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Autore: Fraiser90    25/06/2011    1 recensioni
"C’era puzza di cacca… l’aveva pestata Vins".
Un amico mi ha consigliato di cominciare così il racconto. E’ stata una tentazione molto forte, ma sono riuscito a resistere. Questa storia riassume tutte le disavventure, le battute e i tipici viaggioni mentali di un gruppo di studenti universitari che, nonostante le difficoltà con gli esami, riescono a trovarsi e riderci sopra. Ovviamente il tutto è ambientato in un mondo fantastico, il classico medioevo fantasy pieno di miti e leggende, con qualche “cacca”… smettila di premere i tasti Vins. Dicevo, con qualche elemento in stile manga giapponese e un pizzico di film e racconti anglo-americani. Come mai questa idea? Ispirazione forse, oppure sarà andato in corto qualcosa nel mio cervello, “o è solo una scusa per non studiare”. Scusatelo, è solo arrabbiato perché non compare subito dal primo capitolo. Ad ogni modo, direi che possiamo saltare tutti i preamboli e passare subito al dunque. Due parole sulla trama: un gruppo di giovani valorosi si mette in viaggio per recuperare una reliquia in grado di salvare il mondo dalle tenebre. Non aggiungo altro, a voi scoprirlo.
Vi auguro una buona lettura!
Genere: Comico, Demenziale, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 0001 - L'inizio del Poliviaggio

Le tenebre avvolgevano quel piccolo borgo sperduto tra i monti, in quella notte senza luna. Le nubi cupe coprivano il cielo, rendendolo ancor più nero. Nemmeno una luce illuminava le strade lastricate, non una sola persona osava uscire dalla propria abitazione in tempi pericolosi come quelli. Ma nelle ombre qualcuno si stava muovendo, a passi rapidi e misurati camminava senza sosta, rasente ai muri. Via dopo via, si spostava per il piccolo borgo, apparentemente con una meta ben precisa. Chiunque fosse l’oscura figura ammantata, non era la sola. In giro per la città altri rumori di passi rompevano la quiete notturna, riempiendo i vicoli bui dei quartieri più isolati. Non vi era nessuno che potesse udirli però, infatti vi era solo un manipolo di guardie a fare la ronda alle mura ed ai cancelli, assicurandosi che nessuno potesse entrare od uscire. Lo scalpiccio si arrestava solamente per avere la certezza di non essere seguito od osservato, per poi riprendere senza sosta. Tutte queste figure nere sembrano confluire in una piazzetta al cui centro vi è un piccolo pozzo. Ne arriva una, poi un’altra, e un’altra ancora, fino a che si accostarono al pozzo sei sagome nere incappucciate. Sembravano osservarsi e studiarsi, come per riconoscersi a vicenda.
«Oh, non si vede niente!» bisbigliò una voce maschile.
«Luki? Ci sei Luki?» mormorò invece un’altra voce, questa volta femminile e più acuta.
«Sssshh!! Altrimenti ci facciamo scoprire!!» li ammonì una voce più grave che proveniva dalla più imponente delle figure.
«Allora, ci siamo tutti? Manca qualcuno?» disse in un soffio una quarta voce, maschile e più controllata.
«Mancano Ema e Gus» rispose piano un’altra voce, nuovamente femminile e composta.
«E dove sono?».
«Credo in bagno» rispose la sesta voce , anch’essa maschile, in tono poco sicuro.
«Non possiamo aspettarli ancora, questa è una cosa seria!» disse seccata la voce più grave.
«Dai Luki non arrabbiarti» gli disse avvicinandosi la prima delle voci femminili.
«Quante volte ti ho detto di non chiamarmi Luki!».
«Dai non litigate! Ci faremo scoprire!!» disse l’ultima voce, un po’ agitata.
«Non possiamo aspettare, noi entriamo. Quando arrivano entreranno anche loro» sentenziò seccato “Luki” e detto questo, l’ultima figura ad aver parlato si voltò subito, avvicinandosi ad un vicoletto stretto tra due edifici.
«Aspettaci Luki!».
«Ssshh! Fate piano!» disse la voce maschile più calma.
«Che figata! Non sentite l’adrenalina?!» disse la prima voce in un sussurro eccitato.
Tutte e sei le figure si misero in movimento, cercando di essere silenziose ed invisibili nel buio del vicoletto. Dopo pochi passi giunsero di fronte ad una piccola porta di legno, molto probabilmente il retro di una locanda, al che una delle figure si avvicinò all’uscio.
