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Autore: Marge    24/06/2011    5 recensioni
Howl e Calcifer hanno stretto il loro patto una notte di stelle cadenti. Da quel momento, il bambino che Howl è stato non esiste più, ed al suo posto appare il grande mago, vanesio, egoista, potente, ma anche tanto solo. La visione di una ragazza dai capelli d’argento però è sempre costante nella sua mente, ed Howl abbellisce, giorno dopo giorno, il suo giardino personale, riempiendolo di fiori per il giorno in cui lo donerà a lei, se mai la ritroverà.
fanfic può essere letta come una storia a sé stante, ed è perfettamente fruibile da chiunque abbia visto il film; tuttavia, nella mia testolina fa parte della saga nata dalla mia fanfic “Flowers Wall”.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Calcifer, Howl, Sophie
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Flowers Wall'
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IL GIARDINO DI SOPHIE




Note dell'autore Questa fanfic può essere letta come una storia a sé stante, ed è perfettamente fruibile da chiunque abbia visto il film; tuttavia, nella mia testolina fa parte della saga nata dalla mia fanfic Flowers Wall.



Ancora stordito da quanto accaduto solo la sera prima, Howl aprì gli occhi, nel suo lettino nella casa con il mulino ad acqua, solo perché aveva sentito un calore inusuale accanto al viso.
Il demone ardeva a pochi pollici dal suo volto. Scattò a sedere, cacciandolo via come una mosca. Poi si stropicciò gli occhi e rimase a guardarlo. Calcifer, senza mostrare alcuna espressione, lo fissava con i suoi occhietti bianchi, immobile.
“Abbiamo bisogno di legna” disse. Howl annuì stordito e si alzò; il pavimento freddo sotto i piedi nudi lo scottò, e saltellò fino al camino, dove radunò un po’ di ceppi. Raccolse poi il demone tra le mani, e ve lo depose. Pulsava. Era il suo cuore.
“Come ti senti?” chiese il demone cominciando ad ardere con più intensità. Socchiuse gli occhi, godendo della legna secca tra le sue fiamme.
“Frastornato” rispose il ragazzino. Si scompigliò i capelli, e si sedette sul letto, rimanendo ad osservare l’altro.
“Dobbiamo ringraziarti” disse Calcifer. Howl agitò una mano davanti al viso, e si buttò nuovamente sdraiato sul letto. Si sentiva leggero ed irreale, come se il suo corpo non gli appartenesse del tutto. E come se fosse vuoto.
“Non farti prendere dal timore. Guarda qui.”
Howl si rotolò di lato, stancamente, nel letto, e fissò l’altro. Stabilì un contatto con i suoi occhi. D’un tratto, scattò a sedere, i sensi all’erta, la pelle vibrante. Una sensazione, come una bolla dentro il suo petto, crebbe a dismisura, tendendosi fino quasi a scoppiare. Non riusciva a distogliere lo sguardo da quello del demone.
“Senti il potere” disse con voce bassa.
Un ghigno contrasse il volto del ragazzo; le fiamme del demone crebbero quasi fino al soffitto, colorandosi d’azzurro e di verde. Una bocca storta, sghemba, comparve tra le lingue di fuoco, con margini aguzzi come denti affilati.
Si alzò un vento, potente come nessuna corrente naturale, e gli sollevò i capelli scuri ed ordinati. Le sue dita si contrassero sul lenzuolo, per aggrapparsi a quell’unica sensazione di realtà residua. Nessuna parte del suo corpo gli apparteneva più come il giorno precedente, eppure, di ognuna di essa gli sembrava di avere più controllo che mai. Quello era il potere?
Poteva fare qualsiasi cosa.
Inghiottì, come la sera precedente, quella sensazione, sentendola scivolare fin dentro le viscere, aguzza, tagliente, forte. Il vento cessò e le ciocche corvine ricaddero scompigliate accanto al volto, solcato ora da un sorriso maligno.
“Faremo grandi cose insieme” disse alzandosi in piedi.

