro aveva il suo perché: di notte le luci artificiali lo rendevano carico di un'atmosfera suggestiva e, in qualche modo, anche romantica.
La stanchezza accumulatasi nella giornata mi offuscava un po' gli occhi, rendendo ogni minima luminescenza fuori dai finestroni della metro sfocata, quasi in bokeh.
Mi ressi in piedi, assorto come al solito nei miei mille pensieri.
Era lì, nel centro della città, che avevo conosciuto Fumihiro. La prima volta che lo vidi era fermo di fronte ad un negozio di telefonia mobile, studiava curioso un cellulare di ultima generazione, indeciso se comprarlo o meno. Rasentava la quarantina ma non aveva nulla da invidiare a gente più giovane di lui. Rimasi colpito dall'austerità che emanava, non riuscivo a capire come quella persona, al di là del fatto che fosse veramente attraente, fosse riuscita a risvegliare in un colpo solo tutto il mio interesse, in modo quasi violento, strappandomi via dal cuore tutta la sofferenza che le mie precedenti relazioni avevano accumulato dentro di me. Un colpo di fulmine, così lo definii. Lo pedinai fino a dentro un bar e presi un tavolo molto vicino. Di tanto in tanto mi voltavo a guardarlo in modo repentino e sfuggente; lui parve accorgersene, anche perchè le mie occhiate si erano fatte via via sempre più intense, meno fugaci, più cariche di interesse, e lui aveva cominciato a ricambiarle, rapendomi col suo sguardo tagliente e sensuale, stuzzicandomi coi suoi modi raffinati, coi suoi gesti lenti e posati.
A metà serata mi invitò elegantemente a sedere al tavolo con lui. Aveva una voce calda e profonda, una di quelle che ti mette il magone. Mi offrì da bere e io accettai, senza riuscire a staccargli gli occhi di dosso. Era una persona molto gentile, con un grande senso del dovere, parlammo fino a sera tarda e poi si offrì di riaccompagnarmi a casa. Nel viaggio in auto, parlai ancora con lui, gli raccontai un po' di me, della mia vita; lui mi studiava, la maggior parte delle volte con dei silenzi cruciali e li intesi che mi stava cucinando a fuoco lento. Lui era il cuoco, io ero l'inerme pezzo di carne, preda del suo fascino, la sua cena in padella. Non arrivammo fino a casa mia quella sera, ci fermammo in una zona appartata, a fare sesso selvaggio fino al mattino nella sua auto sportiva. Era un'esperienza nuova, ma allo stesso tempo fu naturale, spontanea; non fu solo qualcosa di fisico, nutrivo un interesse ulteriore in quell'uomo, aveva un fascino incredibile e io ne ero completamente succube.
Col tempo mi resi conto del bisogno morboso che avevo di lui. Sapevo che era sposato, ma il mio unico, egoistico pensiero era quello di passare più tempo possibile assieme, per saperne di più della sua vita, del suo lavoro, dei suoi piatti preferiti, anche del suo dopobarba che mi mandava in tilt il cervello quando mi avvicinavo ad annusargli il collo. Iniziò ad aprirsi con me, a parlare della malattia di sua madre, del suo fratello problematico, dei disguidi con la moglie infedele; appresi che dietro quell'aspetto professionale e composto si nascondeva un animo sofferente e in cerca di un placido posto in cui rifugiarsi, posto che gli offrii amorevolmente, fra le mie braccia, ogni qual volta che avesse avuto bisogno di parlare con qualcuno.
Era la prima volta che mi sentivo davvero innamorato, così tanto che fu difficile accorgersi di essere solamente un ripiego, una vendetta nei confronti della moglie, un gioco di tradimenti fatti apposta per ripagarla del danno subito. Lo scoprii soltanto quando, dopo che ebbe divorziato, mi stabilii a casa sua e giorno dopo giorno cominciò a farsi sempre più violento nei miei confronti, quasi mi considerasse il reale motivo della sua separazione. Nascondevo a malapena i lividi sul mio corpo, le lacrime, il disonore che percepivo e con cui mi colpevolizzavo. Portava donne in casa, le usava come giocattoli e poi le cacciava fuori, incurante dei miei sentimenti, della mia sofferenza. Fino a che un giorno sventurato, tornato dall'università, avevo trovato la casa fatta a pezzi, come da un animale feroce. Vetri rotti, la televisione fracassata contro il muro, le assi del letto sparse per la casa, mi sentii afferrare da dietro e sbattere contro un muro. Cercai di dimenarmi ma fu tutto inutile.