«Mi raccomando, fai piano Luki».
«Si si, lo so».
Ed ecco che la figura di fronte alla porta bussò rapidamente per tre volte, per poi dare un quarto colpo, secco e più forte, decisamente più forte, forse anche troppo. Tutte le figure gli si avvicinarono di scatto e in un unico sibilo gli fecero segno di silenzio, mettendo davanti alla bocca la mano con l’indice alzato.
«Scusate scusate, non ho fatto apposta, su» cercò di giustificarsi, ma in quel momento la porta, con un cigolio inquietante, si aprì. Un fendente di luce illuminò il vicoletto e dalla fessura spuntò un ragazzo giovane, dalla barba poco curata ed il viso assonnato. Indossava una semplice maglia da lavoro con dei calzoni larghi e consumati e si poteva percepire un certo odore di alcol provenire dalle sue vesti: dopotutto era l’apprendista di un oste. Un tipico “uomo secchi con la barba” insomma.
«Chi siete? Sapete la parola d’ordine?» chiese concludendo le domande con un lungo sbadiglio.
«Dai cazzo Fabio, siamo noi! Non rompere su» rispose irritata la quarta voce, allungando il braccio per aprire meglio la porta ed illuminando ancor più l’esterno.
«Va bene va bene, che persona nervosa che sei Teo» gli rispose Fabio con un mezzo sorriso di presa in giro, mentre aprì la porta e fece cenno a tutti con la mano di entrare rapidamente.
Una dopo l’altra le figure entrarono e la porta si richiuse alle loro spalle, lasciando nuovamente il vicolo nelle tenebre. Eccoli li, dal fisico e le sue proporzioni dovevano essere tutti e sei dei ragazzi, anche se l’età e l’aspetto erano celati da lunghi e larghi mantelli marroni e da un grosso cappuccio calato sulla testa che copriva più di metà del volto.
«Ma siete solo voi? Non manca qualcuno?» domandò Fabio osservando il gruppo appena giunto.
«Non si sono visti gli altri due, ma dovrebbero arrivare presto» rispose Teo che sembrava aver una maggior confidenza con l’uomo secchi.
Ma ecco che dalla stanza affianco spuntò un altro ragazzo, dai capelli neri e molto voluminosi, carnagione più abbronzata, alto e con gli stessi abiti di Fabio.
«Cosa c’è Davide?» chiese Fabio al nuovo arrivato.
«Siete in ritardo! Forza, vi sta aspettando!» rispose Davide rivolto ai sei misteriosi ragazzi, ancora coperti così da celare le proprie identità.
Essi annuirono e si avviarono tutti nell’altra stanza, guidati da Davide, mentre Fabio rimase nel retro per attendere gli altri due compagni. Il gruppo entrò in una specie di studio, abbastanza piccolo, con un grande tappeto in pelle nel centro, una cattedra vicino ad una parete ed un camino nel quale ardeva un fuoco vivo e scoppiettante. Di fronte ad esso vi era un uomo che osservava le fiamme silente ed immobile con le mani dietro la schiena ed una pipa in bocca che spuntava da un lato. La sagoma nera non si mosse e Davide, senza dire nulla, si congedò rapidamente, uscendo dallo studio e richiudendo dietro di se la porta con molta cura e senza fare il minimo rumore.
«Finalmente siete arrivati ragazzi. Iniziavo a pensare che non vi sentiste all’altezza di questo compito, poffarbacco…» disse in un sussulto l’uomo che dava le spalle ai suoi ospiti.
«Ci scusi per il ritardo, Pippo Focaccia» disse in tono rispettoso Teo, scusandosi ed eseguendo un lieve inchino.