Lo stordimento provocato dall’inaspettato potere che investì l’animo di quel ragazzino ancora al confine con l’infanzia, ma segnato da sfregi da adulto, lo rapì definitivamente all’ingenuità, occupando la sua mente in vece di qualsiasi altro impegno morale.
Non rimase ad interrogarsi sui motivi di quel suo gesto sconsiderato; e dimenticò di chiedersi, ogni volta che compiva un’azione qualunque, fosse un incantesimo, una conquista, un sorriso mellifluo per ingraziarsi un insegnante, il perché. L’obiettivo finale era l’unica luce su cui puntare ogni concentrazione.
Diventare il migliore.
Avere tutto.
E, forse, anche essere felice.
Ma non era felicità quella che provava ogni volta che riceveva una lode, od un’occhiata, fosse d’ammirazione o di timore nei suoi confronti: era soddisfazione, era realizzazione. L’appagamento che può dare una donna scelta solo per i suoi capelli soavi, o le mani delicate, o lo sguardo impertinente; e di nessuna amava ogni aspetto, ma solo un particolare, sul quale convogliare ogni desiderio, per scordare il resto.
E non era mai abbastanza: come se si trovasse in una stanza ermeticamente chiusa, in cui sole ed aria non potessero entrare, pian piano sommersa da acqua scura: ogni momento doveva salire un po’ più in alto con un colpo di reni, o sarebbe affogato; ed il soffitto sembrava, inizialmente, così lontano da poter essere tranquillamente trascurato. L’ossigeno era sempre meno, ma numerosi surrogati potevano illuderlo ancora per molto, molto tempo.
Calcifer ripeteva spesso che quella loro condizione non poteva durare a lungo. Prima o poi, sarebbe giunto il momento di separarsi, prendendo ognuno la propria strada: la morte, la vita, autentiche. Ma come sarebbe accaduto?

Fu solo dopo alcuni anni che Howl ripensò, per la prima volta, alla ragazza dai capelli argentati. Lei sapeva di sicuro qualcosa, li aveva chiamati per nome come se fosse abituata a farlo. Cominciò allora a guardarsi attorno, per provare se gli capitasse di scorgerla. Ma una persona dalla capigliatura tanto particolare non sarebbe passata inosservata, ed all’Accademia sicuramente non era. Accantonò dunque il suo pensiero per altri anni.

“Questo luogo è l’unico in cui mi sento veramente in pace” commentò ad alta voce, guardando il cielo riflesso nell’enorme lago che si veniva a creare ai piedi delle montagne. La vallata era un’immensa palude, in cui alte canne e piante fuoriuscivano dal pelo dell’acqua, nascondendone la superficie tremolante. L’aria era pesante, e piena di zanzare, ma alzando solo di poco lo sguardo, era possibile incantarsi alla vista delle montagne ribaltate, rosse di terra brulla.
“Comincia a fare freddo, qui. La neve ha già imbiancato le cime più alte” disse Calcifer.
“Voglio che questo luogo sia una primavera continua” mormorò il mago. “Voglio sole, e fiori di ogni tipo, in ogni momento dell’anno. Sarà il giardino più bello di tutte le terre di Ingary, ma sarà solo mio, e nessun altro potrà mettervi piede.”
“Un altro delirio di onnipotenza? E poi cosa ci farai, visto che nessuno potrà vederlo?” criticò sarcastico il demone.
“Un giorno saprò cosa farne” rispose enigmatico, e si alzò.