Mentre ci pensavo, mi toccai di riflesso la schiena. Quell'esperienza mi aveva lasciato una brutta cicatrice nella carne, non solo nel cuore.
Scossi la testa come a levare quei pensieri mentre la metro si fermava. Scesi, mimetizzandomi nella folla e uscii dalla stazione immergendomi nel caos urbano.
Avevo un senso di nostalgia e un nodo alla gola. Avrei voluto che le cose fossero andate diversamente.
Mentre camminavo sul marciapiede ricordavo le passeggiate al ritorno, insieme, verso la macchina, un ricordo piacevole ma così colmo di dolore. Senza che lo volessi, mi si riempirono gli occhi di lacrime, ma procedetti a testa alta, fieramente, a passo rapido, come se volessi superare quei ricordi in modo orgoglioso e avanzai in direzione del supermarket. Superai il negozio di telefonia mobile, con un'andatura sempre più svelta ma i ricordi sembravano rincorrermi ostinati, il dolore lancinante del vetro che tagliava la schiena, il dolore di una penetrazione a crudo contro la mia volontà, le sue risate maniacali e convulse, il battito del mio cuore che sembrava rimbombare nell'ingresso fatto a pezzi, il terrore, l'impossibilità di capire perché.. perché quell'uomo così calmo e riflessivo si fosse improvvisamente trasformato in un pazzo fuori di testa.
Bam.
Impegnato nella mia fuga irrazionale dal passato, andai a sbattere contro qualcuno. Un odore pungente e acre di sangue misto a terra si fece strada nei miei polmoni. Era un corpo di un calore febbricitante, quasi accogliente, così tanto che rimasi immobile per cinque interminabili secondi appoggiato contro di esso. Sembrava quasi familiare. Per un istante desiderai che il tempo si fermasse per sempre. Poi mi staccai lentamente e sollevai lo sguardo. Rimasi senza fiato. Era poco più alto di me, aveva uno sguardo tagliente, minaccioso, serrato, lo sguardo di un cane che nonostante le bastonate aveva ancora la forza e il coraggio di ringhiare; aveva un brutto ematoma sul viso pallido e sporco, il labbro insanguinato, le orecchie perforate da innumerevoli piercings, i capelli biondi ossigenati ricadevano liscissimi sul viso regolare e dai tratti dolci. Era di una bellezza sconfinata, sembrava un idol, dai modi irriverenti e ribelli. Ci fissammo per poco più di un minuto. Lui mi guardava di storto e io ero rimasto temporaneamente frastornato dalla botta, dall'odore, dal flusso di pensieri che si stava finalmente dileguando dal mio cervello.
La gente intorno ci scrutava preoccupata temendo una lite.
Notai la maglietta nera sbiadita a maniche corte sporca di fango e altre macchie scure che supposi fossero sangue, i pantaloni dal cavallo basso gli fasciavano alla perfezione i polpacci e bretelle, diverse cinghie e catene gli penzolavano disordinate dalla cintura.
-Che c'è, ti sei incantato?- sfotté lui. Aveva una voce aggressiva e stizzita, una voce irritata, tipica di quei ragazzi ribelli che credono di poter mettere sotto i piedi chiunque con qualche cazzotto.
-No- feci io rispondendogli a tono, raddrizzando completamente la schiena e incrociando le braccia. Non avevo alcuna intenzione di fargli credere che due o tre parole sgarbate o il suo modo di fare minaccioso avrebbero potuto farmi fuggire via con la coda fra le gambe -ero sulla mia strada, molto semplicemente- mantenni un modo cordiale ma un tono fermo e sicuro.
Ebbi l'impressione di vedere una vena cominciare a risaltare sulla sua tempia e pompare visibilmente. Avvertii l'aria farsi più pesante e colsi i numerosi mormorii delle persone che ci passavano accanto.
-Ah!- fece lui stringendo gli occhi -a me pare che camminassi un po' a casaccio con la testa fra le nuvole; se vuoi posso sistemarti io il cervello, così che non si ripeta una prossima volta- e fece scattare le ossa della mano, come monito.