Si, era proprio lui. La figura si voltò con fare solenne, portando una mano a sorreggere la pipa fumante. Eccolo, Pippo Focaccia, famoso per le sue imprese incredibili e le grandissime abilità da mercante, astuto come una volpe, dallo straordinario acume e non solo. La chioma brizzolata, pettinata all’indietro e lunga fino alle spalle incorniciava il viso cadente con un paio di baffi ribelli sotto il naso, mentre il paio di occhiali rettangolari lo rendevano più vecchio di quello che già sembrava. Era abbigliato in maniera elegante ma allo stesso tempo stravagante, con una sottospecie di panciotto color senape, dei pantaloni marroni e degli stivali scurissimi. La leggendaria figura si voltò lievemente, facendo qualche passo verso la cattedra dicendo: «Dovete capire che questo non è un gioco, la situazione è grave. Non potete pretendere che le banche vi diano i buchi se voi non av-». Si interruppe di colpo e sotto le espressioni un po’ perplesse dei ragazzi, Pippo Focaccia inciampò nel tappeto di pelle tentando di mantenere l’equilibrio con movimenti buffi e decisamente poco coordinati. Per di più perse la pipa dalla bocca, che cadde sul tappeto svuotandosi completamente su di esso. In un paio di secondi, una fiammella nacque proprio sul tappeto, cominciando a bruciarlo. Goffamente ed imprecando, Pippo Focaccia iniziò a pestare ripetutamente i piedi sulla fiammella, cercando di spegnere il “pericolosissimo incendio”. Intanto il gruppo di ragazzi osservava la scena senza parole, qualcuno a bocca aperta, uno che sembrava trattenere a stento le risate, un altro che si portò una mano sul viso sconcertato. Si certo, era diventato famoso per le sue imprese e capacità, ma era invecchiato e a quanto pare la demenza senile ha cominciato a prendere il sopravvento, non che prima fosse ugualmente molto normale. Finalmente il fuocherello si estinse, mentre sbuffando e borbottando cose incomprensibili faceva andare la cenere caduta sotto il tappeto, per poi riprendere la pipa, rimettersela in bocca e tornare a dirigersi verso la cattedra. Mentre si stava sedendo, i ragazzi si ricomposero, disponendosi ordinatamente di fronte alla cattedra, uno di fianco all’altro.
«State per affrontare la vostra più grande avventura, nella quale conoscerete tantissime persone e vi sfiderete a vicenda, siete pronti per entrare nel magico mondo dei Pokémon?» chiese il vecchio, lasciando quasi allibiti i ragazzi presenti, che si voltarono guardandosi fra loro senza capire di cosa diavolo stesse parlando.
Pippo Focaccia spalancò gli occhi, come se si fosse appena ripreso da chissà quale sogno o visione mistica, scuotendo poi la testa dicendo: «Scusatemi scusatemi, errore mio, mi confondo sempre. Ehm ehm… Ragazzi, il vostro compito è importantissimo. Tu, Luca, discendente del primo cacciatore di draghi nella storia, sei pronto per affrontare questo viaggio?».
La domanda fu solenne ed in quel momento, il più robusto dei ragazzi si calò il cappuccio, mostrando il suo volto. Barba incolta, volto tondo, capelli castani e scompigliati, sguardo deciso e senza il minimo dubbio, Luca rispose alla chiamata con la sua voce grave dicendo: «Si Pippo Focaccia, sono pronto».
«E tu, Sara, del prestigioso casato dei Barattoli, sei pronta per intraprendere questo viaggio?».
Ed ecco che la ragazza scoprì il proprio volto, mostrando i capelli lunghi fino alle scapole di un biondo vivo ed il suo paio di occhiali che celavano quegli occhi azzurri cristallini, per poi rispondere con la sua vocina squillante dicendo: «Sono pronta signor Pippo Focaccia!».
«Invece tu, Teo, che nonostante i tuoi avi possedessero solo un modesto caseificio ora sono una famiglia rispettata, sei pronto?».
«Sono pronto» confermò il giovane in tono calmo e tranquillo, scoprendosi il volto e mostrando un viso allungato e magro, dai capelli corti di colore castano come i suoi occhi, con iridi sfumate di un verde smeraldo ed un paio di occhiali scuri.
«E tu, Massi, del famoso casato dei Colombi Viaggiatori, sei pronto per intraprendere questo viaggio?>.
«Io sono nato pronto!» rispose entusiasta il più attivo del gruppo togliendo il cappuccio, scoprendo i suoi capelli corti e spettinati castani, un naso a patata, degli occhi grandi e luminosi e la sua immancabile espressione piena di entusiasmo.
«E tu, Vale, il più giovane e più promettente membro della corporazione di pescatori meglio conosciuta come “I Pescatori De Tonno”, ti senti pronta?».
Ed ecco che la più bassa e minuta delle figure ancora incappucciate, ovvero la seconda ragazza, rivelò la propria identità, con la sua capigliatura ordinata e mora che toccava le spalle, un viso ben proporzionato ed uno sguardo timido, dagli occhi scuri e profondi e dal paio di occhiali dalla spessa montatura, che rispose con un semplice: «Si».