Ed Howl non mancò alle sue intenzioni: per prima cosa, bonificò la palude, facendo emergere un terriccio bruno, caldo e fecondo al suo posto. Attese che l’inverno finisse, accarezzando l’erba neonata che mise fuori la testolina verde al primo vento caldo di Marzo.
“Un incantesimo di sole perenne, ecco cosa ci serve!”
Innalzatosi tra le nuvole, fece in modo che un perenne venticello mite le facesse volare presto via, ed i caldi raggi potessero raggiungere le gemme che sparse a piene mani, cavalcando nembi ben presto scacciati ai confini del giardino incantato.
“Pianterò ogni specie di fiori, anche quelli che qui, nelle terre di Ingary, sono introvabili. Questo luogo non avrà luogo, non avrà tempo. Sarà il mio personalissimo rifugio. E sarà perfetto.”
Terminata l’Accademia, scomparve per un lungo periodo. Quando fu di ritorno, il giardino esplose in un tripudio di corolle, ed api e farfalle colonizzarono quella nuova, stramba terra tra le montagne.
“Molte di queste piante possiedono caratteristiche magiche. Potremo preparare moltissime pozioni rare e miracolose.”
“E a chi serviranno?”
“Un giorno mi stabilizzerò. Troverò un posto per mettere su casa, e prestare la mia arte di mago a pagamento. Devo solo perfezionare alcuni particolari.”
Calcifer lo guardò dubbioso.
“Non voglio vivere in una casa qualsiasi. La voglio grande ed imponente. E dev’essere nascosta, in maniera tale che solo io possa entrarvi. E dev’essere in ogni luogo.”
“Questo è impossibile.”
“Non secondo quanto è scritto in questo libro, guarda.” Con entusiasmo, si chinò su un grosso volume, dai margini mangiucchiati dai topi e l’inchiostro sbiadito. “Qui vi sono i passaggi per compiere un incantesimo molto particolare: potremo fare in modo che la mia casa sia in un solo luogo, fisicamente, ma si apra in numerosi altri.”
Il demone agitò le sue fiamme arancioni, incuriosito: “Quanti altri?”
“Dipende dalla potenza del mago che compie l’incantesimo. Qui dice che non vi sono limitazioni, se il mago è davvero grande. E noi lo siamo, no?”
“A patto di non perire durante l’incantesimo…”
Howl considerò la possibilità ed alzò gli occhi al soffitto. “Allora mi limiterò…tre o quattro uscite dovrebbero bastare.”
“È un incantesimo difficile?”
“Abbastanza, ma noi ce la faremo. Domani andrò a procurarmi alcuni ingredienti. Sono molto rari. Non sarà semplice recuperarli tutti. Ma non ho fretta…”
Si alzò, chiuse il libro sollevando uno spiritello di polvere, ed andò verso la porta. Sulla soglia, si girò verso il demone che ardeva nel camino di pietra: “Voglio solo essere libero. E farò qualsiasi cosa, per esserlo.”