-Se non sai regolare la tua traiettoria per scansare la gente non è colpa del mio cervello. Perché non vai a giocare a fare il bullo e il duro con gente nelle tue stesse condizioni? Sai, tutti quegli alcolizzati che girano per strada, che non sanno fare altro che prendersi a botte perché non hanno la materia grigia abbastanza sviluppata per affrontare un discorso a parole!-.
Dovevo ammettere che effettivamente mi ero spinto oltre ciò che mi potessi davvero permettere di dire. Vidi il suo sguardo farsi ancora più glaciale. Era tutto sommato uno scontro verbale ma ero io che lo stavo trasformando in qualcosa di più pericoloso con le mie provocazioni. Quando me ne resi conto mi ritrassi un po' indietro ma, prima che potessi voltare le spalle, quel ragazzo mi afferrò dal colletto e mi strattonò con violenza contro il suo busto, portando il mio viso a pochi centimetri dal suo.
Notai più cose da così vicino: gli occhi normalmente a mandorla erano di un singolare colore perlaceo-azzurro, nonostante fossero gelidi e paradossalmente carichi di desiderio di sfondarmi il muso con un pugno ben assestato, erano lucidi e arrossati; ansimava un po', e il viso di un colore già molto candido, era livido in modo malsano; le labbra tremavano, nere molto probabilmente per il freddo.
L'odore di nicotina mi pervase, quando aprì bocca.
-Ripetilo un'altra volta e giuro che ti ammazzo- ringhiò, irruente.
Sudai freddo, ma non riuscii a non guardare la mia figura riflessa in quei stiletti affilati che aveva al posto degli occhi. Lui piantò i suoi nei miei. Per qualche strano motivo fu un momento particolarmente intenso.
Dimenticai il resto del mondo
Mi parve di aver già visto quella scena. Un deja-vu. Lui mi ricordava un qualcosa di passato, di doloroso, di lacerante. Misto a quella sensazione struggente c'era inoltre quel nodo alla gola, la sensazione di aver fatto una nuova scoperta. Senza che me ne accorgessi, il mio cuore aveva accelerato il suo battito, sentii il viso avvampare.
Anche lui sembrò non essere indifferente, come se una scarica di sensazioni lo avesse colpito in pieno, come un fulmine molto violento; le labbra si erano schiuse, le sopracciglia si erano rilassate, i suoi occhi taglienti avevano preso una luce completamente diversa, le iridi di acciaio si erano fatte liquide. Sentii il calore del suo corpo pervadermi completamente, una temperatura più alta del normale.
Una nuova, improvvisa consapevolezza mi aveva colto in pieno; spalancai le palpebre e gli piazzai una mano sulla fronte, ravviandogli un po' i capelli all'indietro.
-Ma... ma tu hai la febbre!!-
Fu il silenzio più pesante della mia intera vita.
Mi guardò come se fossi un grandissimo idiota, e solo pochi secondi dopo mi resi conto di aver fatto un'affermazione fuori luogo in una situazione grave, in cui rischiavo seriamente di tornare a casa col femore sbriciolato.
Sì, era una circostanza incredibilmente ridicola.
Il ragazzo aveva l'aria furente, sembrava quasi incapace di rispondere. Poi scosse la testa.
-Ma che.. fammi capire.. io sto per spaccarti la testa contro un muro.. e tu.. tu fai un'osservazione inutile e ridicola sul fatto che io abbia la febbre..?? Ma dico, mi stai prendendo in giro?- sentii la stretta sul colletto farsi sempre più forte.
Si stava infuriando. Vidi l'altra mano serrarsi in un pugno e sollevarsi pronto a colpire.
Strinsi gli occhi e di riflesso misi le mani di fronte alla faccia. Il ricordo del sorriso maniacale di Fumihiro mi pervase come una pioggia di spilli, il suo pugno direzionato verso il mio viso, lo sguardo vuoto di un pazzo che aveva perso tutto ciò che lo rendeva stabile ed equilibrato.
Mi uscirono le lacrime, involontariamente.
Rimasi immobile, paralizzato, in attesa di sentire l’impatto del pugno che mi sfracellava la mascella.
Ma quel pugno non arrivò, né nei primi dieci secondi, né nei successivi venti, e nemmeno il minuto dopo. 
  
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