«Infine tu, Ste, discendente diretto dei monaci campanari, sei pronto per questo viaggio?».
L’ultima delle figure rimaste si mostrò, altro giovane ragazzo moro con la chioma raccolta in una coda, degli occhiali fini e degli occhi neri come la pece, che rispose: «Lo sono, signor Pippo Focaccia».
«Benissimo. Allora adesso procediamo a…» stava per introdurre il rispettabile uomo, ma ecco che la porta dello studio si aprì di nuovo, facendo entrare altre due figure incappucciate che si affiancarono subito ai loro compagni.
«Eccoli finalmente!» disse contenta e sollevata Sara.
«Ma dove eravate finiti?!» domandò loro Luca in tono spazientito.
«Scusate scusate, eravamo andati in bagno» rispose una delle due figure con voce nasale.
«Ma perché andate sempre in due in bagno?» chiese Massi, sporgendosi un momento dallo schieramento allineato per poter vedere meglio i nuovi arrivati.
«Ma sono affari loro, no?» rispose Ste come per difenderli.
«Se avete finito con queste insulse questioni direi che posso continuare, non credete?!» sentenziò irritato Pippo Focaccia, che sembrava non voler perdere tempo.
Tutti ammutolirono tornando composti, mentre le due figure ancora incappucciate si allinearono per bene agli altri.
«Dunque… direi che è necessario concludere il “rito”… Gus: artista affermato la cui famiglia possiede la pinacoteca più grande di tutto il regno, sei pronto per affrontare i pericoli che saranno in agguato durante il vostro viaggio?».
«Certamente» rispose la figura che aveva risposto agli amici, levandosi il cappuccio e mostrando la capigliatura castana riccia e ribelle, con occhi del medesimo colore ed un viso intellettuale incorniciato da fini occhiali da lettura.
«E tu, Ema, della rinomata e prestigiosa contrada del Pozzo, ti senti pronto?».
Finalmente anche l’ultimo membro del gruppo svelò il proprio volto, mostrando la sua chioma rossa e fitta tutta riccia, gli occhi azzurri molto chiari, anch’egli con gli occhiali, che rispose dicendo: «Si, sono pronto».
«Ottimo, salvo altre intrusioni direi che possiamo procedere. Non potete cominciare il vostro viaggio in queste condizioni, avete bisogno dell’equipaggiamento necessario» disse quindi quella leggenda vivente ormai non più cerebralmente alzandosi dal suo scranno e dirigendosi verso l’armadio li al suo fianco. Dando le spalle ai giovani si mise di fronte all’armadio per poi fare dei movimenti decisamente equivoci. Guardò verso il basso, con una mano si allargò i pantaloni e con l’altra iniziò a rovistare li dove ci dovrebbe essere la cosiddetta “terza gamba”. Si, proprio li, nelle mutande. Il gruppo rimase allibito e senza parole, spalancando gli occhi senza credere in ciò a cui stavano assistendo. Sara si mise una mano sugli occhi aprendo la bocca, ma senza emettere un suono, Vale si voltò da un’altra parte mentre il viso prendeva un colore più simile a quello di un pomodoro. Dopo vari ravanamenti e sbuffi spazientiti, ecco che Pippo Focaccia estrasse quella mano destra ormai irrimediabilmente contaminata stringendo qualcosa tra le dita: una chiave. Subito aprì il lucchetto che teneva le ante dell’armadio chiuse per poi spalancarle e guardare estasiato il contenuto, ancora misterioso per gli altri presenti nella stanza.
«Questo è quello che vi serve!» disse il vecchio scostandosi verso destra e mostrando l’arsenale di armi e attrezzi contenuto nell’armadio.
Tutti rimasero a bocca aperta stupiti, ma forse era per la scena a cui avevano appena assistito, non si sa. Ad ogni modo, Pippo Focaccia li guardò soddisfatto notando la loro sorpresa, non badando nemmeno a dove avesse cercato quella dannata chiave. Fortunatamente per i ragazzi prese un paio di guanti da lavoro nel cassetto e li indossò, provocando un sospiro di sollievo da parte delle due ragazze. Senza ulteriori indugi si accinse a prendere il primo oggetto. Sembra che si cominci con qualcosa di molto particolare, infatti afferrò due minerali lunghi ed appuntiti grandi quanto un melone dall’aria misteriosa, che riflettevano e venivano attraversati dalle luci presenti nella stanza, illuminandosi uno di un rosso rubino e l’altro di un blu zaffiro.