“Questi fiori sono veramente preziosi” disse accarezzandone la punta con le dita. “Non ve ne sono di uguali in tutto il regno.”
Si lasciò cadere tra le corolle. “Ora questo giardino è meraviglioso. E lo sarà per sempre.”
“E nessuno lo vedrà mai, oltre noi?”
“Forse lei lo vedrà…”
“Lei chi?”
Howl non rispose. Chiuse gli occhi, lasciando che una farfalla gli svolazzasse sulla punta del naso, prima di dedurre che non era un fiore.
“Guarda questo” disse indicando poi un bocciolo dai petali scarlatti, punteggiati di bianco. “Vi si può preparare un elisir d’amore impossibile da contrastare. Viene da terre lontane, verso Est, dove le donne non hanno paura di mostrare la loro pelle nuda. E danzano in maniera deliziosa. Con questo fiore, ammaliano gli uomini e se ne fanno servire per tutta la vita.”
Si alzò in piedi eccitato.
“Quest’altro” continuò additandone uno giallo, dal fusto alto e sottile, che sembrava quasi cadere su se stesso, “serve a realizzare ottimi medicamenti contro i dolori di ossa. E questo, invece, di questo bel celeste, è ottimo contro la sfortuna. Di questo ne utilizzerò moltissimo.”
“Chi sente soltanto il profumo di un fiore, non lo conosce, e nemmeno non lo conosce chi lo coglie solo per farne materia di studio” mormorò il demone.
“Vedrai, sarò un mago apprezzato e conosciuto ovunque. Tutti mi cercheranno per avere i miei servigi.” “Ed noi saremo il demone più sfruttato che le terre di Ingary abbiano mai conosciuto!”
La sera stava lentamente scendendo, e le prime lucciole cominciavano la loro danza notturna di corteggiamento, in una gara a quella che illuminasse in maniera più dolce il suo angolo di giardino. Calcifer s’involò verso il suo focolare sicuro, tra ciocchi di legna profumati. Howl rimase a guardare il cielo imbrunirsi d’un blu cobalto, finché ogni traccia di chiarore non scomparve oltre le montagne, e le stelle apparvero a specchiarsi nel lago.
“Il suo nome era Sophie” mormorò il mago.
Si sollevò e camminò fino al punto in cui, anni prima, aveva accolto Calcifer dentro di sé, salvandogli la vita, impegnando la sua. Alzò gli occhi al cielo, verso il manto placido che non annunciava alcuna nottata di stelle cadenti. Lì, in quel punto, aveva piantato una specie di fiori particolarissimi: piccoli, delicati, blu con una sfumatura chiara al centro, ed uno spruzzo giallo da far girare la testa per la sua forza. Era fiori timidi, ma tenaci, che si guardavano attorno con semplicità, piccoli in mezzo ai tulipani rossi e rigidi, alle margherite sfacciate, ai mughetti titillanti.
Silenziosi, senza dar fastidio, si stavano allargando sempre di più, infilandosi qua e là senza parere.
“Sei un fiore cocciuto, anche se sembri passare inosservato” commentò.
Ne toccò uno, che cadde nella sua mano non appena lo sfiorò; lo strinse e portò il pugno davanti la bocca, sentendo i petali rilasciare un umore umido che gli penetrò la pelle.
“Non ti scordar di me, Sophie, e vienimi a cercare.”
Quando il giardino fu pronto, Howl decise che non vi avrebbe messo più piede fino al giorno in cui non avesse trovato un motivo più che valido per tornarvi; ed aveva già sentore che quel momento sarebbe arrivato in un periodo difficile, buio e pieno di terrore, in cui quei fiori avrebbero avuto il potere di un balsamo ed avrebbero lavato via ogni disperazione. Quel giardino avrebbe celebrato la sua rinascita. E poi, se veramente Sophie fosse arrivata, l’avrebbe donato a lei. La parte di sé ancora umana era assolutamente convinta che Sophie gli avrebbe salvato l’animo.
“Cos’è questa porta, in mezzo al nulla?” chiese Calcifer.
“Non ti convince?”
La porta, semplice tavola di legno, si stagliava verticale in mezzo al prato, senza nulla attorno.
“Ho bisogno di una porta per tornare qui, in futuro, quando avremo il Castello. Avevo pensato di utilizzare la mia casina, ma poi, quel luogo diventerebbe inservibile. Sai come funziona quell’incantesimo delle porte…”
“Sì, sì, lo sappiamo. Ma questa porta in mezzo al prato, da sola, potrebbe attirare l’attenzione.”
Howl soppesò l’obiezione del demone.
“Allora diamoci da fare!” esclamò poi con entusiasmo. Raccolse qualche sassolino da terra e li appoggiò davanti la porta. Chiuse gli occhi.
“Potremo farci una casina attorno. Come se fosse una piccola chiesa. Un posto per pregare. La vedi?”
Calcifer si spostò sulle mani del mago, che erano tese con i palmi rivolti verso il cielo. Chiuse a sua volta gli occhietti rotondi, e rispose con un mormorio affermativo. Si concentrarono affinché i loro pensieri coincidessero senza alcun errore. Poi, Howl impartì il principio dell’incantesimo, Calcifer vi mise la potenza e scavò nell’animo del ragazzo, alla ricerca della linfa vitale per realizzare la magia; le sue fiamme crebbero e divennero d’un rosso intenso, capace di oscurare la luce del sole e dettare nuove ombre sul terreno. Un vento primordiale li avvolse, le pietruzze a terra vibrarono e, d’un tratto, volarono al loro posto, distorcendosi e trasformandosi.
Quando terminarono, attorno alla porta era comparsa una minuscola costruzione in mattoni, dal tetto rosso ed una finestrella ad arco sopra l’architrave.
“Fiori ed erbe rampicanti le daranno un aspetto più naturale” commentò il mago.
Calcifer era ritornato alle sue dimensioni originali, una piccola fiammella arancione. “È incredibile come assieme sia possibile realizzare ogni cosa.”
Il mago sorrise d’un ghigno distorto dalla malignità: “È proprio così. Ed ora andiamo.”
“Dove?”
“Via, via da qui. Nel mondo. Abbiamo moltissimo da fare, insieme.”