«Ema, Gus. Queste sono antiche pietre lasciateci in eredità dai famosissimi Tarta e Ruga, eremiti che hanno superato ogni limite in quanto poteri magici. Per poter essere utilizzate dovranno sempre stare una vicino all’altra, così che potranno sprigionare il loro incredibile potere. Non dovete mai allontanarle troppo, altrimenti in pochi giorni perderanno coesione e si sgretoleranno. Dovrete viaggiare sempre insieme e condividere questo potere. Siete pronti a prendervi questo impegno?» spiegò in tono solenne.
I due ragazzi si avvicinarono a passi lenti, osservando quelle pietre con ammirazione.
«Si, siamo pronti» disse Gus deciso, prendendo la pietra color zaffiro.
«Esatto» disse invece Ema, prendendo la rimanente color rubino.
Pippo focaccia sembrò compiaciuto dello sguardo deciso e senza alcuna paura dei due compagni. Perciò proseguì con l’assegnamento dell’equipaggiamento, prendendo ora un arco con fregi ed impugnatura color avorio ed una faretra di corda contenente già molte frecce.
«Vale. Questo è l’Arco del Corno Bianco, costruito con un materiale sconosciuto. Il filo è fatto con crine di unicorno e le punte di queste frecce sono state forgiate dal miglior fabbro delle terre dei nani. Potrai tendere imboscate da distanze incredibili e… fare degli ottimi spiedini di lepre direi».
Vale rimase un po’ perplessa dalle sue parole, ma si avvicinò per afferrare il proprio equipaggiamento osservandolo con curiosità. Ecco che il vecchio rimbambito afferrò una nuova arma, un bastone a punta di legno grezzo con un teschio con delle lunghe corna ricurve in cima e una sfera semi-trasparente di un viola scuro incastonata nella bocca.
«Ste. Questo è il bastone maledetto di Zurg, perfido e diabolico stregone oscuro supercattivo che rischiò di condurre il mondo in rovina, fermato però dal supereroe Buzz, che lo sconfisse con uno stranissimo fascio di luce rossa. Usalo con prudenza, perché può far risvegliare forze così oscure dalle quali è difficile uscirne».
Ste fece qualche passo verso il bastone, prendendolo con due mani e rimanendo ad osservarlo con un’espressione di entusiasmo mista a scetticismo. Subito Pippo Focaccia tornò con le mani nell’armadio, afferrando ora un rotolo di cuoio tenuto chiuso da una cinghia simile ad una cintura. La slacciò e la fascia di cuoio si srotolò completamente, mostrando cosa vi era assicurato al suo interno: lame da lancio, rotanti, punteruoli, spiedi, coltelli di ogni genere e lame da assicurare agli avambracci.
«Sara. Queste appartenevano al grande Umpa Lumpa della laguna, un cacciatore in grado di cacciare qualsiasi essere vivente e non. Ricorda che con queste armi potrai fare qualsiasi cosa. E quando dico qualsiasi cosa, intendo proprio dire “qualsiasi cosa”» pronunciò le ultime parole ammiccando alla ragazza.
Lei come un razzo andò dal vecchio ambiguo, afferrò tutto l’armamentario e si riallontanò di nuovo, dicendo un «Grazie!» alla velocità della luce e con espressione seriamente preoccupata. Pippo Focaccia fece spallucce per poi afferrare qualcos’altro dall’arsenale. Estrasse un set di quattro spade dalla doppia affilatura con piccole guardie ed impugnature per la singola mano, infatti hanno le dimensioni di una spada corta.
«Massi. Queste sono le quattro lame di Jan, Cloude, Van e Dam, sono potenti armi in grado di resistere anche a terribili colpi e mietere vittime con facilità. Sono molto comode da utilizzare con una sola mano, puoi usarne più di una alla volta se ne sei capace».
«Certo che ne sono capace, sono un asso con le spade!» disse entusiasta Massi nel ricevere quelle lame così preziose ed uniche.
Questa volta il vecchio prese qualcosa di più fine e più lungo. No, non si rimise di nuovo le mani nelle mutande. Ma tra le varie armi nell’armadio estrasse una katana dal fodero nero, ornato con fregi argentei, una guardia in metallo raffigurante un dragone avvinghiato all’arma ed un’impugnatura con i tipici incroci orientali.
«Teo. Questa è la Mani Katti, una katana dall’incredibile affilatura in grado di fendere praticamente qualsiasi cosa. Racchiude lo spirito di Lyn, un’incredibile spadaccina della tribù degli Urca Urca Tirulero. Maneggiala con cura. Se imparerai ad utilizzarla diventerai un vero e proprio… mmh… com’era… Sa… Samu… Salu… Salumiere! No, non credo. Beh, diventerai forte, ecco».
Teo si limitò a prendere con estrema cura e con due mani l’arma, osservandone la splendida fattura e ringraziando con un «Grazie mille» senza badare troppo alle scemenze e deliri dell’eroe con ormai pochi neuroni. Dulcis in fundo, ecco che a fatica Pippo Focaccia tira fuori dall’armadio una pesante ascia bipenne dalle notevoli dimensioni, con decorazioni precise e dai colori accesi, soprattutto blu e rosso.
«Questa, Luca, è Fragore. La possente ascia di Eric, marito di Stefany, madre di Ridge, fratello di Torn, zio di Rick, figlio di Booke, sorella di Donna e… ehm… insomma, aveva una gran bella famiglia. Ma forse mi sto confondendo… beh, Eric era comunque un grande guerriero. Se riesci a maneggiarla ti tornerà sicuramente utile».
Luca si avvicinò per afferrare quella possente ascia, tenendola poi con due mani senza nemmeno troppe difficoltà. Nel guardarla non poté evitare di fare un enorme sorriso entusiasta e dire: «Bella da dio!».
Ed ecco che finalmente i preparativi finirono, Pippo Focaccia richiuse l’armadio e si tolse i guanti, mettendosi poi di fronte ai ragazzi armati di tutto punto: «Bene, io non ho altro da dirvi o da darvi. Il destino di questo villaggio, di questo paese, di tutto il regno e del Mondo intero è nelle vostre mani. Dovete trovare a tutti i costi il Poliedro. Quella reliquia è l’unica cosa che può salvarci da questo stravolgimento di forze che stanno compromettendo la vita di tutti. Conto su di voi, so che potete farcela. Non indugiate oltre, passate li dietro e uscirete direttamente dal villaggio senza bisogno di far innervosire le guardie, che anche con delle palline da tennis trasparenti potrebbero andare su di giri, non so se mi sono spiegato».
Durante i suoi deliri, afferrò una torcia assicurata al muro per poi ruotarla verso il basso. In quel momento, il camino si spostò lateralmente, mostrando un passaggio segreto con delle scale di pietra che scendevano.
«Passando da li sbucherete direttamente dietro le colline che stanno a sud del villaggio, fuori dalla vista delle sentinelle e dalla portata degli arcieri, ovviamente. Direi che è tutto. Io credo in voi. Che Charlie sia con voi, così se i vostri nemici avranno bisogno di un rene prenderanno il suo e non il vostro» disse concludendo la sua figura da pezzente in bellezza, porgendo la mano destra per una stretta di mano di congedo. Ma i ragazzi si ricordavano bene cosa aveva fatto con quella mano, quindi tutti fecero “ciao ciao” con la mano e si catapultarono letteralmente nel passaggio segreto, fuggendo a gambe levate.
«Non la deluderemo!!» esclamò Teo dopo che tutto il gruppo di avviò, con la voce amplificata dall’eco generato dalle pareti anguste del passaggio in pietra.
La torcia tornò al suo posto originale ed il passaggio segreto si richiuse facendo tornare il camino al suo posto.
«Ah che strana la gioventù d’oggi. Dovrebbero imparare un po’ di educazione!» esclamò Pippo Focaccia, tornando alla propria postazione mentre l’indice della stessa mano con cui si era ravanato prima va ad infilarsi nel naso, scavando per bene come se volesse trovare una chiave anche li dentro.

 


 
“Così comincia il viaggio di questi otto giovani amici, alla ricerca di una reliquia unica nel suo genere, in grado di cambiare le sorti dell’intera umanità: il Poliedro. Questa storia è appena iniziata, nuove amicizie aiuteranno il gruppo e spiacevoli incontri lo ostacoleranno. Ma nonostante ciò il Poligruppo non demorderà e continuerà per la sua strada fino a raggiungere il suo obiettivo.”

Nel prossimo capitolo: scamperanno per un pelo ad un pericolo enorme; una spiacevole sorpresa li coglierà impreparati; “si comincia alla grande eh… non dureranno una settimana…”.
  
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