“Sophie, con i colori della porta cambiati, sai, c’è una nuova uscita.”
La rotella si spostò sul rosso, ed Howl aprì la porta. Il sole investì l’angusta scaletta, ed una tavolozza di colori comparve alle spalle del mago.
“Oh…”
“Un regalo per te, Sophie. Su, prego.”
Rimase titubante sulla soglia. Poi cominciò a scendere lentamente, con passi incerti, che risuonarono sul freddo pavimento.
Il cielo intrappolato tra i fiori. Il sole così caldo da intiepidirle il cuore. Nuvole bianche si rincorrevano nel cielo e tra i mille colori del prato.
“Questo è il mio giardino segreto, sai” spiegò Howl porgendole il braccio.
“Fantastico…”
Camminarono tra i fiori, avanzando nel sole come verso un altare. “Anche questo è opera della tua magia?” “Giusto un pochettino…per aiutare i fiori.”
Howl saltò il ruscello che scorreva impetuoso davanti a loro. “Non riuscirò mai a spiccare un salto come lui” pensò Sophie. Ma la presa della sua mano era forte. Chiuse gli occhi ed ordinò alle sue gambe di sollevarsi da terra, nonostante avesse imparato, da quando era diventata una vecchia piena di dolori, che non sempre il corpo obbedisce alla mente.
Saltò. Le sue gambe si allungarono e si snellirono, il peso le scivolò via, la pelle si distese. Rimasero solo i capelli, argentanti e brillanti, come segno della maledizione che imperava su di lei.
L’eccitazione della giovinezza nelle sue vene la ubriacò, e lasciatagli la mano, corse verso il rivo. “Ah…” si lasciò scappare, in piena estasi. Poteva una visione del genere scaldarle tanto l’animo?
“Howl, grazie!” urlò voltandosi, mentre il vento si insinuava fra i suoi capelli e nella gonna, gonfiandole la sottoveste come un palloncino e giocando poi a svuotarla senza ritegno.
“Mi sembra un sogno…”
All’orizzonte, il confine tra cielo e terra non era visibile, e le nuvole si capovolgevano nell’acqua senza accorgersene. I fiori erano come insetti rimasti intrappolati nel candore.
“Sophie…” la chiamò. La sua voce era sicura.
“Ma che mistero. Io, sai, ho la sensazione di esserci già stata in questo posto. Mi vengono fuori le lacrime…” Howl le porse nuovamente la mano. La prese senza esitazioni.
“Vieni.”
“Sì.”



~ Scritta per il Contest Di Fiori e Paesaggi. Come riportato dall’organizzatrice del Contest, c’è qualcosa in questa storia che non mi convince del tutto; ma nel complesso, avevo proprio voglia di descrivere un po’ di Howl “prima di Sophie”. Seguiranno altre storie dello stesso genere =)
Se volete leggere qualche sproloquio in più su come è nata e come l’ho scritta, vi rimando al mio LJ.
A presto con un nuovo capitolo di Flowers Wall! Intanto lasciatemi qualche commentino a questa storiella! See you soon space magicians!
  
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